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Prime Esperienze

“Chiudi la porta, e togliti la cravatta”


di Membro VIP di Annunci69.it BUONANOTTE
29.05.2025    |    438    |    0 5.0
"Era troppo intelligente per farlo subito..."
A volte, quando resto sola nello studio dopo le 20, mi tolgo le scarpe, accendo una lampada soffusa e mi verso un dito di whiskey. Guardo fuori, verso il tribunale deserto, ma dentro la mia mente… sono ancora lì. A quel pomeriggio. A quell’istante in cui la mia autorità, il mio controllo, hanno iniziato a sgretolarsi, centimetro dopo centimetro.
Jessica Marini. 39 anni, avvocata penalista. Vincente, temuta, perfettamente consapevole del potere che esercito, dentro e fuori l’aula. Sono fatta così: corpo scolpito da anni di allenamenti, curve vive, spalle dritte, gambe lunghe e toniche, e un culo che mi vale più sguardi di una ringa ben costruita. Lo so, e lo uso.
Quel giorno indossavo un tailleur nero a doppio petto, la giacca lasciata semiaperta a mostrare una camicia in chiffon trasparente sotto cui avevo scelto, non per caso, un reggiseno nero in pizzo francese, morbido, senza coppe. I capezzoli si intuivano appena sotto il tessuto, piccoli, duri. Sapevo che si sarebbero notati, ed era esattamente quello che volevo.
Sotto, culotte abbinate. Pizzo. Aderenti al punto da lasciare l’impronta sulla pelle. Tacchi a spillo, 10 centimetri, smalto scuro. Un profumo al muschio bianco, appena percettibile. Ero pronta per una riunione. Ma non quella.
Matteo entrò senza bussare. Camicia bianca arrotolata agli avambracci, lo sguardo un po’ sfidante. Giovane, brillante, con quella sicurezza inconsapevole che a volte hanno gli uomini che ancora non sanno quanto possono far impazzire una donna più grande.
«Hai due minuti per il caso Della Valle?» chiese, ma non guardava le carte.
«Chiudi la porta.»
La mia voce era già un segnale.
Lo fece. Lentamente.
Mi alzai dalla poltrona, mi avvicinai a lui con passi lenti, decisi. Le luci basse disegnavano le mie gambe come lame lucide sotto la gonna a tubino. Mi fermai a pochi centimetri dal suo petto. Lo guardai negli occhi. «Togliti la cravatta.»
Non disse nulla. Ma obbedì.
La presi dalle sue mani e la lasciai cadere sul tappeto. Poi portai le sue dita al bottone più alto della mia camicia. «Aprilo tu.»
Lo fece. Una, due, tre asole. Il pizzo nero iniziò a mostrarsi, insieme al mio respiro accelerato. Le sue mani erano tiepide, leggermente tremanti, ma attente. La mia pelle rispondeva a ogni sfioramento come se l’attendesse da settimane.
Mi voltai, mi sedetti sulla scrivania, le gambe accavallate lentamente, e tirai su appena la gonna, lasciando intravedere l’attaccatura delle calze autoreggenti.
«Sai cos’è il desiderio, Matteo? È quando ti si tende il corpo e ti si svuota la testa. Quando ogni fibra di te vuole solo scivolare dentro qualcosa che non puoi nominare ad alta voce.»
Lui si avvicinò, posò una mano sulla mia coscia, sopra la seta liscia. La risalii piano. Io lo guardavo, ferma, ma dentro stavo già fremendo.
Quando arrivò sotto la gonna, trovò le mie mutandine già umide. Il suo dito medio si posò sopra il pizzo, tra le labbra, e disegnò cerchi lenti. Non entrò. Non ancora. Era troppo intelligente per farlo subito.
Mi piegai in avanti, gli sussurrai all’orecchio:
«Fammi venire senza togliermi nulla. Se ci riesci, ti porto in trasferta con me a Roma la prossima settimana.»
Lo sguardo che mi lanciò allora era già sesso. Affondò di nuovo la mano sotto la mia gonna, il polso flesso in modo da tenermi premuta. Il pollice salì fino al clitoride e iniziò a premere con movimenti piccoli, esperti. Io ansimavo appena, le mani sulle sue spalle, le cosce tese come corde.
Mi venne da mordermi il labbro per non gemere. Ma poi mi lasciai andare. La prima ondata mi colse impreparata, la seconda mi fece inarcare la schiena, la terza... era già troppo tardi per controllarmi.
Venni così, con gli occhi socchiusi e il corpo che tremava sotto il pizzo bagnato, e lui che restava lì, in silenzio, con le dita ancora premute dove volevo.
Quando aprii gli occhi, avevo la voce roca. «Bravissimo. Ora esci. Ma domani alle sette del mattino ti voglio qui. Con la cravatta.»
E senza mutande.
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