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Una troia nel convento dei frati minori - 3

07.01.2025 |
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"Mettiti accanto a me, appoggia le mani al muro e inarca il sedere"..."
Il vestito da suora mi calzava a pennello. Anche Teodosio convenne che sembrava essere stato cucito su misura per me: lungo al punto giusto e stretto in vita.
“Sotto però ti tieni il perizoma”. Disse congedandosi con un bacio. Così, all’occorrenza, ti sollevi la gonna e mi fai sfogare”.
I complimenti che gli avevo fatto per la prestanza lo avevano ringalluzzito.
“Quindi hai cambiato idea?” Domandai. “Voterai per farmi restare?”
Lui annuì e, chiuso l’uscio, s’incamminò verso il ricovero dove avrebbe trascorso la notte.
Quando udii il rumore dei passi sulle scale uscii a mia volta dalla cella.
Dovevo trovare un bagno per pulirmi. Il maiale m’aveva farcito il culo e la sborra colava ancora tra le natiche.
Provai più di una maniglia ma non riuscii ad aprire nessuna stanza. Così, cercando di non fare rumore, m’avventurai al piano di sotto.
Il corridoio era buio e silenzioso ma in fondo scorsi una luce che filtrava da una porta.
“Deve essere l’ingresso dei servizi”. Pensai e m’avvicinai con passo felpato.
Abbassai la maniglia e mi ritrovai in un locale immacolato. Le pareti erano state piastrellate con mattonelle lucide che riflettevano il bagliore delle plafoniere.
Un grande lavabo sporgeva dal muro e, di lato, una serie di orinatoi s’allineava quasi a ridosso della vetrata. Oltre di essa, uno scroscio d’acqua indicava la presenza delle docce.
“Il porco è venuto a lavarsi!” Pensai eccitato all’idea di farmi dare una seconda randellata da Teodosio.
Così mi tolsi i vestiti e mi avvicinai al punto da cui proveniva il rumore.
Varcai la porta con il culo già bagnato dal desiderio di ritrovarmi davanti il grosso pennacchio del monaco. Ma ciò che mi attendeva era qualcosa di completamente diverso.
Sotto al soffione, tra i vapori della doccia, il giovane padre che i confratelli avevano chiamato Arturo stava in piedi, completamente nudo, con le mani contro la parete e, inarcata la schiena in una curva lasciva, mostrava lo spettacolo delle natiche spalancate.
Aveva un corpo muscoloso che sembrava scolpito nella pietra, il dorso ampio e due chiappe alte e sode nelle quali io stesso avrei desiderato affondare la faccia.
“Cazzo!” Esclamò quando aprii la porta. “Non ne potevo più, finalmente sei arrivato”.
Si voltò sorridente nella mia direzione, ma subito il volto si fece serio.
Restammo immobili a fissarci negli occhi per qualche secondo, finché udimmo la porta del bagno aprirsi di nuovo.
“Sta venendo qualcuno” Esclamai allarmato.
La prima cosa che mi venne in mente fu che, se Don Gaetano m’avesse trovato lì, la mia permanenza al convento sarebbe stata a rischio.
“Non devi dirlo a nessuno”. Esordì padre Arturo ignorando completamente la mia preoccupazione. “Dico sul serio, scoppierebbe uno scandalo”.
Non riuscivo a capire.
“Ma cosa dovrei raccontare?” Chiesi sorpreso.
Poi, all'improvviso, una voce profonda si fece sentire nell’ingresso.
"Ho fatto tardi, arrivo".
Un lampo di consapevolezza attraversò il mio volto e Arturo, conscio di essere stato scoperto, mi indirizzò uno sguardo misto di paura e eccitazione.
“Li vuoi due voti per restare?” Mi chiese.
Lo fissai interrogativo e annuii.
“Vieni qua …”. Disse. “No, proprio qua! Dove mi trovo io, sotto l’acqua. Mettiti accanto a me, appoggia le mani al muro e inarca il sedere". Ordinò, mentre mi faceva scorrere le dita tra le natiche
“Hai proprio due belle chiappe, lo sai? Senti qua che fica”.
Il maiale sapeva come fare e m’accarezzava lo sfintere come se fosse stato una vagina.
“Fa lo stesso con me!” Mi esortò. “Ci facciamo trovare a masturbarci uno il culo dell’altro. Che ne dici? Vedrai, lui è un gorilla ma te lo fa sentire fino in gola”.
“Ci facciamo trovare da chi?” Chiesi.
Ma il monaco non rispose.
E se l’ospite di Arturo non avesse gradito il mio coinvolgimento?
Se si fosse arrabbiato?
Sarei stato cacciato dal convento!
Ero nervoso, ma non volevo contraddirlo!
Posai la mano sui suoi glutei e, percorrendo con i polpastrelli le rotondità, gli accarezzai la rosetta, affondando l’indice e il medio dentro alla ferita aperta.
Arturo avvicinò le labbra alle mie. Ci ritrovammo con gli occhi chiusi e le lingue intrecciate, godendo l’uno delle dita dell’altro.
Non avevo mai provato un piacere così delicato. Ero talmente rapito da quella sensazione che non m’accorsi che, mentre ci baciavamo, un secondo prete era entrato nel locale della doccia.
“Ma che cazzo state combinando?” Chiese con un filo di voce.
Mi voltai di scatto, sperando di non incontrare lo sguardo severo di Don Gaetano, e trasalii quando realizzai che il padre che Arturo stava aspettando era in realtà Don Moulivan, l’africano che avevo già notato al mio arrivo.
“Finalmente”. Esclamò il ragazzo strizzando l’occhio nella mia direzione. “Ti sei fatto aspettare stasera, eh?”.
L’uomo era completamente nudo e la sua pelle eburnea brillava sotto i fumi della doccia. Alto e muscoloso aveva un cazzo enorme che gli penzolava tra le cosce fino quasi alle ginocchia.
“Che sberla”. Pensai sconvolto. “Sono finito in questo posto per evitare che due neri mi rompessero il culo e invece…”
Arturo era fuori di sé. “Avanti sbatticelo dentro”. Lo incitò. “Prima uno e poi l’altro mentre ci lecchiamo”.
Il mandingo era pietrificato. “Sei cretino?” Gli disse. “Vuoi forse che mi mandino via …? Hai dimenticato perché padre Isidoro mi ha chiesto di venire in convento?”
Il ragazzo levò gli occhi al cielo e, in un moto di stizza, si rivolse verso l’interlocutore.
“Isidoro è pazzo”. Sbottò. “Come fate a non capirlo? Continua a dire che il convento nasconde un manoscritto che potrebbe distruggere tutto e racconta d’aver convinto Gaetano a farti venire dall’Africa per aiutarci a proteggere la confraternita dalle insidie del Demonio. Ma vuoi sapere cosa penso?”
Il nero lo guardò interrogativo.
“Che sono tutte stronzate”. Incalzò. “Quell’uomo è un razzista consumato e ti considera manovalanza. Questo penso!”. Aggiunse. “Ma non t’accorgi che t’ha delegato tutti i lavori manuali mentre lui sta chiuso da mane a sera in quella cazzo di biblioteca?”
Don Moulivan corrugò la fronte.
“Non è vero” Provò a replicare, ma non riuscì a continuare.
Sembrava sinceramente turbato.
Arturo gli si avvicinò e, per tranquillizzarlo, gli accarezzò il viso. “Ascolta”. Disse in tono fraterno. “Lo sai quanto è difficile mantenere la castità. Io e te non ci siamo riusciti, ma non pensare che siamo sbagliati. Quello che facciamo è naturale". Precisò. "Non ti frenare”. E guardando nella mia direzione aggiunse: “Giordano non parlerà con nessuno. Tu voterai in modo che possa rimanere in convento e lui ti lascerà usare la sua fighetta quante volte vorrai”.
Dopo averlo baciato s’inginocchiò ai suoi piedi e ingoiò il cazzo barzotto del compagno.
“Ci faremo cacciare”. Obiettò Moulivan, ma la lingua lunga di Arturo lo zittì.
Il ragazzo lo fissava con uno sguardo lascivo e, accarezzandogli i coglioni, aspirava la minchia dalla punta del glande alla base dell’asta.
Ad ogni succhiata il totem del prete s’irrigidiva e, in breve, divenne una trave dura e larga.
Il nero perse il controllo e iniziò a spingere nella bocca dell’amante con una voracità animalesca.
“Quindi da oggi ho due cagne bianche a disposizione” Disse. “Farete a turno, allora, perché il cazzone nero è impegnativo”.
Scopava così forte che più di una volta Arturo fu costretto a fermarlo per prendere aria e quando il ragazzo, sollecitato fino in fondo all’esofago, fu sul punto di erompere in un conato di vomito, lui estrasse la verga dalla gola e si dispose dietro di me.
“Inarca bene la schiena, troia”. Ordinò. “È arrivato il tuo turno!”
La sua mazza era la più grossa che avessi mai visto.
“Mi farai malissimo”. Sussurrai.
“L’hai voluto tu”. Rispose lui. “Ora devi solo stare zitto e se ti fai sentire da qualcuno giuro che t’ammazzo io prima di consegnarti. Hai capito?”
Annuii sopraffatto dalla sua prepotenza e, con sommo stupore, mi ritrovai con la faccia premuta contro la parete a gestire l’ingombro del suo membro tra le natiche.
Arturo mi venne vicino. “È un indigeno”. Sussurrò. “Ma è buono a chiavare. Te lo fa sentire fino a dentro alla pancia”.
Per soffocare le urla avvicinai la bocca alla sua e attesi che la sensazione di laceramento passasse.
Quando Moulivan fu dentro, mi rilassai. Estesi la lingua oltre le labbra e picchiettai quella del compagno per simulare una complicità saffica.
“Siete due puttane”. Gemette l’africano e, sorpreso dalla mia resistenza, mi serrò le mani attorno ai fianchi e attivò una monta violenta.
Contrassi lo sfintere per prendergli l’uccello e risucchiarlo fino ai coglioni.
Stretto com’era in quella morsa, gli fu presto chiaro che le mie viscere lo stavano conducendo all’orgasmo.
“Che cazzo di culo”. Esclamò.
Arturo gli accarezzò le spalle, fece scorrere la mano sulla schiena e la posò sui glutei, seguendo il movimento dei lombi.
“Sei veramente un porco”. Lo incitò. “ Inseminatelo, dai. Fagli vedere quanta ne fai”.
Rilassai i muscoli dell’ano per concedere al mandingo qualche secondo di tregua e, quando mi resi conto che il porco aveva abbassato la guardia, contrassi le pareti del retto con così tanta forza che avrei potuto prosciugargli le palle.
Il maiale perse il senno. “Cagna”. Sussurrò. “Ti sborro in culo tutte le notti”.
E, mordendomi la schiena per soffocarvi il piacere, spinse la minchia ancora più in fondo e, finalmente, la svuotò dentro di me.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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