Gay & Bisex
Olandesi - 2^parte

15.04.2025 |
161 |
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"- Stanco per cosa che non sei neppure venuto con noi in città?..."
Jan.Mi han detto che non è un collegio ma un convitto. Ma sinceramente non vedo la differenza. È il terzo anno che sono qui e sono andato a casa in tutto 4 volte: 10 giorni a Natale e un mese scarso d'estate. Si può andare a casa solo se i parenti ti vengono a prendere e di certo mia madre viene, se pur viene, solo per le vacanze. Che mi piaccia o no la mia famiglia è qui. Oddio, più che famiglia è una palestra in cui si sperimenta la sopravvivenza.
Per esempio a scuola non è come alle inferiori: non serve rendersi invisibili o tentare di mimetizzarsi perché i predatori sono più evoluti e aggressivi e si muovono in branco. Stasi e comportamenti anomali sono immediatamente notati e puniti. Di conseguenza mi sono messo a vestirmi come la maggioranza, mi sono fatto tagliare i capelli, messo l'orecchino, cammino a gambe larghe, faccio scherzi idioti, rispondo male ai professori e sono anche diventato un discreto portiere. Dopo che ho parato un rigore del manzo più forte del campionato, mi si son fatti tutti amici e mi abbracciano sempre. Io ne approfitto per palpare chiappe e pacchi. Inutile dire che mi sono fatto anche il manzo di cui avevo parato il rigore.
Ma più insceno questa farsa più mi sento diverso e il solco che mi divide dagli altri si approfondisce. Da solo sono felice, cogli altri devo recitare.
Ho scelto l'indirizzo tecnico più facile per finire presto ed emanciparmi. Il mio scopo è frequentare un corso parauniversitario da fisioterapista. A scuola non vado benissimo, ma la mia bellezza mi aiuta ed io so usarla. Diversi insegnanti hanno accettato le mie offerte sessuali e d'altra parte ormai di me lo sanno tutti, ma sanno pure che non sono per tutti.
E' il mio ultimo anno qui. Uno dei tre cosiddetti educatori che noi, con una punta di disprezzo, chiamiamo "badanti", si è malato ed è venuto un supplente. Appena l'ho visto mi è mancato il respiro. Si chiama Ruud van de Gerle, sui 35 anni, capelli corti biondo scuri, occhi azzurri, voce profonda, barbetta curata, spalle larghe, vita sottile, fianchi stretti, segni particolari: semplicemente affascinante. Il mio scopo primario è stato da subito farmelo. Ma con lui non valevano le tattiche subdole che avevo usato coi docenti. Ho provato a fare cazzate per far sì che mi convocasse nel suo studio per rimproverarmi, ma pareva facesse apposta a non prendermi in considerazione. Mi sono fatto pestare da un compagno per muovergli compassione, ma ha convocato solo lui. Gli ho chiesto un incontro perché mi servivano consigli riguardo i miei prossimi studi universitari, ma mi ha detto che se ne poteva parlare benissimo in pubblico perché erano cose che avrebbero potuto interessare tutti. L'ho spiato, cercato di capire cosa facesse, dove andasse, ho curiosato nella sua stanza quando la porta era aperta dalle inservienti delle pulizie e non c'era nessuno in giro, ma non ho trovato mai nulla di compromettente anche perché, comunque, armadi e cassetti erano chiusi a chiave. Pensavo mi rifiutasse in quanto strettamente etero, ma poi ho avuto la certezza che invece era assolutamente gay e la cosa mi ha mandato in crisi perché, a quel punto, voleva dire che proprio non gli piacevo.
So che è gay o, nel migliore dei casi, bisex. perché l'ho visto più di una volta trombarsi il cuoco, un culone sposato con figli della mia età che, da esterni, frequentano la scuola. La sera, dopo la cena, noi studenti si ciondola in refettorio per tirare le dieci e mezza o le undici dedicandoci a giochi di società o guardiamo la televisione. L'educatore sta in mezzo a noi oppure si mette su un divano a leggere. Avevo notato che quando la sera c'era Ruud, a un certo punto lui spariva per mezzoretta circa. Ai più la cosa passava inosservata, ma non a me che non lo perdevo d'occhio. Andava, facendo un percorso al buio in fondo al refettorio, entrava in cucina e da qui, sempre al buio, nel retro-cucina dove vi ci si chiudeva dentro. Seguirlo e origliare non mi era bastato per capire cosa vi succedesse e l'unica possibilità per vederlo era da una vetrata esterna piuttosto alta che dava su un passaggio cieco, sassoso e pieno di sterpi prospiciente il muro di cinta.
Nelle mie varie peregrinazioni esplorative fatte per soddisfare la mia innata curiosità e per vincere la noia, conoscevo tutti i sotterranei e i sottotetti dello studentato e ricordavo d'aver visto una mezza scala a pioli buttata in un angolo nel locale caldaie. In un giorno di pioggia in cui tutti erano rintanati, la sono andata a prendere e l'ho nascosta a terra tra le sterpaglie contro il muro. Non si notava, era perfetto, pronta per quando sarebbe stato il momento giusto. E qualche sera dopo, da fuori, ho visto il mio bel Ruud incularsi il cuoco appoggiato col petto su un bancone e le gambe molto divaricate. Di Ruud non vedevo granché perché, pur coi calzoni calati, era vestito e mi rivolgeva la schiena. Ma le oscillazioni delle chiappone mollicce del cuoco che riceveva gli affondi di Ruud nel suo culone li ho visti molto bene e altrettanto bene ho captato il suo orgasmo: quasi mi pareva di sentire i suoi fiotti dentro di me... In fretta sono sceso dalla scaletta, l'ho nascosta e sono ritornato dentro prima che Ruud ricomparisse.
La cosa si è ripetuta alcune volte in quell'inverno. Una volta è stato solo un lungo pompino e ho visto bene il cazzone di Ruud, così come il cazzetto del cuoco con due palle insignificanti e non ho potuto non chiedermi come avesse fatto con quell'affarino a fare due figli. L'ultima volta c'era Ruud seduto in riva al bancone coi calzoni alle caviglie e il cuoco gli lappava il pistolone sopra e sotto con lunghe slinguate e poi passava, dopo avergli sollevati i piedi che reggeva con ambe le mani, a succhiargli le palle e a leccargli perineo e buco del culo in cui affondava letteralmente la facciona. Non vedevo bene il viso di Ruud, ma dai contorcimenti del bacino capivo che apprezzava moltissimo. Poi, inaspettatamente il cuoco cava qualcosa dalla tasca e, mentre riprende a succhiargli la cappella, lo infila nel culo di Ruud e lascia che i piedi scendano verso il pavimento. L'espressione di Ruud è di pura estasi e dopo poco viene a getto tipo geyser. Il cuoco toglie quello che immaginavo fosse un vibratore, se lo mette in bocca e poi si cala a leccare lo sperma di Ruud. Io a quel punto scendo col cazzo durissimo, ma con l'amaro in bocca. Non solo Ruud era gay, ma di certo anche passivo.
Immerso in questi pensieri mi attardo e rientro in refettorio che Ruud era già lì e mi guarda cattivo. Il giorno dopo faccio un giro e vedo che la scala è sparita. Passano giorni in cui faticosamente cerco di non pensare a lui a cui io, bel figo non abituato ai rifiuti, verosimilmente non piacevo. Questo almeno finché non ho sentito dire che quelli erano gli ultimi giorni della sua permanenza allo studentato causa imminente ritorno del titolare di cui Ruud era supplente.
Al pensiero di non vederlo più mi prende lo scoramento. Tra l'altro è un sabato grigio e umido e non mi va neppure di passare il pomeriggio in città cogli altri. Ho ciondolato in giro tutto il giorno e, dopo cena, me ne sono venuto subito a letto con un libro.
- De Vries non ti senti bene? - chiede Ruud sulla soglia della stanza.
- Tutto a posto, solo un po' stanco...
- Stanco per cosa che non sei neppure venuto con noi in città?...
Lo guardo e mi si stringe il cuore. E' bellissimo così appoggiato allo stipite coi piedi accavallati e un sorriso appena accennato...
- Allora diciamo che sono un po' triste... e non ho gran che voglia di avere rapporti sociali, di confrontarmi col prossimo. Comunque non è una cosa solo di adesso...
Entra in camera e, meravigliandomi molto, si siede sull'angolo del letto.
- Lo so e credo che, benché la ricerca di ciò che ci fa uomini sia un percorso solitario e individuale, non significa che non bisogna misurarsi cogli altri, il che è necessario, magari dopo aver raggiunto punti fermi, valori incrollabili...
- Tipo?
- Tipo la consapevolezza di esistere, di essere soli e parte del tutto, riconoscere che siamo spinti avanti da desideri elementari, che forse siamo solo macchine metaboliche e che per sentirci vivi dobbiamo pensare... volere... fare...
- Van de Gerle... crede forse di impressionarmi con questi discorsi o forse pensa che io non li capisca?
- No, ho solo usato un livello un po' più alto di comunicazione...
- Sono cose ripetute da tutti... che nella vita è necessario trovare sicurezze, punti saldi... che amore e amicizia sono i sentimenti che ci distinguono dagli animali e ci fanno apprezzare la vita... ma che c'è da apprezzare?
- Caro De Vries, non per noi, adesso e qui, ma, un domani e altrove, in questo universo del cazzo sono comunque i valori che permettono di farsi il culo tutti i giorni ed essere felici di tornare a casa la sera sapendo di trovare qualcuno che ci aspetta e ci apprezza per quello che siamo con tutti i nostri difetti e le nostre mancanze. Se vuoi ne riparliamo; ora torno giù dagli altri ragazzi...
Sono meravigliato dal frasario sboccato e un po' sconvolto per il discorso in sé. Ruud non mi aveva mai fatto un discorso serio e, a pensarci bene, nessuno mi aveva mai fatto un discorso serio, un discorso un po' elevato, che dicesse e non dicesse, né con linguaggio forbito né terra-terra. Forse Andreas, gli ultimi giorni... Mi sta prendendo un blocco allo stomaco al suo pensiero. La nostalgia è una bestia traditrice. Il pensiero di una frase, di un odore corporeo, di un cazzo che ti incula non solo per ricavarne piacere ma per darlo a te, di un maschio che non ti considera solo carne riesce a risvegliarla e mi sento subito solo e sperduto in terra forestiera. Mi ritrovo a piangere, ricaccio indietro le lacrime e mi assopisco.
Mi sveglia la caciara dei ragazzi che vengono a letto. Essendo sabato, molti erano andati a casa e tra questi anche i miei tre compagni di stanza. La luce in camera è spenta, basta quella del corridoio per permettermi di incrociare un attimo lo sguardo indagatore di Ruud. Una luminosità diffusa gli circonda il corpo, lasciandogli il davanti al buio ma io intravvedo il chiarore degli occhi.
- Tutto ok De Vries?
- Sì grazie.
- Vuoi parlare?
- Non necessariamente.
- Allora buonanotte.
- Anche a lei.
Ma so che non sarà una buona notte. Non riesco a dormire e mi sento lo stomaco in subbuglio per una sorta d'ansia angosciosa. Alle 23 passate non ho ancora preso sonno; mi alzo e vado in bagno poi, invece di tornarmene, mi dirigo alla stanza di Ruud da sotto la quale filtra una debole luce. Origlio e sento una musica classica. Senza rendermi conto di ciò che sto facendo busso leggermente. Un rapido scalpiccìo e la porta si apre su un Ruud in boxer e maglietta aderente che fa risaltare tutti i suoi muscoli. Dice sorridendo:
- Entra Jan, ti stavo aspettando.
Sono confuso ma entro e balbetto:
- Mi... mi stava aspettando?
- Sì, anzi pensavo venissi prima per riprendere il discorso che avevamo interrotto... siediti... - disse indicando una sedia sulla cui spalliera era la sua giacca. Dopo un attimo di silenzio gli dico:
- Veramente adesso non ho voglia di discorsi né seri né semiseri, ero venuto per sapere se davvero se ne va, ma vedo che la risposta è tutta qui intorno - e indico con una movimento circolare dell'avambraccio una valigia semipiena aperta sullo scrittoio e altre due a terra già chiuse. Lui si siede sul letto:
- Il mio impiego qui termina tra 20 minuti...
Sorride. Io ho un brivido di freddo. Se ne accorge:
- Quel tirchio dell'economo già alle dieci spegne il riscaldamento. Mettiti sulle spalle la mia giacca. Ce l'hai dietro di te sulla spalliera...
Non mi pare vera tanta gentilezza. La giacca è fredda ma è la sua giacca e mi pare emani calore.
- Lei come fa a stare in maglietta e mutande e a non aver freddo?
- Ho un piumino molto caldo - e così dicendo infila le gambe sotto le coperte e si spinge indietro col bacino rimanendo appoggiato a un gomito. Sorride e non dice nulla. Immagino di essere io a dover dire qualcosa:
- E dopo cosa farà?
- Spegnerò la luce e proverò a dormire...
- Ma no, intendo quando se ne sarà andato...
- Il diploma di dirigente di comunità mi consente di fare questo tipo di lavoro ma non è quello che vorrei fare. Sono figlio di un pescatore che da bambino già mi prendeva in barca con sé... vorrei fare un'attività legata al mare...
Ho un altro grosso brivido di freddo e Ruud, spostandosi verso il muro a cui il letto è accostato, mi fa posto sotto il piumino:
- Dai, vieni qui prima di congelarti. Lascio la giacca e mi infilo sotto spingendo il culo contro il suo bacino.
- A che pensi? - chiede. Fossi stato sincero avrei detto "che era ora", invece dico:
- Sono meravigliato dalla sua gentilezza dato che in sei mesi non mi ha mai considerato più di tanto...
- Ti sbagli Jan, ti ho sempre considerato molto, quando cercavi la mia attenzione, quando mi facevi gli scherzi idioti, quando mi seguivi, quando frugavi in camera mia, quando mi spiavi col cuoco...
- Ma allora...
- Allora... io ero chi doveva curarsi di te come educatore e doveva esserci netta separazione dei ruoli e per di più eri minorenne...
- Sono ancora minorenne, per qualche mese...
- Ma per lo meno io non sono più tuo tutor da... - guarda l'orologio - cinque minuti... E mentre passa la mano destra di fianco al collo andandomi a strizzare il capezzolo, la mano sinistra mi preme sugli addominali e mi spinge contro il suo cazzo già duro. Noto di nuovo il suo Swatch nero e giallo con una scritta in greco:
- Un orologio greco...?
- No svizzero, di greco ha solo la scritta: panta rei.
- Ovvero?
- Tutto scorre. Il tempo ma anche il resto - e sento il suo alito sul collo che mi fa rabbrividire. Continua a parlare lentamente, con tono sexy bassissimo, quasi un bisbiglio e intanto mi dà bacetti e mi mordicchia:
- Ad esempio tu ti immergi in un fiume, esci e poi ci torni, ma non ti ci sei immerso due volte perché non è più lo stesso fiume, in quanto lo scorrere dell'acqua l'ha modificato... - intanto la sua mano sinistra sale sotto il mio pigiama all'altro mio capezzolo, scivola poi sull'addome che inconsapevolmente contraggo ed entra nelle mutande facendole scivolare assieme ai calzoni del pigiama verso le caviglie. Coi piedi li spingo fuori e mi libero. Penso che ora finalmente prendo il suo cazzo in culo. Finalmente, certo, anche se avrei preferito una cosa meno tecnica, qualche tenerezza in più, baciarlo, sbocchinarlo... Non ho il tempo di pensare ad altro perché Ruud, avendo evidentemente fatto uscire l'uccello dai boxer senza toglierseli, ha già posizionato la cappella al buco e spinge... lento e costante ma spinge... Avrei voluto dire di mettersi un profilattico, invece mi esce detto:
- Ci vuole del gel, a secco non entra... non sono mica il cuoco...
- Ma senti... piccolo arrogante... ora ti sistemo io...- e dà una spinta molto forte. Si sente un rumore sordo tipo strappo di una stoffa: il mio sfintere ha ceduto e provo un male boia; sento la sua cappella che procede con moto lento, progressivo e costante mentre il dolore, seppur di poco, scema. Giunto con l'uccello a fine corsa, Ruud, col braccio destro già sotto il mio torace, mi abbraccia e stringe a sé, mentre con l'altra mano mi impugna la base del cazzo sotto le palle e la tira verso l'alto così da sollevarmi un po' il bacino. Inizia un'inculata lenta mentre mi sbaciucchia sul collo sfregandomi con la barba morbida. Anche questo mi procura brividi di piacere. Dopo qualche minuto si ferma con l'uccello dentro al massimo e si mette di schiena ruotandomi su di sé. Io, puntando i piedi, mi metto a sedere sul suo uccello ed inizio il saliscendi: il dolore ora è lieve ed è accompagnato da languide sensazioni molto piacevoli procurate, oltre che dal cazzo nel culo, dalle sue mani che attuano un continuo andirivieni sulla mia schiena e sui fianchi. Ma io voglio vederlo in faccia per cui mi fermo, ruoto di mezzo giro sul suo cazzo così da vedere le espressioni del suo viso. Ma voglio di più: gli tiro la maglietta fin sotto il collo e mi abbasso a succhiargli i capezzoli e a mordicchiarglieli, passo a mordergli i bicipiti e tento di leccargli le ascelle, ma lui mi afferra saldamente in vita, si spinge avanti scendendo coi piedi a terra e alzandosi mentre io mi sostengo al suo collo. Fa mezzo giro e, sempre col cazzo saldamente piantato nel mio retto, mi depone lentamente con la schiena sul materasso, mi prende per i polsi spingendo le braccia in alto e si abbassa a baciarmi. E' un bacio lungo e appassionato che io ricambio con tutta la passione di cui sono capace, dopo di che, premendo con forza sulle caviglie mentre mi divarica le gambe al massimo così da farmi sollevare il bacino mi elargisce affondi potentissimi. Sento poi che nel mio orifizio introduce delle dita a fianco del suo uccello, quante non so. So che sono in estasi ma vedo che la cosa è reciproca. In breve orgasma ansimando silenziosamente e rimane dentro di me mentre mi masturbo e, quando vengo, mi bacia a fondo e poi fa scendere la maglietta del pigiama a coprire la mia sborrata. Quando si sfila, mi rimette alla buona slip e calzoni del pigiama, viene a letto e si posiziona su un fianco dietro di me abbracciandomi. Tira il piumino sotto il mento, spegne la luce e, spingendosi in basso, dice:
- Dormi ora... qui stretto a me...
Devo essermi addormentato pressoché subito ed ho dormito beatamente. Mi sveglia il suono dell'altoparlante nel corridoio. Uff, mi ero scordato che, sebbene più tardi, anche alla domenica quello rompe. Ma... come mai sono nel mio letto? Ma allora ho sognato tutto? Scendo dal letto e inforco le ciabatte. Mi colpisce un forte odore di muffa... col cavolo che ho sognato... ho il pigiama pieno di sborra ancora semiumida... ma... e Ruud? Prendo l'asciugamano e vado ai bagni, mi sciacquo sommariamente e proseguo verso la sua stanza. E' vuota. Il letto sfatto e i vetri aperti. Ho un leggero capogiro, un forte dolore alla base dello stomaco...
“Mi ha usato... come tutti gli altri...”
Torno mestamente in camera e mi siedo pesantemente sul letto. Sono tristissimo e vorrei piangere ma la stizza me lo impedisce... e vedo qualcosa di nero e giallo sul comodino a cui non avevo fatto caso. E un foglio strappato dal mio block-notes: "Non essere triste. So che cercavi altro, ma probabilmente l'intensità e la forza con cui vivremmo la nostra storia, sebbene irripetibili, si consumerebbero senza rimedio facendo perdere l'intesa perfetta che ci avrebbe unito. Tutto scorre ma, se lo tieni al polso, questo starà sempre con te". Lo afferro dolcemente, lo stringo nel palmo della mano con le lacrime agli occhi, lo porto al petto e piango in silenzio.
Ruud.
Il mio primo giorno era un venerdì pomeriggio e i ragazzi giocavano a calcetto. Mi ero posto dietro una porta e colpiva la mia attenzione il culetto del portiere che avevo di fronte: era alto e biondo, gli arti inferiori semi piegati, divaricati con ampiezza pari alla larghezza delle spalle, piedi paralleli col peso spostato in avanti. Quando si tuffò a parare, si girò e mi guardò un attimo mentre si alzava: era il ritratto di Lex. Per un attimo ho pensato fosse lui reincarnato. Me ne sono venuto via turbato mentre lui continuava a guardarmi trattenendo il pallone tra il vociare degli altri giocatori che reclamavano contro l'interruzione. Ho poi fatto l'errore di volermi documentare su di lui ed ho saputo della sua infanzia abbastanza complicata e ho immaginato la sua adolescenza all'insegna di difficoltà di vario tipo. Ora il giovane Jan mi attraeva morbosamente non solo per il suo bel fisichetto, ma anche per il suo vissuto. Avrei voluto prendermelo sotto un'ala consolatrice e, specie dopo aver saputo delle sue inclinazioni, farne il mio giovane partner. Ma dovevo dissimulare e cercare di non compromettere la mia posizione, così alle sue palesi e deliberate provocazioni, ho sempre opposto un voluto distacco, al limite della freddezza, e la cosa, inutile dirlo, mi faceva star male, ma dovevo dissimulare pure quello.
C'è poi stata la faccenda del cuoco che avevo incrociato tempo prima nel Vondelpark: lo avevo sorpreso a succhiare alternativamente due cazzi e poco dopo lui mi aveva visto montare un ragazzo di colore. Benché non mi attraesse fisicamente, un po' per pigrizia un po' per timore di essere sputtanato, accettai di scoparmelo in cucina ogni tanto di sera a fine turno. A volte erano solo pompini con annesse variazioni sul tema: aveva una lingua con la quale dava un piacere illimitato quando succhiava o leccava il buco del culo e fu una sera in cui mi infilò un vibratore che mi accorsi, proprio mentre stavo venendo, di una testa bionda nell'angolo basso della finestra in alto che ci spiava.
"Maledetto finocchietto" fu ciò che pensai ma non avevo la certezza che si trattasse di Jan. Mi rivestii in fretta e con una scusa mi fiondai in sala tv. Jan non c'era ed arrivò poco dopo quasi certamente dall'esterno. Ebbi l'istinto di affrontarlo e magari di dargli pure due schiaffoni ma riuscii a trattenermi e a ostentare indifferenza. Ma ci guardavamo in tralice ripetutamente. Della serie io so che tu sai che io so. La mattina dopo sono andato a distruggere la scaletta e a gettare i frammenti nell'immondizia.E siamo arrivati a questo sabato sera. Jan è stato tutto il giorno da solo e non è voluto uscire per un giro in città, sebbene ci fossi io come accompagnatore. L'ho pensato tutto il pomeriggio rattristandomi sapendolo da solo pieno di amarezza e sconforto. Siamo tornati un po' tardi. Jan aveva già cenato ed era andato a letto. Con una scusa ho lasciato gli altri ragazzi in refettorio e mi sono diretto ai dormitori.
Ostento nonchalance, ma capisco che sta male anche se afferma il contrario. Mi siedo nell'angolo del suo letto e affrontiamo un breve discorso serio. Ammesso che ce ne fosse stato bisogno, mi rendo conto che è molto più maturo di quanto voglia far credere, ma devo stare con gli altri ragazzi e lo saluto alludendo al fatto che si sarebbe potuto continuare il discorso più tardi. E' la mia ultima notte qui e non riesco a non pensare che è l'ultima occasione che ho per cogliere quel fiore che tante volte mi ha fatto capire di volermi dare. Non vado nel retrocucina dove certamente il cuoco mi aspetta per salutarmi a modo suo e sto sempre in mezzo ai ragazzi. In tv non c'è niente di interessante e per di più sono stanchi. Tutti, benché fosse abbastanza presto, decidono di salire a dormire. Jan non dorme ancora. E' in camera da solo perché i suoi tre compagni di stanza sono a casa. Gli chiedo se va tutto bene e dice di sì col tono di chi pensa "fatti i cazzi tuoi e non rompere i coglioni". Avrei voluto di nuovo sedermi all'angolo del suo letto, parlare un po', magari allungare una mano per fargli una carezza su una gamba, ma desisto; gli do la buonanotte e mi ritiro.
Un po' ci speravo, ma non mi par vero un'ora dopo di sentire un sommesso bussare alla mia porta. Mi alzo rapidamente mentre penso: "Ah sì eh? Anche tu vuoi concretizzare dunque..." E' mortificato, un po' esitante, ma non confuso. Secondo me sa bene quel che vuole. Ha freddo; gli do la mia giacca e poi gli faccio posto sul mio letto che è a una piazza e mezza. In due si sta stretti, ma non tanto da giustificare il suo spingere il culo contro il mio cazzo che, peraltro, subito inizia a inturgidirsi. Profuma di giovane, ha una pelle liscia ed energizzante. Parliamo ma non smetto di accarezzarlo e sbaciucchiarlo. Ho un cazzo di tre chili che urla. Lui non fa niente per evitarmi di procedere. Gli sfilo pigiama e slip e appoggio la cappella al culo. Da qualche parte ho del gel ma col casino della partenza non so dove l'ho messo. Continuo a spingere e, sebbene lui dica che a secco non entra, sento lo sfintere cedere a poco a poco. Faccio un affondo e sono dentro. Sento che smette di respirare per un po', poi riprende. Spingo costantemente mentre lo stringo a me. Lo sento fragile e, immagino, voglioso di protezione. Raggiungo il fondo ed inizio a muovermi. Lui dopo poco accompagna il mio movimento.
Al solito nella mia testa parlano diverse mie coscienze. Una dice: "adesso ti sfondo puttanella... volevi il cazzo... prendilo a fondo, finalmente ti scopo... cazzo se sei stretto... e sì che a quanto si dice ti hanno sfondato quasi tutti qui dentro...". Un'altra dice: "è da quando sono arrivato che mi arrapi... finalmente sei mio... cavolo, sarebbe fantastico vederci anche dopo e magari vivere assieme..." e la coscienza di prima dice: "ma hai 17 anni di più... durerebbe una settimana, tu ti romperesti delle sue cagate giovanili e lui ti cornificherebbe col primo che passa..."
Gli afferro l'uccello alla base sotto le palle, lo sollevo e manovro per spostare la sua schiena sul mio torace. Voglio semplicemente scoparlo da sotto ma lui crede che io voglia uno spegnimoccolo e si siede sul mio cazzo dandomi la schiena, dopo poco ruota dandomi il viso, si abbassa a baciarmi e mi morde capezzoli e bicipiti. Tenta di leccarmi le ascelle ma la maglietta glielo impedisce.
Le solite voci: "però ci sa fare bene il finocchietto...", "c'è portato, ma dà il meglio perché gli piace... anzi, modestamente, perché gli piaci tu...", "certo che l'esperienza non gli manca..." Devo spegnere queste voci, l'afferro in vita e mi spingo avanti scendendo dal letto. Si aggrappa al mio collo, col cazzo spinto ben in fondo; lo appoggio di schiena sul materasso e gli sollevo e divarico le gambe. Lo bacio e ricambia con passione.
“dacci dentro adesso... sbudellalo...", " certo che il frocetto ha un culo da sballo...”
Gli divarico le gambe al massimo. E' bellissimo ed ha pure un bel cazzo duro; lo pistono a fondo per un minuto dopo di che lascio una caviglia e gli infilo nel culo due dita della mano di fianco al mio uccello; lascio anche l'altra caviglia ed infilo anche due dita dell'altra mano nel suo retto. Gli divarico gli sfinteri mentre continuo a scoparlo; è in estasi ma anch'io, non riesco più a trattenermi e mi scarico...
Una delle solite vocine conta gli schizzi: "uno, due, tre, sì... riempi le budella a questo culo rotto". Ma io mormoro: - Ti voglio bene Jan... E' un sussurro... chissà se l'ha sentito mentre si sta masturbando. Fa un mare di sborra che io copro con la sua stessa maglietta che si appiccica. Estraggo l'uccello, gli infilo slip e calzoni del pigiama e glieli tiro fino in vita. Mi agevola e io rientro sotto il piumino mentre gli dico di dormire stretto a me. Due minuti dopo ha già il respiro pesante. Io resto in dormiveglia tutta la notte e di nuovo penso a quella che sarebbe una nostra ipotetica convivenza. Le voci ricominciano nella mia testa ma il sonno le silenzia. Mi sveglio che albeggia.
- Jan svegliati che devi tornare nel tuo letto...
Mugola qualcosa di incomprensibile, allora scendo lo prendo in braccio e lo porto in camera sua. Mugola di nuovo e si mette sotto le lenzuola. Torno in camera a prendere le sue ciabatte e gliele porto. Già dorme beatamente. "Che dio ti benedica" mi viene da pensare e mi siedo ai suoi piedi e un po' gli parlo, un po' continuo il discorso in silenzio:
- Ti lascio alla tua vita Jan. Comprendo quello che sarà il tuo dolore e la tua rabbia quando ti sveglierai. Non c'è di peggio di una fiducia mal riposta, calpestata, delusa. Forse anche tu, nell'inconscio avevi immaginato di percorrere un strada insieme giorno dopo giorno magari fino a una vecchiaia serena e tutto viene annientato da una realtà lontana dai tuoi sogni - “Ma l'episodio che c'è stato tra noi di cui non rinnego niente è stato bellissimo e merita sincerità. Non faccio per te e anche tu l'hai sempre saputo senza dirtelo. A te serve chi ti voglia bene, ti stia vicino e ti dica con amore quello che ti piace sentire dire. Con me non funzionerebbe perché non so amare. Cose per te profonde, care, tutte tue, per me sarebbero stronzate stroboscopiche, finirei per mandarti a fanculo ogni giorno. La nostra relazione ne risentirebbe e diverrebbe un inferno. Dovresti cercare uno che ti sia simile e dimenticarmi. Continuerò da solo nel mondo e in qualche modo ce la farò...”
Mi tolgo l'orologio, scrivo poche righe su un foglietto di un notes che c'è sul comodino, lo strappo, lo poso e ci appoggio sopra l'orologio. Gli faccio una lieve carezza e mi allontano velocemente.
Sto infilandomi a tracolla una delle tre valigie quando l'altoparlante dà la sveglia e passa davanti alla porta il mio collega che si ferma un attimo:
- Hai proprio fretta di scappare eh? Non vieni a fare colazione?
- No. voglio essere a Volendam presto... - dico un po' infastidito mentre scopro completamente il letto, apro i vetri, afferro la altre due valigie e cerco di uscire dalla stanza. Ma quello pare non aver capito che ho fretta e non si sposta:
- Ma che ci vai a fare a Volendam?
- A prendere il traghetto per Marken... torno a casa... e forse stavolta ci resto...
Infilo le valigie nella luce della porta obbligando il collega a spostarsi: - Ciao e buon lavoro.
- Buon viaggio. Ciao...
Scendo letteralmente di corsa. La portineria è chiusa. Busso alla finestrella freneticamente. Il portiere compare con una tazza fumante in mano:
- E' domenica, si apre alle 9 e mezza.
- Devo prendere un treno, mi apra solo il cancelletto...
Lo fa brontolando e io mi fiondo fuori dirigendomi alla fermata della metro. Getto uno sguardo in alto all'angolo dei dormitori e immagino Jan che si alza e mi cerca. Sto male. Non riesco a non pensare a cosa starà facendo e pensando... “Maledizione Jan... esci dalla mia testa...”
Ma già so che ci vorrà molto tempo...
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