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Prime Esperienze

Mia moglie Valeria - Dopo i 40 anni - Cambiamenti - Capitolo 11 - Il locale (parte prima)


di Marta-trav
02.03.2022    |    13.773    |    9 9.4
"Matteo stava scegliendo qualcosa..."
Ci misi molto meno tempo del previsto.
Dopo quarantacinque minuti ero nel parcheggio di quel locale, quasi totalmente occupato da auto in sosta.
Passai in rassegna, molto attentamente, tutte le macchine parcheggiate, senza tuttavia individuare quella di Valeria.
Mi tranquillizzai un po’.
Ma ormai ero lì e qualcosa, dentro di me, mi diceva che fosse comunque il caso che io entrassi dentro quel locale.
Ascoltai quel suggerimento.
Se lì dentro non avessi trovato mia moglie, come, nonostante tutto, ancora speravo, avrei dovuto giustificarmi con lei della mia assenza a casa. Dove lei, magari proprio in quel momento, stava rientrando, al termine della cena con le colleghe, senza trovarmi.
Mi sarei inventato una scusa.
Ora, però, ero lì ed avrei cercato di capire come mai, in un cassetto di casa mia, c’era un foglietto, scritto da mia moglie, con il nome e l’indirizzo di quel locale. E come mai lo avessi rinvenuto proprio la sera che Valeria non era presente in casa, ufficialmente a cena con le sue colleghe.
Dovevo assolutamente capirci qualcosa di più.
Mi avviai verso l’ingresso.
Pagai il biglietto per accedere, peraltro decisamente caro.
Il tizio all’ingresso mi fece una serie di domande, alcune anche inopportune.
Mi fece leggere e sottoscrivere un foglio dove erano illustrate le regole della serata.
Mi disse che il locale era costantemente controllato da addetti alla sicurezza. “Sa, per quello che il locale offre, meglio essere prudenti”, mi disse, come a giustificarsi.
E mi rimproverò per il mio dress code.
Effettivamente, essendo uscito di corsa da casa, non avevo dedicato molto tempo alla scelta del look.
Tuttavia, come mio solito, indossavo comunque abiti sportivi, ma sufficientemente adeguati alla circostanza.
E così mi fecero entrare.
“Con quello che ho pagato, volevo pure vedere…”, dissi, tra me e me.
E non nego che il tema della serata e quanto letto sul foglio all’entrata, sostanzialmente le regole del gioco, non mi dispiacevano affatto.
Oltrepassai un’altra stanza, dove una ragazza, dietro ad un tavolo, distribuiva qualcosa ad alcune donne, in attesa davanti a lei, ed entrai nel locale, oltrepassando un’altra porta.
Sapevo, avendolo letto sul sito, che si trattava di una serata dal look “no panties” per le signore.
E quindi sapevo che tutte quelle donne davanti ai miei occhi, molte per la verità, oltre a non indossare le mutandine (e già questo fu sufficiente per far risvegliare il mio cazzo) ed oltre ad essere, più o meno, tutte strafighe, erano anche piuttosto disponibili. Altrimenti non sarebbero certo venute in quel locale.
Facevo fatica ad immaginare Valeria dentro quel locale.
Ma poi, ripensando agli accadimenti dell’ultimo periodo, neppure più di tanto.
Diedi una rapida occhiata tutto intorno.
Uomini seduti con il cazzo di fuori, donne nude, donne ancora vestite, donne intente a fare pompini.
Un girone dantesco. E, a mio parere, del paradiso.
Non vidi Valeria.

“Non ci credo!”. Urlò quasi. In molti si voltarono dalla nostra parte.
“Che cavolo ci fai tu, qui?”, gridò ancora.
“Me lo chiedo anche io”, le dissi, sorpresa quanto lei.
“Ma è fantastico! Proprio non me l’aspettavo!”, continuò lei, sempre ad alta voce.
Il mio sguardò andò oltre di lei e si posò sul suo accompagnatore. Lei se ne accorse.
“Lui è Matteo”, mi disse. E, rivolgendosi a Matteo, disse “Lei è Valeria, la mia amica”.
“Piacere”, mi disse Matteo, allungando la mano.
“Piacere mio”, risposi, dandogli la mia.
Elena andò subito al sodo.
“Lei sa tutto di noi”, disse, rivolta a Matteo. “Ci conosciamo da sempre, conosce mio marito, le ho raccontato di noi, quasi tutto”, disse, facendomi l’occhiolino.
“Molto bene”, disse Matteo. “Non mi avevi detto di avere un’amica così gnocca, però”, continuò lui, squadrandomi dalla testa ai piedi e fissando lo sguardo, in particolare, sulle mie tette.
“Fai il bravo”, gli disse Elena, rimproverandolo.
“Io sono bravo, lo sai. Però la tua amica è proprio una figa pazzesca”, continuò lui.
Non sapevo se offendermi per la sfacciataggine di quel ragazzo, oppure gongolare per gli apprezzamenti ricevuti. Optai per la seconda opzione.
“Grazie”, gli dissi, guardandolo negli occhi, per poi indirizzare il mio sguardo verso il suo pacco.
Indossava un paio di pantaloni neri, identici a quelli del ragazzo mulatto dietro al bancone del bar, molto attillati.
Non notai nessun rigonfiamento particolare, ma sapevo, per quanto raccontatomi da Elena e per quanto avevo avuto modo di vedere sul sito, che là dentro riposava, per il momento, un animale di grandi dimensioni.
Lui mi sorrise, incrociando il mio sguardo.
“Oh, voi due, smettetela un po’!”, ci disse Elena. “Vai a prendermi da bere”, disse poi a Matteo. “Tu vuoi qualcosa?”, rivolta a me.
“Niente, grazie”, risposi.
Matteo si allontanò in direzione del bar.
Rimanemmo sole.
Elena mi fissava e sorrideva, senza dire niente.
Mi sentivo trafitta da quello sguardo penetrante della mia amica.
“Dunque, dunque, e come mai sei qui?”, mi chiese.
Le raccontai, più o meno, tutto. Del massaggio di Marta sul sito, del nostro incontro al bar e della sua richiesta di essere accompagnata.
“E dov’è la tua amica adesso?”, mi chiese ancora.
“L’ho vista scendere di sotto, tirata al guinzaglio da un uomo”, risposi.
“E’ piuttosto birichina la tua amica”, disse Elena. “E’ un habitué del locale?”.
“No, è la prima volta che ci viene, come me del resto”.
“E di che colore ha il braccialetto?”.
“Come il mio ed il tuo”.
“E sa a cosa sta andando incontro?”.
“Boh. Ho provato a dirglielo, dopo aver letto il significato dei vari colori dei braccialetti. Ma non se ne è fatta un problema”.
“E tu, come mai anche tu hai il braccialetto nero?”, mi domandò.
Le spiegai quello che era successo e le feci la stessa domanda.
Mi rispose che serate come quella venivano organizzate, in quel locale, almeno una volta al mese. E lei, se possibile, cercava di esserci sempre. E sempre con il braccialetto nero, ovviamente.
Mi disse che Matteo, qualche mese prima, l’aveva portata in quel locale in occasione di una serata analoga e che, fin da subito, aveva manifestato il piacere di esibirla e di provare con lei situazioni sempre più stravaganti, sessualmente parlando. Lei aveva accettato e condiviso, fin da subito, l’entusiasmo di Matteo, acconsentendo alle varie pratiche e situazioni proposte dal locale ed indossando, quindi, il braccialetto nero fin dalla prima volta.
“Ma tu non sei come me, non lo sei mai stata”, mi rimproverò quasi.
“Già”, dissi io, sempre più convinta che le distanze, tra me e lei, si stavano accorciando, da un punto di vista di spregiudicatezza.
“E Stefano?”, mi chiese.
“Lui non sa niente. E’ a casa con i ragazzi. Crede che sono a cena fuori con le mie colleghe”.
“Bugiarda. E troia”, mi disse Elena, sorridendo.
Tornò Matteo. Passò ad Elena un bicchiere, con chissà cosa.
Lui bevve un sorso dal suo.
“Tieni, assaggia”, mi disse lui, porgendomi il bicchiere.
Allungai la mano e lo presi.
Elena mi fissava, attenta ad ogni mia mossa.
Portai il bicchiere alla bocca. E lo feci ruotandolo e poggiando le mie labbra nello stesso identico posto in cui le aveva appena poggiate Matteo.
Se ne accorsero entrambi, ovviamente.
Si scambiarono una rapida occhiata e sorrisero, annuendo entrambi.
Mi gustai il contenuto del bicchiere, sufficientemente ghiacciato ed oltremodo alcolico per i miei standard e ripassai il bicchiere a Matteo.
“Grazie. Me ne prenderesti uno anche a me?”, gli dissi.
“Certamente”, disse lui, allontanandosi di nuovo
“Ti sta mangiando con gli occhi, gli piaci”, mi disse Elena.
“Tu dici?”, replicai io.
“Lo conosco. Ci proverà con te, l’ho capito. Sai già molto di lui, tutto quello che ti ho detto. Di lui mi fido ciecamente. Se lo farà, cedi alle sue avances, dammi retta. Ne vale la pena. Non pensare a me. Conosco tante persone qua dentro e troverò il modo di divertirmi lo stesso stasera. Sappi solo che è molto esigente e che gli piace esibire e condividere la sua donna, come ti ho detto più volte”.
Proprio in quel momento passò una coppia. Salutarono entrambi Elena. Lui con un neutro “Ciao Elena”, lei infilandole la lingua in bocca.
“Hai visto?”, mi disse, quando si furono allontanati.
Non sapevo se, anche stavolta, prendermela o rallegrarmi per la sfacciataggine di Elena, per la proposta che mi aveva appena fatto.
Ma sensazioni nuove, uno strano calore ed un lieve formicolio iniziavano a fare capolino in mezzo alle mie gambe.
“E dunque, alla fine, ti sei lasciata andare. Brava! Però sono un po’ offesa con te. Avrei preferito accompagnarti io in un locale come questo”.
“Scusami. Hai ragione, dovevo dirtelo, specie dopo tutto quello che hai fatto per me”.
“Tranquilla, nessun problema”, mi disse Elena sorridendo, afferrando il bordo inferiore del mio vestitino, tirandomelo verso l’alto e scoprendo la mia passerina.
“Ma che fai?”, le dissi, presa alla sprovvista.
“Oh Vale, non rompere. Qui ci sei voluta venire tu. Qui funziona così. Il tuo braccialetto nero mi consente di fare quello che sto facendo. Se non ti va, togliti il braccialetto ed esci dal locale”, mi disse, stavolta spazientita.
Non le dissi nulla e la lasciai fare.
“E quindi, alla fine, te la sei depilata! Finalmente! Guarda che spettacolo”, mi disse Elena, allungando una mano ed avvicinandosi con il dito medio alla mia fessurina.
“E sei già tutta bagnata, porcellina”, disse ancora, infilandomi dentro tutto il dito.
“Cosa state facendo voi due?”, disse Matteo, vedendoci, con un sorriso sincero stampato sul viso.
Matteo era proprio un figo. Elena aveva ragione quando me ne parlava con tanto entusiasmo.
“Niente che ti interessa, almeno per adesso”, gli rispose Elena, sempre con il dito infilato nella mia figa.
Matteo poggiò il mio bicchiere sul tavolino accanto a me. E si apprestò a godersi lo spettacolo.
“Sei fradicia”, mi sussurrò Elena, avvicinando pericolosamente la sua bocca al mio orecchio.
Il mio respiro stava diventando affannoso.
Elena, stavolta, non avrebbe desistito, di questo ne ero certa. Né io potevo scappare da lei, come avevo già fatto sul divano di casa sua. Il braccialetto nero mi inchiodava alle mie responsabilità. Lei lo sapeva perfettamente. E se ne stava approfittando.
Le dita nella mia figa, infatti, diventarono due.
Elena aveva mani bellissime, come ogni altra parte del suo voluttuoso corpo.
Dita lunghissime, affusolate.
Strumenti di piacere, a disposizione di una dea delle arti erotiche.
Con le unghie smaltate di rosso vivo, rigorosamente, come sempre.
Ne stavo saggiando, in prima persona, le capacità.
Inarcai la schiena, buttai la testa all’indietro.
“Godi, amica mia”, mi disse. “La serata è ancora molto lunga”, proseguì.
Iniziai a gemere. L’orgasmo stava arrivando chissà da dove, ma stava arrivando con la velocità della luce e con la forza dirompente di una tempesta tropicale.
Il mio corpo era teso. Fremiti di piacere lo attraversavano dalla testa ai piedi. Mi sentivo trafitta da lame di bramosia. I movimenti sussultori e ondulatori del mio corpo, completamente arreso alle sapienti manovre di Elena, mi stavano sconquassando, come il più violento dei terremoti. Onde di piacere partivano in continuazione dal punto di contatto delle falangi delle dita di Elena con le pareti viscide della mia figa e si diramavano per tutto il mio corpo, proprio come uno specchio d’acqua colpito da un sasso.
Spazio e tempo erano due concetti privi di significato, in quel momento.
Esplosi.
I miei gemiti richiamarono l’attenzione di molti. Intorno a noi si era formato un capannello di curiosi.
Me ne resi conto soltanto quando, ormai appagata dalle sensazioni che Elena mi aveva provocato, riaprii gli occhi, sfiancata.
Ero seduta su una sedia di quel locale, con le gambe oscenamente aperte e la mia intimità completamente esposta ed offerta, grondante di piacere, con due dita della mia migliore amica dentro di me e con gli occhi di una ventina di persone, uomini e donne, carichi di invidia, desiderio e voglia, puntati proprio su di me.
“E brava Valeria”, mi disse Elena.
“Si, proprio brava”, confermò Matteo.
I curiosi annuivano. E pian piano si allontanarono, in cerca di qualche altro spettacolino o diretti in qualche altro posto per dar sfogo alle loro evidenti voglie.
Rimanemmo soli. Io, Elena e Matteo.
“Tieni, assaggia”, mi disse Elena, avvicinando le sue dita, proprio quelle che erano state dentro di me, alla mia bocca.
Lo feci. E mi piacque. Tanto.
“Secondo me hai una voglia di godere, e di farlo in un modo nuovo, che stasera, anche se non potrai, non vorrai mai dire di no”, mi disse ancora Elena, scambiandosi uno sguardo di intesa con Matteo.
“Anche secondo me”, si affrettò a dire lui.
Io cercavo di ricompormi, risistemandomi il vestitino, per quanto possibile. Un po’mi vergognavo per quanto appena successo.
“Grazie”, dissi e Elena, comunque.
“Per così poco?”, lei.
“No, non solo per questo. Per tutto. Se oggi sono qui e sono pronta a lasciarmi andare, è solo per merito tuo. Ci avevi visto bene. Non credevo di essere così. Ma ormai sono qui e voglio divertirmi”. E così dicendo le diedi un bacio, infilandole la lingua in bocca, con forza.
Lei, ovviamente, ricambiò il bacio, partecipando attivamente ed avvinghiando la sua lingua alla mia.
“Ora basta, però. C’è molto da fare in questo locale, sai? E’ meglio non perdere tempo”, mi disse Elena.
Sorseggiai il liquore che mi aveva portato Matteo. Ero nuovamente pronta per godere.
Matteo dovette percepirlo.
“Se non ti dispiace, farei fare un giro del locale alla tua amica”, disse lui, rivolto a Elena.
“Fai pure. Sempre se anche lei è d’accordo”, gli rispose Elena, guardandomi.
“Si, certo, volentieri”, dissi io.
“Perfetto”, Matteo.
“A più tardi, allora”, si congedò Elena, facendomi l’occhietto.
“A dopo”, le disse Matteo.
“Si, a dopo”, conclusi io.

“Che ne dici se ci mettessimo un po’ più comodi, più in linea con il tema della serata?”, mi chiese Matteo.
“Si, certo”, gli risposi, con entusiasmo, pur non capendo bene a cosa si riferisse.
Mi prese per mano e mi condusse verso il fondo della sala. Attraversammo una parte del piano terra del locale in penombra, ai margini della zona dove, volendo, si poteva anche ballare, pieno di divani, sedie e tavolini.
Donne discinte in ogni angolo.
Tutte, ormai, con la figa in bella mostra.
Le mani degli uomini in loro compagnia erano particolarmente audaci. Le dita infilate di qua e di là.
I vestiti con i quali quelle donne erano entrate nel locale erano finiti chissà dove. Reggiseni? Neanche l’ombra.
Un profluvio di tette in ogni direzione. Più o meno belle, più o meno sode. Comunque tutte esibite con orgoglio e voluttuosità.
L’età media delle donne presenti nel locale era, più o meno, la mia.
Tutte, ma proprio tutte, che avessero superato i cinquanta anni o che ne avessero dieci di meno, erano perfettamente a loro agio in quell’ambiente, assolutamente consapevoli del loro ruolo (che, presto, sarebbe diventato anche il mio) e prive di ogni forma di imbarazzo o di impaccio nel trovarsi nude, in atteggiamenti espliciti, in mezzo ad altra gente.
Le imperfezioni di ciascuna di loro le rendevano comunque attraenti agli occhi degli uomini presenti. Il loro atteggiamento inequivoco contribuiva ad esaltarne la femminilità e la disponibilità.
Le invidiai per quella sfrontatezza. E sentii bagnarmi nuovamente in mezzo alle gambe.
E notai (ed anche stavolta dovetti ricredermi e dare ragione ad Elena) che tutte avevano la passerina perfettamente depilata. Le mie amiche della palestra dovevano essere piuttosto bigotte, pensai, sorridendo.
Matteo, tirandomi letteralmente e fregandosene di quello spettacolo che, invece, stava assorbendo completamente i miei pensieri, evidentemente perché era la prima volta che lo vedevo, scostò una tenda ed entrammo in una sala dove, altri uomini ed altre donne, stavano, come dire, indossando gli abiti di scena.
“Spogliati”, mi disse Matteo, con tono deciso.
Lo vidi allontanarsi, in direzione di un armadio.
Mi guardai rapidamente intorno. Una decina di uomini stavano agghindando le loro compagne, mogli o amanti che fossero, secondo i loro gusti e secondo quanto offerto dal locale e presente all’interno degli armadi posizionati in quella sala.
Matteo stava scegliendo qualcosa. Qualcosa che lui ritenesse adatto per me, secondo il suo insindacabile punto di vista e giudizio.
Stetti al gioco.
Mi tolsi il vestito proprio mentre Matteo tornava.
“Puoi appenderlo in uno di quegli armadi”, mi disse.
Ecco allora dov’era finito il vestito di Marta!
“Grazie”, gli dissi, slacciandomi anche il reggiseno.
“Ehilà, non ti ho chiesto di toglierlo! Ma va benissimo così, anzi, molto meglio”, mi disse Matteo, sorridendo, con espressione famelica.
Dovetti arrossire in volto. Avevo dato per scontato che dovessi farlo ed invece la mia intraprendenza mi aveva portato a commettere un errore. O, almeno, ad anticipare i tempi del copione che Matteo stava predisponendo per me.
“Che tette fantastiche che hai!”, mi disse, saggiandone la consistenza con entrambe le mani, soffermandosi, in particolare, sui capezzoli, già sfacciatamente turgidi.
“Grazie”, mi limitai a dire.
Nessuno faceva caso a noi. Tutti erano impegnati in attività più o meno simili alle nostre.
Percepivo che tutte le donne presenti all’interno di quella sala fossero clienti abituali del Twist. Lo percepivo da come le vedevo a loro agio a farsi fare quello che i loro uomini gli stavano facendo. A differenza mia.
“Uscendo da qui, sarai la mia donna. E questo sarà chiaro a tutti. Nessuno ti darà fastidio, se io non vorrò. Credo che ormai anche tu abbia capito che funziona così. Ma se io accetterò che qualcuno, uomo o donna che sia, possa partecipare ai nostri giochi, allora tu non potrai rifiutarti. Il tuo braccialetto li autorizza a prendere ogni iniziativa. Ovviamente, se le donne che dovessero giocare con noi dovessero indossare un braccialetto del tuo stesso colore, sarai libera di fare altrettanto. Ma dovrai sempre rispettare le volontà degli uomini. Cioè, loro saranno liberi di farti o di farsi fare tutto quello che vogliono, ma tu non sarai libera di fargli altrettanto, anche qualora tu lo desiderassi, se loro non fossero d’accordo. Questo è il regolamento della serata. Ma non succederà, tranquilla. Nessuno rifiuterà le tue attenzioni”, si affrettò a spiegarmi Matteo.
“Tutto chiarissimo”, gli dissi.
“Ricordati dove hai messo il tuo vestito. Il bello di questo locale è che sai con chi ci vieni, ma non sai mai con chi andrai via”, disse ancora lui, sempre sorridendo.
“E ti dico subito, per essere chiari, che accetterò molte delle richieste che mi verranno fatte durante la serata. Questo è lo spirito del locale. Qui mi conoscono quasi tutti. Sanno cosa mi piace fare. Sanno che mi piace esibire la mia donna, offrirla, condividerla. Quindi preparati, ci sarà da divertirsi, se vorrai ovviamente. Perché potrai interrompere in ogni momento i giochi, pronunciando la parola che conosci. Il regolamento, come avrai letto, vorrebbe che chi dovesse pronunciare la safeword debba togliersi immediatamente il braccialetto e, di conseguenza, abbandonare il locale. Ma su questo punto sono piuttosto tolleranti. Anche perché non ci sono microfoni e non è facile rendersi conto se qualche donna, sul più bello, abbia pronunciato la parola”, concluse.
“Ci proverò”, gli dissi io, mentre, nonostante avessi appena goduto, un nuovo calore stava avvolgendo il mio corpo.
Pensai ad Elena. A quando, probabilmente qualche mese prima di me, aveva ascoltato, magari proprio in quella stanza, le stesse parole che ora Matteo aveva rivolto a me.
Accettai di lasciare in quella stanza, oltre al mio vestito ed al mio reggiseno, anche la mia dignità.
Marta mi aveva chiesto un favore. Già, Marta. Chissà dov’era e cosa stava facendo…
Avevo accettato di accompagnarla in quel locale, mentendo a mio marito.
Il mio istinto, dopo averla vista al guinzaglio, mi aveva suggerito di fuggire, di tornarmene a casa.
E, molto probabilmente, lo avrei anche fatto se, proprio in quel momento, non fosse entrata Elena.
Ora ero in compagnia del suo accompagnatore, di quel Matteo che, tra le altre cose, aveva messo Elena al centro delle attenzioni di quattro uomini. Ed ero davanti a lui, indossando solo un paio di autoreggenti nere velate ed un paio di scarpe rosse, con il tacco altissimo. Per il resto ero completamente nuda, fatta eccezione per un paio di orecchini, una collana di fili d’argento intrecciati, la fede nuziale (che non avevo pensato di togliere) ed il braccialetto nero.
“Non so se lo hai fatto apposta, comunque complimenti per la scelta delle scarpe. Una donna sottomessa deve sempre indossare scarpe chiuse davanti. Nere sarebbe stato meglio”, mi disse Matteo.
No, non lo avevo fatto apposta, evidentemente. Ma fui comunque contenta della mia scelta, ancorché inconsapevole.
“Grazie”, gli dissi.
Matteo mi si avvicinò ed iniziò a prepararmi. Altri uomini, nella sala, stavano facendo altrettanto con le loro donne.
Mi cinse il collo con una striscia di pelle nera, tutta borchiata d’argento e con un unico gancio sul davanti. Insomma, un collare.
Lo strinse fino al punto che ritenne adatto ed infilò il rebbio nel buco corrispondente. “Così va bene”, disse.
Io rimasi in silenzio.
“Questo infilatelo tu”, mi disse, porgendomi un plug argentato, con una pietra color blu, del tutto identico a quello che mi aveva già prestato Elena e che avevo utilizzato per farmi le foto da inserire nella pagina personale di Valehot, soltanto di circonferenza leggermente più grande.
Non dissi niente, neppure stavolta. Me lo portai alla bocca, lo inumidii con la saliva, me lo poggiai sul buchino posteriore ed iniziai a spingere. Ci misi un po’, ma riuscii a vincere la resistenza del mio ano, a violarlo ed a fargli inghiottire il giochino. Il gridolino ed il conseguente gemito che uscirono dalla mia bocca quando il sex toy si assestò nel mio culo furono, per Matteo, il segnale che era entrato.
“Brava. Ora piegati e fammi vedere come ti sta”, disse lui.
Evidentemente lo feci. Mi misi a novanta gradi, puntellandomi con le braccia sul pavimento.
“Perfetto”, mi disse. “Hai un culo che farà felici molti, stasera”, disse ancora.
Non parlai nemmeno stavolta.
“Ci siamo quasi”, disse, invece, Matteo.
Mi rimisi in piedi e me lo ritrovai davanti, con un sorriso sadico e con gli occhi ricolmi di desiderio.
Mi fece un po’ paura. Ma poi mi ricordai che Elena mi aveva detto di fidarmi di lui. E ricacciai quella sensazione spiacevole, lasciandolo fare. E lui fece.
Dal nulla comparvero due pinzette per capezzoli.
Paura del dolore e desiderio del piacere. Questi erano i sentimenti con i quali mi apprestai ai prossimi passi di Matteo.
Lui afferrò il mio capezzolo destro, già sufficientemente turgido. Non per lui, a quanto pareva. Perché iniziò a massaggiarlo, a tirarlo verso l’esterno ed e strizzarmelo, strappandomi un gridolino di sorpresa e di dolore.
Se ne fregò della mia reazione.
Quando gli parve che il capezzolo avesse raggiunto la dimensione e la consistenza giusta, applicò la pinzetta.
Stavolta il mio fu un grido, solo di dolore.
Lui mi fissava negli occhi, sorridendo.
“Twist” era la parola che mi rimbombava in testa. Potevo pronunciarla il qualsiasi momento ed interrompere tutto quel supplizio.
Ma non la dissi.
Matteo rimase in attesa, come se sospettasse che stessi lì lì per pronunciare quella parola. Ma non la udì dalla mia voce. E pertanto si sentì autorizzato a proseguire.
Ripeté la stessa operazione con il mio capezzolo sinistro. Con la differenza che, stavolta, sapevo a cosa stavo andando incontro.
Tuttavia non riuscii a trattenere il grido di dolore che mi procurò lo scatto della pinzetta sul capezzolo.
“Brava”, disse Matteo con voce calda.
Ancora silenzio da parte mia.
“Avrei voluto appenderti alle pinzette alcuni pesi. Ma, mi pare di capire, che per il momento può bastare così. Magari lo faremo più tardi”.
Lo ringraziai mentalmente, ma non gli dissi nulla.
“Ci siamo”, disse, raccogliendo dal tavolino un guinzaglio di metallo, una catena argentata con un manico ad anello, in pelle nera.
Attaccò il guinzaglio con il moschettone al gancio che avevo sul collare e si infilò l’anello di pelle nera intorno alla mano.
“Ora sei pronta”, mi disse, con uno sguardo protettivo e crudele allo stesso tempo. “Andiamo?”, mi domandò.
“Si, andiamo”, dissi, assolutamente convinta.
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