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Gay & Bisex

Spaccato in due - parte terza


di Roland_Ozone
23.05.2025    |    1.951    |    5 9.5
"Lui ormai era irrefrenabile, lo avevo reso di nuovo una bestia..."
Quella seconda notte a casa di Alberto era ancora carica di attese da parte di entrambi.
Ero soddisfatto per quello che già era successo. Ero altrettanto voglioso ed eccitato per quello che ancora sarebbe potuto succedere, ricordando quella prima notte, quando mi aveva spaccato in due.
La città si preparava a quietarsi, con i clacson sulla strada che diventavano sempre meno molesti e il vociare incomprensibile del condominio che finalmente si acquietava.
Alberto, dopo avermi preso in bagno, se ne stava nudo e immobile, illuminato dalle immagini silenti che provenivano dal televisore, senza che realmente ne fosse interessato. Si sosteneva puntellando il gomito al bracciolo del divano di finta pelle. Mentre la sua mano sulla guancia, magra e ben definita, copriva parte di quell’alone della folta barba che prendeva consistenza.
Sarei rimasto a guardarlo tutta la notte, era come un’opera d’arte.
Se non fosse stato che ogni tanto una vocina veniva a turbarmi chiedendomi cosa ci facessi lì io, facendomi apparire il tutto così estraneo, mi sarei goduto meglio ogni attimo di questa serata che doveva ancora decollare.
Ma ero spaccato in due, e dovevo convivere con questa condizione, l’essere audace o prudente. Mi veniva il mal di testa al solo pensiero.
Al contempo però iniziai a provare qualcosa che prima facevo fatica ad accettare. Andava oltre lo sfogo delle mie pulsioni sessuali. Mi sentivo sempre più attratto da quell’uomo, in una maniera tale che lo volevo sempre più vicino. Sempre più dentro.
Volevo subito oltrepassare quel muro che c’era tra di noi: la sua durezza e la mia insicurezza. Forse chiedevo troppo e anche troppo presto. Ero un sognatore, o un povero illuso, come qualche amico più malizioso, anni prima, mi aveva già definito.
Era il 1996 e le radio all’unisono espandevano nell’aria le note e le parole sublimi de “La Cura” di Franco Battiato ed io le raccoglievo facendole mie, sognando che ci potesse essere una persona al mondo che si prendesse cura di me, alleviando i miei dolori e accogliendo le mie paure. Una persona che mi tenesse la mia pavida mano lungo il sentiero impervio della vita.
La risposta la dovevo trovare dentro di me, facendo prevalere la mia parte più esuberante. Sentii come un impeto, dovevo prendere ciò che volevo.
Ero seduto all’altra estremità del divano, mi allungai fino a raggiungerlo e affondai il viso nei peli neri della sua coscia muscolosa.
Mi girai e ammirai quel suo cazzo a riposo a pochi centimetri da me. Ne ero ammaliato.
Lo presi in mano e iniziai a giocarci con le dita. Lo sfiorai appena, lo accarezzai. Ci familiarizzavo sempre più, come per farmelo amico e amante.
«Il bambino si sta svegliando» disse Alberto, accennando uno dei suoi pochi sorrisi. Preferii pensare che si riferisse a me e non al suo cazzo.
Poggiò una mano sul mio petto glabro e lo percosse soffermandosi sul mio capezzolo sinistro, iniziando a torturarlo, mentre il suo cazzo prendeva sempre più consistenza nella mia mano, fino a raggiungere una erezione granitica a cui contrapposi la tenerezza dei miei baci.
Allungai ulteriormente il collo e leccai i peli pubici della folta peluria scura che copriva l’ampia base dell’asta, fino a quando non potei fare a meno di portarmelo alla bocca.
Sentivo il sapore della sua eccitazione sulla punta della lingua. Scivolai sul pavimento e mi ritrovai inginocchiato davanti a lui. A ogni affondo il mio naso si perdeva nel cespuglio dei suoi peli pubici, inebriandomi dell’odore intenso che emanavano.
Mentre la sua cappella come un ariete espugnava la mia gola limitandomi la respirazione e procurandomi conati che dovevo gestire.
Alberto pose l’altra mano sulla mia testa per agevolarmi i movimenti e allargò le gambe per prepararsi a scoparmi la bocca con maggiore intensità. Non mi rimase altro da fare che accoglierlo.
Più volte dovetti fermarmi perché soffocavo, vomitando l’anima a ogni conato. Continuavo a infradiciare i suoi grossi testicoli con la mia saliva.
Non avevo altra scelta. Così attendendo che la sua foga si fosse esaurita sopportando fino allo sfinimento.
Insistevo, così, a leccare la sua cappella a punta di freccia e ad aspirare in più possibile con tutta la forza che avevo nei polmoni.
Lui ormai era irrefrenabile, lo avevo reso di nuovo una bestia. Mi fu subito addosso, sul pavimento davanti al televisore. Allargò le mie gambe, affondò il naso tra le mie natiche ed entrò con la lingua nel mio orifizio anale. Ero in estasi.
Si arrampicò sulle mie spalle con una mano, mentre con l’altra puntò il suo cazzo e mi affondò dentro. Non badai per niente a quella solita fitta di dolore che si percepisce quando si viene penetrati. Lo accolsi e spinsi verso di lui, allargandomi. Sapevo ormai che dopo mi attendeva l’estremo piacere.
Iniziai ad assaporare la goduria di avere un cazzo che mi scavava dentro, dell’essere montato, da un uomo: il mio uomo.
Le intense contrazioni muscolari erano sempre più frequenti e coinvolgevano i miei muscoli pelvici e sfinterici. In testa percepivo una sensazione di beatitudine e la voglia di averlo sempre più dentro. Era come se toccassi il cielo con un dito. Qualcosa di indescrivibile e meraviglioso.
Il cuore mi cavalcava in gola e il calore che emanava il mio corpo poteva riscaldare l’intero condominio. Preso da una forza che non credevo di avere, mi sollevai con lui sopra mentre mi stava ancora dentro. Mi rigirai e gli fui sopra. Era tutto un altro spettacolo vederlo dall’alto.
Lui rimase attonito dal mio gesto. Ora mi guardava dal basso con occhi sorpresi mentre io andavo su e giù dal suo cazzo aiutandomi con le gambe.
Ero io che guidavo la musica e le davo il mio ritmo.
Guardavo i suoi stupendi occhi grigi che brillavano alla luce del televisore, quel petto straordinariamente villoso e le sue possenti braccia e le sue mani grandi che cingevano i miei fianchi.
Era il delirio. Era qualcosa di mai provato prima. Andai fino in fondo, tanto da sentirlo in pancia, non curante dei limiti e del dolore. Quasi a volere dentro anche i suoi coglioni.
I nostri corpi si esprimevano solo in quel modo. Sentii che Alberto era in perfetta armonia con me in quell’istante, perché non c’era bisogno di parole per comunicare. Ora i nostri ruoli si erano invertiti, ora era il mio turno di esprimere me stesso e le mie voglie e accogliere le sue.
C’era parità e c’era equilibrio.
Se fino a quel momento avevo ascoltato e interpretato ogni sua singola spinta pelvica, ogni suo affondo, ogni cambio di ritmo e gemito, come ogni sua sborrata, ora ero io a fargli sentire me stesso, a prendere ciò che si vuole dall’altro. Fu piena partecipazione.
Di lì a poco avvertii una sensazione nuova, come se stessi eiaculando però non dal pene ma dalle viscere.
Qualche anno dopo avrei saputo che si trattava di orgasmo anale.
volte andai alla ricerca di quella sensazione sublime.
Con Alberto ci riuscii anche altre volte.
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