Lui & Lei
stanza 212

24.09.2022 |
348 |
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"Che altre volte ci sarebbero stati oggetti, fantasie, pochi limiti e forse altre persone con loro in quegli incontri..."
L’appuntamento era sempre nella stessa camera, la 212, di un albergo vicino alla stazione. Un posto per anime invisibili, per lavoratori in trasferta o di passaggio. Gente sola che voleva soltanto un letto pulito dove riposare e una superficiale parvenza di eleganza. Un posto perfetto per chi, come loro due, voleva poche domande. Per un uomo e una donna che volevano, per qualche ora, non esistere per altri se non sé stessi.Ogni martedì pomeriggio, da qualche mese, si trovavano lì per dare vita alle proprie fantasie, ognuno complice dell’altro. Lui raffinato e colto. Affascinante e atletico nonostante qualche chilo di troppo. Lei bella e invidiabile, nel corpo e nella testa. Lei che profumava sempre di buono, un regalo che la natura le aveva lasciato da sempre e che era parte della sua femminilità. Ognuno con la propria vita che scorreva al di fuori di quella stanza. Entrambi sposati con un lavoro impegnativo e gratificante. Due vite belle a cui, però, mancava qualcosa per essere perfette. E quel qualcosa lo avevano trovato in quella stanza affittata in day use.
Si erano conosciuti su internet come spesso capita di questi tempi. Le affinità affiorano anche in mezzo a quel mare che sono i social network e le parole raccontano di noi molto più di quello che sembra. Si erano scritti, avevano flirtato, si erano capiti e riconosciuti tra mille. Avevano trovato, ognuno nell’altro, il tassello mancante. Niente di più e niente di meno.
Non cercavano, nessuno dei due, una storia né un’amante. Non cercavano l’amore, certamente. Cercavano la sola cosa che a loro mancava: il sesso, quello puro, cristallino e per questo torbido. Il sesso che non conosce pudore. Quello che non ha limiti prescritti se non il rispetto.
Non conoscevano i loro nomi, non avevano ritenuto importante dirseli come non era importante sapere cosa succedeva all’altro durante la settimana da quando lasciavano l’albergo a quando, sette giorni dopo, si sarebbero rivisti, in quella specie di purgatorio che li separava dal loro settimanale paradiso. Sapevano di avere in comune la passione per il sesso, sapevano di essere curiosi, sapevano di aver bisogno l’uno dell’altra e questo a loro bastava.
La prima volta, qualche mese addietro, lui arrivò per primo nella stanza. Tolse la giacca (la cravatta non la metteva quasi mai) e si sedette a bere, tranquillo e presente. Certamente non freddo. Lei bussò dopo qualche minuto. Bellissima, come sempre, sensuale senza bisogno di esibire. Lui la baciò appena entrata. Nessuna parola, nessuna presentazione, nessun convenevole. Non erano lì per questo ed erano d’accordo tutti e due. Una relazione pornografica era quello che volevano e era quello che avrebbero avuto.
Il bacio fu denso, fu il loro modo di presentarsi, di confermare tutto quello che si aspettavano l’uno dall’altra. Loro due abbracciati stretti e le loro lingue uguali mentre le mani, come esploratori tropicali, si muovevano sopra i vestiti a prendere coscienza delle superfici.
Lui si soffermò con una mano sul seno pieno e sodo. Le apri la camicia, la sfilò dalla gonna e la gettò sul letto. Smise di baciarla solo quando, sfilatole il reggiseno, le sue labbra scesero sul capezzolo per leccarlo. Lei reclinò all’indietro la testa, un implicito assenso a proseguire. Lui strinse un po’ di più i denti senza farle troppo male. Lei, un po’ più sotto, cominciò a bagnarsi.
Le mani di lei non rimasero ferme per molto. Durante il bacio si erano aggrappate al suo sedere quasi con violenza, quasi a voler tagliare la stoffa che la separava dalla pelle di lui. Ma non fu a malincuore che si spostarono davanti, una a misurare la sua eccitazione da sopra i pantaloni, l’altra ad armeggiare con la sua cintura, impaziente di liberare l’oggetto del suo desiderio.
E così, mentre lui risaliva dal seno all’orecchio infilando la sua lingua ovunque le creasse brividi, lei prese il suo cazzo in mano per la prima volta.
Il movimento delle sue mani era lento ed esperto. Lo baciò ancora prima di inginocchiarsi davanti a lui e cominciare a leccarlo. Una tortura, per lui, la cui eccitazione era commisurata alla durezza che lei poteva ben sentire. Ma una tortura ben ripagata quando lei, finalmente, aprì le labbra e cominciò a muovere la sua testa, ingoiando sempre un po’ di più il cazzo ormai lucido. Lui si appoggiò al muro e le mise le mani dietro la nuca, cominciando a spingere, costringendola (anche se costringere non è certo la definizione giusta per qualcosa che le lei voleva fortemente) a una apnea con il cazzo ormai in fondo alla gola per poi liberarla e lasciarla respirare in attesa di ricominciare. Lei approfittò di un momento in cui la sua bocca era libera per inumidirsi le dita e, mentre ricominciava a pompare il cazzo passò quelle dita sulle palle gonfie dell’uomo e ancora più sotto fino al suo ano che cominciò a stuzzicare. L’uomo gradiva e lo si sentiva nella bocca della donna, il sangue affluiva con ancora maggior forza. Era marmo, ormai, quello che lei stava succhiando con forza.
Non voleva godere così presto. O meglio: non voleva sborrare perché il godimento, per lui, era cominciato da quando lei era entrata in quella stanza. O forse ancora prima, da quando avevano finalmente deciso di incontrarsi, di farsi regalo lui per lei e viceversa.
La fermò e la fece sdraiare sul letto. Aveva ancora la gonna ma non fu per molto. Lui, ancora in piedi, la guardò. Una donna bellissima, vestita solo con un paio di mutandine , lo stava aspettando su un letto. Lei lo vide sorridere prima che il suo viso sparisse tra le sue gambe. La prima cosa che fece fu sentire il suo odore. Il suo profumo lì era, se possibile, ancora più buono, percepibile e eccitante. Con la lingua cominciò e disegnare dei cerchi sulla sua pancia piatta scendendo, piano piano, più giù. La leccò sugli slip, la cui macchia lasciava capire l’eccitazione della donna al pari del respiro che si stava facendo più breve. Lui aspettò un poco a scostare il tessuto forse per torturarla a sua volta, forse per prolungare il suo desiderio. Quando lo fece non si stupì del perché qualcuno la chiamasse l’origine del mondo. Le dita di lei erano tra i suoi capelli. Li tiravano verso di sé, lo stava incitando ad andare avanti, senza bisogno di altre parole. Lui cominciò a leccarla, a cercare il clitoride, a succhiarlo. La penetrò con due dita. Era morbida e aperta ma fu lo stesso come una scossa elettrica. Arcuò la schiena e mosse il bacino facendo entrare le dita dell’uomo ancora più in fondo. Lui non le mosse ma cominciò a piegare i polpastrelli dentro di lei alla ricerca della sua parte più sensibile. La trovò di certo perché l’orgasmo fu immediato e violento, una serie di spasmi, una liberazione attesa da chissà quanto.
Non che lei non scopasse mai con suo marito e, occasionalmente, con qualche altro uomo, ma questa volta lei sapeva che era qualcosa di diverso. Era come se lei si fosse sdoppiata e la sua parte maschile la stesse facendo godere.
Sapeva che il tempo di quel martedì stava per scadere ma era ormai sicura che si sarebbero ritrovati in quella stanza. Che altre volte ci sarebbero stati oggetti, fantasie, pochi limiti e forse altre persone con loro in quegli incontri. Che con lui aveva davvero trovato quello che mancava. Niente di più e niente di meno.
La mano di lui era completamente bagnata. Le porse le dita, lei cominciò leccarle e lui con lei.
Un modo come un altro per suggellare il loro patto. Per portarsi dentro la voglia.
In attesa della prossima volta.
….
Si ritrovarono la settimana dopo. Stesso albergo e stesse facce anonime nella hall. Stessa stanza e stessa riconoscibile passione.
Anche questa volta lui arrivò per primo. Una galanteria imprescindibile, per lui, unita al desiderio di vederla entrare, di ammirarla nei suoi vestiti finché li aveva addosso, di gustarsi la sua camminata sicura su quei tacchi alti che, i passi che li separavano e che erano destinati velocemente a diminuire. Lei bussò per annunciarsi e aprì la porta, lui rimase seduto sulla poltrona di fronte alla porta mentre stava bevendo qualcosa che rimediato dal minibar. La sua figura snella si stagliava in controluce, illuminata da dietro dalle luci del corridoio. Quando si chiuse la porta alle spalle lui capì che non era una gonna quella che gli sembrava di aver intuito ma un impermeabile che le arrivava sopra il ginocchio e stretto in vita da una cintura. Sotto il bavero si intravedeva la forma del seno. Cominciò ad avvicinarsi, lentamente ma con decisione, profumando inconfondibilmente la stanza. A metà strada di quei pochi metri (che a lui, in quel momento, sembravano infiniti) lei sciolse la cintura e si sbottonò quello che tecnicamente dovrebbe essere un soprabito. Solo che l’abito, sotto, non c’era. Non c’era nulla, in realtà, neanche l’intimo. Sotto l’impermeabile era nuda e già evidentemente eccitata.
Era uscita da casa sentendosi tutti gli occhi addosso. In ascensore il profumo del suo sesso si era diffuso immediatamente. Il signore del piano sotto, non appena entrato nella cabina, si accorse che c’era qualcosa di diverso. Di bello. Lei teneva gli occhi bassi per non incrociare i suoi e fu così che vide che qualcosa succedeva sotto la tuta, che qualcosa reagiva a quell’odore. E pensò che, probabilmente, avrebbe corso più forte nel suo jogging pomeridiano. Sorrise.
In tram si sedette in fondo e di certo qualcuno notò qualcosa mentre accavallava le gambe, una volta a destra e una volta a sinistra. Si sentì come Sharon Stone anni fa e si sentì accusata. Le sembrò che tutti la volessero scopare. E lei voleva solo arrivare nella stanza 212 per scopare lui.
Tutto questo aggiunse eccitazione a eccitazione, il sentirsi esposta agli sconosciuti e la voglia che aveva di quell’uomo di cui non conosceva neanche il nome e che la stava aspettando in una camera d’albergo.
Fu così che lui la vide: bellissima, nuda ed eccitata. E decisa ad avere il sesso perfetto, quello libero da inibizioni e pudori che aspettava da una settimana.
Fu così che lei arrivò di fronte a lui. Lo guardò negli occhi, chinò il busto e aprì la sua cerniera.
Il cazzo dell’uomo era già duro, eccitato dall’eccitazione di lei. Lei, sempre piegata in avanti, lo tirò fuori, lo guardò soddisfatta come una ragazza davanti a un regalo aspettato, e ci si sedette sopra.
Il calore, si sa, rende i solidi più flessibili, morbidi. Fu così che lui affondò in lei senza alcuna difficoltà. Il sesso di lei era caldo, bagnato e scorrevole. Oliato come i pistoni di una fuoriserie. Il cilindro che la stava cominciando a pompare era rigido e ben lubrificato. Arroventato come metallo nero di un motore. Lui chiuse gli occhi per sentirla meglio, per acuire i sensi mentre lei cominciava a muoversi sopra di lui. Puntò le mani sui braccioli della poltrona, i piedi bene a terra, e cominciò a salire e scendere. Salire e scendere. Salire e scendere. Salire e scendere. Sempre un po’ più veloce, sempre un po’ più a fondo fino ad averlo tutto dentro di sé. E ancora: salire e scendere, salire e scendere. Più forte, più veloce, quello che il suo corpo richiedeva. Lui assecondava i colpi, li ammortizzava e li respingeva come il meccanismo di un pianoforte. La agevolava nella salita e la lasciava precipitare. La figa sul suo membro. La mente nella mente.
Lui era ancora vestito e la lotta lasciò chiari segni sul campo. Quando lui venne dentro di lei il seme, denso e abbondante, colò lungo l’asta che lei si affrettò a gustarsi come un gelato un giorno d’estate. Quando lei venne i suoi umori lasciarono un chiaro segno sui suoi pantaloni.
Nel tragitto verso casa qualcuno avrebbe potuto sentire il suo odore sui suoi vestiti, su quel pezzo di stoffa che una giacca nasconde a fatica. Si sarebbe sentito come una donna nuda con addosso solo un impermeabile.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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