tradimenti
Eva. Il piacere nascosto...


29.06.2025 |
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"Le chiesi, con un sussurro rotto:
«Eva… ma ora me lo dici? Quell’anziano di prima… che cosa ha voluto? Cosa gli hai fatto? Era uscito così… soddisfatto..."
Eva la conoscevo già.Non era una sconosciuta pescata per caso nel mare profondo del desiderio.
Era stata, in un certo periodo della mia vita, la mia amante. Di quelle che non dimentichi. Una presenza ingombrante nei pensieri e leggera come seta tra le lenzuola.
Ci eravamo incontrati per caso, e da quel momento ogni occasione era diventata esplosiva, bruciante, intensa.
Poi, senza spiegazioni, si era lentamente allontanata.
Mai una parola di rottura, mai un gesto netto. Solo il silenzio che cresceva, giorno dopo giorno, come una distanza che non chiedeva permesso.
Non ci siamo più rivisti, ma ogni tanto, per chissà quale filo invisibile, restavamo in contatto.
Mi diceva che aveva lasciato il lavoro, che stava facendo delle pulizie in un B&B. Un ragazzo le aveva affidato il compito di sistemare le camere, riorganizzare, accogliere. Ma la sua voce, quando lo raccontava, aveva sempre un sottotono che lasciava intendere altro.
Eva non era mai stata solo una donna. Era un’onda. E onde così non si fermano a rifare letti.
Ogni volta che la sentivo, dentro di me riaffiorava quel desiderio muto, mai veramente archiviato.
E fu proprio questo che mi colpì, quando tempo dopo, scorrendo alcuni annunci di incontri, vidi quelle parole: poche, semplici… eppure cariche di una sensualità conosciuta.
C’era qualcosa nel tono, nella scelta dei termini, che mi riportava a lei.
Istintivamente, chiamai a questo numero che non era nella mia rubrica.
La voce che rispose era la sua.
Nessun imbarazzo, solo quella naturalezza sfrontata che l’aveva sempre contraddistinta.
«Non posso riceverti prima di tre ore» disse, con quel tono basso e caldo.
«Nessun problema, sto rientrando a Pescara ed è perfetto per me. Mandami l’indirizzo» risposi.
In verità, ero a poco più di dieci chilometri dal suo indirizzo.
Guidai fino alla zona indicata, una manciata di case in stile balneare, tutte ravvicinate come a voler nascondere qualcosa. Mi fermai un po’ distante, restando in macchina.
Un sopralluogo, mi dissi. Solo per placare l'agitazione.
Osservai l'ingresso del B&B, quando la porta si aprì.
Ne uscì un uomo anziano, avrà avuto almeno settantanni. Si guardò attorno con calma, aggiustandosi gli occhiali come se cercasse qualcosa… o qualcuno.
Fino a qui, nulla di strano. Eppure quella scena aveva qualcosa di cinematografico.
Un preludio.
Come se il passato e il presente stessero per scontrarsi con forza dentro a una stanza.
Dopo che il signore sulla settantina si era allontanato con passo lento e occhiali aggiustati sul naso, l’aria sembrava essersi fatta più densa. Rimasi lì, nel silenzio ovattato dell’abitacolo, osservando.
Passarono forse quindici, venti minuti.
Poi arrivò una macchina.
Una di quelle suv importanti, nere, lucide, con i vetri oscurati. Si fermò con lentezza, accostandosi con naturale eleganza proprio davanti all’ingresso della villetta.
Ne scese per primo un uomo sulla sessantina: giacca leggera, scarpe perfette, il portamento di chi sa di essere visto. Lo seguì un altro, più o meno della stessa età, con lo stesso portamento complice. Due uomini di bella presenza.
Non belli in senso canonico, ma di quelli che lo sguardo lo attirano, per portamento, sicurezza, dettagli. Erano affascinanti.
Si scambiarono una risata mentre uno dei due alzava il telefono e faceva una chiamata, poi con passo lento iniziarono ad avvicinarsi all’ingresso della villetta, chiacchierando tra loro con quella disinvoltura che solo l’abitudine può dare.
Entrarono.
La porta si chiuse alle loro spalle.
In quel momento, la mia mente si accese.
Cosa stava succedendo lì dentro?
Era Eva a riceverli? Era ancora la stessa donna che ricordavo — focosa, dominante, consapevole?
Oppure era cambiata, trasformata in qualcosa di più grande?
Li stava coordinando? Li accoglieva da sola? Era forse diventata… la padrona di casa?
I pensieri si susseguivano rapidi, ognuno più stuzzicante del precedente.
Immaginai corpi intrecciati, sussurri, risate soffocate da pareti troppo sottili.
Immaginai lei in mezzo a loro con i loro membri turgidi appoggiati sul suo viso, con quello sguardo a metà tra il gioco e il comando, che si muoveva come una regista esperta di piacere.
Dopo circa quaranta minuti, i due uomini uscirono.
Sorridenti.
Uno di loro si sistemò la camicia con naturalezza, l’altro si passò la mano tra i capelli mentre lanciava uno sguardo fugace intorno.
Ridevano ancora. Un’intesa silenziosa.
Senza fretta rientrarono nella loro macchina e ripartirono, svanendo come in una scena ben scritta.
Ero ancora lì, ipnotizzato, quando un altro ospite arrivò.
Un ragazzo giovane, di colore, dall’aria semplice ma viva. Uno di quelli che incontri in bici per strada, magari legato a uno di quei centri di accoglienza, dove l’Italia a volte offre un riparo di fortuna.
Non esitò un istante: parcheggiò la bici, si avvicinò al cancello, suonò.
Gli fu aperto. Entrò anche lui.
Passò più tempo. Quasi un’ora.
La mia testa, a quel punto, era un flusso continuo di domande, immagini, ipotesi.
Non era solo voyeurismo. Era qualcosa di più: era attrazione mentale, era l’idea del proibito sfiorato con classe.
E al centro di tutto… Eva.
La donna che un tempo conoscevo solo a metà.
E che ora, forse, si stava rivelando nella sua forma più autentica.
Guardai l’orologio.
Quasi un ora.
Il cuore cominciò a bussare più forte, con quel ritmo che conosce solo chi sta per entrare in un luogo dove il desiderio è reale, tangibile… e soprattutto, dove non sai cosa ti aspetta davvero.
Aspettai ancora una mezz’ora.
Poi presi il telefono e la chiamai, con voce apparentemente tranquilla, anche se dentro stavo bruciando.
«Sono quasi arrivato, posso venire?»
La sua risposta fu semplice, naturale.
«Dammi venti minuti. Faccio una doccia, ti richiamo io.»
Venti minuti.
Sembravano un’eternità.
Restai lì, nel silenzio irreale della macchina, e intanto la mia mente prendeva fuoco.
Ripensavo agli uomini di prima.
Erano lì per lei?
Erano ospiti… o partecipanti?
Magari entrambi.
Immaginai Eva al centro di quei due uomini maturi, completamente nuda, il corpo che comanda, la mente che gioca. La vedevo gestire quella scena con la stessa naturalezza con cui mi aveva stretto tra le cosce anni prima.
Forse non era sola.
Forse c’era un’amica.
O forse era lei la protagonista assoluta, e tutto ruotava attorno a quella sua aura così sensuale e sicura.
Poi mi tornò in mente l’anziano.
Un dettaglio che prima avevo liquidato in fretta, ma che ora, alla luce di ciò che avevo visto, prendeva un’altra forma.
Magari anche lui aveva trovato in Eva un rifugio, un sogno proibito un corpo giovane da penetrare con un membro tutto arricciato e vissuto.
Chi può dire quali fantasie si celano dietro a quegli occhi segnati dal tempo?
E il ragazzo in bici…
Così diverso dagli altri.
Ma era rimasto lì dentro un’ora intera.
La fantasia corse veloce: pelle scura, corpo asciutto, giovane e sicuramente con un fantastico pene da sfociare tra le cosce di una donna bianca.
Immaginai Eva stesa sul letto, le mani che gli afferrano i fianchi scopandola a pecorina e forse anche prendendogli il suo sedere e sfondandola, la bocca che sussurra comandi, il piacere che esplode.
Il mio respiro si fece pesante.
Sotto i jeans, il mio pene era già diventato tutto duro sentivo che stava per esplodere nei box.
Duro.
Impaziente.
In quella macchina diventata prigione e tempio, il tempo non passava mai.
Mi chiesi se stessi per entrare in una casa di appuntamenti… oppure in un teatro.
Un luogo dove le fantasie diventano reali, ma sempre con stile.
Perché se Eva aveva una certezza, era quella: la trasgressione, quando è fatta bene, non ha bisogno di scenografie volgari. Basta un corpo, una mente… e un invito a entrare.
E io…
io stavo per bussare.
Arrivai davanti alla porta.
Non feci in tempo ad alzare la mano per bussare, che la maniglia si abbassò lentamente.
Si aprì uno spiraglio… e poi la vidi.
Eva.
In piedi, appoggiata allo stipite, avvolta in una vestaglia color avorio, leggera come un soffio. I capelli sciolti, lo sguardo preciso. Il sorriso? Lento. E letale.
Mi fissò negli occhi, senza esitazioni.
«Non farmi assolutamente nessuna domanda» sussurrò.
«Ti ho riconosciuto al telefono… e volevo incontrarti. Rivivere, con te, un attimo di trasgressione. Renderti partecipe della mia nuova, grande avventura.»
Rimasi in silenzio.
La bocca impastata, il respiro corto, la testa che rimbombava.
In un gesto quasi istintivo, la presi per i fianchi e la spinse dolcemente contro il muro dell’ingresso.
Le labbra si cercarono e si presero senza esitazioni dandoci un bacio con la lingua, come se il tempo non fosse mai passato.
Quel bacio era fame, era memoria, era potenza era desiderio di penetrazione.
Lei sospirò contro la mia bocca, e con un ghigno sussurrò:
«Sei il solito… mi hai già fatta bagnare.»
La vestaglia si era aperta appena nel movimento, lasciando intravedere una pelle nuda, perfettamente liscia. Nessun intimo, solo lei e con la sua classica depilazione perfetta.
Senza difese.
Come aveva sempre saputo essere.
«Da quando mi hai chiamata,» continuò, «ho avuto un’esplosione dentro. Un piacere che era anche dolore. La mia testa è corsa lontano… e mentre ti aspettavo, i clienti che sono entrati prima di te…»
Si passò le dita tra i capelli, con un sorriso furbo.
«Beh, diciamo che hanno ricevuto il meglio. Sono usciti completamente svuotati ero particolarmente eccitata dal tuo arrivo… e mi hanno detto che torneranno. E che non vogliono badare a spese. Vogliono solo scoparmi come oggi vivendo questi momenti con massima eccitazione. E tanta, tanta sborra.»
La guardai, mentre le sue mani si spostavano sulla mia camicia, con una lentezza studiata.
E fu allora che glielo chiesi.
Quasi sottovoce.
«Quindi… la tua porcaggine, la tua trasgressione… sono diventati un lavoro?»
Lei sorrise, senza smettere di sbottonarmi.
«Diciamo di sì… in parte è andata così…ti ricordi quando ti dicevo che facevo le pulizie in un B&B? Che ero rimasta senza lavoro…»
Annuii, ipnotizzato dalle sue dita.
«Tutto è iniziato lì. Un giorno, dopo un mesetto che lavoravo, una coppia tedesca — belli, eleganti, gentili — mi chiese di parlare con loro. Avevano notato il mio modo di muovermi, il mio seno, i fianchi il mio sorriso trasgressivo… mi avevano osservata. E io, come sempre, ero depilata ovunque, curata come se il mio corpo fosse già pronto per qualcosa che ancora non sapevo.»
Lei si avvicinò al mio orecchio.
«Mi chiese, con estrema educazione, se avessi mai pensato di prendere parte ai loro desideri. Disse: "Nulla di volgare, solo desiderio condiviso di trovarci in tre nello stesso letto perché ti ho notato e mi sei piaciuta e a me le donne belle e ricce piacciono moltissimo."»
Le sue mani scivolarono sotto la mia cintura andando a sfiorare la mia figa.
«E io… non ci pensai troppo e le dissi che in stanza saremmo stati meglio, infatti lei ha iniziato subito a giocare con i miei seni facendomi drizzare i capezzoli e mise due dita nella figa mentre il marito caccio fuori il suo pisellone e mi chiese di succhiarlo, aveva delle belle palle grosse appese…e una bella sberla di cazzo.
Ci siamo messe a fare un bel 69…lei aveva una figa con delle belle labbra grosse e il porco nel frattempo si mise dietro di me infilandomi delicatamente un dito nel culo che piano piano divennero due fino a quando in un attimo mi sono trovato la sua grossa cappella che spingeva per entrarmi nel mio bel culo tutto abbondantemente dilatato…quella situazione mi ha fatto sentire libera e soprattutto essere me stessa…lui mi ha sborrato in bocca chiedendomi di passare la sborra alla moglie con un grosso bacio e cosi è stato. Alla fine loro mi hanno lasciato la mancia sul comodino e li mi ha fatto fare un cambio psicologico. Ho sempre saputo di essere fatta per questo. Per accendere, per guidare, per offrire piacere sentendomi una gran puttana. E da lì… non mi sono più fermata.»
Mi fissò negli occhi, seria, eccitata.
«Ma tu… sei diverso. Non sei un cliente. Tu sei uno che mi ha conosciuta prima. Che mi ha presa sul serio, che mi ha desiderata non solo con il corpo, ma con gli occhi e la testa. Ed è per questo che ti ho aperto la porta dandoti il meglio di me e concedendoti la mia verginità anale.»
Poi si voltò, con un movimento lento, e lasciò che la vestaglia scivolasse a terra.
Era nuda.
Bellissima.
Libera.
E io…
ero già pronto a perdermi dentro di lei, ancora una volta.
Ero talmente eccitato che quando tirai giù i pantaloni, il mio cazzo esplose senza alcun freno.
Il mio pisello, già turgido, già pronto, si liberò con forza… come piaceva a lei.
Eva sorrise con quella malizia da donna che sa esattamente cosa ha di fronte. E cosa vuole.
Senza dire una parola, si inginocchiò davanti a me.
Lo prese tra le mani prima iniziandolo a segare, poi tra le labbra sbocchinadolo delicatamente.
Con una lentezza quasi cerimoniale.
Era raffinata, sì. Ma mai distante.
Delicata, sì. Ma mai fredda.
Era semplicemente perfetta.
Una regina che conosceva ogni centimetro di piacere.
Il calore della sua bocca era un fuoco dolce, la sua lingua giocava con maestria, accarezzando, esplorando, stuzzicando…
Ogni movimento era controllato, consapevole, eppure selvaggio.
Mi stava facendo impazzire.
Era impossibile restare lucido.
E mentre lei continuava in quel ritmo ipnotico, nella mia testa iniziò a girare un pensiero.
L’ha fatto così anche con gli altri?
Il piacere è piacere, sì… ma in quel momento la mia mente aveva bisogno di una risposta.
«Ma sei da sola, Eva… o sei in comitiva qui dentro?»
Lei si fermò, mi guardò dal basso con quegli occhi che sapevano sorridere anche quando tacevano.
Poi si alzò, leccandosi appena le labbra.
«Sono da sola.
Tutta questa situazione… l’ho creata io.
E sai una cosa?
Mi dà piacere. Mi dà soddisfazione.
I problemi di soldi… sono un ricordo.
Ora comando io. E godo… davvero.»
Salì sul letto con la naturalezza di una dea, si mise al centro, sdraiata con le cosce larghe e la figa stropicciata, e con un cenno lento mi invitò a raggiungerla perché lo desiderava dentro.
Mi appoggiai su di lei con dolcezza, come facevo un tempo.
Iniziai a muovermi dentro di lei con quella lentezza che conoscevamo entrambi.
Un entrare e uscire quasi danzato.
Il suo corpo si apriva come un lago calmo, accogliente, profondo.
Era completamente bagnata e con la figa larga di chi sa come usarla.
Un invito senza resistenze.
Sussurrava, ansimava, e poi mi disse:
«Vedi… i clienti vogliono sfogarsi.
Entrano con i loro cazzi come martelli pneumatici.
Ma tu… tu sei diverso.
Tu ci metti passione, dedizione.
A te piace proprio il sesso… non il possesso.»
Le sue parole mi eccitarono ancora di più.
Sentivo il calore aumentare, il respiro accelerare.
La penetrazione diventava più intensa, più avvolgente.
Ma non era mai grezza.
Era un incontro, uno scambio, un momento che non somigliava a nessun altro.
Le chiesi, con un sussurro rotto:
«Eva… ma ora me lo dici? Quell’anziano di prima… che cosa ha voluto? Cosa gli hai fatto? Era uscito così… soddisfatto.»
Lei sorrise sotto di me.
Mi strinse le chiappe con forza.
«Oh, lui… è uno dei tanti.
Con loro sono sempre chiara: massima pulizia, sempre.
Arrivano tutti belli sistemati, spesso con la barba curata e l’intimo stirato…
ma portano con sé corpi vissuti. Membri che hanno visto e provato… tanto.»
Mi guardò negli occhi, senza smettere di muoversi sotto di me.
«Quando si concedono, io chiedo sempre qualcosa.
Una storia. Una fantasia.
Mi raccontano delle loro notti di gioventù, delle prime volte proibite, di certe donne impossibili.
Adorano che io li ascolti…
e quando li prendo…
quando li accolgo dentro di me,
gli faccio credere, per qualche minuto,
di essere di nuovo giovani.
Io gli regalo una giovinezza… nascosta.»
Quella frase fu come una scintilla.
Un colpo improvviso al cuore.
Non solo eccitazione, ma poesia carnale.
Continuai a muovermi dentro di lei, e per la prima volta dopo tanto tempo, non mi sentii semplicemente eccitato.
Mi sentii scelto.
Il gioco era diventato un vortice.
Avevamo cambiato posizioni, provato ritmi, sussurrato frasi che si potevano dire solo a letto, solo in certi momenti.
Lei era completamente presa dalla situazione.
Il piacere, lo sentivo, non era solo fisico.
Era psicologico, profondo, liberatorio.
Aveva bisogno di quella confessione.
Del mio sguardo, del mio corpo, ma soprattutto… della mia comprensione.
E io ero lì.
Per lei.
Per noi.
La presi da dietro mettendola a pecorina e infilandogli il cazzo nella figa, lentamente, con quel ritmo che accende senza consumare con il mio pollice nel suo culo (ricordo che era una cosa che le piaceva moltissimo).
Il suo corpo vibrava.
Le sue mani si aggrappavano alle lenzuola come se volesse restare ancorata a qualcosa, mentre io le sussurravo, vicino all’orecchio:
«Eva… dimmi la verità.
Quei due uomini eleganti, quelli di prima…
cosa avete fatto?
Come ti sei comportata con loro?»
Lei sorrise, senza voltarsi.
La sua voce era calda, un sussurro sporco ma elegante.
«Sai… ci sono uomini che amano godere da soli,
e altri… che godono in squadra.
Loro sono colleghi, amici di lunga data,
stile di vita frenetico…
ma sanno cosa vogliono.»
Il suo corpo si mosse con me, come una melodia perfetta.
«Quando arrivano, mi vogliono accogliente.
In ginocchio.
Desiderano… il controllo.
E io, che controllo spesso, con loro mi lascio andare.
Uno ha un cazzo imponente.
Quando mi prende, mi toglie il fiato.
È quasi doloroso, ma bello. Mi piace.
L’altro è più riservato… ma ha una fissazione.
Mi vuole solo il culo.
Sempre.
E io, sai… glielo concedo.
Lo riservo per lui.»
Mi voltò il viso, con un’espressione che era insieme confessione e provocazione.
«E alla fine…
c’è un piccolo rituale.
Mi vogliono tutta per loro.
Uno dopo l’altro mi devono sborrare in bocca e io devo far scolare la sborra che esce dalle labbra sul mio grosso seno.
Senza parlare, solo sguardi.
Mi prendono come se fossi… un rito.
Ed io, in quei momenti, mi sento… completa e porca al punto giusto.»
Mi guardò fisso, poi aggiunse:
«Non è solo sesso.
È abbandono.
È arte.
E ogni volta… è diverso.
Ma adesso, qui, con te…
non sto recitando.
Sto vivendo.»
Quelle parole furono come un morso sul cuore.
Mi sentii parte di qualcosa di raro.
Mi mossi ancora, più a fondo, più lentamente, godendo del suo corpo e della sua mente.
E lì, mentre lei gemeva il mio nome, capii che Eva non era solo una donna.
Era un mondo.
La recitazione, a quel punto, aveva lasciato spazio alla pura verità dei corpi.
Non era più un gioco. Era qualcosa di vivo.
Di travolgente.
La guardavo sotto di me, i capelli sparsi sul cuscino, la pelle accesa, lo sguardo umido di passione.
Stavo per perdere il controllo.
Il ritmo aumentava, la tensione saliva.
E nel momento in cui le sussurrai, con un filo di voce:
«E il ragazzo di colore? Anche lui ti ha cercata?»
Lei si voltò verso di me, senza scomporsi, anzi — con quel tono caldo, lucido, diretto.
«Sai bene che certi uomini di colore… portano con sé doti che non passano inosservate.
E lui…
è impressionante ha 30 cm di cazzo da gestire.
Ancora più dei due precedenti.
Silenzioso, rispettoso, ma quando si muove… mi fa sentire piccola… nel modo più bello che si possa immaginare.»
Quelle parole furono come benzina sul fuoco.
L’eccitazione mi travolse.
Persi ogni appiglio.
Esplosi in ogni senso.
Mi staccai, ancora tremante.
Lei si girò con un sorriso e mi prese tra le labbra, con la stessa grazia e precisione di una cerimonia.
Il piacere esplose una seconda volta che mi svuotò e mi riempì insieme.
Mi guardò con dolcezza, le labbra ancora umide, gli occhi luminosi.
«Sei stato fantastico… come sempre» sussurrò.
«Ora lo sai. Quando vuoi… questa porta è sempre aperta. Ma ricordati una cosa, amore: anche tu… devi pagarmi.»
La frase non aveva nulla di freddo.
Era parte del gioco.
Un equilibrio tra desiderio e rispetto.
Annuii, sorridendo.
«Assolutamente sì.
Te lo sei meritata.
Sei stata… spettacolare.
Spero davvero di rivederti presto.»
Lei si alzò, si stiracchiò lentamente.
«Oh sì.
Ti voglio ancora.
Perché ho tante altre storie da raccontarti…
E fidati, alcune sono così belle, così trasgressive,
che solo sentirle ti farà… impazzire.»
Mi feci una doccia rapida, mi rivestii in silenzio.
Il cuore ancora pieno.
Il corpo ancora scosso.
La salutai con un ultimo bacio e uno sguardo che diceva più di mille parole.
Lei si appoggiò alla porta, nuda, regale, e mi disse con un mezzo sorriso:
«Che gran cavalla che sono…
Ecco perché chi mi conosce…
torna sempre.»
Scesi le scale.
Fuori, l’aria era più fresca, più leggera.
Ma dentro…
dentro ero rimasto acceso.
Eva era un’esperienza.
Un’arte.
Un vizio buono, che non si dimentica.
Una donna bellissima.
Due seni perfetti.
Un culo da panico.
Ma soprattutto…
una mente che sapeva accendere tutto quello che toccava.
E mentre tornavo alla mia macchina, con le gambe ancora incerte, pensai una cosa sola:
sarebbe stato solo il primo capitolo.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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