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Fantasy 3 - Un Neanderthal


di jacdap
12.05.2025    |    7    |    0 8.0
"Incastrato in un monotono desiderare, mi rimaneva solo la volontà di trasmettere prima o poi la mia conoscenza a qualcuno..."
Il mio nome è Agatino e sono un paleontologo.
Con questo nome già da bambino suscitavo negli altri ilarità e ciò mi induceva a starmene per i fatti miei evitando gli altri e diventando così quel misantropo che sono: uno che sta bene solo con se stesso e che si è scelto una professione che lo porta a lavorare, spesso da solo, in posti sperduti con la tendenza a chiudersi in se stesso e a mettersi pure a parlare con i fossili e i reperti.
Sono bravo e apprezzato nel mio lavoro tanto che, in passato, sono stato tentato dal diventare celebre; ma questo significava dover rinunciare al mio beato isolazionismo, arrabattarmi per affermare le mie convinzioni, spesso prese per fantasie non comprovabili, e a mettere in piazza certe mie particolari segrete abitudini che consistevano nel consumare, ad esempio, piccole quantità di peyote che mi liberavano la mente permettendomi, dal mio punto di vista, di "comunicare" coi fossili e in particolare con le ossa. Così non ho detto niente e ho continuato le mie ricerche mescaliniche che mi inducevano una specie di trance e le finalizzavo alla mia sola personale conoscenza.
Incoraggiato dai risultati, ho migliorato le mie esperienze mentali e sono arrivato, partendo da un reperto fossile, a ricostruirne mentalmente l'antico possessore e perfino a percepirne le sensazioni. Mi si potrebbe definire una specie di stampante mentale 3D.
Grande è stata la mia emozione quando lisciando il femore di un Neanderthal ho sentito delle vibrazioni particolari e, chiudendo gli occhi, quasi fossi stato un medium, ho percepito quasi una materializzazione del suo spirito e la sua intenzione di comunicare con me. Ho attuato un training autogeno, mi sono rilassato e l'ho lasciato parlare.
Non sapevo se avrei potuto solamente ascoltare o se sarei riuscito a interagire in qualche modo e a porre domande. Chissà forse sarei riuscito a svelare, almeno a me stesso, il mistero della scomparsa di questa specie umana...

Salve amico Sapiens. Sono millenni che aspettavo questo momento per contattare uno di voi e temevo di non fare in tempo prima della vostra estinzione. Già, perché non ve ne rendete conto, ma la strada della vostra inevitabile estinzione, come quella di pressoché tutte le specie animali e vegetali, è già tracciata.
Sono vissuto circa 22 mila (dei vostri) anni fa ma non sono mai completamente morto. Ero un uomo importante, l'uomo della medicina e della magia. Avevo appreso le arti magiche da mio padre che le aveva apprese da mio nonno e così fino dagli inizi dei tempi. Sapevo parlare coi morti richiamandoli dal loro sonno.
Ma di fronte alla propria morte la conoscenza dei riti magici serviva a poco e tuttavia, già in vista delle sponde rocciose dell'inferno, la volontà di conoscere e di trasmettere poi a qualcuno la mia conoscenza, mi spingeva a richiamare me stesso alla vita.
Era rischioso perché le anime non amano essere dirottate quando percorrono la strada per l'infinito e si rifiutano di riprendere i loro corpi e per di più mi rimanevano pochi aneliti di vita. Ma non avevo niente da perdere per cui, invocando la madre delle tenebre, ripetei più volte il salmo dei morti implorando che la mia anima invertisse la sua spirale ascendente e tornasse nel suo corpo.
E l'anima che saliva leggera nelle strade fatte di inconsistenza venne fermata dalle mie stesse ultime parole, le entità incorporee che la componevano si mischiarono disordinatamente tra loro producendo un piccolo caos il quel mondo di perfezione. Lo spirito si appesantì e rientrò nel corridoio che separa la morte dalla vita portato a caso dal flusso di altri spiriti che salivano. Non ero più morto, ma neppure vivo. Incastrato in un monotono desiderare, mi rimaneva solo la volontà di trasmettere prima o poi la mia conoscenza a qualcuno.
E finalmente eccoti qua.
So che in questo momento mi puoi vedere e di certo mi stai valutando sul piano estetico. Noto che non pensavi che io fossi di carnagione chiara e coi capelli rossi mentre sapevi che ero piccolo (sono circa un metro e 65), però ti piace il mio essere perfettamente eretto e muscolarmente molto robusto.
Non ti piacciono molto le mie arcate sopraccigliari sporgenti e il mento pronunciato e pensavi che avessi un cervello più piccolo. Ti stai meravigliando di vedermi con un flauto ricavato da un femore d'orso in cui ho praticato dei buchi come pure non pensavi che già mi cimentassi nell'arte figurativa e che sapessi usare la pece di betulla come collante. Insomma mi facevi più primitivo.
E adesso mi stai guardando il corno cavo con due forellini tra i quali passa una liana attorcigliata legata dietro la schiena sopra le chiappe che mi copre e sorregge l'uccello. Noto che non immaginavi che fossimo in grado di fare nodi e forse ti chiedi come avevo il cazzo.
Te lo dico io: un cazzo normale non tanto grosso. E ora mi stai guardando il culo: un poco abbondante, vero? però non male le chiappe eh? muscolose, definite, separate e naturalmente alte.
Dai, sapiens postumo... confessa che potrei anche piacerti tutto sommato, magari girato di schiena... Ma la madre di tutte le domande che mi vuoi fare è quella che vi fate da secoli: come mai ci siamo estinti?
Avete fatto migliaia di supposizioni ma alla verità non ci avete mai pensato perché è la più banale a cui potevate pensare: semplicemente abbiamo progressivamente smesso di riprodurci perché non ci piaceva più scopare. O per lo meno, non ci piaceva più scopare le femmine e la colpa, in un certo senso, è vostra.
Ti meraviglia? Ora ti dico cosa è successo a me e più o meno deve essere stato lo stesso per tutti gli altri. Certo ogni tanto le nostre femmine le scopavamo ancora; le vostre no perché ci schifavano e voi ci catturavate e ci umiliavate inchiappettandoci. Ma a lungo andare la nostra progenie si riduceva sempre di numero. D'altra parte le nostre femmine ben presto iniziarono a preferire voi a noi, ma in questo caso, se pure ce le scopavate, preferivate i nostri culi muscolosi.
Vi piaceva metterci a pecora, prenderci per i fianchi e stantuffarcelo dentro. Chissà, forse per voi era una cosa diversa che vi stimolava o forse vi piaceva l'idea di godere dentro le nostre chiappe sode e sporgenti mentre le vostre erano secche e abbastanza piatte. È evidente che in fondo la cosa anche a noi non dispiacesse, tanto che entrammo addirittura in competizione con le nostre femmine che non scopavamo quasi più.
La prima volta che mi imbattei in un sapiens stavo cercando con scarso successo di catturare dei pesci. Usavo una pertica dritta e ben appuntita, l'acqua era pulita e i pesci neppure troppo vivaci. Eppure li sbagliavo. Silenziosissimo, da dietro la mie spalle, più alto di me di un braccio, si materializzò un soggetto dalla faccia parzialmente dipinta che, con sicurezza e con una pertica simile alla mia infilò un pesce e me lo offerse guardandomi fisso negli occhi. Alto era, e bello e di gentile aspetto... non accennava a sorridere, ma lo sguardo era eloquente: aveva catturato il pesce per me. Lo afferrai sorridendogli e lo lanciai a riva accingendomi subito a cercare di infilzarne un altro. Ma non era facile; almeno non per me. Mi accorsi che mi guardava, forse studiandomi, e allora allargai le braccia come per dire: non riesco a prenderli...
Si avvicinò lentamente e additò un grosso pesce davanti a me. Alzò il braccio che impugnava la canna appuntita e la scagliò; si piantò sibilando nel fondo sabbioso più vicino a me di quanto non fosse il pesce. Stavo mettendomi a ridere per il suo insuccesso ma la risata mi si spense in gola: venne vicino a me e staccò dal fondo la sua canna che portava il pesce infilzato. Il mio stupore lo indusse a un accenno di sorriso mentre mi dava il pesce che io lanciai sulla riva vicino al precedente.
Lo ringraziavo ma lui non capiva e non parlava affatto. A gesti gli feci capire che gli ero molto riconoscente e allora lui si avvicinò additando un altro pesce, indicando la canna e facendo no al gesto di lanciarla. Poi avvicinò le mani di 20 cm e le avvicinò ai nostri corpi. Sentivo il suo calore e anche il suo fiato quando mi mise una mano sul fianco stringendomi un poco a sé. Rapidamente scagliò la lancia 20 cm prima di dove io vedevo il pesce e lo infilzò. Nell'acqua le distanze ci appaiono diverse da come sono.
Voi la chiamate rifrazione; io non avevo idea della sua esistenza e neppure lui, ma l'intelligenza glielo aveva fatto memorizzare dopo il primo evento casuale. Colla canna e il pesce infilato in una mano e l'altra sul mio fianco si diresse verso riva. Io provavo una strana sensazione di piacere a quel contatto. Mi affascinava la sua altezza, il suo essere longilineo e quella faccia parzialmente dipinta con quegli occhi neri penetranti...
Sulla riva presi gli altri due pesci e gliene offrii uno, ma lo riavvicinò a me e mi diede anche quello ancora infilzato. Mi additava il corno che mi copriva l'uccello; lui aveva una pelle di lepre che, in vita, passava davanti e dietro su un cordone circolare di foglie attorcigliate. Io sorrisi e me lo tolsi. Lui fece lo stesso liberando un cazzo che era almeno una volta e mezzo il mio.
- Caspita per te ci vorrebbe il corno di un bufalo - dissi e così dicendo glielo strinsi in mano. Era morbido e caldo e si induriva man mano che glielo stringicchiavo. A dire il vero anche il mio cominciava ad indurirsi...
Provai a guardarlo fisso negli occhi per cogliere qualche sfumatura che mi facesse capire cosa stava pensando, ma non riuscivo a sostenere il suo sguardo che pareva scavarmi dentro. Ora mi additava un fianco. Non capivo e feci un quarto di giro. lui mi afferrò con forza la parte bassa di un gluteo e lo strizzò. Poi mi si mise dietro ed afferrò anche l'altra chiappa pastrugnandola come io avevo fatto prima col suo uccello. Me le strapazzava e cercava il buco in mezzo. Lo trovò, infilò un dito, lo estrasse, lo annusò poi se lo mise in bocca. Io mi misi a ridere e additai il suo uccello che ormai era duro.
- Uh uh - grufolò. Era il primo suono che emetteva. Stavo per dire qualcosa ma non ne ebbi il tempo perché mi posò una mano sul collo e spinse giù con forza mentre si inginocchiava a mordermi le chiappe e poi a leccarmi il culo grufolando.
Fu una lama che mi entrava nella carne il suo cazzone che mi sventrava da dietro. Emisi un urlo che lui subito tappò con la mano esercitando pure una certa pressione. Il suo bastone intanto mi fotteva incurante dei miei lamenti. Improvvisamente lo tolse e di nuovo mi strizzava le chiappe, mi diede anche un paio di sculacciate e nuovamente si abbassò a leccare mordendo il bordo del buco. Questa pratica mi faceva illanguidire e iniziavo a mugolare di piacere. Ma di nuovo, rudemente, mi abbassò la testa, mi afferrò saldamente i fianchi e di nuovo introdusse il suo randello nel mio culo. Sentii di nuovo male ma meno di prima e presto iniziai a sentire piacere; non capivo come e perché ma godevo davanti ed avevo anch'io l'uccello pressoché duro. Mi prese poi ai lati del collo stringendo piuttosto forte sulle spalle e aumentò la spinta del cazzo mentre i suoi coglioni battevano sulle mie chiappe. Io non capivo più niente e mi pareva quasi di desiderarne di più. Quando si svuotò nel mio intestino fu un momento di autentica estasi e quando poi si tolse da me, sentii un fastidioso senso di fresco e lo avrei voluto avere dentro ancora...
Si coprì il davanti colla sua pelle facendola passare sotto il cordolo che aveva in vita e lasciandola pendere sul davanti, mi guardò in un modo strano e se ne andò.
Mi ricomposi e mi avviai verso il piccolo accampamento dei miei simili, sempre ripensando all'accaduto ed il giorno dopo tornai alla palude e lo stesso feci il giorno dopo ancora. Volevo rivederlo, toccarlo ancora, e sì... anche essere di nuovo posseduto.

Lo rividi in un altro punto della selva qualche tempo dopo. Erano in tre ed andavano a caccia. Mi trovarono gli altri due e si misero ad agitarsi facendo urla scomposte. Lui venne e li zittì mostrando loro i denti e muovendo a scatti il capo in su e in giù, grugnì qualcosa e mi spinse avanti mentre gli altri due rimasero a una certa distanza.
Giunti che fummo in una radura, di nuovo mi additò il corno che io tolsi e subito mi prese per il collo spingendolo in basso verso i miei piedi. Si inginocchiò e cominciò a lapparmi il culo; inserì due dita per mano per dilatarmi il buco e, allargandomelo, ci giocava soffiandoci dentro. L'introduzione del suo cazzo fu a dir poco brutale, ma mi stringeva in vita, mi abbracciava davanti e la cosa mi piaceva oltremodo tanto che in breve al dolore non facevo più caso. Punzonò a fondo per qualche minuto e si scaricò ululando. Mi tenne stretto qualche istante a sé alitandomi sul collo, poi uscì. Si voltò verso gli altri due che avevano assistito alla scena e li rincorse urlando ed agitando un bastone. Avendoli messi in fuga, si girò verso di me con uno sguardo intenso e se ne andò da dove era venuto. Quando poi a sera tornai all'accampamento seppi che gli altri due erano passati di lì suscitando curiosità e ammirazione finché, all'improvviso, minacciando donne e bambini con le lance obbligarono due giovani uomini a seguirli e con loro ripeterono quanto avevano visto fare su di me, ma con un po' più di violenza, documentata dalle varie ferite che, come uomo della medicina, curai alla meglio. Chiesi se avevano loro fatto molto male e la risposta fu positiva, ma un dolore a cui ci si abitua in fretta, dissero.
Tutto questo, mio amico postumo, è stato agli albori della nostra coesistenza su questo pianeta. Ci sono state indubbiamente situazioni diverse da questa che ti ho raccontato, ma il succo è che alla fine noi comunque non scopavamo più passere e ci piaceva l'uccello.
Ed ora sento che i nostri due spiriti si stanno rapidamente allontanando... sono lieto d'aver interagito con te... non so se riusciremo ancora a trovare un contatto... di certo mi resta la soddisfazione dopo tanti millenni d'essermi rivelato a un mio postero e a te, mi piace immaginare, quella di essere uno dei pochi a conoscere la verità su di noi. Buona vita, Sapiens, almeno finché ti sarà possibile.

Dissolvenza? Non proprio... piuttosto un lontano sibilo, come un fischio sommesso e un vago ondeggiare di spire arancione scuro, poi brusii e un senso di nausea.
Penso : "Caspita, mi sa che ho esagerato col peyote... ma dunque cogito ergo sum... era un sogno o era vero? E se era un sogno era un sogno vero o un sogno che la mia mente ha costruito nel sonno? Ma era poi sonno vero o solo trance per cui in realtà ero sveglio... Occazzo, 'sti massimi sistemi... devo svegliarmi... se non la smetto con questa mescalina qualche volta ci lascio le penne..."
Ma le palpebre non ne vogliono sapere di aprirsi e allora mi rassegno: "Dormiamo un poco..., ma perché il plurale? Io e chi? In un grigio aranciato che tende a uniformarsi vedo un tizio in camicione bianco... ma è sempre lui... È diverso ma è uguale, anzi forse pure più attraente o forse sono io che non faccio caso alla sua faccia diversa dai canoni a cui sono abituato.
Lo focalizzo e tento di parlargli ma non ci riesco e vedo che il camicione in realtà è azzurrino e legato dietro al collo con tutta la schiena e il culo nudi, come i camici che si indossano quando si deve subire un intervento. Lo guardo, mi guarda. Sorrido, sorride. Gli prendo l'uccello da sopra il tessuto e con l'altra mano vado dietro e gli percorro lo spacco del culo. È solido... è vivo... è caldo... Lo giro su se stesso, gli divarico le chiappe, mi abbasso e ci fiondo la lingua...
"Non può essere che io stia limonando, pur virtualmente, con un uomo di 30 mila anni fa..."
Ma lui spinge il culo contro la mia faccia e io lo scopo con la lingua mentre con la mano gli sego il cazzo sotto il camicione. Mi alzo e appoggio il cazzo al suo buco, faccio per spingere ma lui mi anticipa con un colpo all'indietro e se lo autoinfila. Gli afferro i fianchi e lo monto all'impiedi. La scopata è sopraffina... il mio uccello scivola in un contesto che mi riempie di endorfine. Lui viene nella mia mano e allora io aumento la frequenza delle bordate finché lo farcisco e resto stretto a lui ansante e ad occhi chiusi. 
"Ecco... ora aprirò gli occhi e tu non ci sarai... oppure ci sarai ma chissà chi sarai..."
Sento una voce dentro la mia testa e vedo lui vestito come noi moderni che dice:
- Non hai bisogno né di svegliarti né di aprire gli occhi. Se questo è un sogno ti sta comunicando qualcosa che non vuoi dire completamente a te stesso.
- Come sarebbe a dire "se" questo è un sogno?... O lo è o non lo è.
- I sogni possono permettere alle parti represse della mente di essere soddisfatte attraverso la fantasia. I sogni lasciano esprimere alla mente sensazioni che sarebbero normalmente soppresse da svegli, ripristinando così una certa armonia. A volte capita di acquisire consapevolezza del fatto di trovarsi in un sogno. Essendo coscienti del fatto che tutto l'ambiente è una creazione della nostra mente, è possibile manipolare a piacimento gli oggetti e gli eventi del sogno. Ora, tu nel sogno (se pur lo è) mi hai inculato, questo cosa ti dice?
- Vuoi dire che sarei un "sognatore lucido"? Un onironauta?
- Hai la capacità di renderti conto di trovarti in un sogno? Allora è chiaro che lo sei. I sogni lucidi sono un fenomeno affascinante in cui il soggetto diventa consapevole di trovarsi all'interno di un sogno e può persino esercitare un certo grado di controllo su di esso. Ma forse nel tuo caso c'è anche altro...
- Mi stai un po' spaventando...
- Durante il tuo sogno lucido, sei in grado di riconoscere l'irrealtà dell'esperienza onirica? Sei in grado di prendere decisioni consapevoli? Di manipolare l'ambiente del sogno? Di interagire?
- Ma... credo di sì...
- Durante la notte il cervello utilizza i sogni per rimettere in ordine tutte le informazioni e gli stimoli assorbiti durante le esperienze diurne. I sogni, quindi, possono avvicinarci a una maggiore conoscenza di noi stessi e del nostro modo di rapportarci agli altri. Il contenuto dei sogni è strettamente legato alle esperienze reali, recenti e passate, e alla personale sfera affettiva ed emotiva. Avvenimenti, problemi, preoccupazioni, paure, ansie, stati d’animo che durante la veglia vengono tenuti sotto controllo e dai quali spesso non ci si riesce a liberare, riaffiorano inaspettatamente nel sonno facendo sembrare il sogno un'estensione della vita reale e dicono quello che sei o vorresti essere.
- Quindi dici che: ti ho inculato ergo sono frocio?
- Lo sapevi benissimo... ma solo nel sogno puoi/vuoi ammetterlo. Ma, ripeto, forse non è proprio un sogno, sei "fatto" quindi un po' in trance, ma sei sveglio... Esistono alcuni metodi per distinguere sogno e realtà, soprattutto per chi fa sogni lucidi, per verificare se si sta sognando. Per esempio controlla l'ora: nei sogni i numeri cambiano in modo causale. È il tuo caso?
- Veramente no...
- Trova un interruttore della luce nel tuo sogno. Nei sogni in genere non funzionano correttamente. Prova...
- Ff-funzionano...
- Leggi un testo: le parole appaiono sfocate o cambiano se distogli lo sguardo? 
- Nn-no...
- Datti una risposta.
- Ma dunque si può sapere chi sei che hai già cambiato aspetto tre volte...??
- Ma ovviamente te stesso.
- E come farei a sapere le cose di 30mila anni fa?
- È quello che ti piace pensare della cosa.
- Il mistero della scomparsa dei Neanderthal dunque resta un mistero?
- Mi pare ovvio; come pure è chiaro che sei gay ma, misantropo come sei, puoi amare solo te stesso anzi ormai è inutile continuare questo dialogo. Apri gli occhi.
- No. Non voglio.
- Hai paura di ritrovarti solo?
- Ss-sì.
- Avrai altri sogni, forse anche senza peyote... La vita non è semplice e sceglie per te, ma la si può aiutare a scegliere quello che ti piace..... Ciao Tino, comincia a chiamarti col diminutivo...


“We are such stuff as dreams are made on, and our little life is rounded with a sleep” (Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo di un sogno è raccolta la nostra breve vita)
[ William Shakespeare  -  La tempesta atto IV scena I ]



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