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Prime Esperienze

L'Alchimista del Piacere - Capitolo 2


di RANDELLONEMAIALONE
22.04.2025    |    74    |    0 8.0
"L’alchimista la sollevò, la fece sedere sopra di sé, mentre un altro cazzo — il quinto? il settimo? aveva perso il conto — entrava nella sua bocca, accolto con una fame nuova, animalesca,..."
Il tempo nella stanza sembrava aver smesso di scorrere. La luce calda e tremolante disegnava ombre liquide sui corpi, sulle curve, sulle aperture nel legno. Irene, ancora inginocchiata, aveva il respiro corto e la bocca umida, gonfia di desiderio e vergogna. L’alchimista, alle sue spalle, la accarezzava lentamente, come un maestro che accorda lo strumento prima dell’opera.

«Non pensare. Senti,» le sussurrò all’orecchio, mentre le sue dita si muovevano tra le pieghe del suo sesso con precisione chirurgica. Lei ansimò. «Ogni volta che apri la bocca, doni te stessa. Ogni volta che godi, ti liberi.»

Un altro cazzo apparve dall’apertura centrale. Più spesso, più scuro. Irene lo guardò come si guarda una bestia sacra. La mente ancora tentennava, ma il corpo era già avanti, già pronto. Le mani tremanti si avvicinarono. Lo prese, lo sfiorò. Era caldo, teso, vivo.

«Fallo entrare,» ordinò l’alchimista. E lei obbedì.

Il secondo cazzo si insinuò tra le sue labbra con lentezza. Lei lo accolse tutto, fino al fondo, gli occhi lucidi, le guance arrossate. Dietro di lei, l’alchimista affondava con più decisione, il suo cazzo duro che la prendeva con autorità, accompagnato dalle mani che le afferravano i fianchi e le guidavano i movimenti.

Irene si sentiva come un ponte tra mondi. Una bocca che dava piacere. Una fessura che lo riceveva. Un corpo che vibrava al ritmo di spinte e gemiti, al centro di un rito oscuro e perfetto.

Poi, quando il secondo sconosciuto esplose nella sua bocca, lasciandole un fiotto caldo e salato sulla lingua, Irene non si tirò indietro. Deglutì. Tutto. L'alchimista le accarezzò i capelli. «Brava. Sei nata per questo.»

E subito un terzo cazzo prese il posto del secondo. Più giovane. Più nervoso. Irene, ormai spezzata e rinata, lo prese senza esitazione, affondandosi da sola sopra il cazzo dell’alchimista, mentre con le mani stringeva le cosce per non cedere alla vertigine.

Venne due volte. Una quando il terzo sconosciuto la scopava con la bocca aperta. Una seconda mentre l’alchimista le stuzzicava il clitoride con due dita, senza fermarsi, come se la volesse portare oltre ogni confine umano.

La parete diventò un teatro. Un susseguirsi di forme e odori, di uomini che mostravano se stessi solo in ciò che erano: erezione e desiderio. Irene li prese tutti. Ne assaporò ogni vena, ogni goccia, ogni spasmo. Ne succhiò la forza, ne accolse la debolezza.

E ogni volta l’alchimista era lì, dentro di lei, sopra di lei, sotto di lei. La possedeva e la offriva, la guidava e la lasciava libera. Il suo sguardo era fisso su di lei, come un direttore d’orchestra che conosce ogni nota della sinfonia del piacere.

A un certo punto, le gambe non la reggevano più. L’alchimista la sollevò, la fece sedere sopra di sé, mentre un altro cazzo — il quinto? il settimo? aveva perso il conto — entrava nella sua bocca, accolto con una fame nuova, animalesca, sublime.

Ogni orgasmo era più profondo del precedente. Ogni gemito più gutturale. L’odore di sperma e sudore riempiva l’aria come un incenso perverso. E l’alchimista, mai stanco, la accompagnava più in alto, più giù, più dentro.

«Chi sei adesso, Irene?» le chiese mentre lei gemeva con due cazzi dentro.

«Sono tua,» ansimò lei. «Sono loro. Sono di chiunque mi voglia.»

«No,» disse lui, e le morse il lobo. «Sei di te stessa. Finalmente.»

Quando la notte finì, Irene era stesa sul pavimento caldo, tra le gambe ancora tremanti e il sesso colmo. L’alchimista le accarezzava la fronte con le dita ancora sporche di piacere.

«Questo era solo l’inizio,» le disse.

E lei sorrise.

«Lo so.»
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