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QUEL VECCHIO PORCO DEL CUGINO MAURO E I SUOI COMPARI


di LaCavalla
01.02.2017    |    51.078    |    99 9.8
"Che cazzo vuoi che me ne frega..."
Io e mio marito siamo in auto, mi ha chiesto di accompagnarlo a far visita a suo cugino Mauro che vive in Australia da tanti anni e che, proprio in questo periodo, è tornato al paese d’origine.
Carlo, mi racconta alcuni aneddoti del passato relativi a quest’uomo. Mi dice che da ragazzo era un vero sciupafemmine, che era noto in tutta la zona per la sua “dotazione” e le sue maniere un po’ troppo forti con le donne.
Aveva sempre fatto l’allevatore di bovini e la sua fortuna pare sia stata proprio una femmina, una turista più grande di lui di età che, venuta in Italia in vacanza, si innamorò di lui e lo convinse a seguirla in Australia, dove gli aveva intestato proprietà, terreni e infine, alla morte della donna, avvenuta pochi anni dopo il loro matrimonio, era diventato proprietario di tutta l'azienda. Adesso Mauro è un cinquattottenne ricco possidente risposato con una donna di vent'anni meno di lui e da cui ha avuto due figli.
Raggiungemmo la masseria della famiglia di Mauro, trovando subito il cugino intento a giocare a carte con altre cinque persone tra parenti e amici. Mio marito venne accolto senza troppa enfasi, salvo poi accorgersi tutti della mia presenza e quindi cambiare subito il loro atteggiamento nei suoi riguardi. Tutti i presenti iniziarono a fare le feste a Carlo, sempre però guardando me, che ero vestita con un vestitino estivo rosso e leggero, indossato con sotto solo un perizoma stringato e senza reggiseno. Non era presente neanche un'altra donna.
Fummo fatti accomodare al tavolo con loro, smisero di giocare a carte e ci offrirono subito del formaggio con del vino. Non si poteva rifiutare, era scortese, Mauro poggiava le sue grosse mani sulle spalle di mio marito, gli tendeva il vino e il formaggio, con un po' di pane. Servì anche me, con meno rudezza, ma senza darmi modo di rifiutare. Mi squadrò intensamente e, non nascondo, che il suo sguardo, come quello di tutti i presenti, mi intimoriva ma, al tempo stesso, mi eccitava anche, ero l'unica femmina in mezzo a quel branco di maschi di mezza età.
Mauro si venne a sedere tra me e mio marito. Parlava con Carlo, ma si era appoggiato con un braccio sulla spalliera della mia sedia, quasi abbracciandomi e ogni tanto la sua mano mi toccava una spalla, o il collo e anche le sue gambe erano ingombranti, continuava a cercare il contatto e a sfiorare le mie cosce con il suo ginocchio. Notai quanto fosse possente quell'uomo. Anni e anni di lavoro nella terra e con gli animali lo avevano forgiato, notai anche che tra le gambe doveva avere un bel cazzone, perché il rigonfiamento era indiscutibile.
Dopo una mezz’ora che eravamo seduti e bivaccavamo, Mauro disse che il vino stava finendo, anche se a me sembrava strano che in una masseria finisse il vino, allora chiese a uno dei cugini presenti di andare da un loro parente a prenderne dell’altro e, poi, chiese a Carlo di accompagnarlo con la nostra auto, visto che era quello che aveva bevuto di meno. Mio marito accennò ad un mezzo rifiuto, dicendo che dovevamo andare via, in fondo eravamo passati solo per un saluto veloce. Mauro si mostrò contrariato e lo fece notare, disse: ma come, non ci vediamo da sei anni e mi tratti così? Sembrava quasi minaccioso, così mio marito si schernì e si diresse verso l'auto con l'altro sventurato.
Prima che partissero, Mauro chiamo a sé l’uomo che doveva accompagnare Carlo e gli origliò qualcosa nell’orecchio. Quello si mise a ridere e si diresse verso l'auto. Adesso ero io in mezzo a cinque uomini. Si continuava a bere e mangiare, io mi ero già bevuta tre bicchieri di vino, per superare l'imbarazzo, e mi sentivo un po' brilla. Tutti quei maschi poi, quegli odori, quelle canottiere e quel sudore, mi davano alla testa. Mauro mi stava sempre vicino, praticamente addosso. Dopo un po’ si avvicinò al mio orecchio e mi disse che mi avrebbe fatto assaggiare una cosa che veniva dall'Australia. Mi prese per il braccio e mi portò all'interno della masseria, verso la rimessa, dove stavano i macchinari. Lì c'era odore di benzina ed era buio. Con una mano mi teneva da un braccio mentre con l'altro mi spingeva da un fianco, tenendo la sua manona aperta quasi sul culo. Non me la sentivo di togliergli la mano, l'avrebbe presa male. In un angolo stavano dei sacchi a terra, in maniera un po' disordinata. C'era un tavolaccio di legno, degli attrezzi, alcune damigiane di vino (anche qui!). Prese un barattolino da uno scaffale, lo aprì e tirò fuori un qualcosa che a me parve un cetriolino. Che cos'è? Chiesi. Lui: mangia, provalo, vedrai che ti piace.
Me lo mise in bocca, diedi un piccolo morso. Non capivo cos'era, ma non ebbi tempo di chiederlo. Mi mise il resto nella bocca e con le mani iniziò a toccarmi dappertutto. Cercavo di fermarlo, ma lui mi aveva già tirato fuori le tette che succhiava e mordeva, mentre con un'altra mano mi aveva già preso il culo e lo palpava con forza.
Mi disse: che pezzo di vacca che sei. Appena ti ho vista arrivare con quel coglione di tuo marito ho pensato a come fotterti. Ora ci penso io a te. Lo supplicai di smettere che Carlo stava per ritornare.
Ma lui prontamente rispose: che cazzo dici, ho detto a Pasquale di portarlo in giro e far finta di avere delle commissioni da fare. Forse gli buca pure una gomma. Che cazzo vuoi che me ne frega. Abbiamo tutto il tempo. Ora stai zitta e inizia a succhiarmi il cazzo che è gonfio da un'ora per colpa tua.
Mi prese i capelli con forza e mi fece scendere in ginocchio. Aprì la zip dei pantaloni, ma mi lasciò fare tutto il resto. Aveva un bel cazzo grosso, aveva ragione mio marito.
Lui mi dava della puttana, della scrofa, e mi infilava il cazzo in bocca.
Continuava a dirmi: brava, brava, succhia che ora ti chiavo. Mi diede uno schiaffo sulla guancia e mi alzò, gettandomi poi sul tavolo, a pecora. Mi alzò il vestito da dietro, strappandomi con brutalità il perizoma.
Poi diceva ancora che avevo un culo da vacca, che me lo avrebbe fatto per bene.
Mi iniziò a scopare, sembrava non avere mai pausa. Mi penetrava forte e mi insultava. Mi sputava sulla schiena, mi tirava per i capelli. Ormai avevo finito di ribellarmi, non potevo fare finta che quel trattamento non mi piacesse. La figa mi si era inzuppata, ansimavo a bocca a aperta, godevo. Dopo un po’ che subivo quella monta selvaggia disse che aveva voglia di sborrare, che doveva svuotare i coglioni e mi mise di nuovo in bocca il suo grosso cazzo e subito dopo schizzò come un toro facendomi ingoiare gran parte del suo sperma. Non tolse il cazzo fino a che non perse consistenza. Gli occhi mi lacrimavano, ma la figa ancora mi grondava. Me la toccai, lui se ne accorse e disse: lurida porca, hai voglia, eh? Ci penso io a te.
Non capii subito cosa intendeva dire con quelle parole. Mi ordinò di togliermi il vestito, obbedii ai suoi ordini e rimasi nuda davanti a lui con i soli sandali indossati. Dall'oscurità venne fuori un uomo, era uno di quelli che prima erano intorno al tavolo. E, rivolgendosi al tizio disse: fai pure, fai, te l'ho solo scaldata un po'. A questa zoccola i cazzi non bastano mai. Ma oggi le facciamo fare una bella scorpacciata.
L'uomo venne verso di me con il cazzo già fuori dai pantaloni. Io ero lì impotente, Mauro rideva mentre beveva un bicchiere di vino e fumava. Di fianco a lui ora c’erano anche gli altri uomini che prima erano fuori, si era formata una specie di fila, ognuno aspettava il proprio turno. Quei bastardi erano d'accordo tra loro, ero la loro puttana.
Non potei mettermi a pensare troppo che quel vecchio porco mi aveva spinta sui sacchi che erano lì nell’angolo e mi aveva penetrato la fica con il suo cazzo. Non ci mise molto a venire, mi venne dentro senza nemmeno chiedermi se prendevo qualcosa.
Quello dopo mi mise a pecorina e mi chiavò così, reggendosi alle mie mammelle.
Quelli che mi chiavavano mi conoscevano, erano parenti o amici di mio marito. Sembravano prenderci ancora più gusto. A Mauro toccò l'onore di rompermi il culo, lo fece tra gli sguardi e il delirio di quei vecchi maiali, penetrandomi con forza mentre con le mani martorizzava le mie carni. Tra quelli che ancora dovevano approfittare di me e quelli che stavano facendo il bis, non riuscivo a tenere il conto dei cazzi, ne riconobbi un paio che erano già passati dalla mia bocca, ma era difficile, perché aspettavano nell'oscurità, bevendo e fumando e commentando la mia zoccolagine. Io avevo i buchi che mi dolevano, ormai era più di un'ora che venivo chiavata in fica e culo ininterrottamente, anche la bocca mi faceva male, perché alcuni avevano voluto solo un pompino, dicevano che gli faceva schifo affondare il cazzo dove c'era già la sborra di altri. La sborra l'avevo dappertutto, ne sentivo la puzza e il sapore nella bocca.
Quando gli altri soddisfatti andarono via, Mauro venne da me e disse che ero stata brava, che avrebbe potuto portarmi in Australia e diventare la sua puttana, da dare ai manovali, ai lavoratori stagionali come mezzo di pagamento, così gli avrei fatto risparmiare un sacco di soldi.
Mi spinse poi in un angolo e con una pompa di gomma mi lavò, senza troppi complimenti.
Dicendo: ora rivestiti, su, che facciamo ritornare quel cornuto e bevi un po' di vino, così riprendi colore e ti togli quella puzza di sborra e di cazzo dalla bocca.
Dopo essermi rivestita, uscii dalla rimessa e trovai tutti di nuovo intenti a gozzovigliare e giocare a carte. Quando passai vicino a loro risero, chi mi dava una pacca sul culo, chi brindava alla vacca, alla troia, alla loro svuota cazzi. Non avevano rispetto per me e in fondo non lo meritavo.
Mio marito venne a riprendermi e in macchina mi chiese cosa fosse successo durante la sua assenza, sembravo stanca.
Gli dissi di fermarsi in un parcheggio e lì gli raccontai tutto l’accaduto.
Mentre raccontavo gli segavo il cazzo, senza farlo venire, per punirlo di avermi lasciata lì da sola con quei vecchi porci. Lo feci venire fuori dalla macchina, in piedi, segandolo e continuando a bisbigliargli all'orecchio il trattamento che avevo subito.
Il cugino Mauro sarebbe rimasto ancora qualche giorno, e mio marito sono sicura che stava pensando di tornare ancora a trovarlo portandomi dietro.
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