Racconti Erotici > trans > Il prato in città
trans

Il prato in città


di Marta-trav
06.08.2019    |    18.476    |    14 9.8
"Perché quelli sono i posti di chi vuol far casino..."
Correva l’anno 1988.
Una domenica pomeriggio del mese di maggio, in una grande città del centro Italia.
Tra poco più di un mese finirà la scuola.
Ho 16 anni. Anzi no, non ancora, sono nato a settembre e quindi mancano ancora quattro mesi.
Da studente modello quale sono, orgoglio dei miei genitori, ho trascorso tutta la mattinata a prepararmi per l’interrogazione di matematica di domani. Non che sia preoccupato, intendiamoci. Però voglio prendere assolutamente un bel voto, per mantenere alta, molto alta,la media.
Trascorro molto tempo, chiuso in casa, a studiare, e molto poco a divertirmi, come invece dovrebbe fare un ragazzo della mia età.
I miei compagni di classe, a onor del vero, mi coinvolgono sempre. Mi invitano alle feste, alle cene, alle uscite in centro. Qualche volta ho anche accettato. Ma il più delle volte declino l’offerta, ringrazio e preferisco rimanere chiuso nella mia stanza. A fare cosa? Studiare, ascoltare musica e leggere un buon libro.
Oggi, tuttavia, sto andando a casa di un mio compagno di classe.
Mi ha chiesto se posso aiutarlo a prepararsi per l’interrogazione di inglese di domani.
Ma conosco molto bene Fabrizio.
Dopo una mezz’oretta di studio mi dirà (ne sono certo) di andare a giocare a biliardo.
Mi piace il biliardo e sono piuttosto bravo.
Se me lo chiederà (e sono certo che me lo chiederà) ci andrò volentieri.
Altrimenti (ma non succederà) rimarremo a casa sua a studiare inglese. Che poi, a me, va bene lo stesso.
Per andare a casa di Fabrizio devo prendere un autobus.
Abitiamo nello stesso quartiere, un quartiere che è grande come una delle tante piccole città della nostra bellissima Italia, un quartiere che conteràoltre 150.000 abitanti.
Non c’è molta gente in giro. Alla fermata, ad attendere l’autobus, siamo solo in quattro.
Fa già molto caldo e la domenica pomeriggio la gente preferisce andarsene al mare. Che da qui, poi, non è molto distante. E soprattutto ci sono le partite di calcio. Molti saranno allo stadio. Altri saranno incollati alla radio ad ascoltare le radiocronache. Siamo nel 1988 e non esiste ancora la TV a pagamento, SKY e, soprattutto, internet…
L’autobus si fa attendere, come sempre. Ma alla fine, sbuffando e sferragliando, arriva e, insieme ai miei compagni di attesa, salgo a bordo.
Sopra ci sono poche persone, sudate e distratte.
Sono tutti seduti ed anche io, come al mio solito, mi siedo nei posti in fondo. Quelli nei quali, invece, non mi siedo mai durante le gite scolastiche. Perché quelli sono i posti di chi vuol far casino. Sono i posti dei capi. Ed io non sono un leader. Anzi. E allora, in quelle occasioni, mi siedo nelle prime file, dietro i professori.
Ma qui, sull’autobus di linea, non ci sono gerarchie. Equindi ne approfitto.
Devo fare cinque fermate. Dieci minuti di viaggio.
Tutti i passeggeri sono seduti. Tranne uno. Un signore di una sessantina di anni che è salito alla mia stessa fermata.
E’ stranamente troppo vestito per la stagione. Indossa una giacca piuttosto pesante che gli arriva a metà coscia, un paio di pantaloni di cotone di qualche taglia in più rispetto alla sua e che hanno indubbiamente visto tempi migliori ed un paio di sandali. Ed ha una busta di nylon in mano, di colore giallo.
Questo signore si guarda intorno e, nonostante l’autobus fosse mezzo vuoto, decide di venire a sedersi anche lui nell’ultima fila. E, non capisco perché, tra gli altri quattro posti liberi, decide di utilizzare proprio quello accanto a me.
Sono un po’ infastidito dal comportamento di questo signore. Ma sono anche stato educato a non essere scortese. E quindi giro il mio viso verso il finestrino dell’autobus concentrandomi sul traffico, piuttosto scarso, che mi scorre davanti. Non prima, tuttavia, di aver notato due cose.
La prima. Il profumo. Questo signore ha un buon profumo. Nonostante faccia molto caldo e nonostante lui sia vestito in modo inappropriato rispetto alla stagione, emana un buonissimo odore di pulizia e igiene.
La seconda. I piedi. Questo signore ha piedi perfetti, curatissimi e di un colore pallido. Sicuramente se li fa curare in qualche centro estetico.
Queste due caratteristiche stonano un po’ con l’immagine complessiva di questo signore che invece, per effetto degli abiti che indossa, suscitaavversione e fastidio.
In ogni caso non sono affari miei. Giro la testa e mi concentro sulle gambe, bene in vista, di una donna che è seduta sul posto del passeggero anteriore della Fiat Regata che sta superando, proprio in questo momento, l’autobus sul quale mi trovo. Talmente bene in vista che non può sfuggirmi il colore dello smalto delle unghie dei piedi di quella donna. Un rosso fuoco acceso e splendente. Il mio colore preferito.
“Ciao”. L’uomo accanto a me mi ha appena salutato.
“Buongiorno” rispondo io, educatamente, un po’ sorpreso,
“Dove stai andando?” mi chiede.
Perché me lo chiede? Cosa gliene importa? Cosa vuole da me?
“Da un mio amico. Abita qui vicino. Tra poche fermate scendo”.
“Bene” dice lui. Poi resta in silenzio.
Io continuo a guardare le strade semivuote del mio quartiere. La Fiat Regata è ormai qualche centinaio di metri davanti a noi.
“Hai una fidanzata?”prosegue il mio vicino.
“Ehm…no” gli rispondo.
“E come mai? Un bel ragazzo come te…” dice lui.
L’autobus frena bruscamente. Si aprono le porte, scendono alcune persone. Non sale nessuno.
“Mah, non so…non ho molto tempo…” farfuglio io.
“Male” dice l’uomo. “Bisogna sempre aver tempo per queste cose”.
“Già” concludo io.
L’autobus riparte singhiozzando.
“Hai già fatto sesso con una donna?” continua lui.
Arrossisco in modo evidente. Inizio a sentirmi a disagio. Inizio a sudare.
Che cavolo di domanda è? E perché me l’ha fatta?
“Veramente…non saprei…beh…credo di no…non ancora” balbetto io.
“Bene” ripete ancora lui. “Ma ti piacciono le donne?” insiste.
“Beh, certamente…si, molto…” dico.
Silenzio. L’autobus rallenta, si ferma, apre le porte. Ed anche stavolta non sale nessuno. E scendono un paio di persone.
Sbircio distrattamente il mio vicino. Sembra assorto in pensieri tutti suoi. E mi rendo conto che sull’autobus siamo rimasti in sei. Noi due, una coppia di fidanzatini miei coetanei e due uomini, ciascuno per i fatti suoi.
L’autobus riparte. Fra tre fermate sono arrivato e finalmente mi libero da questa situazione di imbarazzo.
Certo, potrei alzarmi e andarmi a sedere da un’altra parte. Ma sarei oltremodo sgarbato. In fin dei conti questo signore mi ha fatto solo qualche domanda. Certo, un po’ troppo personale. Ma non è stato affatto scortese.
E se scende anche lui alla mia fermata? Se mi segue?
Beh, se lo farà inizierò a correre. Sicuramente non mi potrà stare dietro. Lo seminerò facilmente.
Tra un pensiero e l’altro arriva la fermata successiva. Senza che l’uomo mi abbia fatto altre domande.
La coppia di fidanzatini scende e nessuno sale. Ora siamo rimasti in quattro.
L’autobus riparte.
“Ascolta” inizia l’uomo “sabato pomeriggio, alle cinque, fatti trovare alla stessa fermata dove siamo saliti oggi. Voglio farti vedere una cosa. Ti divertirai, ne sono sicuro. Ti piacerà” e, così dicendo, afferra la mia mano destra, quella dalla sua parte, e se la porta repentinamente sul pene.
La stoffa dei suoi pantaloni è leggera. Percepisco immediatamente un rigonfiamento notevole. E il rigonfiamento che è sotto la mia mano è sorprendentemente duro.
Rimango senza fiato e visibilmente a disagio.
Con lo sguardo vado a vedere se gli altri occupanti dell’autobus si sono accorti di qualcosa. Ma ognuno pensa ai fatti suoi.
“Lo senti? E’ duro. E sono sicuro che ti piacerà”.
Ritiro velocemente la mano. Le mie guance sono rosse di imbarazzo. Non riesco a guardare l’uomo negli occhi. Fisso un punto nel vuoto davanti a me. Potrei mettermi a gridare…dovrei mettermi a gridare. Ma non lo faccio.
L’autobus rallenta. Si ferma ed apre le porte. Non è la mia fermata. Tuttavia mi alzo dal posto e, correndo, raggiungo la porta di discesa.
L’uomo è rimasto seduto al suo posto. “Mi raccomando, sabato prossimo alle cinque di pomeriggio” lo sento dire, ad alta voce, mentre percorro velocemente i pochi metri fino alla porta di discesa dell’autobus.
Scendo e mi ritrovo sul marciapiede, da solo, sudato e con il cuore che batte all’impazzata.
Le porte dietro di me si chiudono. L’autobus riparte. Vedo la sagoma dell’uomo dal lunotto posteriore dell’autobus. Non si volta nemmeno a guardarmi.
Ed ora? Mah, poverino, sarà un uomo malato. In fin dei conti sono qua e non mi ha fatto niente. Mi convinco che la storia sia finita lì.
Raggiungo casa di Fabrizio. Mezz’ora dopo, come previsto, siamo con le stecche in mano a cercare di infilare le quindici palle nelle sei buche del tavolo verde. Alla fine vinco io. Mi piace il biliardo.

La settimana scorre serenamente. L’incontro sull’autobus, del pomeriggio di domenica, in ogni casomi ha turbato profondamente. Tutte le sere, nel mio letto, sono tornato a pensarci. Con un’unica certezza. Quale? Sabato prossimo mi sarei tenuto a sufficiente distanza da quella fermata dell’autobus.

E così è stato.
Solo che la “sufficiente” distanza da quella fermata si è ridotta ad una ventina di metri.
E’ sabato pomeriggio. Sono le quattro e mezza. Mi trovo parzialmente nascosto dietro una macchina in sosta ed ho la visuale libera verso la fermata dell’autobus.
Ho faticato molto a definire, con esattezza, il tipo di sentimento suscitato in me dall’incontro sull’autobus della domenica precedente. Paura? Vergogna? Eccitazione? Forse un po’ tutto questo e tanto altro ancora.
Ho anche pensato che quelli come me potessero, in qualche modo, far trasparire le proprie debolezze. Ed, anche in questo caso, non sono sicuro se “debolezza” sia la parola giusta. Sarebbe meglio dire “malattia”?
Purtroppo siamo ancora nel 1988. Non c’è ancora internet, non c’è ancora condivisione.
Soltanto qualche anno dopo avrei scoperto che quella che allora definivo “debolezza” o “malattia” è, in realtà, una condizione che mi accomuna a tantissime altre persone del mio stesso sesso, giovani e, soprattutto, meno giovani. Una condizione con la quale, inevitabilmente, bisogna confrontarsi, bisogna farci i conti e, soprattutto, bisogna accettarla. Non esiste altra soluzione. Accettarla.
Ma è mai possibile che questa condizione (che però, allora, ancora definivo debolezza o malattia) possa trasparire ed essere percepita da qualcuno? No, impossibile.
Ed allora perché quel signore si è rivolto proprio a me, come se, in qualche modo, sapesse già che il suo comportamento avrebbe avuto in me l’effetto che, poi, ha realmente avuto?
Assorto da questi pensieri e da tutti gli altri che mi hanno accompagnato nel corso della settimana non mi sono neppure accorto che, nel frattempo, si sono fatte le cinque meno cinque e che il signore, proprio quel signore, è in piedi, in attesa, alla fermata dell’autobus, vestito nello stesso identico modo della domenica precedente e con in mano lo stesso sacchetto di nylon giallo.
Non mi sembra nervoso, non guarda l’orologio, non si guarda intorno. Sta lì, in piedi, in attesa. Come se sapesse che la sua pazienza sarebbe stata ripagata.
Lo osservo. Per un attimo sparisce dalla mia visuale poiché coperto dall’arrivo di un autobus. Proprio quello della stessa linea sulla quale ci siamo incrociati sei giorni fa. Lo prenderà? Spero di si…spero di no!
L’autobus riparte e mi restituisce la visuale completa della fermata. L’uomo è ancora lì, sempre in attesa.
Cosa faccio? Sono sei giorni che ci penso. Mi sono fatto mille domande e non mi sono dato nessuna risposta. I miei, in più occasioni, mi hanno chiesto se tutto andasse bene. Non sono riuscito a nascondere più di tanto il mio nervosismo.
Dunque, cosa faccio? So perfettamente cosa devo fare. L’ho deciso quando, tre ore fa, a casa, mi sono fatto una doccia, mi sono vestito e sono uscito dicendo ai miei che sarei andato in centro con i miei compagni di classe e che, forse, avrei anche mangiato una pizza con loro.
“Stai attento” e “hai preso la scheda telefonica?” le parole di mia madre.
“Prendi questi” quelle di mio padre, mentre mi allungava una banconota da cinquantamila lire.
Quindi so perfettamente cosa fare. Conosco bene la mia “condizione” (debolezza? malattia?). So che, prima o poi, ci avrei dovuto sbattere il muso. Inaspettatamente mi è capitato l’incontro di domenica scorsa. L’uomo ha tenuto fede alla sua parola. E’ qui, a venti metri da me. Tutto sembra dirmi di andare avanti.
Conto fino a dieci, respiro profondamente e mi incammino.
Faccio un giro un po’ più largo del necessario per non arrivare frontalmente dal mio uomo (mio uomo? ma che cavolo mi viene in mente?), e sono lì, a pochi metri da lui. Che continua a stare in piedi, in attesa, senza fare niente, senza parlare con nessuno, con lo sguardo fisso davanti a sé.
Mi avvicino e gli dico “ciao”.
“Ma ciao!” risponde lui. “Ti stavo aspettando. Sapevo che saresti venuto” mi dice regalandomi un bellissimo sorriso, con denti perfetti e bianchissimi, decisamente stonato rispetto all’immagine complessiva dell’uomo, piuttosto trasandata e sporca.
Il mio naso percepisce immediatamente il buon profumo della volta precedente, segno, mi auguro, di un’ottima igiene personale, in assoluto contrasto con il look dell’uomo.
Il mio sguardo, basso, sia per timidezza, sia per rispetto nei confronti di quella persona molto più grande di me, non può non far nuovamente caso della perfezione dei piedi di quell’uomo, bianchissimi, pulitissimi e perfettamente tenuti.
“Mi chiamo Luigi, ho sessantaquattro anni, sono vedovo, ho due figlie, sono un insegnante di matematica in pensione e mi piace vivere. Tu?” dice lui.
“Mi chiamo Stefano, ho quasi sedici anni e mi piace studiare” dico invece io. Ometto di dirgli che la matematica è la mia materia preferita.
“E basta? Mi hai già detto che non hai una fidanzata e che non hai ancora fatto sesso con una donna. E con un uomo?”.
Arrossisco nuovamente e continuo a guardare verso il basso.
“No…certo che no…perché avrei dovuto?” rispondo.
“Beh, perché quelli come te è quello che cercano e che vogliono, giusto?”.
“Non saprei…forse si…ma…non so…insomma…è così difficile”.
Mi guardo intorno. Non vorrei che ci fosse qualche mio conoscente nei paraggi.
C’è molta gente in giro, ma pare nessuno che io conosca.
“Tranquillo, vedrai che andrà tutto bene. Non c’è nulla da temere. Nulla di cui devi preoccuparti. Tutto sarà normale. Tutto sarà bellissimo. Ti piacerà e vorrai averne sempre di più. Ed io sarò con te e ti aiuterò. Fidati di me”.
Proprio in quel momento arriva l’autobus. Saliamo. Stavolta c’è molta più gente della volta precedente e nessun posto a sedere.
Rimaniamo in piedi. Io sono più alto di lui di una decina di centimetri.
Non parliamo. Non so neppure dove stiamo andando. E, soprattutto, a fare cosa.
Lo sento che si accosta a me, da dietro. Percepisco chiaramente la sua eccitazione. Indosso un bermuda in cotone. Distinguo chiaramente la sua erezione che spinge e si fa largo tra le mie chiappe. La sua mano libera (ma cosa cavolo avrà dentro quel sacchetto di nylon giallo?) si poggia prepotentemente sul mio cazzo. Inizia a farmi una specie di massaggio circolare. Sento l’eccitazione nascere dentro di me. La sento partire da un posto molto profondo, farsi strada e confluire con violenza sul mio cazzo che, sotto la sapiente ed esperta mano di Luigi, sta diventando duro, sempre più duro.
Ho paura che qualcuno noti tutto. Ma, guardandomi intorno, sembra che nessuno stia badando a noi.
Luigi continua a toccarmi. La sua mano si fa sempre più audace. Indosso una T-shirt di cotone, piuttosto ampia, non infilata dentro il bermuda. Luigi ne approfitta subito. La sua mano risale e si infila sotto la T-shirt, allarga l’elastico del bermuda, si infila dentro i boxer e afferra il mio cazzo, ormai in completa erezione.
Non ho la forza di dirgli di smettere, nonostante il luogo pubblico nel quale ci troviamo.
Luigi, che, chissà come, sapeva, con me, di aver fatto centro, approfitta della confusione e della mia completa disponibilità, per masturbarmi sempre più insistentemente fino a quando, tra un gemito soffocato e un tremito diffuso del mio corpo, vengo nella sua mano.
Mi giro verso di lui. Sorride. Sfila la mano, abbondantemente sporca del mio sperma. Se la porta alla bocca e, seppur con contegno, la ripulisce completamente con la sua lingua.
Sento ancora la sua prorompente erezione dietro di me. Mi afferra una mano e, come la prima volta, se la porta sul suo cazzo. Anche stavolta sento distintamente la sua erezione e la sua eccitazione.
Non so cosa si aspetti da me Luigi. Vuole che lo masturbi anch’io qui sull’autobus?Oppure?
Mi viene incontro lui e mi dice, sussurrandomelo all’orecchio, di stare tranquillo, che tra poco saremmo arrivati e che ci sarebbe stato posto anche per il suo godimento.
Non ci diciamo più nulla. Sento che il mio sperma ha bagnato completamente i boxer e, immagino, anche il bermuda.
Spero che la T-shirt riesca a coprire la patta del bermuda, altrimenti sai che figura!
L’autobus procede regolarmente tra una fermata e l’altra e, finalmente, arriva al capolinea.
Luigi mi fa cenno di scendere.
Lo seguo e noto, con sollievo, che la T-shirt sta facendo egregiamente il suo lavoro. Meno male…
Stiamo risalendo una strada di belle palazzine a due o tre piani massimo. Con bei giardini a piano terra e con balconi pieni di fiori. Gente agiata.
Sul lato sinistro della strada, quello che stiamo risalendo, ad un certo punto la fila di palazzine si interrompe per lasciare spazio ad un prato, piuttosto incolto, che, a prima vista, sembrerebbe un lotto di terreno sul quale, chissà per quale motivo, non si è mai deciso, anni addietro, di costruire una palazzina simile alle altre. Il terreno è ormai ridotto ad una piccola foresta urbana, piena di rovi, cespugli e qualche piccolo albero di una non meglio identificata specie autoctona.
Luigi mi dice di seguirlo dentro quel mondo urbano parallelo.
Avanzando tra la vegetazione riesco comunque ad intravedere i balconi delle palazzine che costeggiano questo angolo di inferno nel bel mezzo della vita agiata dei proprietari di quegli alloggi.
Una signora sta innaffiando i gerani. Un bambino sta facendo bolle di sapone. Una ragazza sta stendendo la propria biancheria intima. Un signore sta sistemando un’antenna per la televisione.
Improvvisamente, davanti a noi, appare un piccolo capanno. Sembra quasi che gli operai che avrebbero dovuto costruire la palazzina che non c’è avessero almeno avuto buone intenzioni iniziando ad allestire il magazzino per gli attrezzi.
Vedo che Luigi si ferma lì davanti. Tira fuori da una tasca della giacca una chiave, apre il lucchetto che chiude una catena di protezione, spalanca la porta e mi dice “vieni, entra”.
Il piccolo locale, che prende luce da alcune feritoie che sti trovano tra le pareti ed il tetto, è sorprendentemente pulito e ben tenuto. Mi sembra di vedere anche un frigorifero.
Luigi mi chiede se ho voglia di bere qualcosa.
“No grazie” rispondo, un po’ nervoso.
“E dunque eccoci qui. Ti piace?” non attende la mia risposta e continua “vedrai che ci divertiremo”.
“A proposito, sai che il tuo sperma ha un sapore delizioso?” mi dice facendomi l’occhietto.
Mentre rimango lì in piedi, non sapendo cosa fare, Luigi inizia a togliersi la giacca e la appende ad un gancio sulla parete. Si toglie anche la camicia a maniche corte che indossa e rimane a torso nudo.
Bel fisico, penso, per l’età che ha.
Nessuna traccia di pancia, muscoli ancora tonici, nessun pelo superfluo.
Si slaccia la cintura e si sfila i pantaloni che, per quanto sono larghi e malandati, escono nonostante Luigi indossi ancora i sandali. Si siede su uno sgabello e si toglie anche i sandali. Si alza ed è in piedi davanti a me, indossando solo un paio di slip bianchi. Il mio sguardo è fisso sul fin troppo evidente rigonfiamento degli slip.
“Vuole uscire, inizia a farmi male là dentro” mi dice, intuendo la direzione del mio sguardo.
“E allora, cosa fai lì impalato? Dai, spogliati”, prosegue.
Il pavimento del capanno è in legno. Un paio di tappeti aiutano a camminare senza il rischio di infilarsi qualche scheggia nei piedi.
Inizio a togliere la T-shirt.
“Guarda come sei sporco lì davanti! Mi sa che hai sborrato veramente tanto sull’autobus, eh?” mi dice, sorridendo, indicando la macchia, ancora bagnata, proprio intorno alla zip dei miei bermuda.
“Già” rispondo.
“Almeno ti è piaciuto?” incalza.
“Si, mi è piaciuto molto, grazie” dico.
“E non è ancora niente. Mi dirai tra qualche ora come ti senti”.
Slaccio i bermuda e li lascio scivolare a terra. Mi siedo sulla poltrona e slaccio le scarpe.
Ora siamo tutti e due in piedi, uno di fronte all’altro, ed indossiamo solo la biancheria intima.
Slip lui. Boxer, sporchi di sperma, io.
Fa caldo. Non capisco se per la temperatura dell’aria o per quella della mia mente, ora decisamente eccitata.
Luigi sa che non sono mai stato con una donna, né con un uomo. Sa che per me è la prima volta. Sa che sono nervoso e che ho anche un po’ di paura. E sa perfettamente cosa voglio.
Quindi mi si avvicina e mi dice “dai Stefano, lasciamoci andare e divertiamoci. Sei libero di andar via in qualunque momento tu lo desideri, basta che me lo dici ed io smetterò di fare quello che staremo facendo e ti lascerò andare. Certo, io vorrei che tu rimanessi fino alla fine. Ma non posso e non voglio obbligarti”.
“Voglio rimanere” dico io, convinto come non mai.
Luigi sorride. E’ a pochi centimetri da me. Mi si avvicina ancora, mi fa una carezza sulla guancia, sposta la sua mano sulla mia nuca e, con decisione, avvicina la mia bocca alla sua. In un attimo sento la sua lingua infilarsi dentro la mia bocca.
Sto baciando un uomo!
Ancora un attimo di resistenza, di incertezza e la decisione è presa.
Voglio quest’uomo e voglio fare tutto con lui!
Intanto mi godo il buon sapore della bocca di Luigi.
Non so come abbia fatto ad individuarmi.
E’ da qualche anno, almeno quattro per l’esattezza, che vivo il mio sviluppo sessuale in modo anomalo rispetto alla maggior parte dei miei coetanei maschi.
Non che non mi piacciano le ragazze, intendiamoci.
Ma spesso penso che, più che stare con loro mi piacerebbe stare al posto loro.
E così ho iniziato a provarci, nel più assoluto segreto delle quattro mura della mia casa e soltanto quando avevo la certezza che i miei genitori si trovassero ad anni luce di distanza.
In quelle condizioni aprivo i cassetti della biancheria intima di mia madre e, credetemi, non mi era affatto difficile tirar fuori qualcosa di estremamente sexy e provocante.
Ho iniziato ad indossare autoreggenti, collant, perizoma, reggiseni, reggicalze, guepiere, corsetti, ecc.
Poi indossavo minigonne o vestitini corti.
Un giorno, per caso, nel suo armadio trovai anche una parrucca che non ricordavo di averle mai visto. Ma per me era perfetta. Iniziai a sperimentare il trucco e lo smalto sulle unghie.
E, per finire, indossavo l’unico paio di scarpe di mia madre con tacco altissimo e senza cinturini.
Certo, erano di un numero decisamente inferiore rispetto al mio. Ma l’effetto di vedere il mio piede con lo smalto rosso sulle unghie, avvolto in un collant, con scarpe sexy era più che sufficiente per portarmi, in un attimo, a raggiungere un orgasmo tanto rapido quanto dirompente.
In quegli attimi prima dell’orgasmo mi sarebbe piaciuto che ci fosse un uomo accanto a me.
Poi, passata la fase di eccitazione acuta, iniziavano i sensi di colpa. Mi spogliavo, tutta la roba tornava a posto nei cassetti e negli armadi e mi ripromettevo di non farlo mai più. Fino alla prossima volta. Che, talvolta, era solo un paio d’ore più tardi…
Debolezza? Malattia? Non lo so. Ma non riuscivo a non farlo e, soprattutto, volevo farlo.
Credo che Luigi qualcosa di tutto ciò lo abbia percepito, chissà come.
Ed ora ci stiamo baciando.
Ed io, nonostante abbia avuto un orgasmo poco più di mezz’ora fa, sento nuovamente l’eccitazione farsi largo dentro di me così come sento il mio cazzo indurirsi di nuovo all’interno dei boxer.
Luigi, anche stavolta, deve aver compreso perfettamente le mie aspettative.
Continua ad esplorare la mia bocca con la sua lingua.
Ha un buon sapore e ci sa fare!
Con le mani inizia piano piano a scendere. Mi accarezza le spalle, la schiena.
Poi afferra l’elastico dei boxer ed inizia a sfilarmeli.
Ora sono completamente nudo.
Le mani di Luigi si soffermano sul mio sedere. Massaggiano con decisione le mie chiappe. Si infilano prepotentemente nel solco. Sfiorano più volte il mio ano. Sento brividi di eccitazione invadere ogni centimetro del mio corpo.
Le bocche sono sempre incollate, le lingue sempre intrecciate.
Capisco che Luigi si sta sfilando gli slip.
Ora siamo entrambi nudi, entrambi visibilmente eccitati, entrambi pronti.
“Hai mai visto così da vicino il cazzo di un uomo?” mi dice.
“Veramente no. Cioè si, negli spogliatoi della piscina, facendo la doccia. Ho sempre cercato con lo sguardo, di nascosto, di vedere il pene dei miei compagni. Ma non ho mai toccato un pene diverso dal mio. Il tuo, poi, è bellissimo”.
“Ti piace? Effettivamente credo di avere un bell’esemplare. Ho avuto una vita sessuale piuttosto attiva. Sia con donne, sia con uomini. Raramente ho incontrato uomini che ce l’avessero più grande del mio” sorride.
“Posso toccarlo?” domando.
“Puoi farci tutto quello che vuoi” mi dice.
Allungo una mano, con cautela. Il cazzo di Luigi è in completa erezione. Il glande è completamente scoperto. Lucido e pulsante.
Le vene sono in rilievo.
Non ho nessuna esperienza, però, effettivamente, mi sembra particolarmente bello. Lungo e largo.
E’ completamente depilato, a differenza del mio.
E, alla base, ha due testicoli enormi. Almeno a me sembrano enormi. Specie se paragonati ai miei.
Sfioro il glande, scendo a toccare i testicoli e poi afferro l’asta. Prima dolcemente, poi stringendo con decisione.
Ed inizio a masturbarlo. Prima dolcemente e poi con sempre maggiore veemenza.
“Piano, altrimenti vengo subito. Non sono più giovane come te. Sono sicuro che tu avrai altri orgasmi oggi. Ma io non riesco a venire più di una volta. E ne abbiamo di cose da fare prima che anche io possa sborrare” mi dice afferrandomi il polso e rallentando il mio movimento.
Mi sento un po’ inadeguato. Non ho esperienza e si vede. Ma Luigi sa cosa fare e, soprattutto, cosa farmi fare.
“Ti va di assaggiarlo?”
Sarò giovane e inesperto, ma non sono certo stupido. Sapevo che me lo avrebbe chiesto e so perfettamente che avrei voluto provarlo.
“Certo” gli dico io.
“Accomodati pure” dice lui.
Ho un’erezione straordinaria. Non ricordo di averne avuta un’altra così intensa. Mi fa quasi male il cazzo. Sento che avrei il bisogno di toccarmi, di masturbarmi, di sborrare. Ma evito di farlo. So che, a breve, ne avrò sicuramente modo.
Intanto mi inginocchio. Annuso. Il profumo è straordinariamente piacevole.
Per la prima volta in vita mia ho il cazzo di un uomo a pochissimi centimetri dalla mia faccia, dalla mia bocca.
Anche adesso, come prima con la mano, con cautela tiro fuori la lingua. Non so da dove iniziare.
Sfioro il glande. Con una mano gli afferro dolcemente i testicoli. Avevo visto bene, sono veramente enormi. Non riesco a contenerli in una mano. Li stringo un po’. Ho paura di fargli male. Luigi non si lamenta. Anzi, mi sembra che gli piaccia. Ed allora continuo a stringere.
La mia lingua continua a sfiorare il glande, poi scende sull’asta, ma sempre con cautela.
“Prendilo tutto in bocca, non aver paura” mi invita Luigi.
Magari avevo bisogno di essere spronato.
Fatto sta che appena Luigi pronuncia quelle parole sento scattare qualche oscuro e misterioso meccanismo dentro di me.
Afferro con decisione il cazzo di Luigi e me lo infilo tutto in bocca, voracemente.
Me lo spingo fin dove riesco a farlo arrivare. Sento la mia saliva che lo avvolge completamente.
E’ decisamente largo. Ho aperto completamente la bocca e, tuttavia, fatico ad accoglierlo.
Mi chiude completamente la gola. Sento che sto per vomitare.
“Non così” mi rimprovera dolcemente Luigi. “Succhialo con più calma, vai avanti e indietro”.
Sono veramente imbranato.
Ma provo a fare come mi ha detto lui.
“Bravo, così. Vedi che hai imparato subito?” dice.
Ci sto mettendo tutto il mio impegno. Luigi, mi sembra evidente, sta gradendo molto quello che gli sto facendo. E per me è uno stimolo a proseguire.
Continuo a succhiarlo.
Mi rimprovera ancora. Mi dice di non masturbarlo mentre lo succhio, altrimenti mi sborra in bocca.
In questo momento non è certo una sua sborrata in bocca che mi spaventa.
Mi spaventa invece il fatto che possa finire il tutto. Ed io voglio che duri ancora molto.
Quindi smetto di masturbarlo con la mano e continuo a succhiarlo con la bocca.
Succhio e pompo…succhio e pompo…succhio e pompo…
Luigi gradisce ed io sono eccitatissimo.
Sto facendo un pompino ad un uomo di 64 anni!
Mi trovo dentro un capanno. Praticamente in piena città. Le mie orecchie percepiscono i rumori della quotidianità: voci di persone, schiamazzi di bambini, clacson di macchine, cani che abbaiano, un aereo che passa…
Ed io sono completamente nudo, inginocchiato, ho davanti a me un uomo di 64 anni, anche lui completamente nudo…e gli sto facendo un pompino!
Mi piacerebbe che ci fosse qualcuno a riprendere la scena.
“Ma sei bravissimo!” si congratula Luigi. “Sembra che in vita tua hai fatto solo pompini”.
Non dico nulla. Continuo a succhiare e pompare. Ma sono orgoglioso di me.
“Ora, però, basta. Altrimenti vengo”.
Luigi sfila il suo cazzo dalla mia bocca e si piega a baciarmi. Ho la bocca piena di saliva. E magari non è solo tutta saliva.
“Ti va di infilarmelo nel culo?” mi chiede.
Mentre gli stavo facendo quel pompino pensavo che, di lì a poco, Luigi mi avrebbe fatto quella domanda. Cioè, non esattamente quella. Pensavo che mi avrebbe chiesto se poteva infilarlo lui dentro di me.
Non mi ero ancora dato una risposta.
Ripeto, sarò giovane ed inesperto, ma non stupido.
Non posso trovarmi in questa situazione e non pensare che l’uomo che è con me non mi chieda di scoparmi il culo.
Quando me lo avesse chiesto, avrei risposto secondo quello che l’istinto mi suggeriva al momento.
Ma Luigi mi ha chiesto esattamente il contrario.
“Se ti fa piacere, certo” gli rispondo.
“Certo che mi fa piacere. Ma prima voglio assaggiarti anche io”.
Non fa in tempo a finire la frase che è già inginocchiato con il mio cazzo in bocca.
Sto provando una delle erezioni più intense della mia vita, quasi dolorosa tanto è vigorosa.
Non ricordo di averlo mai avuto così duro.
Mi vergogno quasi a non averlo come il suo, completamente depilato.
Luigi ci sa fare. Da lui posso solo imparare.
Mi sta ricambiando il favore. Mi sta regalando un pompino straordinario.
La sua bocca è esperta.
Il gioco di labbra e lingua è sublime.
Mentre lo succhiavo io credo di avergli fatto sentire, involontariamente, anche i denti.
Lui, invece, è bravissimo. Usa solo le labbra e la lingua. Ed è stupendo!
La mia eccitazione è a mille. E sento che anche l’orgasmo sta montando. Di nuovo.
Ho sborrato un’oretta fa, sull’autobus.
Ma sono già pronto per la seconda volta.
Lo dico a Luigi.
“Ok, smetto” mi dice.
Si stacca da me e si mette su uno dei tappeti, a quattro zampe. O alla pecorina, se preferite.
Ho il suo culo completamente in vista. Anche lì, Luigi, non ha un pelo.
“Dai, mettimelo dentro” mi incita.
Vedo che, con le mani, si afferra le chiappe e le spinge verso l’esterno, in modo da offrirmi meglio e completamente il suo sedere.
Lo guardo con stupore. Mi è già capitato, come ho detto, di vedere il cazzo di un uomo, di un mio coetaneo, nelle docce. Ma mai e poi mai ho visto così da vicino un culo, né di uomo, né di donna. Neppure il mio!
Il colore della pelle introno all’ano di Luigi è di un colore più intenso rispetto al resto.
Non ho esperienza, ma a me sembra un culo perfetto. E non di una persona dell’età di Luigi.
Mi posiziono dietro di lui, fletto un po’ le gambe e mi avvicino con il cazzo al suo culo.
Ho il cazzo talmente duro che fatico non poco a piegarlo per metterlo nella giusta posizione per penetrare Luigi.
Ce la faccio. Poggio il glande sul suo bellissimo buco e inizio a spingere. Ma non succede niente. Provo ancora e…ancora niente.
Luigi capisce.
“Così non ci riesci. E’ troppo asciutto. Bisogna bagnarlo un po’, altrimenti non entra” dice lui.
Bagnarlo? Nella mia innocente inesperienza mi guardo intorno in cerca di un lavandino oppure di una bottiglia d’acqua.
“Dai, leccalo, sputaci sopra”.
Ecco cosa intendeva per bagnarlo…che sciocco che sono!
Devo dire che l’idea di leccare un ano non è che mi sia mai venuta in mente. Ma in questo momento non sto ragionando con la testa. No, sto ragionandocon la mia parte del corpo visibilmente eccitata. E si sa, l’eccitazione, spesso, ci fa fare cose che la ragione ci avrebbe impedito.
E cosi affondo la mia bocca tra le chiappe di Luigi, tiro fuori la lingua e inizio a bagnargli il buco. E sento solo sensazioni positive.
“Bravissimo, così…che bello…infila la lingua dentro, dai…se vuoi, usa anche le dita…dai”. Luigi sembra molto soddisfatto del mio trattamento.
Spingo con la lingua, riesco ad infilargliela dentro. Mi allontano un po’. Gli sputo sul buco. Ritorno a leccarlo. Entro nuovamente dentro di lui con la lingua. Mi allontano di nuovo. Gli infilo un dito dentro. Lo sento cedere facilmente. Aggiungo un secondo dito. Entra facilmente. Li ruoto. Dilato il buchino.
Gli piace, è evidente.
“Ora sono pronto. Dai, infilami il cazzo. Fammi il culo” mi dice con la voce roca per l’eccitazione.
Mi rialzo, fletto nuovamente le gambe, piego il mio cazzo (che, ora, mi sta facendo veramente male dall’eccitazione) e poggio la cappella sul suo buco.
Inizio a spingere e, stavolta, entra immediatamente.
Il glande sparisce in un attimo, risucchiato nel culo di Luigi.
“Bravissimo! Così!”.
Continuo a spingere, continuo a entrare.
Non trovo una grande resistenza. Immagino che quel canale di Luigi sia piuttosto allenato a prendere calibri anche più grandi del mio.
Ora sono completamente dentro. I miei testicoli sono a contatto con i suoi.
Sento il calore delle pareti del culo di Luigi avvolgere completamente il mio cazzo. E la sensazione è meravigliosa.
“Adesso muoviti, avanti e indietro”. E’ quasi un ordine.
Inizio a scoparlo. Prima dolcemente e poi, su sua richiesta, sempre con maggiore forza.
Lui geme. Io respiro affannosamente. Sono sudato. Fa veramente caldo.
Il rumore che sento è particolarmente affascinante. Il mio cazzo scivola avanti e indietro. Il culo di Luigi cede facilmente sotto le mie spinte. I miei testicoli sbattono contro i suoi.
Da qualche parte, nel mio profondo, sento risalire una forza esplosiva.
L’orgasmo parte da lontano. Lo sento risalire chissà da dove. Si fa largo dentro di me. E chiede spazio.
Lo dico a Luigi. “Sto…per…venire”.
Non dice niente. Continua a rimanere lì, a quattro zampe, con il mio cazzo nel culo.
Non ce la faccio più. Ma non so cosa fare. Mi sfilo? Continuo?
Non faccio in tempo a decidere.
La violenza del mio orgasmo è devastante.
Vengo dentro Luigi. Uno, due, tre, cinque, sette, forse otto schizzi. Accompagnati da gemiti di piacere. Sia miei, sia suoi.
Mi tremano le gambe.
Mi sfilo da Luigi e mi siedo a terra, accanto a lui.
“Ti è piaciuto?” mi domanda Luigi, alzandosi in piedi.
“E’ stato meraviglioso” rispondo, con il fiato corto e il cuore che ancora non ha ripreso i battiti normali.
Siamo entrambi molto sudati.
Mi sento esausto e svuotato. Ma, soprattutto, mi sento appagato.
“Ehilà, mi hai inondato! Ma quanto ne hai fatto? Sta uscendo tutto. Lo sento colare lungo le gambe” sorride Luigi.
“Ehm…scusa…non volevo”.
“Oh, certo che volevi. E lo volevo anche io”.
“Posso vedere?” domando io, prendendo un’iniziativa che non mi appartiene.
Luigi mi fissa con uno sguardo sornione, sorride e poi si rimette a quattro zampe.
“Guarda pure” mi dice.
Lo spettacolo davanti ai miei occhi è stupefacente.
Vedo una quantità enorme di sperma che fuoriesce dal culo di Luigi. Il mio sperma.
Mentre venivo, non mi sono reso conto di averne fatto così tanto.
Oggi sono particolarmente eccitato. Luigi è stato bravissimo a portarmi a questo livello di eccitazione. Ed io mi sono lasciato andare completamente.
Ed ora vedo il mio sperma che esce dal buco e cola nella parte interna delle cosce del mio amante.
“E’ di tuo gradimento lo spettacolo?” mi chiede.
“Beh, si…mi piace…è bello” dico io.
E senza che lui mi dica niente, prendo nuovamente l’iniziativa e infilo, per la seconda volta in poco tempo, la mia faccia tra le chiappe di Luigi ed inizio a leccare tutto quello che esce da quel buco.
“Ma sei proprio un golosone, allora!” mi apostrofa.
Quando sono soddisfatto del mio lavoro gli dico “grazie” e mi metto a sedere.
Luigi si siede accanto a me.
“Grazie a te” dice lui.
Siamo entrambi esausti. Io, forse, più di lui.
L’unica differenza tra noi due, in questo momento, è che io ho il cazzo moscio, decisamente a riposo. Del resto ho già avuto due orgasmi in poco tempo. E lui, invece, è ancora in tiro, nella sua straordinaria erezione.
Luigi si volta verso di me e mi dice, con aria un po’ divertita e un po’ dispiaciuta, “io, però, non ho ancora sborrato”.
Capisco che il pomeriggio sarà ancora lungo.
E mi preparo.

Continua…
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore. Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Votazione dei Lettori: 9.8
Ti è piaciuto??? SI NO


Commenti per Il prato in città:

Altri Racconti Erotici in trans:



Sex Extra


® Annunci69.it è un marchio registrato. Tutti i diritti sono riservati e vietate le riproduzioni senza esplicito consenso.

Condizioni del Servizio. | Privacy. | Regolamento della Community | Segnalazioni