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Gay & Bisex

GALEOTTO FU IL SANTERNO 4


di SERSEX
24.06.2025    |    306    |    1 6.7
"— Tu non mi ami, — disse Giò, a Giulio..."
Fu Andrea a proporlo. Dopo giorni passati a letto, sfinito da quell’incontro a tre che aveva cambiato tutto. La voce roca, il petto ancora segnato dai morsi, il cuore fragile.
— Restiamo insieme. Tutti e tre.
Giò lo guardò come si guarda qualcuno che si è appena perso. Giulio, invece, accennò un sorriso. Di quelli che non promettono niente, ma si godono la sfida.
— Tu non mi ami, — disse Giò, a Giulio.
— No. Ma adoro fotterti.
— E questo dovrebbe bastare?
— No. Ma tu lo fai solo per lui, no?
Giò non rispose. Perché era vero.
I giorni successivi furono un miscuglio di stupore e abisso. Giulio portò in casa il suo corpo elegante, la sua arroganza, le sue mani esperte. Dormivano tutti e tre nel letto grande, a volte incastrati, a volte divisi.
Facevano colazione nudi, con il caffè che sa di sperma e sigarette. Andrea rideva, sembrava più leggero, come non lo era mai stato. Giò lo guardava e ingoiava tutto. Anche quello che faceva male.
La prima notte vera fu disarmante.
Giulio si stese sul divano e disse:
— Stasera voglio guardarvi. Senza toccare. Non ancora.
Giò e Andrea si spogliarono lentamente, baciandosi con lentezza, come se Giulio non ci fosse. Ma sapevano che c’era. Che li osservava. E questo li faceva eccitare ancora di più.
Giò si sdraiò. Andrea si inginocchiò tra le sue gambe e iniziò a succhiarlo, con la fame di chi conosce ogni centimetro. Poi si girò, si sedette su di lui e se lo infilò dentro con un movimento lento, che strappò un gemito a entrambi.
Si muovevano lenti, profondi, sudati. Gli occhi chiusi, i cuori aperti. Giulio li guardava, la mano tra le cosce, ma senza toccarsi.
— Così, sì. Tu lo ami. Lo vedo da come glielo prendi.
Andrea si voltò, ansimando:
— Mi ama troppo per lasciarmi.
E venne, stringendo Giò con forza, mormorando il suo nome come un segreto.
Ma i giorni passavano, e qualcosa si spezzava. Sottile, invisibile.
Giò iniziava a sentirsi un ospite nel proprio amore. Andrea si divideva, rideva con Giulio, si perdeva negli sguardi. E quando facevano l’amore tutti e tre, non era più solo per amore. Era anche per abitudine. Per desiderio. Per confusione.
Una sera, mentre Giulio era sotto la doccia, Giò si alzò dal letto. Andrea gli afferrò il polso.
— Dove vai?
— A prendere fiato. Qui non ce n’è più.
Andrea lo fissò.
— Ma tu sei l’aria.
— No. Io sono quello che respira te. E mi sto soffocando.
Si baciarono, forte. Forse per l’ultima volta in due.

La notte dopo, Giulio si infilò tra loro nel letto. Baciò Giò, per la prima volta con tenerezza. Poi baciò Andrea. E poi li prese entrambi, insieme. I corpi si incastrarono, le mani si confusero. Andrea cavalcava Giò, mentre Giulio glielo metteva dentro da dietro, lentamente, con cura. Erano un'unica cosa. Tre corpi. Una sola bocca. Una sola carne.
Vennero tutti, lunghi, gemendo insieme come un animale a tre teste.
E nel silenzio che seguì, Giò capì.
Quello non era amore.
Era desiderio che chiedeva troppo.
E lui aveva già dato tutto.
Giò lo capì in silenzio. Non servivano parole, non più. Bastarono piccoli gesti: lo sguardo spento di Andrea dopo una telefonata di Giulio. Le fughe brevi, le assenze che tornavano col profumo addosso. Le notti in cui Andrea dormiva rivolto dall’altra parte, anche se Giò lo abbracciava forte.
Era chiaro. Era sempre stato chiaro.
Andrea era legato a Giulio da un filo sporco e indistruttibile, fatto di abbandoni e ritorni. Un filo che lo strozzava ma che cercava lo stesso. Come se l’amore per un uomo sposato, ambiguo, feroce… fosse la sua unica forma possibile di amore.
E Giò? Lui era stato il respiro, il rifugio, l’intervallo. Ma non l’urgenza. Non il veleno. Non il vizio.
Una mattina, Giò si alzò presto. L’aria di Bologna era umida, lenta. Mise il caffè sul fuoco e si vestì in silenzio. Andrea dormiva ancora, nudo, un piede fuori dalle lenzuola, un piccolo segno viola sul collo.
Giò lo guardò a lungo. Non con rabbia. Ma con tenerezza, poi si sedette sul bordo del letto, il cuore un tamburo impazzito nel petto. Andrea dormiva ancora, con la bocca leggermente aperta, come un bambino fragile, come se fosse ancora un’anima persa in un labirinto che non voleva lasciare. Giulio lo aveva preso con sé, in quella danza segreta che non aveva mai fine. Ed era giusto così, perché Andrea era di Giulio. Sempre stato.
La verità gli pesava come una pietra nella gola, ma lui l’aveva accettata. Non poteva farsi del male inseguendo un sogno che non sarebbe mai stato suo. Non più. Amare, pensò, era anche sapere quando lasciare andare.
Nei giorni seguenti, Giò divenne un fantasma in quella casa. Andrea e Giulio si muovevano con la complicità di chi condivide un segreto antico, mentre lui restava ai margini, a guardare senza toccare.
Una sera, dopo cena, Giò li guardò negli occhi, uno dopo l’altro.
— Andrea… Io ti amo . Ma non posso vivere così. Questo gioco rischia di uccidermi. Io ti lascio.
Andrea lo guardò incredulo, mentre Giulio mantenne quel sorriso freddo, quasi divertito.
— Cosa vuoi dire? — chiese Andrea, la voce rotta.
— Voglio dire che vi lascio insieme. Voi due siete legati da un filo che non posso spezzare. E io non posso più essere il terzo incomodo del vostro amore.
— Non puoi lasciarci, — insistette Andrea, gli occhi lucidi.
— Non è per voi. È per me. Per non perdermi.
L’ultima notte fu un inferno dolceamaro. Giò volle conservare almeno quel ricordo, quell’ultima notte di carne e ossa, di sudore e baci rubati.
Andrea si sdraiò su di lui, le mani tremanti ma affamate. Giulio li guardava, la bocca socchiusa, le mani che a stento trattenevano l’impazienza. Fu un’orgia lenta, feroce, disperata. Tre corpi in un unico urlo, una confessione di dolore e desiderio.
Giò si perse tra loro, nei baci rubati, nei morsi, nella furia che sapeva essere l’ultimo respiro di qualcosa che non sarebbe più tornato.
Il mattino seguente, Giò si alzò all’alba. Preparò il caffè, si vestì senza rumore. Andrea si svegliò, si avvicinò a lui, cercando una spiegazione, una ragione.
— Perché? — sussurrò.
Giò lo guardò negli occhi, finalmente calmo.
— Perché l’amore non può essere una prigione.
— E noi?
— Sarete liberi, insieme. Io sarò libero di amare me stesso.
Andrea scoppiò a piangere, Giulio, che nel freattempo si era svegliato, rimase in silenzio, con quel sorriso che nessuno poteva interpretare.

Giò prese la sua moto, il casco stretto in testa, e si allontanò lungo la via che l'avrebbe portato dove tutto era iniziato, il Santerno, il vento che gli sferzava la pelle, e dentro, un dolore dolce come un ricordo impossibile da cancellare.
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