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Gay & Bisex

Sotto il sole di giugno “Dopo l’alba”


di Giun
20.06.2025    |    1.202    |    14 9.4
"Si voltò verso Simon e gli sfiorò una guancia..."
Il sole stava sorgendo, tingendo il cielo di una luce tenue, dorata, come se volesse accarezzare quel piccolo angolo nascosto dove due anime si erano trovate. Simon e Luke erano ancora lì, nudi sotto la brezza mattutina, coperti solo dai resti della notte e dalla forza silenziosa che li aveva uniti.

Simon non dormiva. Osservava il volto di Luke, rilassato, quasi sereno, come se per la prima volta da molto tempo avesse trovato pace. E in quel momento capì una cosa: quella notte non era stata solo il loro primo contatto fisico, era stata la nascita di qualcosa.

Luke aprì gli occhi lentamente. Si voltò verso Simon e gli sfiorò una guancia. «Non te ne andare subito, ok?»

Simon annuì. Ma il nodo alla gola non se ne andava.

Si vestirono in silenzio, con gesti lenti, rispettosi. Camminarono lungo la spiaggia, uno accanto all’altro, senza toccarsi, come se volessero custodire il segreto di quella notte ancora un po’. Al chiosco, prima di separarsi, Luke gli prese la mano. Solo un istante. Ma fu abbastanza.

I giorni che seguirono non furono facili.

Simon cercava Luke ogni pomeriggio. A volte lo trovava, a volte no. Quando c’era, parlavano di tutto e di niente: dei libri letti a metà, dei film preferiti, del primo bacio, delle paure. Luke si apriva a poco a poco, come una finestra spalancata dopo anni di silenzio.

Una sera, sotto un cielo coperto di nuvole, Simon arrivò al chiosco e Luke non c’era. Nessuna birra in mano, nessun libro tra le dita. Aspettò un’ora, poi un’altra. Nulla. Il chiosco chiuse. Il mare era grigio, inquieto.

Simon tornò la sera dopo. Ancora niente.

Il terzo giorno, Simon andò alla caletta. Il cuore gli batteva forte, come se sapesse già che qualcosa era cambiato. E lo trovò lì.
Luke, seduto sulla sabbia, le ginocchia strette al petto, lo sguardo perso sull’orizzonte.

Simon si avvicinò piano. «Cosa succede?»

Luke sollevò gli occhi. Erano arrossati, appesantiti da notti insonni e pensieri irrisolti.

«Mi ha scritto la mia ex moglie,» disse piano. Con voce rotta, come se pronunciare quelle parole gli costasse fatica. «Ci sono cose che devo chiarire… questioni in sospeso. Non con lei, ma con quella parte di me che ho lasciato irrisolta.»

Simon rimase in silenzio. Non fece domande, non cercò risposte. Si sedette accanto a lui e gli prese la mano.

Luke la strinse forte. Poi abbassò lo sguardo. «Scusa… non voglio ferirti. Ma non posso restare, non adesso. Se non metto ordine in quello che mi porto dietro, non sarò mai davvero libero. Nemmeno per te.»

Simon sentì qualcosa dentro spezzarsi in silenzio. Non era un crollo fragoroso, ma uno slittamento, come se l’equilibrio sottile che lo teneva in piedi si fosse spostato appena, quel tanto che basta a far vacillare ogni certezza.

Ma non si tirò indietro. Rimase lì, accanto a lui.
Perché a volte, voler bene significa anche lasciare andare senza smettere di restare.

Quella sera non si baciarono. Non si toccarono. Ma fu la notte più intima di tutte.

Seduti vicini sulla sabbia fredda, il mare che respirava piano davanti a loro, non dissero quasi nulla. Solo il suono delle onde, lontano, costante, a fare da ponte tra due silenzi diversi. Luke guardava l’orizzonte, gli occhi pieni di cose che non sapeva come dire. Simon, invece, lo guardava a intermittenza, come se stesse imparando a leggerlo in un nuovo linguaggio: quello delle spalle curve, delle mani che stringono troppo forte le ginocchia, dei respiri trattenuti.

Il cielo era scuro, senza stelle, ma non sembrava triste. Solo quieto. Come loro.

A un certo punto, Luke si sdraiò sulla sabbia e Simon lo seguì. Rimasero lì, fianco a fianco, le teste vicine, le braccia quasi a sfiorarsi. La distanza tra i loro corpi era minuscola, ma carica di significato. Una distanza che non era rifiuto, ma attesa. Un modo per dire: sono qui, anche se non so come stare.

Simon si voltò a guardarlo nel buio. «Hai paura?»

Luke fece un mezzo sorriso, stanco. «Più di quanto avrei mai immaginato.»

«Anch’io,» sussurrò Simon.

E quella condivisione muta della paura, della fragilità, fu più vera di qualunque abbraccio. Le parole smettevano di servire, perché c’era un’intimità che si costruiva nel silenzio, nel semplice restare.

Simon si addormentò per primo, il capo appena inclinato verso Luke. E Luke lo guardò a lungo. Non lo svegliò. Non si mosse. Solo allungò piano una mano, sfiorandogli appena le dita. Un contatto breve, quasi un sogno. Ma sufficiente a sentirsi meno solo.

Fu la notte più intima di tutte, perché in quella notte non cercarono di essere forti. Solo veri.

I giorni successivi furono strani, sospesi. Luke doveva partire. Tornare a casa. Sistemare tutto. Chiese a Simon di non seguirlo. «Non ora. Non così.»

Simon annuì. Ma dentro si sentiva come se stesse lasciando andare qualcosa di fondamentale.

Luke partì con una promessa sussurrata. «Torno. Lo giuro.»

L’estate finì. Simon tornò a casa, iniziò l’università. Cambiò. Crebbe. Fece coming out con i genitori. Piangevano, tutti. Ma fu un pianto liberatorio.

Ogni tanto arrivava un messaggio. Una foto. Una frase criptica. “Il mare mi manca.” “Ho sognato la tua risata.” “Mi manchi.”

Passarono sei mesi.

Poi, un giorno di gennaio, Simon uscì da una lezione e trovò Luke ad aspettarlo davanti all’università. Il viso più segnato, ma gli occhi vivi. Lo zaino in spalla. Un sorriso incerto.

Simon si bloccò. Le lacrime gli riempirono gli occhi.

Luke si avvicinò. «Ti avevo promesso che sarei tornato.»

Simon non disse niente. Lo abbracciò. Forte. Come se non volesse più lasciarlo andare.
L'aria fredda della sera avvolgeva le strade deserte, portando con sé il profumo di pioggia imminente. Simon, con il colletto del cappotto alzato e le mani affondate nelle tasche, camminava accanto a Luke, il cui silenzio era più eloquente di qualsiasi parola. L’abbraccio che si erano scambiati poco prima era ancora vivo tra loro, un’onda che vibrava sotto la superficie dei loro corpi. Non c’era bisogno di parlare. Ogni respiro, ogni passo, era un dialogo muto, carico di tutto ciò che non era stato detto nel tempo della separazione.

Luke guidava il cammino, lo zaino ancora in spalla, con l’andatura tranquilla di chi si era ritrovato nei mesi lontani, e adesso tornava sapendo chi era. Simon lo osservava di sottecchi, e fu come se ricominciasse a respirare. Ogni dettaglio — i lineamenti segnati dalla luce, i capelli lunghi scompigliati dal vento — gli restituiva una sensazione che credeva di aver perso: la certezza che qualcosa di bello potesse ancora esistere. Luke era lo stesso, ma anche diverso. Più calmo, più centrato. Come se finalmente sapesse dove stare.

Arrivarono davanti a un portone anonimo, grigio, come tanti altri in quella zona della città. Luke estrasse una chiave dalla tasca, la infilò nella serratura e la girò con un gesto lento. Simon lo seguì all’interno, sentendo il freddo esterno svanire non appena varcarono la soglia.

L’appartamento era piccolo, spoglio, ma non privo di carattere. Un divano letto occupava gran parte della stanza, accanto a una finestra dove una pianta mezza morta lottava per sopravvivere sul davanzale. Scatoloni ancora chiusi erano accatastati in un angolo, come se Luke non avesse ancora trovato il coraggio di sistemarsi del tutto. Eppure, c’era un tepore nuovo nell’aria, un’energia che parlava di possibilità.

«È qui che dormi?» chiese Simon, la voce bassa, quasi incerta.

Luke annuì, posando lo zaino a terra con un sospiro. «Per ora. Ma volevo che fossi il primo a vederlo.»

Simon si voltò verso di lui, gli occhi che lo scrutavano come se stesse cercando di decifrare un mistero. E poi sorrise. Un sorriso pieno, caldo, vulnerabile, che illuminò il suo viso come un raggio di sole dopo la tempesta. Era un sorriso che diceva: ti ho ritrovato.

Luke gli si avvicinò, lo sguardo serio, pieno di cose non dette. «Sono rimasto lontano perché avevo paura di tornare lo stesso uomo. Ma non lo sono più.»

Simon sollevò una mano, lenta, come se stesse toccando qualcosa di fragile, e gli accarezzò la guancia. La pelle di Luke era calda sotto le sue dita, ruvida per la barba di qualche giorno. «Lo so. Nemmeno io sono più lo stesso ragazzo.»

E in quel momento, non servivano altre parole.

Si baciarono. Non fu un bacio frettoloso, né appassionato in modo sconsiderato. Fu un bacio che conteneva tutto: la rabbia per il tempo perduto, la nostalgia per ciò che era stato, la speranza per ciò che poteva essere, e la paura che tutto potesse svanire di nuovo. Le labbra di Luke erano morbide, ma ferme, come se stesse cercando di trasmettere qualcosa che non poteva essere detto. Simon rispose con la stessa intensità, le mani che si posarono sul suo torace, sentendo il battito del suo cuore sotto la maglietta.

I loro corpi si cercarono piano, come se stessero imparando a conoscersi di nuovo. Le giacche caddero sul pavimento, seguite dalle sciarpe, dalle felpe, dalle magliette. Il freddo dell’inverno fuori veniva spazzato via dal calore che cresceva tra loro, come un fuoco lento, testardo, che rifiutava di spegnersi.

Simon fece scivolare le dita lungo il torace di Luke, disegnando tracce di un corpo che aveva sognato mille volte. Ogni muscolo, ogni curva, era familiare eppure nuova. Luke lo guardava negli occhi, come a chiedere: sei ancora con me?

Simon rispose con un bacio. Uno profondo, che sapeva di casa.

Si sdraiarono sul letto sfatto, ancora vestiti a metà, la pelle che si sfiorava, si riconosceva. I jeans vennero sbottonati con gesti incerti, ma pieni di desiderio. La biancheria cadde a terra come un’ultima barriera. Ora erano nudi. Non solo nei corpi, ma nell’anima.

Le mani di Luke percorrevano Simon come se volessero ricordare ogni dettaglio. Ogni curva, ogni respiro, ogni piccolo sussulto. Simon gemeva piano, il viso nascosto contro il collo di Luke, le dita intrecciate alle sue. La pelle di Luke era calda e leggermente salata, come se portasse ancora con sé il sapore del mare.

«Fammi sentire che sei davvero qui,» sussurrò Simon, la voce roca per l’emozione.

Luke lo strinse, come se volesse fondersi con lui. Si muovevano l’uno contro l’altro, lentamente, come se stessero componendo una melodia che avevano dimenticato ma che tornava, nota dopo nota, con struggente precisione. Ogni sfioramento, ogni bacio, era un pezzo di un puzzle che si ricomponeva.

Quando Luke lo penetrò, fu un atto di fiducia assoluta. Niente urgenza. Solo lentezza. Profondità. Cura. Simon lo accolse con un gemito soffocato, le gambe che si stringevano intorno a lui. E tutto il resto scomparve.
La realtà intorno a loro, i ricordi dolorosi, le paure: tutto si dissolse, uniti da una verità fatta solo di pelle, respiro e presenza

Erano lì, vicini, a impararsi di nuovo, un centimetro alla volta. Un ritorno atteso, scritto sulla pelle, rimasto sospeso fino a quel momento. Solo il bisogno di sentirsi addosso. Simon aprì gli occhi, e vide Luke sopra di lui, il viso contratto dalla passione, ma anche dalla tenerezza. I suoi occhi azzurri, intensi e penetranti, lo guardavano come se stesse cercando di leggere la sua anima.

«Ti amo,» gli sfuggì dalle labbra, un sussurro che era più un respiro che una parola.

Luke si fermò un istante, come se quelle parole lo avessero colpito più di qualsiasi altro tocco. Poi lo baciò. Forte. Senza rispondere. Ma non ce n’era bisogno: lo stava già dicendo con ogni respiro, ogni tocco, ogni movimento dentro di lui.

Vennero quasi insieme. Un’esplosione lenta, devastante. Silenziosa. Le lacrime scivolavano sulle guance di Simon senza che lui se ne accorgesse, mescolandosi al sudore che gli bagnava la pelle. Luke le baciò via, una ad una, come se stesse cancellando ogni traccia di dolore.

Restarono abbracciati. Nudi. Incollati pelle contro pelle, cuore contro cuore. Il freddo non esisteva più.

Simon tracciava cerchi con le dita sulla schiena di Luke, sentendo i muscoli tesi sotto le sue mani. «Questa volta… resta.»

Luke gli baciò la fronte, il respiro caldo sul suo viso. «Questa volta, resto finché mi vuoi.»

Simon chiuse gli occhi. E in quel momento, seppe che non avrebbe più avuto paura.

Il respiro di Luke gli accarezzava la nuca, regolare, calmo.

Poi, quasi senza muoversi, Luke sussurrò:

«Promettimi che se avrò paura… non mi lasci.»

Simon non rispose subito. Gli prese la mano, la strinse forte.

E disse solo:

«Nemmeno se lo chiedi.»
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