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Prime Esperienze

Marina coi tacchi


di JoeSex
21.06.2016    |    6.022    |    0 8.8
"L'auto parcheggiò a poco più di cinquanta metri da me..."
L'ultima volta che vidi Marina fu anche la prima. Seduto su un paletto in cemento, lo sguardo basso rivolto alle gambe, il tabacco in mano pronto per essere rollato in cartina. Fumo nei miei occhi, tutto intorno, e profumo di donna nell'aria. L'attesa non è mai eccitante se sai che la persona che stai aspettando non è eccitata. Per fortuna non era così. L'auto parcheggiò a poco più di cinquanta metri da me. La riconobbi subito, senza nemmeno sapere che fosse lei.
Non aprì lo sportello, mi feci avanti io con passo sicuro, digrignando i denti e rafforzando l'autostima col gusto della mia saliva. Appena il tempo di uscire ed io ero lì davanti a lei, pronto ad abbracciarla come se ci conoscessimo da una vita.
“Ciao Marina, come stai?” - le chiesi sornione
“Tutto bene grazie, e te?” - mi rispose
“Un po' affaticato dallo stress del lavoro, per il resto bene “ Allora che si fa?” - domandai
“Non lo so, non conosco questa zona, dimmi tu”
“Ok intanto andiamo, ci penso un attimo. C'è un bar tranquillo in centro”
Un ricordo o un dejavù, un'impressione buona, una sensazione a pelle positiva e rassicurante. Non diedi modo di approfondire l'abbraccio, così salii subito in auto e mi sedetti di peso. Lei girò la chiave, mise in moto, scarpa rossa pigià sulla frizione e poi accelerammo la fuga verso luoghi più tranquilli. L'idea del caffè pomeridiano non era malvagia, non avevamo molto tempo, ma giusto quello necessario per conoscerci e ascoltare per la prima volta le nostre voci. In cinque minuti di tragitto una sfilza di domande, auto-risposte, altre domande, vita privata e lavoro, pensieri e aspettative. Come se tutta la nostra vita si fosse annichilita e concentrata in un fazzoletto impregnato di tempo. Il bar era carino, poca gente, due cameriere indaffarate e gentili. Due caffè, uno liscio, uno shakerato. Ed un tavolino fuori, all'aria aperta, un raggio di sole in una giornata umida e grigia. E la figura di Marina, proprio davanti a me.
Avrei avuto già voglia di alzarmi e cercare le sue labbra, in un gesto istintivo di ricerca del piacere e della bellezza. Ma la nostra riservatezza fu subito interrotta da un gruppo di operai in pausa caffè, vestiti di tutto punto con divise aziendali e scarpe anti-infortunistiche ai piedi. I loro occhi sulla sua schiena, sentivo il loro respiro diffondersi e abbracciarla. Intanto la nostra conversazione proseguiva sciolta, liquida, aromatizzata al caffè del primo pomeriggio. Seguivo i movimenti della sua bocca, cercando in interpretare le espressioni degli occhi e i gesti delle dita. Se solo avessi saputo di quelle dita, tutto quello che avrebbero potuto fare davanti a me, tutti i sapori che avrebbero potuto incamerare, mi sarei avvicinato e ci avrei passato la lingua tutto intorno.
Invece non immaginavo, non potevo sapere, e così non potevo far altro che osservarle. Le raccontai di quella volta che Sara mi invitò a casa sua, di Patty che mi invitò a casa sua. E in entrambi i casi non mi diedero neanche il tempo di salutarle che me trovai con le mani appoggiate su un mobile e le mutande calate.
“Situazioni incredibilmente eccitanti” - dissi io -
“Ti credo, caspita, trovarsi una con le mutandine calate dev'essere il massimo per un uomo, no?” - domandò con fare retorico -
“In effetti si, ma anche molto imbarazzo” - sussurai a voce bassa -
Dissi che mi sarebbe piaciuto un giorno trovarmi anche lei così, cercai di iniettarle questo desiderio, senza forzature mentali. Solo immaginando la scena e pregustando il tutto come se si trattasse di un sogno comune. Forse era già così, perchè Marina mi guardava, stava spiando nella mia testa, ogni porta era spalancata ed io non opponevo alcuna resistenza. Dopo qualche minuto gli occhi puntati su di noi non erano più otto ma dieci. Un personaggio strano, un uomo sulla cinquantina, da solo, l'aria sospettosa e ficcanaso, si sedette al tavolino accanto al nostro. Cominciai a ponderare le parole, a suggerire immagini più limpide e meno esplicite, col dubbio che se mi fossi esposto troppo l'uomo avrebbe in qualche modo fatto parte del nostro gioco. Ed io non volevo niente di tutto questo. E nemmeno Marina. Accavallava le cosce ogni cinque minuti, ed io guardavo sotto il tavolino, annusando nell'aria il profumo della sua pelle, della crema spalmata qualche ora prima, la pelle liscia appena depilata. Provai a visualizzare la sua fica senza peli, senza veli, morbida e carnosa, pronta per essere bagnata al passaggio della mia bocca rovente. Tirai su lo sguardo, lei era lì che parlava, io ascoltavo, intervenivo, raccontavo, poi raccontava lei, una valanga di domande e risposte, contornate da un'intesa visiva non indifferente.
I minuti passarono in fretta e per me era ora di andare. Mi avvicinai al bancone del bar per pagare, Marina mi aspettò fuori, la raggiunsi e ci dirigemmo alla macchina parcheggiata a qualche metro dai tavolini. Ci sedemmo, mise subito in moto, ma le ricordai che non ci eravamo salutati come avremmo dovuto.
“Adesso vorrei salutarti come si deve, visto che prima siamo svolati via subito” - le dissi -
“E come vorresti farlo?” - mi domandò ingenua -
Provai subito a baciarla e lei venne incontro con le sue labbra. Un bel bacio lungo, sentito, passavo dal collo al naso, alla fronte, fino quasi al seno appena coperto. Le avrei baciato tutte le gambe, il culo, il ventre, ma la posizione e la situazione non me l'avrebbero permesso. Sentivo gli occhi di tutti addosso, il gruppo di operai, l'uomo solitario, le bariste, un'altra coppia che si accingeva al caffè del dopo pranzo. Qualcosa in me si gonfiò di piacere, spingeva per uscire, aspettava le sue mani manipolatrici, ma rimase lì rimandato ad altra occasione. Girò la chiave, spense l'auto, disse che voleva ancora un bacio e così fu. Poi all'improvviso, frenati dalla folle idea di non poter fare sesso, riaccese il motore e ci allontanammo un una specie di estasi mentale comune.
Ci salutammo brevemente con la promessa che ci saremmo risentiti e rivisti presto.
Qualche giorno riuscimmo a fissare un appuntamento pomeridiano su skype. Una sorta di caffè virtuale senza gli occhi indiscreti della gente. Né bariste, né operai, ne signori, nessuno. Solo io e Marina. Apparve sullo schermo come una diva in desabillè, col capello ancora spettinato, un completino intimo scuro addosso e una canotta nera. Non potevo perdere tempo. Le dissi subito che avrei voluto vederla in piedi col perizoma e assaggiare dallo schermo il suo fondoschiena. Così si alzò di scatto, e voltandosi mi mostrò le curve per qualche secondo.
“Ma...Marina, non mi hai dato nemmeno il tempo di osservare!?” ,“ Dammene ancora, ti prego “ - implorai viziato -
“Non sono sicura di volerti farti vedere altro” - disse dispettosa -
“Dai, ancora un po', ti prego”
Dovetti implorare altri minuti per bissare l'inquadratura e farmi godere della vista per qualche altro secondo. Poi invece, le mie parole si fecero calde, caldissime, colsero la sua parte più femmina, al punto che cominciò a passare la mano intorno al seno. Capii che avrei potuto guidarla, fino a scovare il tesoro in profondità. La mano scese giù fino al ventre, poi lentamente si insinuò sotto il perizoma, il monte di Venere turgido ed eccitato. Per un istante si calò gli slip lasciandomi intravedere le grandi labbra, la figura perfetta della sua fica bollente. Io intanto con una mano scrivevo, con l'altra accarezzavo il mio cazzo duro. Il livello di eccitazione era così alto che dovemmo fermarci per evitare di impazzire. Avremmo continuato a lungo se solo avessimo avuto la certezza di doverci vedere la sera stessa. Ma così non fu. Lo spazio, il tempo e altre situazioni ci impedivano di farlo. Ma niente e nessuno ci avrebbe mai impedito di sognare, immaginare, fantasticare sui nostri momenti.
Ci congedammo con un bacio web volante. Ognuno tornava alla sua vita, coi suoi casini, il lavoro, le ambizioni, le sofferenze e le gioie quotidiane.

Trascorsero quasi due mesi prima di poter rivedere Marina. Durante questo lasso di tempo continuammo a sentirci in chat, mai più in skype, e qualche volta via sms. Le avevo promesso un racconto erotico tutto per lei, costruito sulla sua persona ed il suo essere tremendamente femmina sensuale ed esibizionista. Certamente non era la prima volta che dedicavo un racconto ad una donna, né era la prima volta che incontravo qualcuno. Ma Marina era diversa, possedeva un senso di continuità innato, la sua volontà di mantenere buoni i rapporti, anche solo di amicizia. Le altre invece erano state più spudorate di me, e la loro intenzione era quella prettamente di scopare e godere. Non che l'idea mi fosse mai dispiaciuta, ma in questo periodo della mia vita preferivo un contatto diretto e stretto si, ma anche energeticamente positivo, che mi facesse stare bene.
Così ogni giorno provavo a scrivere una pagina della nuova storia, poi mi bloccavo, poi traevo ispirazione da una sua nuova foto, poi però mi bloccavo ancora. Il rischio era quello di cadere nella solita scialba banalità di un racconto erotico hot, con termini eccessivi e scene da film porno. Non era quello che volevo e non era quello che Marina mi aveva chiesto. Una domenica mattina passando sul suo profilo, scoprii che le avevano bloccato la pagina per violazione di non so qualche legge, privacy o diritto d'autore. Evidentemente qualcuno/a non sopportava più il fatto che una donna meravigliosamente bella e attraente stesse scalando la classifica delle più visitate. Oppure si trattava semplicemente di un problema tecnico di server. Conoscendo però il carattere combattivo e l'incurabile rivalità tra donne ero sicuro della causa. Marina ci collegava solo dal Lunedì al Venerdì, cioè durante i giorni lavorativi. Evidentemente il week end non gradiva rotture di scatole da visitatori sconosciuti ed invadenti.
Avrei voluto sentirla, leggere anche solo un suo messaggio, un esile segnale che il mio pensiero potesse accarezzarla anche durante il fine settimana estivo. Dovevo attendere l'inizio della settimana, il mio tempo dilatato e vissuto in funzione della fine della Domenica. Strano a dirsi, ma molto naturale a farsi. La certezza del Lunedì, il messaggio di buon inizio settimana mi faceva stare bene. Non le ho mai chiesto quanti messaggi ricevesse al giorno da intraprendenti spasimanti, non mi importava. Non avrei mai potuto essere geloso, non ne avrei avuto il diritto. A me bastava solo che lei ci fosse e che ogni tanto pensasse a me.

All'inizio di Agosto la temperatura non era ancora salita, l'estate viaggiava alla media di 22 gradi, con giorni di pioggia e cielo grigio, qualche giornata di sole e ventate di calore a spazzi. Non era certo un'estate indimenticabile dal punto di vista climatico e delle possibilità di vacanza. Io per esempio avevo trascorso i miei quindici giorni di ferie a casa mia e qualche giorno a casa dei miei genitori. Le insonni notte brave erano distanti anni luce nella mia nuova forma mentis, e il fatto di non avere più vent'anni aveva contribuito enormemente a questa malinconica rassegnazione. Ma l'estate non era ancora finita. Già, perchè decisi di fissare un nuovo incontro con Marina, verso fine Agosto. Saremmo stati più liberi da impegni entrambi, avremmo giocato con la dolcezza della lunga attesa che gonfiava di passione i nostri ricordi.
La immaginavo al mare con le amiche e gli amici, in due pezzi, forma smagliante, i suoi tatuaggi in bella vista esposti al sole, il suo ventre piatto in piena tintarella, le sue gambe lunghe cavalcate dall'aria salata della spiaggia. E pensavo a quanto sarebbe stato bello sentirmi un po' squalo tra le onde, pronto a morderla sul collo, lungo la schiena, colpirla alle spalle in maniera piacevole. Credo che anche lei fosse solleticata dalla voglia di essere presa in acqua, distanti dagli sguardi dei curiosi, in cui il suo gemito di piacere intenso si sarebbe confuso col grido dei gabbiani affamati. Ad ogni modo non ci fu né spiaggia né mare per me in quell'estate. Ero concentrato sui miei obiettivi di lavoro, avevo programmi importanti da portare a termine, e nello stesso tempo attendevo la fine del mese non più per lo stipendio quanto per il fatto che avrei riabbracciato e baciato ancora Marina.
Un sms al giorno, un passaggio sulla sua pagina, niente webcam né chat. Ridussi al minimo il contatto virtuale perchè si stava avvicinando il giorno del nostro incontro. Le chiesi conferma dell'orario e il luogo in cui ci saremmo trovati. Adrenalina ai massimi livelli, brividi dappertutto e un briciolo di orgoglio maschio, per aver confermato l'appuntamento.
La mattina mi svegliai di buon'ora. Mi attendeva una lunga giornata di lavoro.Timbrai il cartellino col pensiero al momento in cui l'avrei rifatto per uscire. Per tutta la mattina faticavo a non pensare a Marina, a come si sarebbe presentate, come si sarebbe vestita, quale profumo, quale crema per il corpo avrebbe unto le sue carni, quale sensazione si sarebbe portata addosso sulla pelle pur di trascorrere una serata piacevole con me. Poi pensavo a me, a come avrei potuto reagire dinanzi a cotanta bellezza, alla sua immensa femminilità. Poi all'improvviso, puntualmente, qualcosa o qualcuno bloccava il mio viaggio, come un coito interrotto dal suono del cellulare.
Per fortuna ad un certo punto scatta sempre l'ora della pausa pranzo, e allora ogni forma di stress si dissolve per un paio d'ore, lo stomaco si allarga per far posto al cibo e all'acqua, le gambe si riposano, e gli occhi possono visualizzare tutto quello che le persone “normali” non possono vedere.
Io vedevo Marina già nuda davanti a me, avevo saltato il passaggio dei saluti e della svestizione. C'era lei immacolata sul letto, accovacciata di fianco, con le cosce distese, la mano scorrevole sul seno sinistro, e il profumo di fica appena lavata nell'aria.
“Joe, avanti, toccami, toccati, tocchiamoci insieme” - la sentì sottovoce -
“Si cara, aspetta, dammi un attimo respiro...” - chiedevo io -
Due ore di pausa bruciate così, ingurgitando un panino al prosciutto crudo, una bottiglietta d'acqua naturale ghiacciata ed un fugace caffè semi-zuccherato. Mi chiesi se le altre cinque ore del pomeriggio sarebbero state le più lunghe della mia vita. E lo furono. Eccome se lo furono. Ondate di clienti impazziti, poveri travestiti da ricchi e ricchi convinti di essere sempre più poveri, riempivano il negozio a suon di quattrini. Fatturato alle stelle, crescita esponenziale delle vendite in un solo pomeriggio. Tanta roba per un giorno che non fosse il Sabato.
“Finalmente sono le 20.30” - pensai tra me e me -
“Finalmente abbiamo finito tutti” - pensarono tutti i miei colleghi -
Mi ritrovai nel parcheggio. L'appuntamento era poco più distante. Avrei dovuto inquadrare subito la sua auto ferma da qualche parte, ma probabilmente la stanchezza stava giocando uno dei suoi soliti scherzi. Sul display del mio cellulare icona di sms. Mittente Marina.
“Non sono in parcheggio, ho avuto un piccolo contrattempo. Ci vediamo direttamente a casa tua. Ho il navigatore, mandami l'indirizzo esatto.”
“Va bene, allora ci aggiorniamo dopo” - le scrissi.
Poco più tardi un secondo sms: “Mi spiace Joe, non riesco a venire stasera. Domani pomeriggio ci sei?” - domandò -
Qualche attimo di pausa e di leggero sconforto e la mia risposta non si fece attendere: “Ok per domani pomeriggio. Alle 17 a casa mia?” - chiesi diretto -
“Perfetto, ma mi trattengo solo un paio d'ore.”
“Ok, a domani. Buona serata...”
Ci salutammo così con l'amaro in bocca per aver rinviato un incontro a lungo atteso. Ma in fondo si trattava di aspettare solo un giorno, e 24 ore passano in fretta.
Il giorno seguente ero a casa di riposo. Passata l'ora di pranzo cominciai a sistemare la casa per renderla un po' più accogliente, controllai di avere un caffè dal gusto deciso in dispensa, misi in ordine la mia camera. Non feci alcun tipo di programma in verità, come avrei potuto farlo, difficile giocare con l'imprevedibilità di Marina. Così arrivarono in fretta le 17.00 e me la trovai in auto fuori dal cancello. Le aprii, entrò parcheggiando in fondo al vialetto. Scendendo intravidi già il tacco vertiginoso e la sua gamba lunga che si stendeva a terra per poggiare il primo passo. Vestitino leggerissimo estivo, corto e con una scollatura grande sulla schiena. Le unghie dei piedi smaltate di un rosso fuoco, i capelli in ordine, e la bocca contornata di rossetto vivo.
La invitai ad entrare e fu subito passione. Ci abbracciammo senza nemmeno parlare. La mia bocca si incatenò alla sua per diversi minuti, i nostri ansimi si fecero sempre più caldi e rumorosi. Mi afferrò le mani portandole al culo. Così non feci pregare e presi a massaggiare con delicatezza mentre la mia lingua scovava interessi e paure nelle sue profondità. Si voltò all'improvviso, sollevandosi il vestitino, si sfilò da sola il perizoma e si chinò poggiando le mani sul tavolo in legno inarcando la schiena. Era un invito esplicito a leccare la sua fica umida e profumata.
Mi inginocchiai rapidamente e poggiai la bocca tra le sue chiappe turgide e rosee.
“Leccami bene Joe, fammi sentire la tua lingua tutta dentro” - implorò a basa voce -
“Più in fondo, più forte, dai Joe” - continuò a dire -
A quel punto infilai due dita passando sulle grandi labbra, fermata sul clitoride pieno e gonfio. La sentii gemere a lungo, fino a quando mi chiese: “ Scopami adesso”
Rimase dandomi le spalle con la schiena inarcata e la fica pronta ad accogliermi. Uno spettacolo difficile da raccontare. Tirai fuori il cazzo duro e con la punta entrai leggermente dentro di lei.
“Avanti Joe, che aspetti, non farmi soffrire, scopami!” - mi pregò seccata -
“E' quello che vuoi Marina?”
“Si non farti pregare ancora!” - mi disse ancora più seccata -
Entrai in lei con delicatezza, il primo colpo fu dolce e profondo.
Intanto il caffè era pronto da un pezzo, e il suo profumo inebriava la stanza mentre il suo telefono continuava a squillare da qualche minuto. A vuoto. Mi chiesi come mai non fosse riuscita a mettere il cellulare in modalità “silenziosa” o “riunione”. Un certo fastidio lo crea sempre il suono di un telefono, ma evidentemente non poteva far perdere le sue tracce in un normale pomeriggio di lavoro.
“Basta adesso, ho voglia di caffè” - sbottò capricciosa -
“Adesso? “ - domandai stupito -
“Si ho sentito il profumo e ho voglia. Continuiamo dopo, non ti preoccupare.”
Mi tirai su i pantaloni, lei si sistemò al meglio e si sedette in attesa di sorseggiare.
“Quanto tempo hai oggi pomeriggio?” - le chiesi -
“Fino alle 19 non dovrei avere problemi” - disse tranquillizzandomi -
Poggiò la tazzina, io non ebbi il tempo nemmeno per una sigaretta. La vidi che si avviava decisa su per le scale, che portavano alla camera. Mentre saliva si abbassava il perizoma passandosi le dita sul fondoschiena. Si fermò, si mise a gattoni, e disse: “ Prendimi qui, sono la tua pecorella”. Pensai tra me e me che in realtà Marina fosse da sempre sia pecorella smarrita che in calore. Ed io il lupo cattivo. La storiella mi piaceva e mi riportò per un attimo alla mia infanzia.
Le afferrai i fianchi e cominciai a pompare il mio io dentro di lei. Ogni colpo un grido soffocato di piacere, sempre più forte e deciso. Il mio pene transitava perfettamente nel suo canale, né troppo morbido né troppo rigido. Ogni movimento era sentito e vissuto con estremo vigore e piacere.
“Vuoi il mio culo vero, Joe?” - mi domandò -
“Magari” - risposi timidamente -
“Te lo concedo, ma fai piano” - disse autorizzando l'atto -
Il suo telefono squillò ancora per altre due volte.
“Scusami Joe, devo rispondere. “ - disse preoccupata -
“Ok fai pure”
Si allontanò un attimo verso l'esterno, e a bassa voce concluse la telefonata in pochissimi minuti.
“Devo andare, problemi a lavoro. Hanno bisogno di me. Mi spiace.”
Anche io avevo bisogno di lei in quel momento e mi dispiaceva molto lasciarla andare, ma non avevo scelta. Ero impietrito in piedi, con le braghe calate e il cazzo ancora in tiro. Si chinò verso di me, diede un bacio pieno, si alzò ne diede un altro saporito sulla mia bocca.
“Mi accompagni in strada?”
“Certo. Vabbè ci sentiamo allora?” - chiesi un po' in ansia -
“Certo che si”.
Il nostro pomeriggio durò all'incirca mezzora. Metà di un'ora vissuta al massimo delle sensazioni, adrenalina allo stato puro e piacere intenso. Non mi rimaneva che aprirle il cancello e salutarla con la mano.
Tornai dentro, accesi il computer. Sul suo profilo, sulla sua ultima foto, i commenti si erano raddoppiati solo nell'ultimo giorno. Uomini, maschi, energumeni, ragazzini, vecchi, che inneggiavano alla sua bellezza e femminilità, nella speranza un giorno di poterla assaporare da vicino. E così sorrisi con un filo d'orgoglio che passò veloce sulle mia labbra. Anche solo per mezzora Marina era stata mia.
“Mia” che non vuol dire possesso, perchè mai avrei pensato di poter controllare una figura femminile così libera e sfuggente. “Mia” intenso come “mia esperienza”, goduta fino in fondo dal mio essere con una delle donne più affascinanti che avessi mai conosciuto.
Due ore dopo squillò il mio telefono, chiamata senza risposta e sms ricevuto:
“Tra cinque minuti sono di nuovo da te, ho risolto tutto a lavoro”
“Ti aspetto”.
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