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USATA COME UNA PUTTANA DA QUATTRO ENERGUMENI MATURI E PREPOTENTI


di LaCavalla
12.09.2020    |    44.767    |    101 9.7
"Lo incitavano a leccare meglio e gli spingevano la faccia tra le mie natiche intrise di densa sborra e ogni volta che Nicola non era soddisfatto di come mi..."
Qualche giorno fa mentre percorrevamo l’autostrada, io stavo al posto del passeggero e indossavo un vestito rosso cortissimo che mi lasciava completamente scoperte le cosce. Ero perfettamente cosciente di essere guardata dai camionisti quando Carlo li sorpassava e questo mi ha sempre eccitata, mi piaceva vedere mio marito impazzire di piacere nel vedermi provocare come una troia quei rozzi maschioni. Avevamo vissute diverse esperienze del genere.
Quel giorno, mentre lui era attento alla guida, mi sono ritrovata a civettare con quattro uomini a bordo di un grosso fuoristrada. Loro ci sorpassavano, salutavano e dall’alto del loro mezzo mi guardavano allupati le cosce, io ricambiavo strizzando loro l’occhio. Mi accorsi che rallentavano apposta e aspettavano che Carlo li superasse e poi ancora noi che li sorpassavamo e il ciclo si ripeté a lungo. Ad un certo punto, Carlo mise l’indicatore di direzione e fece ingresso in autogrill, guardando nello specchietto laterale, mi accorsi che loro ci avevano seguiti. Appena usciti Carlo disse che voleva prendere un caffè, entrammo nell’autogrill e i quattro ci seguirono. Carlo andò in bagno, mentre io mi intrattenevo tra gli scaffali. Improvvisamente uno degli occupanti del SUV si mise dietro di me e sentii chiaramente che appoggiava il basso ventre contro il mio culo.
Mi voltai e lui si scostò chiedendomi scusa, ma appena mi girai percepii la sua mano chiudersi a conchiglia sulla mia chiappa. Mi girai nuovamente e lo guardai, ora spaventata per tanta sfacciataggine in un luogo pubblico frequentato anche da altre persone in quel momento.
Nel frattempo al mio fianco era tornato Carlo. L’uomo tolse prudentemente la mano dal mio sedere e finse assoluta indifferenza. Poi uno degli altri, con la scusa di chiedermi un’informazione, si affiancò al suo amico e mi domandò se conoscevo una certa località.
Mentre Carlo faceva lo scontrino alla cassa, ci allontanammo un po’ io e tre di loro e quando fummo al fondo del bar ruppero decisamente gli indugi e mi chiesero il perché, per parecchi chilometri, gli avessi fatto l’occhiolino. Spiegai che visto che mi salutavano e che mi guardavano spudoratamente io avevo semplicemente ricambiato. Uno di loro si rammaricò dicendo che non ero sola, perché altrimenti ci saremmo potuti divertire. Rispose un altro, quello che mi stava di fronte, che forse sarebbero riusciti a farlo ugualmente e, senza troppi fronzoli, mi infilò una mano tra le cosce e quando la ritirò con le dita umide dei miei umori, le mostrò ai suoi compari che dopo essersi scambiati uno sguardo d’intesa si fecero una bella risata. Avevano tutti superato la cinquantina, grossi, tatuati e dall’aspetto per nulla rassicurante, incutevano un certo timore, devo ammettere che mi tremavano le gambe, forse avevo esagerato a provocarli. Quello che mi sembrava essere il più deciso dei quattro, notando il mio cambiamento da sfacciata puttanella a cerbiatto impaurito, accarezzandomi la guancia mi disse di chiamarsi Nicola e di stare tranquilla che ci saremmo solo divertiti in po’ e che forse mi facevano passare la voglia di fare la puttanella in giro, questo provocò una nuova fragorosa risata dei suoi amici. Li guardai tutti con aria impaurita e li pregai di lasciarmi andare. Nel frattempo, prima che i tre mi dessero una risposta, si aggregò a noi Carlo, subito dopo il loro quarto amico. Ci avvicinammo separatamente al banco di mescita e mentre prendevamo il caffè, Carlo, incuriosito dal dialogo fitto che c’era stato tra me e i tre uomini, volle sapere ciò che ci eravamo detti.
Glielo spiegai con la massima naturalezza e lui, nonostante la cosa lo avesse sempre eccitato, mi redarguì perché non ero stata attenta a vedere chi provocavo. Seriamente preoccupato mi disse di uscire mentre i quattro stavano ancora consumando al banco e di dirigermi subito alla nostra auto.
Ma i quattro dell’avemaria erano molto attenti e furono subito dietro di noi. Ci raggiunsero e ci bloccarono vicino all’auto, a quel punto Carlo a muso duro chiese ai tipi di andarsene ma, onestamente, non pensavo affatto che quei bestioni si sarebbero fatti intimorire da uno esile come lui. Infatti, Nicola lo cinse per le spalle quasi a stritolarlo senza alcuno sforzo e gli disse di stare tranquillo, che non c’era assolutamente nulla da avere paura, che erano solo nostri amici che volevano solo divertirsi un po’ con noi, considerato anche che non era stato in grado di soddisfare la sua mogliettina in calore e che li aveva fatti arrapare per diversi chilometri.
Carlo non disse più una parola, non so se per la paura o per la stretta alle spalle che gli toglieva il respiro. Nicola poi mi fece cenno di entrare in auto e quando notò che mi stavo dirigendo al lato passeggero, mi disse: no, tu sali dietro con me, un altro dei quattro che sentii chiamare Gianni, si sedette al fianco di Carlo. Ci mettemmo in viaggio seguiti dagli altri due con il SUV, che sentii chiamare Lorenzo e Massimo. Durante il viaggio, Nicola provò a baciarmi e io provai a resistergli supplichevole, come quando mi infilò le sue grosse mani tra le cosce. Carlo si stava agitando e cominciò a supplicare anche lui Nicola di lasciarmi stare, ma Gianni, accarezzandolo sul collo, gli disse di stare tranquillo che la sua mogliettina era in ottime mani. Poco dopo stavamo entrando nel parcheggio di un motel. Scesero dal SUV Lorenzo e Massimo e si diressero verso la reception. Dopo qualche minuto, Lorenzo si affacciò sulla soglia della porta e ci fece cenno di scendere, entrammo io con Nicola che mi cingeva il fianco e Giovanni che teneva un braccio sulle spalle di mio marito. Il portiere quando mi vide passare abbigliata con il mio mini vestitino rosso e i miei tacconi da quindici centimetri, fece un grosso sorriso immaginando forse che ero una puttana con cui quei tipi se la sarebbero spassata.
Entrammo in una grande stanza e vidi subito che Carlo fu fatto sedere tranquillamente su una poltrona in un angolo. Mi trovai in piedi davanti ai quattro maschi eccitati.
Stavo lì, ferma a guardare quei quattro uomini, non belli né distinti, oltre i cinquant’anni, che mi avrebbero usata come un oggetto e, nonostante la paura per quello che poteva accadermi, cominciai a bagnarmi. A turno mi toccarono e palparono dappertutto, avevo l’impressione di essere una bestia da macello. Massimo tastandomi il culo: Assunta sei una bella troiona, sai? Non vediamo l’ora di ficcartelo dappertutto.
Mi spogliarono completamente e poi mi costrinsero a quattro zampe sul pavimento e Gianni iniziò a mungermi le tette tirando fortissimo i capezzoli, me li allungò tantissimo e io urlai per il dolore e il piacere che si univano dandomi sensazioni fantastiche. Mentre mi mungeva mi ordinò: muggisci come una vacca, dillo forte che sei una vacca da monta.
Mi sculacciarono pesantemente, facendomi urlare dal dolore, per costringermi a ripetere che ero solo una vacca da monta. Quando, non potendone più di quel trattamento, ubbidii ai loro comandi, cominciarono a ridere. Mi stavano umiliando e la cosa mi eccitava. Lorenzo iniziò a leccarmi la figa, mentre Massimo si sdraiò sotto le mie tette e mi mordeva i capezzoli dicendo: dammi il tuo latte, vacca.
Vidi quello che si chiamava Nicola, far scendere i pantaloni e poi le mutande, comparve duro e vibrante un cazzo sui ventidue, ventitre centimetri bello largo e scappellato.
Massimo si spostò e ordinò a mio marito di sdraiarsi sotto di me e di leccarmi la figa. Nicola, con il suo grosso batacchio si inginocchiò dietro e me lo infilò dritto nella fica. Pensai che mentre lui mi scopava Carlo avrebbe potuto leccargli le palle. Difatti: siii, mentre mi fotto questa troia leccami i coglioni, cornuto.
Nicola dopo pochi minuti estrasse il cazzone dalla mia figa e sborrò sul pavimento, poi prendendomi il capo dietro la nuca mi spinse in basso e disse: zoccola, schiava di merda, lecca la sborra. Ti piace la sborra eh? Mi teneva il capo premuto sul freddo pavimento e dopo avermi fatto leccare tutta la sborra, incitata anche dagli altri, gli leccai per bene il cazzo ripulendolo completamente.
Gianni a questo punto si mise di fronte dicendo: leccami i coglioni e fammi un succulento pompino, troia, maiala. Cominciai a leccare e a succhiare e mentre le dita di Massimo entravano nella mia figa ormai fradicia io continuavo a spompinare. Poi venne il turno di Lorenzo che mi prese la testa tra le mani e cominciò a scoparmi in bocca, lo faceva con violenza, affondando il suo cazzo fino a farmelo sbattere in fondo alla gola. Era un bel cazzone, piuttosto largo, di quelli che ti fanno mancare il respiro, io sentivo i conati arrivare e lui continuava a pompare. Diceva: ti sborro in bocca, brutta puttana; e così fece facendomi ingoiare tutto, fino all’ultima goccia.
Toccò poi a Massimo che mi fece stendere supina e infilando il bel membro fra le mie tette le usò per farsi una sega. Poi si sdraiò a sessantanove su di me e iniziò a leccarmi la figa scopandomi contemporaneamente in bocca. Ce l’aveva grosso pure lui e quando me lo spingeva tutto dentro a me sembrava di soffocare. Quando ebbe svuotato anche lui i suoi grossi coglioni nella mia bocca, tutti si misero a sedere.
In quel momento ordinarono a Carlo di ripulirmi con la lingua di tutta la loro sborra che ancora era sul mio corpo e quando furono finalmente soddisfatti del suo lavoro, Nicola mi disse: Troia, adesso fatti un ditalino per noi.
Così io, ubbidiente, mi girai verso di loro e tenendo le cosce divaricate e le ginocchia sollevate iniziai a sditalinarmi furiosamente, mentre loro mi incitavano insultandomi pesantemente.
Troia, puttana, lo sai di essere veramente una gran baldracca, vero? Mai vista una troia simile. Ma quanto ti piace il cazzo?
Non riuscii nemmeno a finire che Massimo mi aprì le gambe che avevo appena chiuso, per permettere a Gianni di penetrarmi nuovamente. Lorenzo inginocchiato dietro al mio capo mi strofinava l’uccello sul viso. Massimo mi infilò il cazzo in bocca. Avevo un cazzo che Lorenzo mi sbatteva con forza sul viso, uno piantato in bocca e uno in figa. Da lì a poco altra sborra invase le mie cavità e anche Lorenzo mi riempì il viso di caldo e denso nettare.
A questo punto Nicola con il suo gigantesco batacchio duro, disse: mettiti a pecora, troia, che ti rompo il culo. Poi appoggiò la sua cappella contro il buco e inizialmente me lo spinse dentro gradatamente. Al cazzo in culo ci sono abituata, ma quel pisellone era decisamente molto largo e mi fece parecchio male. Poi, con un colpo secco, lo affondò dentro di me e lo sentii urlare: ficcategli un cazzo in bocca. Massimo fu il più lesto e mi tappò la bocca, mentre Lorenzo prese a sculacciarmi forte.
Massimo mi sborrò in bocca e si ritirò e gli altri mi ordinarono che, ad ogni sculacciata, dovevo gridare forte: godo con un cazzo in culo.
Sentivo il cazzo di Nicola che continuava a sfondarmi fino al ventre fino a quando non lo sentii esplodere tutto il suo sperma dentro il mio intestino e, quando fece scivolare fuori il suo grosso cazzo, avvertii il calore della sborra scivolare lungo le cosce. Senza mai spostarmi da quella posizione anche gli altri, a turno, mi incularono riempiendomi di sborra. Ero stremata e piena di sborra quando Nicola accompagnò mio marito a quattro zampe, a cui avevano messo una cintura intorno al collo, tipo guinzaglio e gli fecero leccare il mio ano dilatato e pieno della loro sborra. Lo incitavano a leccare meglio e gli spingevano la faccia tra le mie natiche intrise di densa sborra e ogni volta che Nicola non era soddisfatto di come mi puliva, Lorenzo tirava il laccetto a cappio che gli aveva messo intorno ai testicoli facendolo guaire come una cagnetta sofferente, tra le risate del branco.
Alla fine, mi accompagnarono in bagno, mi infilarono sotto la doccia dicendo: lavati maiala che sei piena di sborra. Paghiamo noi la stanza, tranquilla puttana.
Tutti poi diedero una pacca sulle spalle di Carlo complimentandosi per la zoccola che ero e di come li avessi soddisfatti a pieno e se ne andarono lasciandoci soli in quello squallido posto per camionisti e puttane.
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