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Il Forte Abbandonato


di caesarfn
20.02.2012    |    15.297    |    0 8.0
"Ingenuamente mi avvicinai e notai accanto all’uomo in piena luce una donna magra alta e con i caratteristici e lineamenti tipici gitani, una capigliatura..."
Questa volta cari lettori vi voglio raccontare una storia vera, ed in particolare su quello che mi è capitato molti anni fa e che ha lasciato dentro di me un segno indelebile al punto tale da farmi cambiare pesantemente il modo di affrontare le problematiche della mia vita sia con animo passionale che con un comportamento aperto e dominato dalla curiosità materialistica di approfittare di tutte le cose piacevoli, o comunque di estrarre l’aspetto piacevole anche da quelle che in effetti non lo sono. I fatti che mi accingo a raccontare sono stati racchiusi e sepolti nella mia mente a tutti e solo con una lunga e travagliata autoterapia sono riuscito ad accettare la realtà nuda e cruda con cui ho convissuto per tanti anni, e di cui ancora sono attratto in quanto forse ho scoperto quanto avvolte un fatto spiacevole a tempi brevi diventa piacevole nei ricordi al punto di augurarsi che possa avvenire di nuovo. Ero all’epoca diciamo molto giovane, il mio stesso profilo registrato in questo caro sito rivela ormai quanti anni sono passati, ma quanto ancora è vivido il ricordo di questa esperienza. Nel quartiere dove io vivevo la mia pubertà giravano molte dicerie o meglio le solite leggende metropolitane e fra queste una mi aveva particolarmente interessato, ed era quella in cui in un ex forte militare di Roma sud ormai in disuso vi sarebbero stati ancora nascosti dei cimeli della seconda guerra mondiale, questi cimeli erano molto ambiti dai collezionisti che erano disposti a pagare cifre importanti per averli. Io ero completamente ammaliato da questi racconti e dai ritrovamenti che dicevano erano stati fatti, ed un giorno di primavera inoltrata montai sulla bicicletta e mi avviai verso il posto ove i racconti descrivevano essere ubicato il forte dimenticato. Con l’approccio e la passione di un ricercatore archeologico percorsi in bicicletta una delle strade consolari romane e dopo circa otto chilometri raggiunsi il posto tanto bramato. Individuarlo bastò una semplice ricerca, e davanti hai miei occhi il forte era lì in tutta la sua maestosità, si stava realizzando almeno parzialmente la realtà insita in quei racconti che da fantasiosi in un attimo si stavano rivelando potenzialmente veri. Preso dalla frenesia di accertare se anche la seconda parte delle storie risultasse anche essa vera, mi accinsi a percorrere l’area perimetrale del forte con l’intento di trovare un pertuso per entrare. Non erano nemmeno passati una ventina di minuti che vidi fra dei cespugli una finestra a bocca di lupo, mi avvicinai cautamente e mi affacciai per scorgere se era possibile scendere all’interno, la poca luce che entrava fu sufficiente per capire che vi era un piccolo salto di circa un metro per poter andare all’interno del forte, non pensandoci due volte infilai le gambe nella bocca di lupo e pian piano mi calai all’interno, sotto i miei piedi percepivo qualcosa di soffice e il mio rinencefalo percepiva un odore leggero di piscio fermentato, comunque mi soffermai in questa posizione di esplorazione per almeno cinque minuti in maniera di abituarmi alla visione scotopica dell’area interna scarsamente illuminata. Constatai che mi trovavo all’interno di un corridoio molto largo che si dilungava verso destra con una pendenza in salita, decisi quindi di percorrere questa via. Dopo aver percorso una cinquantina di metri vidi di fronte a me un riquadro luminoso che delineava una porta grezza formata da palanche incrociate e mentre mi stavo avvicinando questa si spalancò all’improvviso ed intravidi la siluette di un omone grande e grosso in controluca, appena mi vide bofonchiò delle parole in un accento gutturale fortemente straniero e vedendomi che stavo per fuggire, in un italiano stentato mi disse di non aver paura e di avvicinarmi all’uscita dove era lui in quanto mi trovavo in una zona che era adibita a fungaia e che camminando sopra quell’impasto di fieno umido e caldo, già avevo fatto un gran danno alle sue colture. Ingenuamente mi avvicinai e notai accanto all’uomo in piena luce una donna magra alta e con i caratteristici e lineamenti tipici gitani, una capigliatura lunga un corpetto nero con qualche strass vetusto, una gonna larga e ai piedi indossava un paio di mocassini da donna con un tacco largo di cinque centimetri di altezza circa, mentre ero intento ad osservare l’unica persona che non era in contrluce in un attimo l’omone mi fu addosso, nel tentativo di bloccarmi scivolò ma riusci a prendermi un gamba cercandomi di trascinarmi verso lui, ma il terreno era scivoloso, vedendolo in difficoltà la donna che lo accompagnava entrò per cercare di aiutare il suo compagno a bloccarmi e vedendo che erano sempre in maggiore difficoltà con uno scatto felino si gettò sulle mie spalle si tolse una scarpa e me la diede con tutta la forza in testa, certo nella sua vita randaggia aveva imparato come colpire, infatti sentii almeno tre taccate feroci sulla mia testa prima di perdere i sensi. Mi svegliai di soprassalto con una sensazione di dolore lancinante proveniente dalla zona anale, non riuscii nemmeno ad urlare al dolore estremo perché oltre ad essere legato alle mani la donna mi teneva una scarpa in faccia con una pressione tale che riuscivo a malapena a respirare, capii subito quello che mi stavano facendo le mie gambe erano divaricate quasi a 180° e l’uomo o meglio il bestione stava dietro di me ed aveva affondato il suo enorme pene nel mio culo giovane, mi stava scopando con forza al punto che sentivo i suoi testicoli da toro sbattere ritmicamente sulle mie chiappe, la donna mi premeva la scarpa in faccia, ecco perché l’ho descritta così bene all’inizio, per impedirmi di strillare a quella spaventosa penetrazione e contestualmente incitava l’uomo a sfondarmi il culo ed a venire. Ero alla completa mercé dell’uomo sentivo la sua cappella esplorare il mio addome gonfio per la presenza del pene enorme che scalciava nel mio povero culo, fino a che avvertii una pausa ed immediatamente un fiume bollente di sperma frammisto a sangue si riversò nel mio intestino, e nel venire fui pervaso da un piacere sconosciuto specialmente quando nel venire l’uomo con un grido di soddisfazione ebbe tre sussulti di piacere che provocarono tre affondi del suo pene che sconquassarono definitivamente il mio ano non più vergine. Intorno a me vi erano un miscuglio di odori e sapori rappresentati dallo sperma che ormai stava anche uscendo dal culo rotto, per di più malgrado ormai che il suo uomo mi aveva sfondato e ritirato il suo pene gocciolante sborra e sangue fuori dal mio ano ormai enormemente dilatato e slabrato, nonostante che avevo smesso di agitarmi anzi avevo assecondato i movimenti della interminabile inculata, la donna insisteva a soffocarmi con la sua scarpa sulla mia faccia intrisa da un odore penetrante di piedi che l’avevano calzata sicuramente a lungo, anche quello mi risultava piacevole al punto di voler raccogliere con la lingua quel sapore vissuto e ormai travolto dal piacere, sentivo scivolare lo sperma lungo le cosce e quello che era più strano e che anche il mio pene era diventato turgido e comincio a liberare una secrezione del tipo bava traslucida. Non avevo l’orologio ma vedendo la luce dalla porta socchiusa pensai che eravamo nel primo pomeriggio, e che ero stato scopato a sangue almeno per due ore, l’uomo aveva avuto una resistenza incredibile e nonostante la copiosa sborrata aveva tolto il pene della stessa lunghezza di quando lo aveva inserito, sperai che questa avventura fosse finita qui e dopo aver soddisfatto le voglie di quell’uomo mi avessero lasciato libero ma evidentemente mi sbagliavo. Infatti sia l’uomo che la sua compagna controllarono i legacci che mi immobilizzavano, gli diedero una stretta poi con mia ormai rassegnazione vidi l’uomo che si toglieva la scarpa, o Dio pensai fra me e me, si tolse un calzino veramente molto sudato, disse alla sua donna di togliere per un momento la scarpa dalla mia faccia e me lo infilò in gola e e mentre mi riempiva la gola con quella calza umida ed odorosa mi bisbiglio all’orecchio che più tardi mi avrebbe fottuto la gola, poi ordinò alla donna di rimettere la scarpa in faccia e di legarla ben stretta e così immobilizzato mi sollevarono e mi misero su una carriola che si trovava appena fuori dalla porta. Fra i due ci fu un parlare stretto in cui capii solo che la compagna voleva portarmi nell’accampamento li vicino in cui ci sarebbero stati molti uomini e ragazzi a cui sarebbe piaciuto scoparmi, e che sarebbero stati felici di finire di rompere quel culetto e che sarebbe stato apprezzatò anche da orco così almeno mi pare di ricordare il nome, mentre è vivido in me ancora la mostruosita che avrei incontrato da li a poco. I due si voltarono verso me e vedendo che avevo capito e mi stavo agitando per liberarmi, lei si avvicino mi fece un sorriso quasi rassicurante ma allo stesso momento inquietante e mentre mi guardava ancora una volta si tolse la scarpa restante, rimanendo scalza (in quanto l’altra scarpa era legata sul mio viso), e stringendola ben ferma con il tacco l’abbatté violentemente sulla mia testa ed anche questa volta ci vollero tre o quattro taccate prima di perdere conoscenza per la seconda volta.

La Storia Segue con il titolo: L’ACCAMPAMENTO in calore
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