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Prime Esperienze

Mia moglie Valeria - Dopo i 40 anni - Cambiamenti - Capitolo 9 - La reazione


di Marta-trav
13.01.2021    |    16.132    |    16 8.9
"Sapeva che avevano 48 e 30 anni..."
Ringrazio tutti quelli che, con i loro messaggi, mi hanno indotto/a a continuare la pubblicazione di questa storia, incitandomi, motivandomi e spronandomi.

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Mi vide sfatta.
“Come stai?”, mi chiese, semplicemente.
“Tutto bene”, lo rassicurai, abbozzando un tenue sorriso, tanto falso quanto illusorio.
Salii in macchina.
Nessuno dei due aveva il coraggio di parlare, di dire altro oltre quelle poche parole che ci eravamo appena scambiati.
Lui voleva sapere, ne ero certa.
Ed io volevo raccontargli.
Ma, ciascuno di noi due, nel proprio silenzio, ragionava e rifletteva su quanto era appena successo.
Il processo di assorbimento e di metabolizzazione di quanto appena accaduto, sia per me che per lui, avrebbe richiesto molto tempo ancora. Di questo ne ero certa.
Dopo quasi un’ora di silenzio, arrivammo a casa.
“Vado a farmi una doccia”, gli dissi, appena varcata la soglia di casa.
Uscii dal bagno dopo una ventina di minuti. Mi sentivo bene. La doccia, oltre che togliere dal mio corpo le tracce residue del rapporto sessuale consumato con Tony qualche ora prima, mi aveva restituito energia nuova.
Trovai Stefano svaccato sul divano.
Durante il viaggio di ritorno da Milano non ci eravamo detti una parola. Non mi aveva neppure chiesto conferma del fatto che avessi fatto sesso con uno sconosciuto. Ovvio, lo sapeva. Ma non me lo aveva chiesto. Per pudore? Imbarazzo? Paura? Gelosia?
Ero in accappatoio. Mi avvicinai a lui. Lo guardai in faccia.
“Va tutto bene, Ste”, gli dissi.
Era assente, distratto.
“Non voglio sapere niente di quello che è successo dentro quel bar”, mi disse improvvisamente, a voce un po’ troppo alta, con un tono quasi alterato. “Però, la prossima volta, voglio esserci anche io”, tuonò.
Mi sentivo in colpa. Quelle parole di mio marito, dure e crude, erano rivolte a me. Eppure era stato proprio lui a spingermi a fare quello che avevo appena fatto con uno sconosciuto. Non avevo motivo di sentirmi in colpa. Eppure…
“Va bene”, gli dissi. “Ma chi ti dice che ci sarà una prossima volta?”, domandai.
“Oh, certo che ci sarà. Questo gioco lo dovevamo fare insieme, ricordi? Ho rispettato i tuoi desideri. Mi hai chiesto di non essere presente la prima volta e non sono stato presente, anche se lo desideravo, e lo sai benissimo. Non ho insistito. Ho capito il tuo punto di vista e l’ho accettato, mio malgrado. Ma adesso voglio divertirmi anche io”, mi disse, quasi arrabbiato.
Stavolta rimasi io in silenzio.
Dentro quel bar mi ero divertita molto, poco ma sicuro. Avevo avuto tre orgasmi ravvicinati, come non mi era mai capitato in vita mia. Quelle sensazioni di godimento estremo, del tutto nuove per me, mi avevano si sfiancata, ma anche piacevolmente stordita. Non pensavo che si potessero raggiungere vette di piacere così alte ed intense ed in così poco tempo.
Ma, in quel momento, non pensavo più a Tony. Pensavo alla mia vita, alla mia famiglia, a mio marito. Tutte cose che amavo e che non volevo assolutamente danneggiare. Né, tantomeno, perdere.
Si, è vero, mi ero divertita molto a fare sesso con Tony.
Non ritenevo assolutamente di dover scopare con altri uomini per alimentare il rapporto di coppia con Stefano. Tra di noi non c’era nessuna fiammella che si stesse spegnendo.
Eravamo una coppia felice.
Con lui stavo bene. Lo desideravo molto, anche da un punto di vista sessuale. Era tutta la mia vita.
Eppure, quel pomeriggio, avevo provato sensazioni travolgenti. E bellissime.
Ovvio, non potevo non fare i conti con l’inaspettata gelosia di mio marito. Aveva accompagnato sua moglie a fare sesso con uno sconosciuto. Che aveva avuto la capacità di stuzzicare la mia fantasia soltanto perché possessore di un cazzo fuori misura.
La mia mente ritornava alle sensazioni che quel cazzo mi aveva fatto provare.
Si, mi era piaciuto tantissimo.
“La tua fantasia era quella di fare sesso con più uomini. Oggi hai gustato l’antipasto. La prossima volta proverai il resto. Ed io sarò lì con te”, mi disse Stefano.
Non replicai.
Chiusi l’argomento.
Gli dissi che ero stanca e che volevo andarmene a dormire.
Lui rimase sul divano, a guardare la televisione.
Io mi rifuggiai in camera da letto. Afferrai lo smartphone ed inviai un messaggio ad Elena. “Devo raccontarti una cosa”, le scrissi.
La sua risposta, come al solito, non tardò.
“Posso immaginare cosa”, scrisse.
Non mi misi subito a dormire, però.
Entrai nuovamente nella pagina di Valehot.
Trovai un messaggio di Tony.
“Grazie ancora. Sei bellissima e sei stata bravissima. Mi piacerebbe rivederti. Sai dove trovarmi”, c’era scritto.
Gli mandai un emoticon a forma di bacio.
Tornai nell’area delle chat.
Altri uomini mi avevano scritto, in privato.
Tutti disponibili ad incontrarmi, a farmi godere, a condurmi in paradiso.
Sfogliai l’elenco dei messaggi e tornai a quello ricevuto, qualche giorno prima, da una donna di nome Marta.
Lo lessi con attenzione e le risposi.
Marta mi proponeva di incontrarci e di conoscerci. Voleva chiedermi qualcosa.
“Ciao. Dimmi in cosa posso esserti utile”, le scrissi.
La sua risposta non tardò ad arrivare, benché fosse molto tardi.
Anche lei, come Elena, era sempre online.
“Vediamoci un pomeriggio per un caffè e ti spiego tutto, se ti va”, mi scrisse.
“Ok. Facciamo domani pomeriggio?”, proposi io, forse con troppo slancio.
“Va bene”. E mi diede l’indirizzo di un bar, non troppo lontano da casa mia.
Ancora una volta, un bar.
Spensi lo smartphone e mi lasciai cullare dai ricordi di quella giornata intensa di emozioni assolutamente nuove per me, finché non mi addormentai.

Valehot creava dipendenza.
Sicuramente a me.
Da quando Elena, come diceva lei, mi aveva messa in vetrina, non riuscivo più a staccarmi da quella mia seconda identità, seppur solo virtuale.
Le previsioni della mia amica si erano avverate. La mia autostima era indubbiamente aumentata. Mi piaceva vedermi sotto quella nuova luce. Mi piaceva sapere che alcuni uomini ambivano anche solo ad una mia semplice risposta sul sito. Figuriamoci pensare che qualcuno di loro potesse anche masturbarsi guardando i miei filmati.
Non riuscivo a non fare a meno di accedere alla mia pagina.
Dovevo, però, essere cauta ed accorta.
Stefano non sapeva e non doveva sapere.
Elena continuava a raccontarmi delle sue avventure con Matteo. Ed ogni volta mi eccitavo. Appena potevo, mi chiudevo in bagno e mi toccavo, ripensando ai resoconti di Elena, immaginandomi al suo posto.
Elena mi raccontava dei luoghi in cui faceva sesso con Matteo.
Matteo era, indubbiamente, ricco di fantasia.
Elena mi aveva raccontato di quando lui l’ha portata al cinema e lei gli ha fatto un pompino completo mentre guardavano un film. Di quando, al ristorante, le ha fatto allargare le gambe, ovviamente senza mutandine, in modo che tutti potessero vederle la patatina. Di quando l’ha portata a passeggiare in centro, a Milano, con una minigonna cortissima e con un plug infilato nel culo, con il manico che fuoriusciva dalla minigonna. Di quando una sera, sempre a Milano, si è improvvisamente fermato in una strada, le ha detto (ordinato) si spogliarsi completamente, senza però togliere i tacchi a spillo e di scendere dalla macchina; lei nuda in mezzo alla strada che passeggiava sul marciapiede e lui che la riprendeva con lo smartphone. Di quando hanno iniziato a frequentare altre coppie facendo lo scambio dei partner e di quando hanno iniziato a frequentare i club privé.
Insomma, Elena e Matteo non si risparmiavano di certo.
Ma Elena era sempre euforica. Sembrava che quella spregiudicatezza e quella voglia di esibizionismo le dessero ulteriore forza. Ammesso che le servisse o che ne avesse bisogno.
Ed io mi immaginavo al suo posto.
Elena mi aveva anche raccontato della promessa mantenuta di Matteo, quella di invitare tre suoi amici.
Quel giorno Matteo ordinò ad Elena di spogliarsi completamente, indossando soltanto i tacchi a spillo, e di aspettare sdraiata sul letto. Elena lo fece, ovviamente. Poco dopo si aprì la porta della camera da letto e comparve Matteo, completamente nudo e già visibilmente eccitato.
Dietro di lui comparvero tre maschioni, completamente nudi anche loro ed anche loro visibilmente eccitati.
Elena, mi disse, faticò a riconoscere in loro due degli uomini che l’avevano già scopata insieme a Matteo la volta precedente. Ma non se ne fece un problema. E stette al gioco.
Mi disse anche che esisteva un filmato di quella scopata in cinque e che Matteo insisteva per pubblicarlo su un sito di filmati porno amatoriali. Lei gli aveva chiesto di aspettare ancora prima di farlo. Ma gli avrebbe detto di si.
Insomma, Elena ne faceva di tutti i colori.
Ed io fantasticavo di essere come lei.
Appena potevo, insomma, accedevo al mio profilo.
Spesso mi nascondevo in bagno per poterlo fare.
“Hai problemi di stomaco ultimamente?”, mi domandava spesso Stefano in quel periodo.
Se non trovavo nuovi messaggi, ci rimanevo male.
Se non trovavo nuovi commenti alle mie foto ed ai miei video, ci rimanevo male.
Sbirciavo i profili degli uomini.
Potevo selezionare la loro regione e la loro provincia di residenza.
Io e Stefano abitavamo nei pressi del confine di tre regioni. La mia residenza mi consentiva quindi di dirigere le mie ricerche ad est e ad ovest, a nord e a sud, senza per questo andare troppo lontano da casa mia, pur cambiando provincia o regione.
Mi soffermavo sui nickname che stuzzicavano la mia fantasia.
Accedevo ai profili di quegli uomini che mostravano dotazioni importanti.
Uno di loro mi inviò numerosi link.
Li copiai e poi li incollai nella barra degli indirizzi del mio browser.
Scoprii un mondo nuovo.
Iniziai a guardare filmati porno di ogni genere.
Io ero ferma a Ilona Staller e Moana Pozzi.
Il mondo del porno si era indubbiamente evoluto.
Ed io, adesso, ero attratta da quel mondo. Incuriosita ed affascinata.
Scoprii modi di fare sesso che non potevo minimamente immaginare.
Scoprii quante persone amavano fare sesso davanti ad una telecamera, seppur nell’intimità della propria camera da letto.
Scoprii molte cose che generavano in me un tale stato di eccitazione che dovevo ricorrere all’unico modo da me conosciuto per poterlo calmare, cioè toccarmi.
Pensavo in continuazione al sesso.
Quando facevo l’amore con mio marito, ripensavo a quelle scene.
Mi aiutavano a trarre ulteriore godimento dalla scopata del momento.
Ma non andai mai oltre. Non pensavo che ci potesse essere un oltre.
La creazione del mio profilo, lo scambio di messaggi con molti uomini, l’accesso ai siti porno e le confessioni di Elena rappresentavano, per me, già troppo. Cos’altro poteva esserci oltre?

Raggiunsi il bar.
Quel pomeriggio dissi a Stefano che sarei andata da Elena.
Lui ne fu contento. Immaginava che Elena potesse insegnarmi altro, che potesse spingermi a fare altro.
Avvisai Elena e le chiesi, nella remota ipotesi in cui Stefano si fosse mai trovato a parlare con lei, di coprirmi, di stare al gioco.
“Poi però mi dici cosa devi fare, sono curiosa”, mi chiese, in cambio, Elena. “Non è che ti stai sciogliendo un po’ troppo, adesso?”, continuò.
“Devo incontrare una persona”, le dissi. Che poi era la verità. Non mi andava, però, di dirle che dovevo incontrare una donna. Che credesse pure che andassi ad incontrare un uomo.
“Lo immaginavo”, mi disse Elena.
La riconobbi subito.
Mi aveva detto come si sarebbe vestita e non mi fu difficile individuarla tra i clienti del bar.
Mi avvicinai e la salutai.
Era una splendida donna. Forse, meglio dire una ragazza.
Solo dopo scoprii che portava divinamente bene i suoi quasi quaranta anni. Trentanove, per l’esattezza. Ma ne dimostrava almeno dieci di meno.
Rossa di capelli, occhi chiari, un po’ di lentiggini sul volto. Un sorriso straordinario, con il quale mi accolse.
“Vieni, siediti”, mi disse, indicandomi la sedia accanto a lei. “Piacere, Marta”, continuò, allungandomi una mano.
“Valeria”, le risposi io, stringendole distrattamente la mano.
Denti bianchissimi e molti orecchini (fin troppi, pensai) su entrambe le orecchie.
“Grazie per essere venuta”, mi disse ancora.
Marta mi sembrava non completamente a suo agio, appariva nervosa.
Si guardava costantemente intorno, come se temesse che qualcuno la stesse osservando.
“Tutto bene?”, le domandai.
“Si, perché?”, mi rispose.
“Non so, mi sembri agitata, preoccupata, tutto qua”.
Mi fissò negli occhi e mi sorrise.
“Ora non più”, disse.
“Perché volevi conoscermi?”, le domandai subito.
“Bevi qualcosa?”, lei, di rimando.
Questa storia di rispondere alle mie domande con un’altra domanda iniziava ad infastidirmi.
“No, grazie. Allora?”, io, un po’ troppo acida.
“Si, scusami. Dunque, vediamo, ah si, ecco…è da molto che sei iscritta su quel sito?”, mi chiese.
“No, non da moltissimo. Perché me lo chiedi?”, risposi a mia volta, imitandola, con una domanda.
“Beh, ecco, neppure io. Una mia amica mi ha consigliato di farlo, ha detto che mi sarei divertita”, continuò lei.
Tutte avevamo un’amica come Elena, fu la mia conclusione.
“Anche a me è successa, più o meno, la stessa cosa”, confessai.
“Ho visto i tuoi video. Sei bellissima. Li ho guardati un sacco di volte”, disse.
“Grazie. Io, invece, ho visto che il tuo profilo non ha molte foto”, dissi io.
“Eh già. E’ che mi vergogno tantissimo”, lei.
“Fai come me. Non far vedere il viso così nessuno potrà riconoscerti”.
Addirittura ora stavo facendo la parte dell’esperta. Proprio quello che aveva fatto Elena con me, solo poco tempo prima.
“Magari ci provo”.
“Brava. Ma allora, volevi incontrarmi solo per dirmi questo?”, io.
“No, certo”, rispose.
“E allora?”, io, sempre più spazientita.
“Volevo chiederti se mi accompagni in un locale”, disse velocemente.
“Quale locale?”, domandai.
“Un locale a Milano. Me ne ha parlato la mia amica, quella che mi ha consigliato di iscrivermi sul sito. Lei ci va spesso”.
“E perché non ci vai insieme a lei?”.
“Ma scherzi? Lei è una mia amica d’infanzia. Conosce la mia famiglia ed io la sua. Forse non te l’ho detto ma io sono sposata ed ho un figlio di dieci anni. Insomma, non farei mai una cosa del genere con lei per poi ritrovarmela a casa mia, con suo marito, a parlare di vacanze e di figli”.
“E perché lo proponi a me?”, le chiesi.
“Perché, non so, sento che di te posso fidarmi. Perché non ci conosciamo e nessuna delle due corre il rischio di trovarsi in situazioni imbarazzanti, in futuro. Perché mi piace la tua pagina, il tuo modo di porti. Perché ho letto quello che scrivi, i tuoi commenti e sei sempre educata e garbata. Perché sei sposata come me e quindi penso che neppure tu voglia troppi casini. Perché io faccio molto affidamento sul mio istinto ed il mio istinto mi dice che sei la persona giusta. Perché siamo entrambe poco esperte. Ed infine, perché mi piaci”, disse Marta, tutto d’un fiato.
“Ti piaccio? In che senso?”.
“Mi piacevi già prima, quando ti conoscevo solo per quel poco che potevo vedere sul sito. Ma ora che sei qui, davanti a me, ho la conferma che sei una donna bellissima ed affascinante. Ed io vorrei avere un’amica come te, con la quale condividere qualche fantasia un po’ hot”.
“Hai mai tradito tuo marito?”, le chiesi.
“Non dopo che ci siamo sposati, e tu?”, mi rispose.
Odiavo questo atteggiamento di quella donna. Ma iniziavo a guardarla con occhi diversi.
Mi faceva venire in mente che, se quel pomeriggio, a casa di Elena, non mi fossi trovata di fronte alla mia migliore amica, molto probabilmente avrei fatto sesso con una donna. Ma quella donna era, appunto, la mia migliore amica. E non potevo farlo con lei.
Marta, più o meno, era come me.
Sentiva il bisogno di trasgredire. Ma non voleva farlo con la sua migliore amica, proprio come me.
Non mi sentivo molto diversa da lei, in fondo.
“Io si, ma lui lo sa”, dissi.
“Come sarebbe a dire che lo sa?”.
“Sarebbe a dire che è stato lui a spingermi a farlo. Non che io non lo desiderassi, intendiamoci. Ma lui ha insistito affinché io mi facessi scopare da un altro uomo. Pensa che mi ha addirittura accompagnata lui a quell’incontro”, dissi.
“Wowww, beata te”, lei.
“E perché proprio quel locale?”, le chiesi.
Mi disse che la sua amica, piuttosto birichina, ci andava spesso. Che venivano organizzate serate a tema. Che potevano accedere solo adulti. Che, in base al tema della serata, potevano accedere solo coppie, solo donne, solo uomini o tutte le categorie insieme. Che era un posto estremamente pulito e curato. Che aveva letto alcune recensioni e tutti, ma proprio tutti, ne parlavano molto bene. E che non era troppo lontano da dove ci trovavamo noi in quel momento.
Mi sembrava convinta e motivata.
“Non so, ci devo pensare”, le dissi, molto più incuriosita di mezz’ora prima.
“Grazie. Ti lascio il mio cellulare. Chiamami quando vuoi. Mio marito non si scandalizzerà certo sentendomi parlare con una donna”.
Mi diede il suo numero ed io le lasciai il mio.
Bevemmo due caffè e ci salutammo.
Era veramente carina.
Pur se, come me, vestita in modo casual e sportivo, si intuiva un bel corpo, con le forme giuste ed al posto giusto.
Marta era più bassa di me almeno di dieci centimetri.
Tuttavia aveva un portamento regale e fiero.
Spalle dritte e petto in fuori. E che petto!
Due tette, molto probabilmente, più grandi delle mie.
Mi sarebbe piaciuto scoprirlo.
Chissà…
Mi salutò con due casti baci sulle guance.
“Aspetto una tua chiamata, allora”, mi disse, speranzosa.
La salutai, non prima di essermi fatta dare il nome di quel locale di Milano.
Quella sera, a casa, prima di addormentarmi, andai a visionare la pagina di quel locale. Ed andai a leggere, soprattutto, i numerosi commenti di chi ci era già stato.
Sembrava un posto tranquillo, anche se, a detta di molti, particolarmente trasgressivo.
Frequentato principalmente da scambisti.
Ma, in base al tema della serata, anche da altre figure.
Non mi dispiaceva l’idea di andarci.

“Veramente? Non ci credo!”, mi urlò
“Però è così”, dissi io.
“Bravissima!”, gridò ancora lei.
Dopo aver salutato Marta e visto che quell’incontro mi aveva portato via meno tempo del previsto, andai veramente a casa di Elena.
Le stavo raccontando del mio incontro con Tony.
“E Stefano?”, mi chiese Elena.
Le raccontai dello shopping del sabato, del lavoro di Barbara, la mia estetista e, soprattutto, della depilazione della mia patatina, del mio look, del viaggio in macchina con mio marito, del sesso sfrenato con Tony, del fatto che mi fossi presentata a lui come lei si presentava a Matteo, cioè senza mutandine, del viaggio di ritorno, di quanto Stefano volesse che andassimo avanti su quel percorso.
“Non ci credo!”, diceva lei in continuazione.
Qualche tempo prima, una mattina, le scrissi un messaggio.
“E’ successo un casino!”, c’era scritto nel messaggio.
“Cosa è successo, tesoro?”, mi rispose.
“Vengo da te e ti racconto”, scrissi.
“Ti aspetto”.
Quella volta le raccontai del mio errore, quello di non aver cancellato la cronologia del browser. Di come Stefano se ne fosse accorto. Del tranello che mi aveva teso durante la cena con Marco e Daniela. Di come mi aveva chiesto di parlargli dei miei segreti. Della mia confessione. Del fatto che lui avesse voluto assolutamente vedere il profilo di Valehot. Di come mi aveva parlato delle sue fantasie. Di come voleva realizzarle insieme a me.
“Beh, non mi sembra proprio una brutta cosa”, concluse Elena.
“Tu dici?”, le domandai, sorpresa.
“Certo. Ormai lui sa. Non devi nasconderti più. Lasciati andare e realizza le tue fantasie, amica mia. Metti in pratica tutto quello che hai sempre e solo desiderato in questi mesi”.
Da quando Stefano aveva scoperto l’esistenza di Valehot ho sempre condiviso con Elena tutto quello che succedeva nel mio rapporto di coppia.
Lei mi incitava, come anche mio marito, a coltivare quelle pulsioni.
Mi spingeva ad andare avanti. Mi chiedeva, si informava, voleva sapere.
Tuttavia non le avevo confidato la mia scelta.
Sapeva che esistevano almeno due uomini che mi incuriosivano e mi intrigavano.
Sapeva che si chiamavano Gianni e Tony.
Sapeva che avevano 48 e 30 anni.
Fin da subito, forse perché entusiasta del suo rapporto con Matteo, mi aveva spinta a scegliere Tony.
Tuttavia non le avevo ancora detto che anche io avevo scelto Tony.
E, soprattutto, non le avevo detto che lo avrei incontrato.
Ora Elena, ascoltando il mio resoconto dell’esperienza con Tony, era su di giri.
“E brava la mia amichetta”, mi disse.
“Pensa che Stefano vorrebbe che io organizzassi già un altro incontro e, stavolta, mi ha detto che lui dovrà assolutamente partecipare”, le confidai.
“E allora organizziamo una cosa a quattro, no? Io, tu, Stefano e Matteo. Magari facciamo partecipare anche qualche amico di Matteo. Che ne dici?”. Elena era convinta della bontà della sua proposta.
“Non credo proprio”, la raggelai io.
“Ma perché no?”, insistette lei.
“Perché no”. Chiusi l’argomento.

Il giorno dopo scrissi a Marta.
Le dissi che avevo pensato e ripensato alla sua proposta, che l’avrei accettata e che, quindi, l’avrei accompagnata.
“Perfetto! Facciamo giovedì sera?”, mi scrisse, dopo un quarto d’ora.
“Perché proprio giovedì?”, le chiesi.
“Perché c’è una serata che mi intriga e, soprattutto, perché so che la mia amica non ci sarà”.
“Va bene”, accettai.
“Oh, mi raccomando, dobbiamo vestirci in un certo modo, eh?”, concluse lei.
A Stefano raccontai che sarei andata a cena con alcune colleghe di lavoro.
Se gli venne il dubbio che la mia fosse una scusa, non lo fece notare.
Il giovedì seguente non andai al lavoro. O meglio, chiesi di poter lavorare da casa.
Non andai neppure da Barbara. Non avevo bisogno dell’estetista.
Mi limitai a ripassare la mia patatina con il rasoio, sotto la doccia.
Mi stavo organizzando e preparando come se, anche stavolta, dovessi fare un incontro, come dire, intimo.
Tuttavia non conoscevo esattamente il tipo di locale nel quale Marta desiderava che l’accompagnassi. Cioè, immaginavo cosa si facesse lì dentro. Ma non ero certa che quel qualcosa potesse riguardare anche me. Tuttavia, nel dubbio, mi depilai accuratamente l’inguine.
Presi un borsone e ci infilai dentro le scarpe con il tacco altissimo comprate con Stefano, lingerie e vestitini sexy.
Scesi in cantina e nascosi il borsone dietro ad alcuni scatoloni.
Poi misi lo smalto rosso sulle unghie dei piedi e delle mani.
Verso le 18:00 mi chiusi in bagno e mi truccai, sempre in modo non particolarmente vistoso, ma elegante.
Indossai jeans, t-shirt e scarpe da ginnastica, come sempre.
Prima di uscire di casa, tuttavia, scrissi, su un foglio di carta, l’indirizzo ed il nome del locale nel quale mi stavo recando. Lo feci per due motivi.
Il primo. Stavo andando in un locale che non conoscevo insieme ad una sconosciuta. O quasi. Insomma, volevo tutelarmi. Se fosse successo qualcosa di spiacevole, almeno esisteva una traccia di dove mi trovavo.
Il secondo. Chissà mai che a Stefano, trovandolo, non fosse venuta voglia di…
Infilai il foglietto nel cassetto dell’ingresso dove normalmente depositavamo le chiavi delle macchine.
Salutai Stefano, scesi in garage, recuperai il borsone dalla cantina, salii in macchina e mi diressi verso il luogo dell’appuntamento con Marta.
Lei era già lì ad aspettarmi.
Scendemmo dalle rispettive macchine e scoppiammo a ridere.
Eravamo praticamente vestite nello stesso modo. Sportivo. E tutte e due avevamo un borsone ben visibile sul sedile posteriore della rispettiva macchina.
Ci baciammo sulle guance, come vecchie amiche.
Decidemmo di lasciare una macchina parcheggiata lì e proseguimmo con la sua.
Lungo la strada ci fermammo in un’area di servizio sull’autostrada.
Iniziava ad imbrunire.
Recuperammo i nostri borsoni e ci dirigemmo verso i bagni.
Un quarto d’ora dopo ci ritrovammo nella zona dei lavandini, completamente diverse.
Faticammo a riconoscerci da quanto eravamo cambiate.
Via le scarpe da ginnastica, via i jeans, via le magliette sportive a maniche corte.
Marta era bellissima, seducente e provocante.
Le sensazioni avute durante il nostro primo incontro, quelle sul fatto che la mia nuova amica avesse delle belle tette, più grandi delle mie, mi furono confermate appena me la trovai davanti.
Ci guardammo e ci mangiammo a vicenda con gli occhi.
Marta, rossa di capelli, indossava un vestitino beige, molto corto, tutto bordato di pizzo nero (sulle maniche, sul decolleté e nella parte bassa), autoreggenti a rete e scarpe con il tacco altissimo dello stesso colore del vestito.
Era, in poche parole, una figa pazzesca.
Io, invece, avevo optato per un vestitino rosso in latex, molto scollato, con le spalle scoperte e con due sottili bretelline, autoreggenti nere velate e scarpe rosse, chiuse davanti, più o meno uguali a quelle indossate da Marta.
“Sei stupenda”, mi disse Marta.
“No, tu sei stupenda”, replicai io.
Nel bagno non c’era nessun’altra persona.
Tirammo fuori le trousse ed iniziammo a truccarci, una di fianco all’altra, appesantendo molto il trucco con il quale eravamo già uscite dalle rispettive abitazioni.
Mentre lo facevamo, ci sbirciavamo a vicenda e sorridevamo.
Un quarto d’ora dopo eravamo pronte.
Uscimmo dal bagno ed attraversammo la zona bar.
Ci sentivamo addosso il peso dello sguardo di tutti i clienti e dei dipendenti del punto ristoro.
Non passavamo di certo inosservate.
Uscimmo comunque dal locale senza problemi e risalimmo in macchina.
Venti minuti dopo parcheggiammo nei pressi della nostra destinazione.
Il locale, all’insegna “Twist”, aveva un ampio parcheggio asfaltato dedicato.
Trovammo facilmente posto.
Marta spense il motore.
“Allora, andiamo?”, mi domandò?
“Sei sicura?”, risposi.
“Sono agitata, nervosa e anche un po’ preoccupata. Però si, voglio andare. Tu?”.
“Anche io sono agitata, nervosa e preoccupata. Però, ormai, siamo qui”.
“Giusto. Dai, andiamo”.
Scendemmo dalla macchina.
L’asfalto del parcheggio aiutava molto per camminare su quei tacchi vertiginosi che indossavamo.
Poche decine di metri e raggiungemmo l’entrata del locale, piuttosto anonima.
Due uomini, due energumeni, controllavano l’ingresso.
Non erano richiesti inviti, né il pagamento di un biglietto.
Solo dopo aver varcato la soglia, sotto lo sguardo attento e tutt’altro che disinteressato dei due omoni, molto probabilmente dell’est Europa, ed aver raggiunto il tipo che, elegantemente vestito, svolgeva le funzioni di concierge, ci rendemmo conto che l’unica condizione prevista per poter accedere al locale, almeno per quella sera, fosse la sottoscrizione di un modulo che ci venne sottoposto immediatamente, insieme a due penne e ad un sorriso mellifluo e fin troppo sgarbato da parte del nostro anfitrione.
Iniziai a leggere il foglio.
“Ma che fai?”, mi disse Marta.
“Non vorrai mica metterti a leggere quel foglio? Dai, si tratterà del solito modulo per la privacy”, continuò.
Vidi che inserì i suoi dati, barrò tutte le voci con scritto “acconsento”, firmò il foglio e lo restituì al tipo che ci aveva accolte.
Feci la stessa cosa.
“Prego, da quella parte”, ci disse il tizio, con la bava alla bocca, consegnandoci due braccialetti in silicone di colore nero.
Oltrepassammo una pesante tenda di tessuto rosso e ci ritrovammo in una stanza in penombra, sufficientemente ampia.
Al centro c’era un tavolo e dietro il tavolo una ragazza, molto giovane, che indossava solo un paio di short di raso nero, molto corti e attillatissimi, un reggiseno in pizzo e scarpe con i tacchi alti.
“Benvenute”, ci disse.
“Grazie”, rispondemmo all’unisono.
Da sotto il tavolo la ragazza prelevò qualcosa e ce lo porse.
Prendemmo ciò che ci veniva offerto e ci rendemmo conto che si trattava di due sacchetti di plastica trasparenti, con chiusura ermetica.
Guardammo la ragazza con aria interrogativa.
“Per le mutandine”, ci disse, con un leggero sorriso.
Per le mutandine?
“Cioè?”, chiese Marta.
“Di là ci sono gli spogliatoi”, disse la ragazza, indicando una porta alla nostra destra. “E da quella parte gli armadietti dove depositare quello che non vi servirà dentro il locale durante la serata, ad esempio la borsetta, le chiavi della macchina e, appunto, le vostre mutandine. Gli armadietti si chiudono e si aprono con una combinazione numerica a quattro cifre”. E ci spiegò rapidamente come fare per impostarla.
La ragazza dovette capire, dalla nostra espressione, che, forse, non fossimo a perfetta conoscenza di qualcosa. E ci venne in soccorso, proprio mentre altre due donne, più o meno della nostra età e più o meno vestite nello stesso nostro modo, entrarono nella sala e si posizionarono dietro di noi, in attesa del loro turno.
“Come saprete, uno dei temi della serata è il look “no panties” da parte delle signore. Il sacchetto serve soltanto per motivi di igiene. Tutto qua”, ci disse, sempre con quel sorriso falso, garbato e professionale.
“Ah, grazie”, rispose Marta mentre io, a bocca aperta, cercavo di assimilare e metabolizzare le parole della ragazza. E di immaginarne le conseguenze.
Marta mi prese per una mano e mi tirò verso gli spogliatoi.
“Mah, non ne sapevo nulla”, disse. Tuttavia non mi parve né contrariata, né infastidita.
Mi lasciai tirare fin dentro lo spogliatoio, una lussuosa sala dove c’era di tutto, ma proprio di tutto, per potersi, come dire, dare una sistemata.
La mia mente qualificò all’istante come necessario un passaggio dentro quella sala prima di uscire da quel locale, a fine serata.
Accappatoi sigillati singolarmente, ciabatte usa e getta, saponi e creme di ogni essenza, trucchi di ogni tipo ed un dispenser automatico con collant e autoreggenti di ogni tipo e prezzo.
Rimasi sbalordita da quanto vedevano i miei occhi.
Conoscevo i distributori automatici di bevande, di alimenti, di preservativi.
Ma non sospettavo minimamente l’esistenza di un distributore automatico di autoreggenti e collant.
Mi feci delle domande e mi diedi delle risposte sul perché fosse stato installato quel marchingegno proprio in quella stanza.
“Dai, leviamoci le mutandine”, mi disse Marta mentre aveva già sollevato un piede da terra per potersele sfilare.
“Ma sei matta?”, le dissi.
“Perché?”, mi chiese.
“Come perché? Tu vuoi entrare in un locale, vestita in quel modo e senza mutandine?”, dissi io.
“Oh, cosa vuoi che ti dica. Io, venendo qui, spero che possano succedere anche a me alcune delle cose che mi ha raccontato la mia amica. E quindi si, voglio entrare senza mutandine”, disse lei.
Ripensai al mio incontro con Tony di qualche giorno prima. Anche io, in quell’occasione, mi tolsi le mutandine in bagno. Però, mi dicevo, il contesto era decisamente diverso.
Tuttavia imitai Marta. Mi sedetti su una panca, mi sfilai le mutandine e le riposi nel sacchetto.
Approfittammo dei prodotti offerti dal locale per darci una sistemata al trucco.
Eravamo pronte. Non sapevamo esattamente per cosa. Ma eravamo pronte.
Uscimmo dallo spogliatoio proprio nel momento in cui stavano entrando le due donne che, poco prima, erano dietro di noi in attesa di ritirare il loro sacchetto. Che ora tenevano in mano. Non mi sfuggì che, dentro quello della donna bionda, c’erano già le sue mutandine. Molto probabilmente se le era tolte davanti alla ragazza.
Non mi sfuggì neppure che le due donne indossavano, al polso, un braccialetto uguale al nostro, ma di colore rosso.
Raggiungemmo gli armadietti e, secondo le indicazioni che ci aveva fornito la ragazza, depositammo dentro tutto quello che avevamo con noi, mutandine comprese, ed inserimmo la combinazione di chiusura.
“Da quella parte”, ci disse la ragazza, ad alta voce, sempre con il suo sorriso falso.
Ah, mi raccomando”, ci disse ancora. “Non dimenticate di indossare il braccialetto”.
Le sorridemmo anche noi e ci avviammo nella direzione che ci aveva indicato, infilandoci il braccialetto nero al polso.
Aprimmo la porta ed entrammo.
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