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Gay & Bisex

Il test di ammissione all’ Università


di LuogoCaldo
25.04.2024    |    10.550    |    11 9.1
"Mi limitai a dire canzonatorio..."
L'indomani avrei avuto il test di ammissione all'università. Non avevo studiato un cazzo e mia madre continuava a darmi il tormento.
All’inizio era tutta zucchero: “Antò, provaci lo stesso, è una buona occasione, questo campus non è dispersivo come gli altri, saresti seguito bene”.
Ma, poiché m’aveva visto titubante, subito aveva abbandonato il fare accondiscendente e tramutato l’operazione di convincimento in quello che in realtà era sempre stata: un’imposizione bell’e buona.
“Fai quello che vuoi”. M’aveva bisbigliato con le labbra appena appena socchiuse e gli occhi da vipera. “Ma se non passi la prova i soldi te li dovrai guadagnare da solo: niente benzina, quindi niente macchina e, soprattutto, niente vacanze”.
M’ero sentito messo alle strette.
“Ma l’hai capito o no che non mi devi stressare?”. Avevo sbottato e, sbattendo la porta, me n’ero andato di casa.
Dopo aver vagato per un po' mi ritrovai nel quartiere Parioli, un sobborgo elegante, con i suoi condomini tutti uguali e le strade ordinate e mi ricordai che, proprio lì, abitava Raffaella.
La troia ci aveva provato per tutto il quinto liceo.
“Sai Anto”. Mi diceva quasi quotidianamente con la sua voce da ninfomane. “Il-pomeriggio-sto-sempre-sola-a-casa-almassimoc’èmiofratello-se-non-hai-niente-da-fare-puoi-passare”.
La chiamai, le dissi che mi serviva un posto per studiare perché a casa mia m’avevano troppo fracassato la minchia e mi feci invitare a salire da lei.
In condizioni normali non me la sarei bombata manco in tempi di carestia, gonfia e brufolosa com’era ma, dopo che mi aprì la porta con una minigonna inguinale che manco le zoccole della via Salaria, non mi feci pregare più di tanto e, entrati in camera sua, m’accesi un cannone e la misi in ginocchio a ciucciarmi la cappella, piano piano come una bimba avrebbe fatto col lecca lecca.
Ero talmente nervoso che in breve mi venne una smania che non fui capace di trattenere, così prima glie sbattei in gola per ventidue centimetri fino ai coglioni e, dopo che ebbi finito di fumare, glie lo piantai pure in fica, con tutta l’incazzatura che avevo nei confronti di mia madre.
“Madonna quant’è grosso”. Cominciò a ragliare lei, mentre io semplicemente le ordinavo di stare zitta. “Non devi manco fiatare, porca”.
In verità Raffaella non si dimostrò buona neppure ad obbedire sicché, più contrariato che appagato, la feci squirtare un paio volte e alla fine, siccome m’ero rotto il cazzo, la presi a pecora, ingroppandola a cosce flesse dall’alto del mio metro e novanta di altezza.
Lei m’implorò di fermarmi. “È troppo forte, mi sta facendo malissimo … Aaaah, mi vuoi distrutta … Aaaaahhh”.
Ma io, ovviamente, continuai a trombarla per qualche altro minuto, perché fosse chiaro che non poteva decidere lei quando si e quando no, finchè, stufo di sentirla latrare, le afferrai la testa per i capelli, me la sistemai davanti al pesce e le sborrai in faccia mezzo litro di sbobba mentre con la mano libera le spremevo le pere.

“Madonna come stavi Anto”. Mi disse quando si fu ripresa. “Ma che t’è successo? Che storia è questa dell’esame che devi dare domani?”.
La guardai con gli occhi fuori dalle orbite. Aveva tre tette? Pensai che dovessi decisamente smettere di fumare così tanto.
“Il test di ammissione all’università”. Risposi. “Non me ne frega un cazzo ma mia madre è fissata. Il futuro, il lavoro e stronzate varie. Se non lo passo mi leva tutto. Macchina, benzina, vacanze. Tutto”.
“Troia!”. Sbottò comprensiva.
“Non sai quanto”. Commentai indolente.
“Pure mio fratello ci va comunque”.
Le lanciai uno sguardo interrogativo. “A fare l’esame intendo. È domani mattina”.
“Eh, domani mattina”. Feci eco.
“Ma lui sta studiando da un anno, eh. Io glie lo dico sempre: Luca, tu alla maturità non ci arrivi se continui così. Giorno e notte, notte e giorno: non esce mai di casa, manco il sabato sera! Ma vatti a fare almeno una scopata una volta ogni tanto, no?”.
“Secchia da paura!”. Esclamai. “Ma …”
“Aspetta”. Mi interruppe lei. “ Ho un’idea! E se copi da lui?”.
La fissai con uno sguardo ebete. “Che vuoi dire?”. Chiesi senza aver capito.
“Si, pensaci”. Proseguì lei entusiasta. “Ti metti vicino a lui e copi”.
“Seeeee … Non vorrà mai e, poi, ma ...”
“Lucaaaaaaaaaa! Vieni un attimo perfavore”.
“Ma dai lascialo stare …”
“Lucaaaaaa …..”. Continuò a chiamare come una forsennata fino a che un ragazzo tarchiato e paffuto non irruppe nella stanza visibilmente infastidito.
“Questo è uno sfigato serio”. Pensai affascinato dalla trascuratezza rara del fratello di Raffaella. “Sicuramente non ha mai visto una fica in vita sua, né gratis, né a pagamento”.
La mia amica ci teneva proprio a mettersi a credito nei miei confronti.
Forse immaginava che se mi avesse aiutato le avrei dato il pesce prima che passasse un altro anno.
Illustrò a Luca il suo piano geniale: durante il test ci saremmo dovuti sedere vicini e così lui avrebbe potuto suggerirmi la risposta esatta tra quelle possibili per ciascuna domanda.
“Eddai”. Inistette. “Che cazzo ti costa? Tanto tu entri sicuro. Quella scrofa della madre lo mette a stecchetto se non passa. Non fare lo stronzo”.
Ma lui fu irremovibile. “Non ci penso neppure, che ci guadagno io? Mi metto a rischio un posto inutilmente. No, no, no e poi no! E lasciatemi studiare ora ché non ho tempo da perdere co ste cazzate”.
“Ma vaffanculo ricchione!” Esplose Raffaella e andò talmente tanto in escandescenza che non si fermò neppure quando quello, quasi in preda alle lacrime, se ne fu uscito dalla stanza. “Ma che frocio di merda! Tanto lo so che ti ammazzi di seghe sui video dei rottinculo come te”.
“Senti, ti devi dare una regolata”. Mi sentii di dirle. “Mi stai facendo venire mal di testa e invece sarebbe meglio se in questo momento riuscissi a concentrarmi”.
“ Lo so, lo so Anto, scusami. Ma tu non ti rendi conto di che famiglia di merda io abbia. Chiedi qualcosa? Una cosa qualsiasi eh! Loro no, no , no e sempre no … ! Vabbè, ascolta, facciamo così: tu provi a studiare un pò e io mi vado a prendere una boccata d’aria, compero un sugo al supermercato e preparo una pasta per cena. Che dici? Magari ci parliamo un’altra volta con quel culorotto di mio fratello e lo facciamo capace, eh?”.
Volevo solo togliermela dal cazzo. “Ok, va bene”. Risposi e quando sentii l’uscio di casa che si chiudeva dietro di lei mi sentii incredibilmente sollevato.

Di studiare non me ne fregava proprio un cazzo in quel momento, la testa mi batteva fortissimo per l’erba buonissima che m’ero appena tirato e avevo solo voglia di pisciare e rollarmi un’ altra siga.
Mi trascinai verso il bagno, estrassi il cazzo ancora pesante e sporco di sborra e cominciai a urinare un getto potentissimo mentre pensavo che mi sarebbe piaciuto svuotarmi una seconda volta nella bocca di Raffaella.
Mi resi conto che la minchia si stava nuovamente intostando quando, improvvisamente, qualcuno spalancò la porta del cesso.
“Ma che cazzo ...!” Provai a obiettare mentre Luca, in evidente imbarazzo, fingeva di scusarsi per l’irruzione ma, invece di abbandonare l’uscio, restava immobile con gli occhi puntati sopra al mio uccello.
So che avrei dovuto sentirmi a disagio all’idea che una checca qualsiasi si fosse accomodata a guardarmi pisciare con la bava alla bocca, ma ero talmente rintronato dalla marja e pure un pò abituato alla fila delle troie e dei froci interessati a mungermi le palle che non riflettei più di tanto su quello che facevo.
“Che c’è?”. Dissi come se qualcun altro avesse preso possesso di me. “Vuoi farti pisciare in faccia per caso?”
Pensavo che Luca avrebbe abbandonato l’uscio, e invece rimase lì, senza pronunciare nemmeno una parola, così, per capire fino a che punto potevo spingermi, mi afferrai l’asta tra le mani, diedi un paio di sgrullate al gioiello e me lo feci irrigidire per bene.
“C’è ancora il sapore della fica di tua sorella”. Lo provocai puntandogli la minchia contro. “Vuoi provare?”.
Al porco non parve vero.
Mi venne vicino, s’inginocchiò e fece per ingoiarsi la ciolla prima che, con sua somma delusione, mi tirassi su i pantaloncini.
Ero sorpreso. Non mi aspettavo che quel ragazzino timido e ritirato si sarebbe rivelato così spregiudicato e non avevo alcuna intenzione di farmi lucidare la banana da un rottame a pedali di quelle proporzioni
“Ah – ha”. Mi limitai a dire canzonatorio. “Te lo faccio assaggiare solo se tu dai qualcosa a me”.
Lui mi fissò interrogativo, completamente inebetito dal profumo del piscio.
“Il test di medicina”. Asserii perentorio. “Domani me lo passi e poi ti faccio succhiare il pisellone”.
Mi guardò come se lo avessi colpito dritto al volto e, fremendo per la rabbia, mi rispose sussurrando appena. “Va bene, ma che garanzie ho che manterrai la parola ...? Non mi fido …”.
“E invece devi fidarti”. Risposi asciutto.
Ma Luca non ne voleva sapere di mollare la presa e così, pur di non farmi toccare e, come si suol dire, per salvare capra e cavoli, senza cioè rischiare di perdere l’aiuto promesso, decisi di cedere quel tanto che bastava per tenere alte le aspettative.
“E va bene …”. Dissi. “Un assaggio”.
Uno scintillio da bagascia brillò dentro agli occhi del verme.
“Spogliati e entra nella doccia”. Proseguii mentre quello obbediva alla velocità della luce.
Vederlo nudo mi suscitò un senso di repulsione. Era pingue e depilato e aveva un cazzo gigantesco già completamente eretto.
“Mettiti in ginocchio, bravo, così”.
Mi calai nuovamente i calzoni e avanzai verso il piatto doccia.
La scrofa si masturbava ossessivamente: era sul punto di espoldere.
Appoggiai le scarpe da ginnastica sopra al bordo della cabina e, concentrandomi per non ridere, cominciai a pisciargli addosso.
L’urina gli scorreva calda lungo il corpo mentre il maiale implorava senza ritegno. “Continua padrone ti prego, non ti fermare, continua”.
Si spalmava tutto il piscio sulla pelle, come se fosse una crema preziosa.
Ansimava, muoveva il bacino avanti e indietro come a mimare il dondolio di un amplesso e si passava la lingua sulle labbra con l'intenzione di eccitarmi e, quando si accorse che il getto della minzione si stava indebolendo, in preda ad un delirio che definirei febbrile, abbassò la nuca e si prese gli ultimi zampilli direttamente nella bocca.
Terminai più incuriosito che non eccitato da quella perversione incomprensibile, mentre Luca, cosparso di urina, finiva la sua masturbazione gemendo come un animale ferito e, con gli ultimi colpi di mano, sbiancava la parete del box.
"Ah, Ah, aaaaah!".
Mi fermai a guardarlo disgustato per pochi secondi, appoggiato alla vetrata, esanime e affannato come se avesse affrontato una prova olimpionica, dopo di che iniziai a rivestirmi, sostenendo a stento il suo sorriso compiaciuto.
“Abbiamo un patto noi, ricordatelo”. Mi limitai a dire minaccioso e mentre mi chiudevo la porta del cesso alle spalle, con la coda dell’occhio, lanciai uno sguardo intimorito e carico di disprezzo nella direzione di quella figura ingombrante che giaceva sfocata dietro la colata di sperma lungo il vetro della doccia.
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