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Gay & Bisex

Gabinetti pubblici


di marcosexy222
18.05.2018    |    29.363    |    10 8.0
"“Hai sentito, rottinculo?”, disse il ragazzo in canottiera, dandomi un’altra spinta all'indietro..."
Non amo servirmi dei gabinetti pubblici, che trovo in genere sporchi e maleodoranti, ma quel pomeriggio non potei proprio farne a meno.
Erano circa le due di un assolato pomeriggio di fine luglio, il che significa che non c’erano nemmeno i cani in circolazione, anche perché, chi poteva, se n’era volentieri andato al mare. Io mi trovavo fuori per motivi di lavoro: sono un tecnico riparatore ed ero appena uscito dalla casa di una cliente cagacazzi: tutta la mattinata mi aveva fatto perdere attorno alla sua lavatrice, che aveva solo bisogno di essere buttata nel primo cassonetto vuoto!
Beh, ero appena uscito, e stavo aprendo la portiera della macchina, quando mi venne un improvviso bisogno naturale. Fossi stato un cane, mi sarei acquattato sul margine della strada e l’avrei mollata lì… ma noi umani non abbiamo simili privilegi!
Non potevo certo tornare indietro e chiedere cortesemente alla signora di usare il bagno, né tanto meno sarei riuscito a guidare fino a casa… Mi guardai attorno, ma non vidi nessuna insegna di bar o altro; del resto, ero in una zona residenziale composta da villette e condomini.
Però, notai che più in là c’era un parco pubblico: per quanto li odiassi, vi avrei trovato senz'altro dei gabinetti pubblici aperti. Pazienza!
Riposi i miei attrezzi nella macchina e mi avviai. Intravidi quasi subito la freccetta con su scritto:WC, e mi inoltrai con un senso di gratitudine per un vialetto ombreggiato. Seguendo l’indicazione, arrivai ad una piccola costruzione, rivestita esternamente di legno grezzo, probabilmente per integrarla nell'ambiente, e mi diressi senza esitazione verso la porta con l’omino. Entrai.
L’interno era il classico dei gabinetti per Signori: una fila di box chiusi lungo la parete di fondo; sulla destra una schiera di pisciatoi di porcellana e sulla sinistra una serie di lavabi coi rubinetti mezzo arrugginiti e sgocciolanti.
Dava, comunque, l’idea di non essere eccessivamente sporco, a parte le solite oscenità scarabocchiate sui muri. Non c’era nessuno. Andai in uno dei box e feci in fretta le mie cose. Mi stavo giusto lavando le mani a uno dei lavabi, quando entrò un giovane… bello, devo dire, sui venti anni, lineamenti maschi, capelli castano rossicci, barba trasandata. Indossava un paio di jeans informi e sfilacciati, e una maglietta che in quanto a pulizia aveva conosciuto tempi migliori.
Lo guardai, quando fece il suo ingresso, e lui mi fissò, poi si avvicinò a uno degli orinatoi, armeggiò un po’ con la cerniera e infine, con un forte sospiro di soddisfazione, cominciò rumorosamente a pisciare. Voltai la testa quel tanto da poterlo sbirciare con la coda dell’occhio: mi dava le spalle e sembrava reggerselo con tutte e due le mani, mentre teneva il bacino proteso in avanti, come per dare maggiore forza al getto in espulsione.
Beh, confesso di avere un certo debole per questi giovanotti dall'aspetto delinquenziale… specialmente se hanno il pelo rossiccio! E vabbè, i gusti sono gusti.
Nonostante quel paio di metri di distanza che ci separava, mi giunse il sentore dolciastro del suo piscio e mi sentii un leggero brivido per la schiena. Strappai una salviettina dal grosso rotolo e presi ad asciugarmi le mani.
“Ah, era proprio quello che ci voleva!”
Mi girai a guardarlo e lo vidi venire verso di me, un sorriso sfrontato sulla faccia e l’uccello semiduro fuori dai pantaloni, che ancora se lo stava scrollando.
“Quello che ci vorrebbe adesso è una bella pompa!”, continuò, fissandomi.
Poi si fermò a due passi da me e si scappellò spudoratamente l’uccello ormai duro. Io non risposi e finii di asciugarmi le mani che mi tremavano. Mi sentivo la gola asciutta. Il tipo mi fissava con un ghigno che non mi piaceva per niente, e continuava a menarselo lentamente come se niente fosse.
Mi chiesi se era un marchettaro o un droghino in cerca di soldi. In ogni caso, la situazione non mi piaceva: meglio filarsela. Gettai nel cestino la pallottola di carta umida e mi diressi all'uscita. Ma sulla porta ce n’era un altro, pure lui sui venti anni, in jeans sdruciti e canottiera; teneva le braccia incrociate sul petto, la spalla destra appoggiata allo stipite, la gamba sinistra ripiegata e incrociata con l’altra: il tipico atteggiamento da bullo.
Mi fermai davanti a lui, aspettando che si scostasse per farmi passare. Il tipo non si mosse. Mi fissò con un sorriso serafico.
“Hai sentito cosa ha detto il mio amico?”, fece, mentre l’afrore delle sue ascelle sudate mi feriva le narici.
“Permesso, per favore.”, feci, cercando di assumere un’aria tranquilla.
Il ragazzo, anche lui un bonaccione, non si mosse.
“Ha detto che dopo pisciato, gli ci vorrebbe una bella pompa. Non sei d’accordo?”
Ahi, pensai, qui si mette male!
“Sentite, ragazzi, - dissi – queste faccende non mi riguardano.”
“Ehi, ma lo senti ‘sto frocio? – esclamò lui, assumendo un’aria truce – Il mio amico ha voglia di una pompa e lui dice queste faccende non mi riguardano! – e mi fece il verso, scimmiottandomi con voce in falsetto – Beh, la vuoi sapere una cosa, rottinculo? – e si mosse, dandomi sul petto un colpetto con la punta delle dita e spingendomi indietro – Io dico invece che la faccenda ti riguarda, perché adesso è venuta voglia pure a me di una pompa, - e fece un passo avanti, dandomi un’altra spinta – e non vedo succhiacazzi qua intorno. Tu ne vedi, Tony?”
“Io vedo solo quella checca lì.”, rispose il primo, smanettandosi l’uccello ormai al massimo turgore.
La situazione cominciava a preoccuparmi, anche perché a quell'ora pomeridiana era difficile che arrivasse qualcuno a tirarmi fuori dai pasticci.
“Hai sentito, rottinculo?”, disse il ragazzo in canottiera, dandomi un’altra spinta all'indietro.
Tony ridacchiò tirandosi tutto indietro il prepuzio e venendo verso di me.
“Sai, Val, - disse all'amico – alle checche piace un casino succhiare il cazzo. Appena ne vedono uno, questi sozzoni non capiscono più niente. Hai visto che faccia ha fatto, appena gli ho sventolato il mio sotto il naso?”
“Certo che l’ho visto…”, ghignò l’altro.
“Secondo me, non vede l’ora che glielo sbatto in bocca, che ne dici?”
“Che è meglio accontentarlo!”, rispose Val e mi piazzò le mani sulle spalle, forzandomi in ginocchio.
Con la coda dell’occhio, mi sembrò di vedere un movimento verso l’ingresso e girai la testa speranzoso, ma rimasi di sasso: sulla porta c’era un altro giovinastro a torso nudo e pantaloncini corti. Un ghigno perverso gli attraversava il volto, pure attraente.
“Un bella pompa è proprio quello che ci vuole… - concordò ridacchiando – ‘Sto cazzo di caldo ti fa bollire la sbroda nelle palle!”, e si infilò una mano nella patta, per tirarselo fuori.
“Vieni, Robby, abbiamo pescato un culattone a caccia di cazzi. Adesso ci divertiamo!”
Erano in tre, allora, e probabilmente erano appostati nelle vicinanze. Ormai dovevo fare buon viso a cattivo gioco e sperare almeno di uscirne senza troppe ossa rotte. Decisi all'istante un piano d’azione: avrei fatto quel minimo di resistenza necessaria a fargli credere d’avermi sopraffatto, e così avrei lusingato il loro amor proprio di teppisti, ma senza offrirgli il pretesto per essere troppo violenti nei miei confronti.
Cedetti, allora, alla pressione di Val sulle mie spalle e caddi in ginocchio davanti a Tony, che si avvicinò con il nerchio proteso in avanti e scappellato, con la pelle del prepuzio retratta fin quasi a metà dell’asta. Il che mi fece un po’ senso, per quanto fosse un bellissimo cazzo, lungo e non troppo massiccio, affusolato in punta e via via più grosso verso la base. Un cazzo adatto a inculare, mi venne stupidamente da pensare.
“Apri la bocca, frocione…”, disse Val, tenendomi sempre premuto in ginocchio.
Tony mi avvicinò il cazzo alle labbra e mi sentii quasi prendere dalla nausea per l’afrore acido che emanava… Gesù, ma da quanti giorni non se lo lava?, pensai. Girai la testa disgustato; ma Val me la raddrizzò con forza.
“Apri la bocca, stronzo!”, mi disse, incattivito.
“Va bene, va bene, ragazzi, - piagnucolai allora – ve lo succhio, ma almeno lavatelo… per piacere…”
L’ultimo arrivato scoppiò a ridere sguaiatamente.
“Sentitela la frocetta schizzinosa! – fece – Non gli piace l’odore del cazzo! E da quand’ in qua, eh, frocetta?”
E si avvicinò, strofinandomi sulle labbra la testa viscida del suo, non meno sporco e puzzolente.
“Ti piacciono le checchine profumate? – ghignò Tony, atteggiando delle smorfiette – Ma noi siamo maschi, stronzo! Senti, senti l’odore del cazzo dei maschi veri!”
“Apri la bocca, frocio di merda! – scattò Robby con voce dura – Tira fuori quella cazzo di lingua e datti da fare!”
Cercando di vincere la nausea, dischiusi le labbra e sfiorai con la punta della lingua una delle due cappelle maleodoranti. Credetti di morire.
“Lecca!”
Mi intimò Robby, premendomi sulle labbra la punta bagnata del suo cazzo. Allora mi feci forza e cominciai a lapparlo. Il sapore era orripilante e per quanto cercassi di sputare fuori la saliva, di non ingoiarla, in un attimo mi impestò tutta la bocca. Poi fu il glande di Tony a prendere il suo posto, spingendomisi fin quasi in gola. La repulsione fu tale, che ebbi un conato di vomito e riuscii a sputarlo fuori, mentre la testa era in preda alle vertigini e quasi mi sentivo venire meno. Fu la voce di Val a riscuotermi:
“Lecca, bastardo, lecca!”, e mi spinse la testa in avanti, facendomi riscivolare in bocca la cappella di Tony, che sospirò beato.
Per fortuna, l’istinto di sopravvivenza è più forte di tutto… e per ulteriore fortuna, il
nostro organismo è capace di adeguarsi anche alle situazioni più avverse. Dopo qualche minuto, il naso mi si era abituato al tanfo di pesce marcio e la lingua all'orribile sapore di quel lerciume, per cui fui in grado di continuare il lavoro con una certa scioltezza.
“Visto che ti piace, frocetta? – ghignò Robby – Dai, prendi il mio, adesso.”, e mi girò la testa, togliendomi dalla bocca il cazzo di Tony e ficcandoci di forza il suo.
Continuai a spompinare un po’ l’uno un po’ l’altro, finché mi accorsi ad un certo punto che Val non mi teneva più le spalle. Girai la coda dell’occhio alla mia sinistra e lo scorsi accanto a Tony, con il cazzo spianato pure lui in attesa del suo turno.
Allora, visto che dovevo farlo, lasciai spontaneamente l’uccello di Robby e mi girai verso quello di Val. Onestamente, devo dire che era il più bello dei tre, lungo, poderoso e
coronato da un glande d’un rosa tenue, che in altra occasione mi avrebbe fatto sbavare.
Cominciai a lavorarlo con una certa alacrità: un cazzo è sempre un cazzo, anche se evitavo con cura di ingoiare l’acquolina amara che mi si formava in bocca mentre succhiavo e leccavo. Cercai di dare il meglio di me, sperando che godessero come maiali e alla fine mi lasciassero andare via senza troppi danni.
“Ci sa fare la frocetta!”, esclamò ad un certo punto Robby, mentre gli sbocconcellavo il glande.
“Alle checche piace succhiare il cazzo!”, osservò Val.
“Infatti! – assentì Tony, spingendomi in bocca il suo – Bisogna solo fargli capire chi è che comanda!”
I tre teppisti se la stavano godendo, come testimoniavano i loro sospiri, i loro fremiti, i loro cazzi sempre più tesi e vibranti. Erano ansiosi ormai di godere, non facevano che strapparmi la bocca dal cazzo di uno, per ficcarmici il proprio.
“Non… c’è niente di meglio… di un frocio… per… oh… farti fare una pompa!”, ansimò Val, mentre gli mordicchiavo delicatamente la corona del glande.
“I froci ci sanno fare col cazzo di un uomo!”, disse Robby, scansando l’uccello dell’amico e rimpiazzandolo col suo.
“Solo che dovrebbero avere qualche bocca in più, porca di quella vacca impestata!”, bestemmiò Tony, impaziente che arrivasse il suo turno.
Ma Robby si stava godendo il pompino e non sembrava avere intenzione di cedergli il posto.
“Cazzo, Robby!”, scattò alla fine esasperato e mi afferrò la testa, strappandola dal nerchio al calor bianco dell’amico e portandola al suo, che trangugiai subito, riprendendo il mio lavoro.
“Cazzo, Tony! Stavo per sborrare!”, protestò quello, prendendo a menarselo, tutto viscido di saliva e di presborra.
“Ma un altro buco questo frocio di merda ce l’ha! – esclamò Val con gli occhi allucinati dall’eccitazione – Dai, cazzo, inculiamocelo!”
La sborra mi piace e per me è un piacere straordinario riceverla in bocca, ma in quel caso c’era qualcosa che mi ripugnava, qualcosa che me lo faceva sembrare sordido, vomitevole addirittura. Così, colsi la palla al balzo: riuscii a sottrarmi alla stretta di Tony, sputai fuori il suo cazzo in dirittura d’arrivo e fingendomi terrorizzato:
“No, ragazzi… vi prego… quello no… per favore…”, balbettai con aria stravolta.
Robby scoppiò a ridere sguaiatamente.
“Sentitela la frocetta, ha paura di farsi rompere il culo!”
“Rompere? – ghignò Val – ma se avrà preso più cazzi lui in quel buco merdoso, che le puttane della Circonvallazione tutte assieme!”
“Dai, cazzo, che ho proprio voglia di fottergli il culo… - fece Robby ancora più allupato – Glielo voglio sfondare con ‘sto cazzone! – e me lo sbatté più volte sulla faccia – Vedrai cosa ti combino adesso, frocetta!”
“Dai, spogliamolo nudo!”, disse Tony.
A quel punto, Robby mi prese da dietro per le braccia, mentre Val mi immobilizzava le gambe e Tony mi lacerava con le mani la maglietta, strappandomela letteralmente a pezzettini di dosso! Poi, incurante dei miei vani tentativi di liberarmi, mi sbottonò i pantaloni e me li strattonò con forza fino ai ginocchi, da dove Val lo aiutò a sfilarmeli del tutto, gettandoli da una parte.
Adesso sì che mi sentii inerme e indifeso, in balia di quei giovinastri scatenati, che mi costrinsero a mettermi in ginocchio a quattro zampe.
Robby mi si piazzò subito a cavalcioni sul collo per tenermi giù, mentre gli altri due, mi venivano dietro e prendevano a farmi a brandelli pure le mutande, aprendomi poi le chiappe per mettere il mostra il buco del culo.
“Cazzo, che figa sfondata!”, sentii commentare Tony.
“Secondo me, c’è entrato l’intero reggimento degli alpini lì dentro!”, sghignazzò Val.
“E adesso ci entra pure il mio!”, esclamò l’altro e nello stesso istante una viscida punta smussata mi si poggiò sul buco contratto e spinse per entrare.
Urlai e sguaiolai, un po’ per il dolore alla repentina forzatura, un po’ per fare scena, visto che in realtà il mio buco superallenato si aprì quasi subito.
“Altroché se gli piace ‘sto cazzone!- disse Tony con voce strozzata, continuando ad
avanzare inesorabilmente nel mio sedere – Sentilo come gode…”
Stavo infatti sguaiolando come un cucciolo affamato.
“E smettila, stronzo! – si incazzò allora Tony, dandomi un ceffone su una chiappa – Che da come sono entrato, ce l’hai più rotto della figa di una vacca!”
E per entrare, era entrato e senza impedimenti, nonostante le dimensioni dell’oggetto. A quel punto, prese a fottermi selvaggiamente, dandomi un po’ fastidio con i suoi affondi veloci, per cui ricominciai a gemere forte.
“Tappagli la bocca, Val… - ansimò Tony – prima che lo sentano fino in strada!”
Allora, mentre Robby si sollevava un poco, restandomi però sempre a cavalcioni sul collo, Val mi si inginocchiò davanti, mi prese per il mento, mi alzò la testa e mi rificcò in bocca il suo cazzo pastoso.
“Facciamo a chi sborra prima, dai!”, disse all'altro, prendendo a zangolarmi la gola.
Ma Tony era ormai allo stremo e con uno sguaiolio cominciò a tremare violentemente, mentre il suo pistone mi scaricava litri di sborra nell'intestino.
Come rispondendo ad un segnale, Robby scattò in piedi.
“Fallo con me!”, disse eccitato a Val e afferrò Tony per le spalle, tirandolo indietro e sfilandomelo dal culo.
Immediatamente, si inginocchiò al suo posto e mi piantò il suo nerchione nel buco ancora spalancato. I due ci si misero d’impegno, sotto gli occhi divertiti di Tony. Poi, tutto d’un tratto, Val cominciò a tremare.
“Oh… ci sono… - mormorò – stavolta vinco io…”
“Scordatelo… - rispose Robby con voce smorzata – Ecco… ecco…”
“Dai, cazzo! Riempitelo di sborra davanti e dietro!”, li incitò Tony.
Ma non ce ne fu bisogno: dopo qualche secondo di forsennato stantuffamento, entrambi crollarono e sborrarono pressoché nel medesimo momento. Sentii il cazzo di Robby pulsarmi nel profondo del culo, dandomi una fitta languorosa di piacere ad ogni suo scatto; la cappella spugnosa di Val, invece, mi si postò fra le labbra e mi scaricò sulla lingua un buon litrozzo di spurgo caldo.
Era dolciastro e lo gustai anche volentieri: se non altro mi tolse dalla bocca il sapore orripilante dei loro cazzi sporchi. Una volta finito, si rialzarono in piedi, mentre io rimanevo immobile a quattro zampe. D’un tratto, mi sentii slargare le chiappe.
“Guardate come gliel'abbiamo ridotto ‘sto buco schifoso!”, sentii Robby ghignare.
Stettero a guardare il mio orifizio dolorante, da cui fuoriusciva un filo di seme, senza che lo sfintere indolenzito riuscisse a fermarlo.
“Sta cagando sborra! – ghignò malignamente Tony – Aspetta, tienilo così.”
E subito dopo mi sentii lavare l’orifizio lordato da un getto caldo… Poi qualcuno mi puntò il piede sul fianco e mi diede una spinta, rovesciandomi a terra. Aprii gli occhi: i tre mi stavano attorno con un ghigno diabolico sulla faccia e i cazzi semiduri puntati su di me, mentre Tony continuava a pisciarmi sul pube e sulle palle.
Un istante dopo, quasi al rallentatore, vidi un secondo getto giallastro scaturire dal cazzo di Val e dirigersi verso la mia faccia. Feci appena in tempo a chiudere gli occhi, prima che mi raggiungesse, insistendo in particolare sulle labbra, attraverso le quali qualche goccia riuscì a colare, per quanto serrate le tenessi.
E poi i getti furono tre e mi lavarono copiosamente dalla testa ai piedi.
“Ah! – sentii la voce di Tony – Dopo una sborrata, non c’è niente di meglio di una bella pisciata per pulirsi il cazzo!”
Scoppiarono a ridere sguaiatamente tutti e tre, e mentre io cercavo di riaprire gli occhi, loro si rimisero il cazzo nei pantaloni e uscirono dal gabinetto, lasciandomi lì, nudo e disteso in una pozza di piscio schifoso.
Mi rialzai a fatica. Mi girava la testa e le gambe mi tremavano. Il buco del culo non me lo sentivo quasi più.
Mi guardai allo specchio pieno di sborra e pensai "che puttana vogliosa di cazzo che sono".
Mi sciacquai la bocca, per togliermi il sapore acido del piscio, poi mi guardai attorno, sperando che non entrasse nessuno proprio in quel momento.
Le mutande e la maglietta non esistevano più: brandelli insozzati e fradici di chissà cosa sparsi qua e là, ma i pantaloni per fortuna erano intatti e asciutti. Controllai le tasche, non avevano preso niente.
“Se torni domani, siamo ancora qui!”, mi urlò una voce da lontano, seguita da una lunga, corale sghignazzata.
Credo proprio che ritornerò.
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