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Il Bagno di tutti (Fame Eterna) pt. III


04.07.2025 |
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"Mi hanno fatto leccare un preservativo trovato per terra, mi hanno pisciato in un bicchiere di carta, e me lo hanno fatto bere mentre mi si siedevano in faccia..."
Non sento più il tempo.Solo il freddo umido del pavimento, il battito del mio cuore quando sento la porta aprirsi.
Sono qui dentro da più di un giorno, credo. O forse di più.
Nel bagno pubblico della stazione abbandonata. Cabina senza porta. Muro pieno di muffa.
Il trench ormai è solo uno straccio zuppo sotto di me.
Il perizoma è strappato, il mio cazzo molle pende tra le gambe, gocciolante di liquidi sconosciuti. Le calze autoreggenti sono lacerate, tirate giù fino alle ginocchia. I tacchi? Uno è rotto. L’altro mi tiene in punta come una statua.
Sono diventata parte del bagno.
Hanno scritto sul muro sopra la mia testa:
“USA LA TROIA. NON FARTI PROBLEMI. È DI TUTTI.”
“PER BOCCA, PER CULO, PER LA FACCIA.”
“LASCIA IL TUO SEGNO.”
E i segni ci sono.
Addosso. Dentro.
Sborra secca sulle tette, sul ventre, sulle cosce.
Piscia nei capelli, nel culo, sulla lingua.
Sputi negli occhi, saliva tra le dita, dita nel culo anche mentre dormo.
Sì, perché a un certo punto ho perso conoscenza.
E quando mi sono svegliata, qualcuno mi stava ancora scopando.
Un cazzo ruvido che entrava piano nel mio buco molle, già devastato, mentre un altro uomo mi teneva la testa ferma, come se fossi una bambola rotta.
«Sta dormendo, guarda… e viene lo stesso», ha sussurrato uno.
Avevano ragione.
Il mio cazzo colava, duro anche nel sonno.
E lo hanno ripreso.
Con i cellulari.
Mi hanno filmata mentre venivo svenuta, mentre mi pisciavano in bocca, mentre mi montavano in due, in tre, come un oggetto da usare e buttare.
«Questa è arte. La puttana del bagno, il monumento al vizio.»
Un camionista ha lasciato una bottiglia con dentro il suo piscio e l’ha fatta scendere piano nella mia bocca mentre teneva il naso tappato.
Ho ingoiato tutto.
Caldo, stagnante, salato.
E io gemivo.
Ero in estasi.
Il mio corpo era coperto di segni.
Morsi. Graffi. Macchie.
Il mio culo era sempre aperto, colante. Il mio viso unto. Le tette lucide di sborra, sporche di piscia e fango.
Mi avevano anche infilato un preservativo usato in bocca.
Uno ha scoreggiato direttamente nel mio ano, con forza, mentre un altro mi pisciava sui piedi.
Ho sentito gente venirmi addosso senza neanche svestirsi.
Solo aprivano la zip, e spingevano dentro, fino in fondo.
Mi hanno fatto leccare un preservativo trovato per terra, mi hanno pisciato in un bicchiere di carta, e me lo hanno fatto bere mentre mi si siedevano in faccia.
E io?
Vivevo.
Finalmente.
Verso notte, hanno acceso delle torce.
Una piccola folla si era formata.
Facevano la fila.
Ho contato 17 uomini.
Alcuni si sono seduti sulla tazza mentre mi facevano cavalcare il loro cazzo.
Altri mi mettevano le dita nel naso, nella gola, nell’ano.
Uno ha pisciato nel mio ombelico.
Uno mi ha chiesto:
«Se ti lasciamo qui una settimana, sopravvivi?»
Ho risposto.
Con la voce secca.
«Sì. Finché mi usate, io vivo.»
Verso l’alba, sono rimasta sola.
Pavimento bagnato.
Il mio perizoma come un cordone ombelicale.
Il mio cazzo… ancora mezzo duro.
Il mio cuore… pieno.
Poi ho sentito passi nuovi.
Qualcuno entrava. Forse il primo della mattina.
E io?
Ho alzato lo sguardo.
Ho spalancato la bocca.
Pronta.
Sempre.
Fame eterna.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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