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incesto

Il mio segreto di figlio il matrimonio


di Giun
18.12.2024    |    2.224    |    0 9.6
"La porta si chiuse alle nostre spalle, e il mondo esterno sembrò svanire..."
La stanza era avvolta in un silenzio ovattato, interrotto solo dal ticchettio dell’orologio a muro. Mi trovavo nella suite di Notley Abbey, un luogo che avrebbe dovuto essere sinonimo di pace e felicità, ma che invece mi sembrava carico di un’ansia che non riuscivo a scacciare. Domani mi sarei sposato. Domani avrei detto “sì” a William, l’uomo che mi aveva insegnato cosa significasse amare senza riserve, senza paure. Eppure, mentre sedevo sul bordo del letto, le mani intrecciate e lo sguardo perso nel vuoto, il mio cuore era un campo di battaglia.

La mia adolescenza era stata un disastro. Non per colpa della mia famiglia, ma per la lotta interiore che affrontavo ogni giorno dopo aver scoperto di essere omosessuale. In un mondo che sembrava ancora poco pronto ad accogliere la mia verità, io stesso non sapevo come accettarla. Mi sentivo fuori posto ovunque, come se ogni gesto, ogni parola potesse tradire un segreto che non ero ancora pronto a condividere.

Eppure, in quel caos emotivo, avevo una figura che rappresentava per me un faro: mio padre.
Con lui sognavo passeggiate mano nella mano, cene a lume di candela, baci al tramonto con il suono del mare in sottofondo. Ma quei sogni erano solo fantasie, troppo lontani dalla realtà che vivevo.

Mio padre, un uomo brillante, carismatico, con un sorriso che sembrava promettere il mondo. Ma c’era qualcosa di spezzato in lui, qualcosa che risuonava con il mio dolore. Il matrimonio con mia madre, intrappolato in una vita che non gli apparteneva. Nonostante tutto, ci trovammo l’uno nell’altro un rifugio, un luogo dove potevamo essere noi stessi, anche se solo per brevi momenti.

La nostra relazione fu un susseguirsi di attimi rubati, di sguardi carichi di desiderio e parole non dette. Facevamo l’amore con una disperazione che mi lasciava svuotato, come se ogni volta fosse l’ultima. Ma non era mai abbastanza. Mio padre era emotivamente distante, incapace di dare ciò di cui avevo bisogno. Mi amava, ne ero certo, ma il suo amore era come una fiamma che bruciava senza mai riscaldare davvero.

Dopo anni di quel tormento, decisi di andarmene. Tagliai ogni legame, lasciai tutto alle spalle e mi trasferii a Londra. Volevo ricominciare, volevo credere che ci fosse qualcosa di meglio per me. E poi arrivò William. Era diverso da mio padre in tutto: gentile, presente, capace di amarmi senza riserve. Con lui, scoprii cosa significasse costruire una relazione su basi solide, senza segreti, senza paure. Dopo due anni insieme, mi chiese di sposarlo, e io accettai, convinto di aver finalmente trovato la mia pace.

Ma ora, seduto in quella stanza, il passato bussava alla mia porta. Letteralmente.

Il suono fu lieve, quasi timido, ma mi fece sobbalzare. Mi alzai, il cuore che batteva all’impazzata, e mi avvicinai alla porta. Sapevo chi era, anche prima di aprire. Quando lo vidi, il tempo sembrò fermarsi. Mio padre era lì, davanti a me, con lo stesso sguardo in cui mi perdevo, ma ora carico di un’ombra di rimpianto.

“Andrea,” disse, la voce roca, come se le parole gli costassero fatica.

Non risposi. Non ce n’era bisogno. Ci guardammo, e in quel silenzio capimmo che nulla era mai davvero finito tra noi. Il desiderio, il dolore, la malinconia: tutto era ancora lì, intatto, come una ferita mai rimarginata.

Senza una parola, lo feci entrare. La porta si chiuse alle nostre spalle, e il mondo esterno sembrò svanire. Mio padre si avvicinò, i suoi occhi fissi nei miei, e io non riuscii a resistere. Lo attirai a me, le labbra che si cercavano con una fame che non avevo più provato da anni. Il suo bacio era familiare, ma allo stesso tempo nuovo, carico di una disperazione che mi spezzò il cuore.

Lo spinsi contro il muro, le mani che esploravano il suo corpo con una urgenza che mi bruciava dentro. Mio padre gemette, afferrandomi i fianchi e attirandomi ancora più vicino. I nostri corpi si muovevano all’unisono, come se il tempo non fosse mai passato. Strappai la camicia che indossava, rivelando il torace lanoso che ricordavo così bene. Le mie labbra scesero lungo il suo collo, assaporando la pelle calda e salata, mentre le sue mani si infilavano sotto la mia maglietta, accarezzandomi con una intensità che mi fece tremare.

“Andrea,” sussurrò, il respiro affannoso, “perché mi hai lasciato andare?”

Non risposi. Non potevo. Le parole sarebbero state superflue, inadeguate a spiegare il vortice di emozioni che mi travolgeva. Invece, lo spinsi sul letto, togliendomi i vestiti con gesti frettolosi. Mio padre mi guardò, gli occhi pieni di desiderio e dolore, e si sfilò i pantaloni, rivelando il corpo che avevo amato e odiato allo stesso tempo.

Mi gettai su di lui, le labbra che si posavano ovunque, assetate di lui, di quel sapore che mi era mancato così tanto. Le sue mani mi afferrarono i capelli, guidandomi verso il suo sesso, già duro e pulsante. Lo presi in bocca, assaporandolo con lentezza, sentendo il suo gemito spezzarsi nella mia bocca. Mio padre afferrò il mio viso, costringendomi a guardarlo mentre lo succhiavo, e io vidi il riflesso del mio desiderio nei suoi occhi.

“Fammelo fare,” disse, la voce rauca, e io mi spostai, permettendogli di prendermi tra le sue labbra esperte. Mi baciò con una passione che mi fece perdere il fiato, le lingue che si intrecciavano in un ritmo antico e familiare. Le sue mani scesero lungo il mio corpo, accarezzandomi, esplorandomi, come se volesse assicurarsi che fossi ancora suo.

Quando non potei più resistere, lo spinsi dal petto e mi posizionavo sopra di lui, il suo sguardo fisso sul mio mentre mi mettevo a cavalcioni sul suo membro . Mi penetrava con un unico, lento movimento, sentendo il mio corpo accoglierlo come se non fossi mai andato via. Gemevo, le unghie che affondavano sulla sua schiena, e iniziava a muoversi, con un ritmo che era sia dolce che disperato.

Facevamo l’amore come se fosse l’ultima volta, e sapevamo che lo era. Ogni spinta, ogni bacio, ogni gemito era carico di malinconia, di rimpianto, di un amore che non poteva essere. Mio padre mi afferrò il viso, costringendomi a guardarlo, e io vidi le lacrime che gli rigavano le guance.

“Ti amo,” sussurrò, la voce spezzata.

Non risposi. Non potevo. Il mio cuore era troppo pieno, troppo spezzato. Continuava a muoversi, il mio corpo rispondere al suo, fino a quando non raggiungemmo il culmine insieme, i nostri gemiti che si fondevano in un unico suono di liberazione e dolore.

Dopo, crollammo l’uno accanto all’altro, il respiro affannoso e i corpi sudati. Mio padre mi strinse a sé, le braccia che mi avvolgevano come se volesse tenermi per sempre. Ma sapevamo entrambi che non era possibile.

“Puoi ancora scegliere,” sussurrò, la voce carica di speranza e disperazione.

Ma io sapevo che non era vero. La nostra storia era stata meravigliosa e distruttiva allo stesso tempo. Non potevo costruire il futuro sulle ceneri del passato.

La mattina seguente, mi guardai allo specchio. Il mio riflesso era stanco, ma deciso. Quando William entrò nella stanza, raggiante nel suo smoking bianco, lo guardai e ritrovai la pace. Sapevo che, nonostante tutto, stavo facendo la scelta giusta.

Durante la cerimonia, il mio cuore era un turbine di emozioni contrastanti. Ma quando il fratello di William mi chiese: “Vuoi prendere William come tuo marito?”.

Guardai William negli occhi, e non risposi
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