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COME SONO DIVENTATA LA VACCA DEL PRINCIPALE DI MIO MARITO


di LaCavalla
26.11.2015    |    133.219    |    98 9.6
"Quel vecchio porco del datore di lavoro di mio marito, approfittando del mio stato di confusione, si era messo alle mie spalle e mi spingeva contro la..."
Dopo varie vicissitudini conseguenti alla perdita del lavoro di mio marito e al lungo periodo di disoccupazione, arrivò una proposta di assunzione in una grossa azienda. Finalmente un po’ di serenità regnava sulla nostra famiglia. Ci trasferimmo subito, anche come abitazione, vicino al nuovo posto di lavoro.
Con il passare dei mesi gli orari di lavoro di mio marito Carlo (vero nome) erano diventati sempre più pesanti, usciva di casa alle sette del mattino per fare rientro dopo le venti, mi aveva spiegato tante cose dell’azienda, che era di proprietà di due soci, di cui solo il suo datore di lavoro partecipava in maniera diretta alle attività produttive.
Descriveva il suo principale come un uomo molto rude e autoritario con i dipendenti, esigente all’inverosimile, un vero padre padrone. Carlo lavorava proprio in amministrazione, a stretto contatto con il Commendatore, così lo chiamavano tutti.
Nutriva una vera e propria venerazione per il suo Capo, lo descriveva come un uomo che non chiedeva mai nulla per piacere, ordinava solo, uno che teneva alla frusta tutti i dipendenti, vivevano tutti nel terrore delle sue reazioni sconsiderate se sbagliavano. Raccontava che mortificava le persone incurante della loro dignità e diceva anche che il tutto era accentuato dalla sua prestanza fisica, lo aveva descritto come un omaccione alto all’incirca un metro e ottantacinque, molto robusto e con delle enormi mani che agitava con fare minaccioso quando si arrabbiava.
Questi suoi racconti del vissuto quotidiano mi inquietavano non poco, ma allo stesso tempo mi incuriosivano, pensavo, poteva mai essere che quest’uomo fosse così con tutti? Non era forse magari colpa degli altri se assumeva certi atteggiamenti?
Passarono alcuni giorni e Carlo mi annunciò che aveva invitato il suo datore di lavoro a cena a casa nostra per la sera seguente, ero preoccupata e lo rimproverai chiedendogli come gli era venuto in mente di portarlo pure a casa, visto il caratteraccio che aveva. Mi tranquillizzò dicendo che sarebbe stato solo per quella volta e proseguì facendomi notare che lo aveva invitato perché da solo per qualche giorno, la moglie era andata a far visita alla figlia che viveva a Firenze.
Passai tutta la mattina a pensare cosa potessi preparare per cena, ero insicura, avevo paura che potesse andar male, telefonai più volte Carlo a lavoro per chiedere se conosceva un po’ i gusti del Commendatore, ma lui mi tranquillizzò dicendomi che andava bene qualsiasi cosa avessi cucinato.
Si fece ora di cena, era tutto pronto e andai a prepararmi per la serata. Indossai un vestitino nero a bretelle larghe, scollato e corto e un paio di sandali dello stesso colore.
Alle venti e trenta in punto, sentii armeggiare le chiavi nella porta di casa e sentii mio marito che invitava il Commendatore ad accomodarsi.
Appena entrata nel salone, mi ritrovai davanti un uomo maturo, sulla sessantina, scuro di carnagione, con pochi capelli e da quello che si vedeva dalle sue mani e dai segni della sua barba sul volto, molto villoso. Aveva un sguardo molto intenso e penetrante, veramente incuteva timore e metteva in soggezione, proprio come mi aveva descritto mio marito.
Carlo fece le presentazioni e il Commendatore non mancò di fare apprezzamenti su di me, dicendo che ero veramente una gran bella donna e rimproverò Carlo per avermi tenuta nascosta ai suoi occhi per tutto quel tempo, sorrisi in modo un po’ imbarazzato e li invitai ad accomodarsi per l’aperitivo.
Mi avvicinai per versargli del prosecco e il porco, senza nessun pudore, mi guardò in modo sfacciato nella scollatura, attenzioni che riservava anche al resto del mio corpo ogni volta che mi allontanavo dal tavolo, mi seguiva con lo sguardo in modo sfacciato, incurante di mio marito.
Quell’uomo non bello, per niente educato, aveva qualcosa che mi attirava, mi turbava, mi provocava forti fitte al ventre con i suoi atteggiamenti, ma allo stesso tempo, mi incuteva pure paura, erano delle reazioni improvvise e contrastanti difficilmente descrivibili.
La serata trascorse con queste mille sensazioni che provavo e con il Commendatore che proseguì con i suoi atteggiamenti spavaldi e autoritari cercando, quando poteva, anche il contatto fisico con me.
Rimase con noi fino a tardi, parlammo delle nostre passioni e quando gli confidai che mi piacevano molto i cavalli e cavalcare, mi invitò subito a visitare il suo maneggio per il mattino seguente.
Mio marito si intromise dicendo che l’indomani mi avrebbe accompagnata, ma il Commendatore gli rispose in modo deciso: “no, tu vai a lavoro, passo io a prenderla”. Si fece dare il mio numero di cellulare e si congedò da noi.
Rimasti soli, ci guardammo negli occhi, con Carlo non c’era bisogno di dirsi nulla, ci capimmo subito, il mio amato maritino mi stava offrendo al suo capo.
Improvvisamente mi fu tutto chiaro, la descrizione minuziosa che mi faceva del suo datore di lavoro definito rude e autoritario, ma che lui venerava, l’invito a cena e ora anche l’invito al maneggio, era tutto orchestrato per far si che il vecchio stesse da solo con me.
Passai la notte in bianco, non sapevo cosa aspettarmi per il giorno dopo. Al mattino, come sempre, mi alzai alle sei per preparare la colazione a mio marito, quando ci salutammo mi baciò appassionatamente sulla bocca e mi disse: “ti amo, sei la mia vita” e uscì di casa.
Verso le sette mi squillò il cellulare, era il Commendatore, quando risposi mi sentii dire, con voce roca e ferma, solo queste parole: “piccola preparati che alle otto passo a prenderti, sii puntuale, io non amo aspettare” e riagganciò.
Andai a farmi una doccia veloce e dopo essermi truccata indossai una minigonna di jeans blu scuro con sotto un perizoma a filo, una fascia di colore verde, sopra una blusa trasparente leopardata dello stesso colore e calzai dei sandali con tacco da dodici, ero pronta per uscire.
Quando il Commendatore mi vide esclamò in modo molto colorito: “ammazza quanto sei bona, così mi fai arrapare tutti gli stallieri”.
Arrivati al maneggio parcheggiò vicino alle stalle e quando entrammo i tre lavoranti presenti mi mangiarono con gli occhi mentre lo salutavano in modo deferente. Poi lui si allontanò con loro e io mi avvicinai ai box per guardare i cavalli, erano veramente belli, c’erano tre femmine e uno stallone dal pelo nero come la pece, era stupendo.
Ero intenta a guardarmi intorno quando mi si avvicinò e mi disse che da li a poco avrei assistito alla monta di quel magnifico stallone. Mi portò al recinto dove gli animali venivano preparati, non avevo mai assistito ad uno spettacolo del genere, quando il cavallo sfoderò il suo possente arnese rimasi interdetta, era enorme, gli stallieri lo aiutarono a penetrare la giumenta e quando sentii i nitriti di quelle bestie ebbi un brivido che mi percorse tutta la schiena e mi provocò un’improvvisa eccitazione.
Quel vecchio porco del datore di lavoro di mio marito, approfittando del mio stato di confusione, si era messo alle mie spalle e mi spingeva contro la staccionata facendomi sentire tutta la sua eccitazione. Cercai di divincolarmi ma ero intrappolata, avvertii la sua mano che si intrufolava tra le cosce, ero completamente bagnata, mi baciò sul collo e mi disse: “ti voglio puttana”. Provai a resistergli, gli dissi che volevo andar via, ma lui incurante delle mie parole mi spinse nel fienile e dopo aver chiuso la porta con una pesante sbarra di legno, cominciò a sbottonarsi i pantaloni mentre mi fissava con gli occhi iniettati di sangue per l’eccitazione, faceva paura.
Tentai di scappare, ma lui mi prese per i capelli e dandomi ancora della puttana mi costrinse in ginocchio davanti a lui e mi obbligò a prendergli in bocca il suo cazzone, era così deciso, così irresistibilmente maschio, dopo essersi fatto ciucciare mi spinse giù sul fieno e dopo avermi letteralmente ridotto in brandelli il perizoma, mi penetrò con forza, non riuscii a trattenere un urlo per il dolore che mi provocò quella penetrazione così violenta, ogni volta che affondava i suoi colpi mi spezzava il respiro, mi riempiva di parolacce mentre mi possedeva, quel porco mi stava procurando un’infinità di orgasmi. Stanco di quella posizione, mi costrinse a pecorina e cominciò a palparmi in modo deciso il culo e le cosce e a sculacciarmi con le sue grosse mani, provai ad oppormi ma lui mi inveì contro dicendo che ero solo una vacca da monta, la sua vacca da monta, e lui poteva fare di me quello che voleva.
Mi faceva molto male, cominciai a piangere, a supplicarlo di smettere, ma lui incurante delle mie proteste mi tocco la fica e mi disse: “vacca, vedi che sei tutta bagnata? Sei solo una lurida baldracca, hai bisogno di un maschio che ti prenda come meriti, non come quella mezza cartuccia di tuo marito”. Detto questo, mi aprì le natiche e dopo avermi sputato sul buchetto, cominciò a massaggiarlo e a profanarlo con le dita, ero sfinita, spossata da quel trattamento cosi selvaggio, al punto che fu quasi una liberazione quando entrò dentro di me con il suo cazzo. Mi scopò nel secondo canale finché, sentendo salire l’orgasmo, si sfilò e messami nuovamente in ginocchio davanti a lui, mi umiliò venendomi in bocca e facendomi bere la sua copiosa sborrata che non riuscii a tenere tutta e che mi imbrattò anche il seno.
Ora, dopo essere stato tanto violento, mi teneva tra le sue gambe e mi carezzava delicatamente la nuca mentre si faceva ripulire il suo grosso cazzo dalle ultime gocce di sperma e continuava a ripetermi che avrebbe fatto di me la sua vacca.
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