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Seduzione esotica a Salvador de Bahia


di ElegantiInsieme
25.05.2025    |    1.155    |    2 9.5
"Era semplicemente lì, il suo profumo caldo e speziato che le sfiorava la pelle prima ancora del suono della sua voce..."
Episodio I: L'Incontro
Nel silenzio avvolgente della suite del lussuoso Hotel Fasano a Salvador de Bahia, Cristina si era risvegliata dolcemente, il corpo ancora avvolto dalla morbidezza delle lenzuola di seta. La luce ambrata dell'alba filtrava attraverso le ampie vetrate, dipingendo d’oro i dettagli preziosi della camera, mentre l’aria marina, carica di sale e promesse, le accarezzava i sensi.
Le lenzuola di seta scivolavano sulla sua pelle come sussurri mancati, risvegliando un’inquietudine che da tre mattine l’accompagnava al risveglio. Il suo corpo, abbandonato nel lusso di quella camera, sembrava reclamare un’intimità assente. Carlo, suo marito, era già uscito per i suoi interminabili meeting con i dirigenti della filiale brasiliana, lasciando dietro di sé solo l’aroma del caffè e una nota scritta in fretta sul comodino, come un piccolo addio quotidiano.
*"Rientro tardi, non aspettarmi. Godetiti la città. – un bacio, Carlo"
La solitudine di Cristina non è vuota: è densa di attesa, pesante di desideri inespressi che il mattino tropicale sembra amplificare, trasformando quella suite dorata in un palcoscenico di silenzi eloquenti.
Cristina sospirò piano, le dita che indugiavano sul morbido tessuto di seta del suo abito da notte, come in cerca di un contatto che non arrivava mai. Dodici anni di matrimonio, e Carlo riusciva ancora a renderla trasparente, persino lì, immersa nell’atmosfera febbrile e sensuale di Salvador. Si alzò lentamente, lasciando scivolare l’abito sul corpo nudo, poi scelse un vestito di lino bianco, leggerissimo, che aderiva con grazia alla sua pelle chiara. Un ultimo sguardo al mare, e poi scese, con movenze fluide, verso la sala colazioni.
La terrazza del ristorante dell'hotel si affacciava sulla Baia di Todos os Santos, dove le barche colorate danzavano sulle onde. Cristina si sedette a un tavolo appartato. Poco dopo, il solito cameriere si avvicinò e, parlandole in italiano, le chiese cosa desiderasse per colazione. Lei ordinò un caffè e un assortimento di frutti tropicali.
Mentre Cristina sorseggiava il caffè, il suo sguardo vagava sulle barche che punteggiavano la baia, il loro dondolio ipnotico interrotto solo dal suono delle posate e dal brusio discreto degli altri ospiti. Fu allora che lo notò. Seduto a pochi tavoli di distanza, un uomo la osservava con un’intensità silenziosa, quasi impertinente. La sua pelle aveva la tonalità calda e leggermente esotica dell’ambra, mentre i capelli neri e mossi gli sfioravano gli occhi, incorniciando un sorriso enigmatico. Indossava una camicia di lino, aperta sul petto, e un bracciale di cuoio avvolgeva il suo polso. Tra le dita, un bicchiere di succo di maracujá, che sorseggiava con una lentezza misurata.
Cristina abbassò lo sguardo, improvvisamente consapevole del calore che le saliva alle guance. Ma quando rialzò gli occhi, lui era ancora lì, e il suo sorriso si allargò, come se avesse colto il suo disagio e lo trovasse divertente. Si alzò con movenze fluide, quasi feline, e si avvicinò al suo tavolo.
“Posso?” chiese in italiano, indicando la sedia vuota di fronte a lei. La voce era profonda, con un accento portoghese morbido che sembrava accarezzare le parole. Cristina esitò, il cuore che batteva un po’ più forte, ma annuì, incapace di resistere alla curiosità.
“È la sua prima volta a Salvador?” domandò lui, accomodandosi con calma. “Il modo in cui lei osserva il mare… sembra che lo stia vedendo per la prima volta.”
Cristina sorrise, sorpresa dalla sua schiettezza. “È così evidente?”
“Solo per chi sa guardare,” rispose lui, inclinando leggermente la testa. “Mi chiamo Matheus.” Non aggiunse altro, come se il suo nome bastasse a spiegare tutto. I suoi occhi, scuri e profondi, sembravano scrutarla oltre la superficie, come se conoscessero già i pensieri che lei non osava confessare nemmeno a se stessa.
“Cristina,” disse lei, stringendo la tazza di caffè come per ancorarsi. “E lei… è di Salvador?”
Matheus rise piano, un suono caldo e musicale. “Di Fortaleza, di Recife, di Rio, di ovunque il vento mi porti. Ma oggi, sono qui.” Fece una pausa, appoggiando il mento sulla mano. “E lei, Cristina, perché è qui, sola, con quell’aria di chi cerca qualcosa senza saperlo?... ho l'abitudine di notare la bellezza, soprattutto quando sembra sprecata in solitudine."
La domanda la colpì come un’onda improvvisa. Non era solo la sua audacia, ma il modo in cui sembrava leggere dentro di lei, come se il desiderio e la solitudine che portava dentro fossero scritti sulla sua pelle. Cristina aprì la bocca per rispondere, ma si rese conto che non aveva una risposta pronta. E Matheus, con quel sorriso enigmatico, sembrava sapere anche questo.
"Mio marito è qui per lavoro, siamo di Milano" spiegò, quasi scusandosi. "Io... sono solo una turista accidentale."
Cristina si sentì improvvisamente esposta sotto lo sguardo di Matheus, che la osservava con un misto di curiosità e sicurezza, come se il mondo gli appartenesse ma lui non sentisse il bisogno di dimostrarlo. Il suo sorriso, appena accennato, aveva un che di magnetico, e i suoi occhi scuri sembravano contenere storie non dette, frammenti di una vita vissuta intensamente.
“Matheus,” ripeté lei, quasi per ancorare quel nome alla realtà. “E cosa ti porta qui, oltre il vento?”
Lui rise piano, un suono profondo e caldo che sembrava dissolversi nella brezza profumata del mare, intrisa di sole e promesse d’estate.
“Lavoro, soprattutto. Sono un architetto. Disegno spazi, case… sogni. A volte per chi non sa di desiderarli, finché non li vede prendere forma. “
Si avvicinò appena, e un raggio di luce scivolò sul bracciale di cuoio al suo polso, accendendolo come un frammento di ambra.
“Ho studiato all’Università di São Paulo, poi ho conseguito un master a Delft, in Olanda. Per due anni ho collaborato con uno studio di architettura italiano a un progetto qui in Brasile. Ma è in Sud America che le idee trovano il loro respiro. Ogni città pulsa con un ritmo unico, un cuore tutto suo. Salvador, ad esempio, arde di passione.”
“E tu, Cristina…» mormorò, posando il bicchiere di maracujá sul tavolo con gesto lento, quasi studiato. «Che ritmo ha la tua vita? Milano… così elegante, così fredda. Ma tu…» si chinò leggermente verso di lei, la voce più bassa, più calda. «Tu hai qualcosa che arde sotto la pelle. Lo vedo nel modo in cui ti muovi… come se stessi danzando per ricordare a te stessa chi sei. E forse… per tentare chi ti guarda a scoprirlo.”
Cristina lo ascoltava, rapita dalla sua voce e dalla disinvoltura con cui parlava, come se ogni parola fosse scelta con cura ma pronunciata con naturalezza. C’era qualcosa in lui che la disorientava: non era solo il fascino evidente, ma il modo in cui sembrava vederla davvero, al di là della donna elegante seduta a un tavolo di un hotel di lusso. Era come se Matheus percepisse il vuoto che Carlo aveva lasciato, il desiderio che lei cercava di ignorare, e lo accoglieva senza giudicarlo.
Le sue parole la colpirono, precise come un ago che trova la vena. Cristina abbassò lo sguardo sulla tazza ormai vuota, sentendo il cuore accelerare. “Non sono sicura di saperlo più,” ammise, sorprendendosi della propria onestà. “Sono qui per… accompagnare mio marito.”
Matheus non rispose subito. La guardò a lungo, con uno sguardo che la sfiorava come un tocco sulla pelle: dolce, sì, ma anche capace di andare in profondità, dove le parole non arrivano.
“A volte, ” disse infine, la voce bassa e vellutata, “devi perderti in un posto come Salvador per ricordarti chi sei davvero. Questa città non ti permette di fingere. Ti spoglia piano… ti costringe a sentire. ”
Fece una breve pausa, poi aggiunse, senza staccare gli occhi dai suoi:
“Salvador non è una tappa da attraversare in fretta, senhora Cristina. È una città che ti sussurra all’anima… e quando lo fa, non chiede. Ti invita a restare. A lasciarti toccare. A vivere davvero…E se me lo permette, mi piacerebbe mostrarle la vera Bahia, quella che i tour operator non conoscono."
Le sue parole, dette con un calore genuino, la colpirono dritto al cuore. Quando fu l'ultima volta che Carlo l'aveva guardata davvero, l'aveva notata? Gli occhi di Cristina incontrarono i suoi, e per un momento il mondo si fermò. In quello sguardo c'era una promessa di avventura, di passione, di vita vera.
"Non so se dovrei…" mormorò, la voce rotta da un filo di esitazione. "Domani mio marito avrà una cena di lavoro importante con alcuni investitori... "
Matheus la guardò intensamente, ogni parola sussurrata come un invito proibito. "Non dovresti preoccupartene, " disse piano, sfiorando appena la sua mano. "Dovresti solo seguire quello che ti dice il cuore. Perché, cara Cristina, il cuore non mente mai… E il cuore dice sempre la verità."
Si alzò, come se il momento fosse completo, ma prima di andarsene posò una mano leggera sul tavolo, vicino alla sua. “Domani assaggerai la cucina di Bahia, un ristorante esclusivo, dove musica, colori e vita si fondono. Vieni. Ti aspetto.” Non era una domanda, ma un invito che vibrava di promessa.
Cristina lo guardò allontanarsi, la sua figura che si mescolava alla luce dorata della terrazza. Non aveva detto di sì, ma qualcosa dentro di lei già sapeva che ci sarebbe stata. Matheus, con il suo carisma e la sua sicurezza, aveva aperto una crepa nella sua routine, e il calore di Salvador sembrava insinuarsi proprio lì, pronto a travolgerla.
Episodio II: Il Risveglio dei Sensi
Il giorno seguente, mentre Carlo partiva per l'ennesima riunione con una valigetta e un bacio distratto sulla guancia, Cristina si preparò con una lentezza quasi rituale, con una cura che non riservava a se stessa da anni. Scelse un abito di seta verde smeraldo, morbido come un respiro sulla pelle, che faceva brillare i suoi occhi come gemme immerse nella luce calda del tramonto.
Lasciò che la fragranza al tiaré, floreale ed esotica — comprata il giorno prima in un piccolo negozio pieno di incanti — le accarezzasse i polsi, il collo, la curva interna delle cosce, dove il profumo sarebbe rimasto come un segreto.
Poi scese nella lobby, il cuore che batteva piano ma forte, le labbra appena sfiorate da un sorriso che non sapeva trattenere. Attese Matheus tra le luci morbide dell’hotel, avvolta da un’eleganza silenziosa… e dal desiderio sottile di essere vista.
Ogni istante di quell’attesa era una promessa sospesa nell’aria.
Lo vide arrivare a bordo di una Jaguar F-Type decappottabile, elegante e scintillante come un sogno appena materializzato. Il completo bianco gli accarezzava il corpo con una perfezione disarmante, mentre gli occhiali scuri gli conferivano l’aura magnetica e misteriosa di un attore di cinema d’altri tempi.
Quando incrociò il suo sguardo, il suo sorriso si fece caldo e luminoso, come un raggio di sole che squarcia le nuvole.
«Está linda,» sussurrò con voce bassa e calda, mentre le sfiorava la mano prima di aprirle lentamente la portiera. «Sei splendida.»
I suoi occhi non la lasciavano andare, pieni di una promessa silenziosa che vibrava nell’aria tra loro.
Il vento caldo di Bahia le accarezzò i capelli mentre attraversavano le strade colorate della città alta, superando le case coloniali dai colori pastello, i mercati profumati di spezie e fiori tropicali. Matheus le indicava i luoghi storici con la passione di chi ama profondamente la propria terra.
"Prima tappa," annunciò fermando l'auto davanti a un palazzo coloniale restaurato con vista mozzafiato sulla baia. "Il ristorante più segreto di Salvador."
L’Amado era un rifugio esclusivo: tavoli raccolti su una terrazza privata, arredi che intrecciavano l’arte afro-brasiliana con un’eleganza europea, e una vista sulla baia così spettacolare da lasciare senza fiato. Matheus scelse per entrambi con l’assoluta naturalezza di chi conosce ogni segreto del menu.
"Moqueca de camarão," spiegò mentre arrivava una zuppiera di terracotta fumante. "Gamberi in salsa di cocco, dendê, peperoni e coriandolo. È l'essenza di Bahia."
Cristina assaggiò il primo cucchiaio e chiuse gli occhi. I sapori esplosero sulla sua lingua: piccante, dolce, cremoso, esotico. Era come assaggiare per la prima volta il vero gusto della vita.
"E questo è acarajé," continuò Matheus, offrendole una frittella dorata ripiena di gamberi e salsa piccante. "Cibo degli dei africani, portato qui dalle nostre antenate."
Durante la cena, Matheus le narrò la storia di Salvador, l'antica capitale del Brasile dove per secoli si erano fuse tre anime: quella africana dei popoli deportati, quella europea dei colonizzatori portoghesi e quella indigena dei Tupinambá. Le spiegò come da questa mescolanza fosse nata una cultura unica, ancora viva oggi nella musica, nella religiosità e nell'architettura del Pelourinho. Le sue mani gesticolavano con passione, i suoi occhi brillavano di orgoglio per la sua città.
"Ma il momento più magico," disse con un sorriso misterioso, "deve ancora arrivare."
Come evocati da un incantesimo, un gruppo di capoeiristas fece il suo ingresso nel locale. I loro corpi scolpiti, abbronzati e sinuosi, erano avvolti nel candore di abiti immacolati che ne esaltavano ogni muscolo teso. Presero a muoversi seguendo il ritmo ammaliante di berimbau, pandeiro e atabaque, i torsi nudi che luccicavano sotto le luci soffuse. I loro movimenti fluivano come onde sensuali, alternando lotta e danza in un gioco di forza e grazia, dove ogni gesto sembrava una carezza all'aria, un'antica coreografia che sussurrava storie di resistenza, libertà e passione primordiale.
Cristina rimase incantata. I movimenti fluidi, acrobatici, la musica che pulsava come un cuore primitivo, l'energia che riempiva l'aria. Sentì qualcosa risvegliarsi dentro di lei, una parte di sé che aveva dimenticato di possedere.
"È la lotta che diventa arte," le sussurrò Matheus all'orecchio, la sua voce calda che le fece correre un brivido lungo la schiena. "Come la passione che diventa amore."
I loro occhi si incontrarono e, in quel momento, Cristina capì che non c'era ritorno. La donna pragmatica, la moglie devota, la Cristina che aveva vissuto per dodici anni si stava sciogliendo come zucchero sotto la tempesta tropicale.
Lo spettacolo di capoeira si concluse, lasciando spazio a una cena che si rivelò un trionfo di sapori intensi — il vatapá cremoso, l’esplosione piccante dell’acarajé, e un sorso di caipirinha che le scaldava la gola e le scioglieva i pensieri. Ma ciò che davvero catturava Cristina era la danza. Sulla pista, le coppie si muovevano come sospinte da un’intimità segreta, al ritmo ipnotico del forró. I corpi non danzavano, si cercavano. Le donne ondeggiavano i fianchi con una sensualità innata, le gonne leggere che accarezzavano le cosce a ogni passo, i piedi che sfioravano il pavimento come in un rituale silenzioso.
Gli uomini le guidavano con una presenza ferma e discreta, le mani appena poggiate sulla curva della schiena o intrecciate alle loro, dita che comunicavano più di mille parole. I movimenti erano stretti, avvolgenti, sensuali…un continuo gioco di vicinanza e sottrazione. Le spalle si sfioravano, i fianchi si sfioravano, si rincorrevano, si sfuggivano — in un ritmo lento e rovente che lasciava nell’aria una scia di desiderio sospeso. Il calore dei corpi non si vedeva, si sentiva. E Cristina lo sentiva addosso, come un invito muto che le faceva vibrare la pelle.
Cristina si perse in quel movimento, negli sguardi complici delle coppie, nei corpi che si avvicinavano come se si conoscessero da sempre. Poi lo sentì.
Matheus era accanto a lei. Non sapeva da quanto. Era semplicemente lì, il suo profumo caldo e speziato che le sfiorava la pelle prima ancora del suono della sua voce.
«È ora,» le disse piano, chinandosi al suo orecchio, «di smettere di guardare e iniziare a sentire.»
Le porse la mano, e lei — quasi senza pensarci, quasi come se il corpo avesse deciso al posto suo — la prese. Le dita di lui si chiusero sulle sue con una sicurezza avvolgente, ma senza fretta. Le guidò sulla pista con movimenti misurati, come se tutto fosse già stato scritto.
Cristina esitò, il cuore che batteva al ritmo della musica, il calore della caipirinha che le scioglieva le inibizioni. La pista la chiamava, e Matheus, con la sua presenza magnetica, sembrava promettere che un solo ballo avrebbe potuto cambiare tutto. “Non so ballare il forró,” mormorò, ma il suo corpo già si inclinava verso di lui, tradendo la sua curiosità.
“Non serve sapere,” rispose Matheus, alzandosi e tendendole la mano. “Basta sentire. Segui il ritmo, Cristina," le mormorò mentre la guidava, "Lascia che il tuo corpo parli."
La sua mano era calda, le dita forti ma gentili mentre la guidava verso la pista, dove i corpi danzavano come onde, e il calore di Salvador sembrava pronto a inghiottirla.
La strinse a sé. Non troppo, ma abbastanza da farle sentire il calore del suo petto, il battito regolare del suo cuore contro il proprio. Le sue mani erano forti, decise, ma la toccavano come se temessero di infrangerla.
La musica si insinuava tra loro, densa e avvolgente, mentre i loro fianchi si muovevano in una sinfonia segreta, perfetta e irresistibile, come se quel ballo fosse l’unico linguaggio che conoscessero. Cristina si lasciò cadere in quell’abbraccio sensuale, sentendo il suo corpo risvegliarsi a ogni tocco: il respiro di Matheus che sfiorava la sua pelle, caldo e invitante, la sua mano che tracciava una scia ardente lungo la schiena, guidandola con una dolcezza carica di desiderio. Il ritmo li avvolgeva, fili invisibili di tensione erotica che li legavano, intrecciando i loro corpi in una danza di pura seduzione.
Si mossero così per lunghi istanti, stretti, silenziosi, a un soffio l’uno dall’altra. E poi, quando lei sollevò lo sguardo e lo trovò lì, così vicino, con quegli occhi che non chiedevano permesso ma svelavano desiderio puro, Matheus si chinò e la baciò.
Fu un bacio lento, profondo, come il ballo che li aveva appena uniti. Le sue labbra cercarono le sue con tenerezza e passione insieme, come se volesse assaggiarne l’essenza, imprimerla in sé. Cristina rispose con un abbandono che non aveva mai conosciuto, mentre intorno a loro la musica continuava — ma ora, era solo il suono del loro respiro.
E per la prima volta dopo tanti anni, Cristina si lasciò andare completamente.
Il ritmo del forró aveva lasciato un’eco nel corpo di Cristina mentre Matheus la guidava fuori dal ristorante Amado, la sua mano ancora calda nella sua, un contatto che sembrava prolungare la danza. La notte di Salvador era viva, con le strade che pulsavano di musica lontana e il profumo del mare che si mescolava al calore umido. Matheus non aveva detto molto durante il breve tragitto verso l’Hotel Fasano, ma ogni tanto i suoi occhi cercavano i suoi, un’intesa silenziosa che faceva salire l’adrenalina.
## Episodio III: La Passione Bruciante
Quando raggiunsero la camera di Matheus, una suite all’ultimo piano con vista sulla baia, l’atmosfera cambiò. La porta si chiuse con un clic morbido, isolandoli dal mondo. La stanza era immersa in una penombra dorata, con la luce della luna che filtrava dalle vetrate spalancate, accendendo riflessi sul pavimento di legno lucido. Matheus si fermò vicino alla finestra, il profilo scolpito contro il bagliore della notte, e si voltò verso di lei. “Vieni qui,” disse, la voce bassa, un invito che vibrava di promesse.
Cristina avanzò, il cuore che batteva forte, ogni passo un’ammissione di ciò che desiderava ma non aveva ancora osato confessare. Matheus le prese la mano con una forza gentile, tirandola a sé fino a far svanire ogni spazio tra loro. I loro corpi si fusero in un calore palpabile, la pelle di lui che bruciava contro la sua attraverso la seta sottile del vestito, quasi un invito a una promessa proibita. Le sue dita sfiorarono il viso di Cristina con una lentezza carica di brama, disegnando la curva del viso come se volesse assaporare ogni singolo centimetro di lei.
Il suo respiro, caldo e profondo, le accarezzò la pelle, facendo vibrare il suo corpo e risvegliando un desiderio che non aveva mai conosciuto.
«Sei bellissima quando lasci andare la paura,» sussurrò con una voce rotta dall’intensità, mentre le labbra sfiorarono appena la pelle vicino al suo orecchio, promettendo un incendio di sensazioni ancora tutte da esplorare.
Lei chiuse gli occhi, travolta dalla sensazione delle sue mani, ora più audaci, che scivolavano lungo la sua schiena, accendendo brividi. La seta del vestito di Cristina sembrava quasi dissolversi sotto il tocco di Matheus, che la guidava verso il letto con una sicurezza che non lasciava spazio a esitazioni. Quando le loro labbra si incontrarono, il bacio fu lento, profondo, un’esplorazione che portava con sé il sapore della caipirinha e il ritmo della notte di Salvador. Le sue mani trovarono i contorni del suo corpo, ogni curva accolta con una reverenza che la faceva sentire vista, desiderata, viva.
Matheus si muoveva con una grazia che ricordava la danza, ogni gesto fluido ma carico di intenzione. Le sue dita scivolarono sotto il tessuto del vestito, liberandola con una lentezza che era quasi una tortura, mentre i loro corpi si intrecciavano, pelle contro pelle, il calore della stanza che amplificava ogni sensazione. Cristina si abbandonò, il desiderio che aveva represso per giorni, forse anni, esplodendo in un’ondata che cancellava ogni pensiero di Carlo, di Milano, di tutto ciò che non era quel momento.
Matheus la guardava negli occhi, anche ora, come se volesse memorizzare ogni sua reazione, ogni respiro spezzato. “Sei qui, ora,” sussurrò, la voce roca, mentre le sue mani la stringevano più forte, guidandola in un ritmo che non aveva bisogno di musica.
Matheus la guidò verso il letto con una delicatezza che nascondeva una fame controllata. Le sue mani, calde e sicure, le sfiorarono le spalle, scivolando lungo le braccia fino a intrecciare le dita con le sue. La attirò a sé, il suo petto premuto contro di lei, il lino della sua camicia che aderiva alla pelle sudata, emanando un profumo di sandalo e mare. Cristina chiuse gli occhi, lasciando che il calore del suo corpo la avvolgesse, mentre le labbra di Matheus trovavano le sue in un bacio lento, profondo, che sembrava esplorare ogni angolo di lei. Il suo sapore, un misto di cachaça e qualcosa di più selvaggio, la fece vacillare, come se stesse bevendo la notte stessa.
Con un movimento fluido, Matheus fece scivolare il vestito di lino di Cristina, il tessuto che cadeva come una carezza, lasciandola vulnerabile ma desiderata sotto il suo sguardo. I suoi occhi scuri, accesi da una luce intensa, la percorrevano senza fretta, come se volesse memorizzare ogni curva, ogni linea della sua pelle chiara ancora segnata dal sole di Salvador. “Sei come questa città,” sussurrò, la voce roca, “bella, viva, pronta a bruciare.” Le sue parole la colpirono, sciogliendo le ultime resistenze.
Le sue mani tracciarono sentieri sul suo corpo, lente ma deliberate, scendendo lungo la schiena, sfiorando la curva dei fianchi, risalendo fino a sfiorarle il collo con la punta delle dita. Ogni tocco era un invito, un dialogo silenzioso che chiedeva e offriva allo stesso tempo. Cristina rispose, le sue mani che trovavano il bordo della camicia di lui, slacciandola con dita tremanti, scoprendo la pelle abbronzata, tesa sui muscoli ben definiti. Il contatto della loro pelle, calda e leggermente umida, era elettrico, un’esplosione di sensazioni che le faceva dimenticare il mondo oltre quella stanza.
Si lasciarono cadere sul letto, le lenzuola che si increspavano sotto di loro come onde. Matheus la strinse, il suo corpo che si modellava contro il suo, ogni movimento un’eco della danza del forró, ma più intima, più urgente. Le sue labbra scesero lungo il collo di lei, tracciando una linea di fuoco fino alla clavicola, mentre le sue mani la guidavano, forti ma gentili, in un ritmo che sembrava seguire il battito della città stessa. Cristina si abbandonò, il suo respiro spezzato che si mescolava ai gemiti soffocati di lui, i loro corpi che si muovevano in una sincronia perfetta, come se si conoscessero da sempre.
Il calore della stanza sembrava amplificare ogni sensazione: il fruscio della seta sotto di loro, il tocco delle sue dita che trovavano punti segreti, il modo in cui i loro fianchi si incontravano, lenti ma carichi di desiderio. Matheus la guardava negli occhi, anche nei momenti più intensi, il suo sguardo che non lasciava spazio per nascondersi, come se volesse vedere ogni frammento di lei, ogni emozione che le attraversava il viso. Cristina si sentiva nuda in un modo che andava oltre il corpo, esposta ma accolta, desiderata in ogni imperfezione.
Il loro ritmo crebbe, un crescendo di sospiri e movimenti, i corpi che si cercavano con una fame che non aveva bisogno di parole. Ogni tocco, ogni bacio, era un’esplorazione, un modo per reclamare e donare allo stesso tempo.
La mano di Matheus le scivolò lungo il fianco, le dita le sfiorarono la curva della vita, poi scesero ancora più in basso, stuzzicando il bordo delle mutandine. Lei sussultò quando lui infilò la mano sotto il tessuto, trovandola bagnata e pronta. La accarezzò delicatamente, senza mai staccare lo sguardo dai suoi, e lei poté vedere la brama nel suo sguardo. Voleva divorarla, reclamarla in ogni modo possibile.
Con un movimento rapido, le scostò le mutandine, esponendola all'aria fresca. La sua bocca seguì il percorso della mano, la lingua guizzava fuori per assaggiarla. Cristina inarcò la schiena, il respiro affannoso mentre lui iniziava a succhiarle i capezzoli, i denti che sfioravano le punte sensibili, inviando scintille di piacere dritte al suo centro. Le sue dita continuarono la loro esplorazione, il suo tocco si fece più audace, i suoi movimenti più insistenti.
La punta di un dito le circondò il clitoride, creando increspature lungo il suo corpo, mentre l'altro le scivolava dentro. Era viscida, desiderosa di lui, e la sensazione era quasi eccessiva. Si morse il labbro per non gridare, gli occhi chiusi con forza mentre si concentrava sulla sensazione di lui dentro di sé. I movimenti di Matheus si fecero più urgenti, la sua lingua le turbinava intorno ai capezzoli mentre le sue dita operavano la loro magia.
Il suo corpo iniziò a contrarsi, una spirale di piacere che si stringeva sempre di più a ogni colpo, a ogni suzione. Sentiva l'orgasmo crescere, una tempesta all'orizzonte, pronta a travolgerla da un momento all'altro. E quando accadde, fu un'esperienza che non aveva mai provato prima: un'ondata di estasi che la travolse, lasciandola tremante e senza fiato.
Matheus si fermò a osservarla, con i suoi respiri affannosi. Si abbassò per slacciarsi i pantaloni, e il suono fu come uno sparo nella stanza silenziosa. Li fece scivolare lungo le gambe, l'erezione che si liberava. La sua vista, così cruda e primordiale, le fece desiderare di divorarlo, di sentirlo dentro di sé, di fondersi con la passione che ardeva tra loro.
Si posizionò all'ingresso, il suo membro vigoroso che la spingeva contro. Non spinse subito, lasciandola invece adattarsi alla sua sensazione, lasciando che il suo corpo lo accettasse. E quando lo fece, fu come tornare a casa, come trovare il pezzo mancante di un puzzle che non sapeva di stare cercando di risolvere.
I loro corpi si incontrarono in una danza lenta e ponderata, l'attrito che accendeva ogni terminazione nervosa. Lo sentì riempirla, centimetro per centimetro, allungandola nel modo più delizioso. Fu un'invasione e un ritorno a casa allo stesso tempo, un incontro di due anime che si erano cercate nella vasta distesa della vita notturna della città.
I loro sguardi si incrociarono e in quel momento non ci fu altro che loro due, persi in un mondo di sensazioni. Lui spinse ancora più dentro e lei lo prese completamente, il suo corpo lo accolse con una passione profonda e primordiale. L'intensità era quasi eccessiva, una sinfonia di piacere che si riversava in ogni fibra del suo essere.
Il loro ritmo si fece più veloce, più frenetico, i loro corpi si muovevano in una danza antica come il tempo. Lui le baciò il collo, il suo respiro caldo e affannoso, i suoi denti le sfioravano la pelle, lasciando una scia di pelle d'oca. Lei sentì il suo corpo sollevarsi di nuovo, la spirale di piacere stringersi, la tempesta prendere forza.

E quando si spezzò, fu magnifico. Si unirono in un crescendo di passione, i loro corpi tremavano per la forza. Lui affondò il viso nel suo collo, i suoi denti trovarono la pelle morbida, i suoi fianchi si spinsero con forza mentre la riempiva completamente. Lei gli avvolse le gambe intorno, le sue unghie gli conficcarono nella schiena, stringendolo forte come se non potesse mai lasciarlo andare.
Quando fu finito, rimasero sdraiati lì, ansimando, i loro cuori che battevano a ritmo con la città fuori. La stanza era piena del profumo del loro amore, un inebriante mix di sale e sudore e qualcosa di più. Era il profumo della connessione, di due persone che si ritrovano nel più intimo dei modi. E mentre giacevano lì, intrecciati nelle ombre illuminate dalla luna, la notte sussurrava loro i suoi segreti, promettendo loro altre avventure.
Matheus le sfiorò i capelli con una carezza tremula, un gesto intriso di dolcezza che si scontrava con il fuoco che ancora ardeva tra loro. “Resta,” implorò in un sussurro spezzato, la voce carica di un desiderio che si intrecciava alla brezza leggera che scivolava dalla finestra. Cristina rimase muta, il cuore in gola, il corpo avvinto al suo come se volesse fondersi con lui, sfidando ogni istante che passava. Ma nella sua mente, l’ombra di Carlo, ancora lontano, trattenuto dalla cena di affari, la inchiodava a un’attesa che le straziava l’anima.
“Non posso restare,” mormorò Cristina, la voce incrinata da un misto di rimpianto e urgenza, mentre si scioglieva a fatica dall’abbraccio di Matheus. Il suo tocco, ancora caldo nei capelli, sembrava volerla trattenere. “Mio marito tornerà presto dal meeting.” Ogni parola pesava come un macigno, il cuore diviso tra il desiderio che la ancorava a lui e il richiamo ineludibile della realtà che la aspettava fuori da quella stanza.
Cristina si rivestì in fretta, ogni gesto carico di una frenesia che tradiva il tumulto nel suo petto. Con il cuore ancora stretto dal tocco di Matheus, si avviò verso la sua suite, dove l’attesa di Carlo, ormai prossimo a rientrare dal meeting, la richiamava a una realtà che non poteva più ignorare.

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