Lui & Lei
La vita Riflessa

28.05.2025 |
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"Da quel momento cominciò per noi un’avventura dello spirito che credo sia capitato a pochi di vivere; impiegammo non so quanto, prima di riuscire a scambiarci..."
In memoria del grande Geniodirazza, ho voluto pubblicare questo suo racconto, che in sé raccoglie forse l'essenza di tutta la sua vita. Per chi conosce i suoi racconti, sa che magnifico modo di raccontare anche le storie più scabrose aveva; per chi invece non lo conosce lo sprono a leggere questo racconto e poi magari cercare gli altri nella sua pagina di A 69.La vita riflessa
La festa è una di quelle occasioni in cui non esserci pesa assai più dell’esserci; in qualche caso, ho usato questa certezza per alzare un po’ di polvere intorno a me e a qualche evento che volevo lanciare; un ambiente alquanto di lusso, con almeno una cinquantina di invitati, in qualche caso, si parla addirittura di centinaia, dei quali, escluso il padrone di casa, o il parente al quale devi l’invito ricevuto, ed un paio di altre persone, non conosci assolutamente nessuno, anche se prudenza commerciale suggerisce di accogliere tutti con un largo sorriso, non sapendo di chi si tratti e quanto possa poi incidere sulla tua attività.
In questo mare di noia e di ipocrisia, in genere ti aggiri per una mezz’oretta, ti fai notare soprattutto quando la stampa sta registrando, e alla fine scappi quanto più rapidamente è possibile salutando solo quelli di cui sei certo che li conosci.
Bea è una dei tanti sconosciuti in cui inciampo quella sera accettando di presenziare ad un party per non so quale inaugurazione; non è giovanissima, ma è bella da far paura; deve essere stata una starlette o una modella di grido, perché il corpo è praticamente perfetto, compresi gli accenni a sbavature che fanno capolino da qualche parte; il viso è quasi spigoloso, tendente al sottile e al tagliente, ma è impeccabilmente armonioso e, quando si abbandona al sorriso, ti apre il cielo su un mondo di sogno e ti manda in paradiso.
Quando assume pose sensuali, ti vien voglia di farle la festa, lì sul divano bianco dove il suo incarnato ambrato brilla come miele sul pane bianco; la rimiro incantato per qualche secondo, finché non mi accorgo che la mia aria assorta nella sua bellezza ha suscitato l’invidia della carampana al mio fianco, sicuramente un personaggio di grande prestigio, a giudicare da quelli che la circondano; per non creare dissapori, le sorrido, sollevo il bicchiere a brindare, ricambiato da lei, e torno a dedicarmi all’incantevole sconosciuta che ora voglio ad ogni costo conoscere.
Me lo suggerisce una delle poche persone che nella massa di invitati la conosce; non mi ero sbagliato né sull’età né sulla professione; ex modella ancora sulla breccia, pare che tenga una scuola di portamento; assai vicina ai cinquanta, ma senza accorgersene e soprattutto senza dare a vederlo; non si capisce bene se singola o con una storia clandestina in atto; e comunque non me ne frega niente perché è lei che mi affascina, non il suo stato civile.
Per quel che mi riguarda, potrebbe anche essere una mia figlia non conosciuta, visto che per età è assai vicina all’ultima mia figlia naturale, che vive, come sua madre, a qualche migliaio di chilometri ed ha con me formali rapporti solo nelle feste comandate; ma Bea, come direbbe il mio amico trevigiano ‘l’è proprio Bea’, è proprio bella, per chi avesse bisogno di traduzione; ed io, forte delle mie radici terroniche, ci aggiungo anche ‘Bea to chi se la fa…’; devo essere proprio rimbecillito, se arrivo a fare questi discorsi beceri; comunque, faccio di tutto per incrociarla e riesco a far tintinnare il mio calice di prosecco contro il suo.
“Ciao, meraviglia della natura .. Io sono Enzo … “
“Ciao, mio fan guardone, io sono Bea ed è mezz’ora che ti osservo farmi la radiografia … “
“Perdonami, non sono riuscito a frenare l’impeto della mia immensa ammirazione.”
“Ti perdono solo a patto che mi sottrai da questa tortura e mi porti in un posto dove possiamo respirare e parlare da persone civili, senza ipocrisie e convenzioni.”
Ci impiego un lampo a prendere commiato dai pochi che conosco e ad avviarmi all’uscito con la mia dea, che mi regala un attimo dei miei entusiasmi giovanili; mi viene involontariamente di sorridere, lei se ne accorge e mi chiede conto senza parlare, con uno sguardo tra l’interrogativo e l’indagatorio; mi vedo costretto a spiegarle che mi ha ricordato le volte che con la mia prima ragazza scappavo dalle sale affollate per nasconderci a baciarci.
“E’ durata poco?”
“L’ho sposata, qualche anno dopo; poi abbiamo anche divorziato ed ora viviamo lontani e non ci facciamo più la guerra come una volta.”
“Vi siete amati molto?”
“Bea, che cos’è questo interrogatorio? Ti pare bello voler entrare tanto nel vivo della mia esistenza addirittura passata?”
“Si, lo trovo meraviglioso e non smetto di meravigliarmi di fronte ad un personaggio come te così lineare e così complesso al tempo stesso … “
“Ragazza, ma che dici? Io non nessuna complessità, ho avuto una vita lineare e semplice.”
“Lo dici tu; intanto, devi essere ben vecchio, da come parli; eppure hai una vitalità che mi innamora; ed io non sono una che perde facilmente la testa; tu hai dato prova di iniziativa, di energia, di eleganza; tu mi hai innamorato e sono convinta che sai essere anche più convincente … “
“Senti, piccola mia, io potrei essere non solo tuo padre, ma forse addirittura tuo nonno; non stare a prendermi per i fondelli con la storia dell’amore; quello è una cosa seria!”
“Seria quanto? Era lei, il tuo primo amore, la ragazza di cui parlavi? Come vi siete conosciuti, cosa avete fatto, sei stato il suo primo uomo? E’ stata la prima donna con cui hai fatto sesso?”
“Ragazzina, dalle mie parti si dice che vuoi entrare troppo nel cappello del prete … “
“No, voglio solo sapere da una persona con qualche anno di più come ha vissuto il suo amore; io non ho una buona memoria del mio.”
“Ragazza, guarda che più di venti anni sono un quarto di secolo; e ne succedono di cose, in un quarto di secolo; fra me e te c’è la distanza di tutte quelle cose … Esempio? L’idea stessa di sesso, di verginità, di matrimonio … “
“Esattamente quello che voglio sentire da te, l’idea che avevate del sesso, il senso della verginità di tutti e due, come siete arrivati al matrimonio e perché poi si è sfasciato.”
“Bea, il sesso più di cinquanta anni fa era un autentico mistero, di cui si poteva parlare solo in piccoli gruppi clandestini; fare la corte a una ragazza impegnava un rituale che oggi ti apparirebbe insopportabile; rivolgerle la parola era una conquista e, alla fine, riuscivi anche a strapparle un bacio, di nascosto, infrattato da qualche parte e con un miliardo di paure perché lei, o forse tutti e due, eravate convinti che fosse già rimasta incinta.
Non ridere; era così e non ci potevi fare niente; forse adesso puoi capire quanti dolori di testa dopo un pomeriggio a passeggiare, a parlare anche del sesso degli angeli e a non poter sfogare in nessun modo la voglia che ti montava e che ti gonfiava tutto fino a farti dolere l’inguine.”
“E come risolvevate?”
“Masturbazioni colossali, infinite, debilitanti, snervanti, fino a che non si riusciva a far capire che anche lei aveva bisogno di fare sesso e allora ti consentiva di accedere finalmente al seno o addirittura di appoggiare il sesso fra le cosce.”
“Oddio, aspetta, fammi capire; che cos’è questa storia del seno e delle cosce?”
“Il seno era una delle ‘zone sacre’ del corpo di una donna e per arrivare ad appoggiarci una mano, tenercela e poi, forse, arrivare a succhiare un capezzolo, dovevi elaborare un lungo rituale amoroso; è difficile raccontarti a parole cosa potesse sentire un ragazzo di diciassette o diciotto anni quando riusciva ad aprire i bottoni della camicetta e ‘sentire’ il seno, con gli occhi, con il naso, con la bocca.
Un afrore straordinario, indicibile, misto tra l’odore della terra appena bagnata, dell’aria dopo una pioggia, dell’erba tagliata, di una colonia dozzinale, del corpo umano, del languore di chi si sveglia dal sonno; ti ripeto, è impossibile descriverti l’odore che emanava da quella blusa appena aperta, dal seno virgineo che desideravi fino a morirne e che ti appariva alla fine a pochi centimetri.
Le erezioni che ti scatenavano quei momenti le puoi solo ricordare perché poi non ce ne sarebbero state più nemmeno lontanamente simili; se proprio vuoi, quello era il senso vero dell’amore, ma anche della verginità di tutti e due che scoprivamo un mondo assolutamente inesplorato e ce ne innamoravamo.”
“Perché fra le cosce?”
“Perché la vagina non andava neppure sfiorata e tutto doveva avvenire al di qua delle mutande, stile antiviolenza, è perfino superfluo che te lo dica, e il sesso si appoggiava alle cosce nella parte che rimaneva scoperta tra la fine delle calze e l’inizio del reggicalze, che allora si usava; lì avveniva lo sfregamento che produceva l’orgasmo a tutti e due; lo sperma che il maschio spruzzava di solito si depositava sul retro coscia della ragazza, spesso con danni seri alle calze; comunque, il piacere era sicuramente più intenso e più nobile di tante copule attuali, perdonami se sono un po’ retrò.”
“Non devi scusarti; non puoi sapere cosa darei oggi, per vivere un momento come quello!”
“Per farti copulare tra le cosce e farti eiaculare sulle calze?”
“Ci sei o ci fai? Io non ti considero affatto né un padre né un nonno, ma un maschio che mi farei volentieri se fosse capace di darmi quell’amore che metteva in quei rapporti; caro il mio finto tonto, è di quello che ho nostalgia, dell’ingenuità, della verginità se proprio vuoi, anche del maschietto che assecondava gli ormoni impazziti facendo cose turche per copulare tra le cosce di una donna veramente amata alla follia, se il prezzo era quello.”
“Scusami, Bea, ho cercato di smitizzare, perché vedo che ti infervori; se ti racconto quegli anni, è certo che ti innamori, in parte perché, naturalmente, ti propongo il meglio delle emozioni, in parte perché capisco che non devono essere stati fiori e rose per te e certe dolcezze ti affascinano; ma non era tutto così semplice e non dimenticare che, a meno di vent’anni, io mi trovai a sposarmi con un figlio già avviato per ignoranza e con una moglie scelta soprattutto per avere la certezza di poter copulare, la sera; se ci rifletti, era la peggiore società che oggi si potrebbe auspicare.”
“Ma, in definitiva, facevate sesso anche prima del matrimonio? Dove? Come? Com’è andata la prima volta?”
“Vuoi proprio entrare anche nelle pieghe delle confessioni che si fanno al prete, vero? Ok; chiaro che facevamo sesso anche prima del matrimonio; lo facevamo in macchina, perché avevo cominciato a lavorare e la prima cosa che comprai fu una macchina, usata e a rate, e quella diventò anche la nostra alcova; andavamo al parco, su in colina, dove si ritrovavano tutte le auto con coppiette della città e lì, con qualche acrobazia, riuscivamo anche a fare l’amore completamente.
La prima volta fu proprio in macchina; dopo mesi e mesi che lo facevamo tra le cosce; evidentemente anche la mia ragazza, poi mia moglie, era stanca e sentiva il bisogno di una penetrazione completa; ne avevamo parlato spesso, sempre con enorme timore e reticenza; poi una sera, che eravamo particolarmente ‘caldi’, si vide nettamente che qualcosa sarebbe successo; sin dal primo approccio fummo diversi; ci baciavamo con una furia mai registrata, sembrava che ci divorassimo a cominciare dalla bocca e non ci fermavamo.
Considera che non avevo mai nemmeno provato a farglielo prendere in bocca e capirai che neppure potevamo pensare di scaricare così la voglia che avevamo; l’unica cosa che potevamo fare era massacrarci letteralmente con la bocca e con le mani, quasi per prenderci brandelli dell’altro, del suo amore, e tenerceli per noi; le aprii la camicetta e tirai fuori le tette, che aveva bellissime, carnose, gonfie e con due capezzoli dolci, delicati, piccoli, ma meravigliosi da sentire in bocca.
La succhiai a lungo, quasi sperassi di vedere spuntare latte da due mammelle verginali; poi lei disse una cosa che mi lasciò perplesso; solo una parola ‘Fallo’ ed io non sapevo se dovevo considerarlo il sostantivo corrispondente a pene e fare ancora una volta l’amore tra le cosce come sempre o considerarlo l’imperativo del verbo fare e decidere di fare l’amore, finalmente!; voleva che lo facessi, sul serio, e me lo ribadì mentre le sfilavo le mutandine e le carezzavo, per la prima volta, il boschetto dei peli che, come ai tempi si usava, portava folto e incolto.
Da quel momento non capii più niente, non ricordai più niente, sentii solo che tutti e due venivamo portati in cielo come due angeli che uscivano dalla macchina, sforando il tettuccio, e volavano in paradiso a cogliere l’elisir di lunga vita; non ho più amato e non potrò amare mai più nessuno come ho amato in quel momento mia moglie; è stato senz’altro il momento più alto della nostra storia; l’unico problema che si pose, poi, fu spiegare a mia madre come mai i miei slip fossero insanguinati.”
“Ti odio, porco! Sono venuta nel perizoma senza toccarmi; adesso tu mi darai qualcosa di simile a quel momento; io non voglio te, vecchio maiale, rotto alle peggiori esperienze, abituato a copulare anche per mesi con tanta tecnica e niente amore; io voglio una sola occasione, un momento, forse solo un’ora, con quel ragazzo che si è sverginato sulla verginità di sua moglie; io voglio vivere quel tuo momento di vita che a me nessuno ha dato mai; tu sai e puoi darmelo; lo hai fatto adesso, portandomi all’orgasmo senza toccarmi; voglio questo da te, che mi dai il piacere dell’amore anche senza sesso, se non ti si rizza più.”
“Bea, ragazza mia, perché non cerchi un tuo coetaneo per questo desiderio? Mi conosci da meno di un’ora, va bene che sei riuscita a tirarmi fuori verità che avevo sepolto, va bene che ti sei esaltata fino a godere solo a sentirmi raccontare, ma per passare dalle parole ai fatti hai bisogno di chi corrisponda alle tue esigenze, non di un vecchietto in disarmo come me.”
“Strano, hai messo in tasca un rotolo di monete ben impilate o porti in tasca il calumet indiano? Cos’è questa cosa strana che mi vibra in mano? Per caso è il tuo fratellino che ti sconfessa e che rivela che sei eccitato come un mandrillo e che muori dalla voglia di fare l’amore con me? Per favore, smettila di difenderti ed esci allo scoperto. Fammi fare l’amore; dammi una sola ora di gioia e ti lascio in pace.”
“Col ca … volo! Se facciamo l’amore, ti fai per lo meno raccontare tutta la mia vita, con tutti i particolari, prima di mettermi da parte e rottamarmi come merito; non puoi portarmi davanti alla vetrina della pasticceria e poi dire che non mi compri niente; sei enormemente bella, sei immensa, affascinante, desiderabile; se ti assaggio, poi ti voglio; se ti lasci sverginare come mia moglie, poi ti farai anche possedere come le amanti della mia vita … e ti assicuro che non sono state poche!”
“Ti ho detto forse che voglio limitarti o che voglio privarmi del piacere di fare l’amore? Smetti di chiacchierare e fammi sentire come svergini una vecchia di quasi cinquant’anni che ne ha fatte più di quante tu immagini!”
Andiamo alla mia macchina e mi dirigo al parco sulla collina; non è cambiato quasi niente; ancora c’è la strada percorribile dalle auto e, ai lati, lungo il muro di cinta coperto dall’edera, una stradina bianca sulla quale sono assiepate, l’una a ridosso dell’altra, le auto delle coppiette; mentre percorro a passo d’uomo la strada, faccio notare a Bea i movimenti inequivocabili delle auto dove le coppiette sono scatenate nelle copule e trasmettono all’esterno i molleggiamenti del sedile.
“Sapevo che qualcosa di simile succedeva ma non mi ero mai resa conto della realtà ... “
“Certo, una che può copulare in pace a casa sua, sul suo letto meraviglioso, oppure che può permettersi un motel o un albergo anche di lusso … “
“D’accordo, il mio è un altro modo di fare anche sesso; cosa fa una ragazza innamorata a questo punto?”
“Mentre lui guida piano cercando un buco per parcheggiare, lei si prende qualche anticipo e gli prende il sesso in mano per sentirlo gonfiarsi d’amore fin quasi a scoppiare; ma non lo fa godere, lo eccita per averlo più prontamente dentro, quando lui avrà trovato un posto per fermarsi; qualcuna più ardimentosa si tocca anche lei e masturba tutti e due contemporaneamente.”
Mi sbottona la patta, infila la mano e tira fuori il sesso già ritto come un palo.
“Maiale, dici così? Dio, che obelisco che hai qui; e sei un povero vecchio in disarmo; chissà a quarant’anni cosa avevi!”
“Vuoi l’amore da me o te lo vai a cercare da un quarantenne?”
“Sta’ zitto, maiale prevaricatore di ragazzine innamorate! Ringrazia dio che stai guidando e non posso farti sentire il calore della mia bocca sul randello! … “
“Dio, tu mi mandi a sbattere, maledetta. Sai una cosa? Ti amo; sono folle ma ti amo, non riesco a farne a meno.”
“Questo lo dici a tutte per convincerle a dartela, è così?”
“No, se non mi dici che mi credi, mi fermo apro il tettuccio e grido a tutti che ti amo!”
“Non ti credo; se non ti vedo, se non ti ascolto, non ti credo!”
Blocco l’auto e la colonna che mi segue; apro il tettuccio, mi giro verso i guidatori delle altre auto ed urlo.
“Sono innamorato di Bea; lei è il mio grande amore vergine, lo capite, io la amo alla follia.”
Da una delle auto sporge una testa che risponde.
“Anche io amo la mia Sofia; ma adesso facci cercare il posto per fare l’amore!”
Quando rientro nell’auto, Bea mi abbraccia, mi bacia appassionatamente e mi sussurra.
“Anche io ti amo, maledetto vecchio; e adesso stai a sentire il signore; cerca un posto e fammi fare l’amore. Guarda che lì un’auto se ne va; quel posto è nostro, non lo perdere!”
Non lo perdo; parcheggio, tiro fuori una rivista finita sotto un sedile e mi preparo a schermare i finestrini; Bea segue con curiosità la manovra e solo dopo si rende conto che intendo fare un po’ di privacy per ripararci da eventuali guardoni.
“Sei proprio bravo e premuroso; io cosa dovrei fare adesso?”
“Potresti mantenere la promessa fatta poco fa … “
“Tua moglie quando lo prese in bocca la prima volta?”
“Dopo il terzo figlio, credo … “
“E allora dovrai aspettare; per ora solo le mani e la vagina.”
Le salto addosso e la bacio con una foga imprevedibile; si abbandona alla mia dolce violenza e ricambia l’entusiasmo.
“Sai, mi sento davvero quasi vergine, nuova senz’altro; hai un modo di baciare che mi sconvolge, riesci a trasmettere libidine, piacere, intensità, amore forse; mi piace sentirmi baciare da te, mi piace questa sensazione di novità; in fondo, essere vergini non significa solo e necessariamente avere un imene intatto; significa anche trovarsi davanti ad una persona, a dei comportamenti, a delle emozioni del tutto nuovi e sconosciuti, imparare a distinguerli e sentirsene travolti.
In questo senso, mi sento davvero vergine, con te; poche ore fa non ti conoscevo e mi stavi pure un poco antipatico; ora ti sento sul mio corpo, nella mia bocca, sui miei seni, ti sento dentro di me anche se non sei ancora penetrato; sento che mi svergini ogni tanto in qualche cosa, dall’emozione del bacio che mi ha esaltato a quella delle mani che mi percorrono il corpo e che desidero sentire dappertutto, al tuo sesso che ho già sentito tra le mani vivo, palpitante, nuovo, mio in qualche modo, e che adesso voglio sentire in me, nel ventre, nell’intestino, nel cuore e nel cervello soprattutto, perché è lì che mi stai sverginando prima di tutto.”
Non riesco a frenarla, questa maledetta ragazza che mi sbatte davanti a me stesso e mi costringe a fare i conti col mio amore, con la mia storia, con le pieghe più belle e nascoste della mia vita; e mi sembra di sentirlo, il corpo verginale della ragazza che poi sarebbe diventata mia moglie; ma è solo la mia fantasia bacata, perché Bea è una donna, meravigliosa ma vissuta, che non ha molto di verginale, se non quel donarsi a me con candore innaturale, con dolcezza infinita, con surreale ingenuità.
La bacio con lunga intensità, mentre le mie mani corrono sul suo corpo, a scoprirlo, ad amarlo per la prima volta; ecco, è qui la verginità di cui parlava; io questo corpo lo scopro per la prima volta; non mi interessa quanto sia vissuto, che esperienze abbia fatto, con chi; questo corpo adesso è sotto le mie mani ed io sono quasi autorizzato a scoprirlo, ad amarlo, ad impossessarmene.
Sembra che a lei non dispiaccia sentire che la percorro, la perlustro centimetro per centimetro, la guardo con l’occhio meravigliato del neofita sorpreso dal mondo; è inutile tentare di risvegliarmi; sono nel vortice della lussuria surreale, sono il ragazzo che scopre il sesso, il suo e quello dell’amata, e che ha quasi paura di trovarsi a goderne, ma intanto cerca il piacere sotto i polpastrelli; mi fermo a baciarla e sento il corpo che vibra sotto la pressione del mio sesso che si è gonfiato sulla sua vulva.
“Bea, ti rendi conto di quello che stiamo facendo?”
“Io mi rendo conto che sto amandoti e sono invischiata nel miele; se vuoi, vattene, io ci sto bene!”
Non c’è niente da fare; posso solo amarla e lasciarmi amare; gli scrupoli vanno bene per altro, non per una coppietta che si è imboscata al parco sulla collina e che, come tutte le altre presenti nello stesso posto, freme dalla voglia di fare sesso per la prima volta; il mio corpo che si struscia sul suo, disteso malamente sul sedile reclinato dall’auto, sembra cercare calore e comunicazione, quasi a raccomandarsi di non andare oltre certi limiti, di rispettare certe precauzioni per non trasformare un momento d’amore in un gesto avventato.
Mi sento folle, cerco di convincermi che è normale che succedano certe cose; ma io non sono folle e non sono ancora convinto che sto facendo le cose giuste; sento che il mio sesso si gonfia in maniera innaturale e mi accorgo che a lei quella pressione non dispiace; allungo timidamente una mano, le prendo il monte di venere e la sento gemere di piacere; forse non è sbagliato quello che stiamo facendo, forse è anche meraviglioso.
Le mani corrono nei pantaloni, il suo e il mio, alla ricerca dell’intimità, del contatto; il bacio si fa più intenso, si diffonde su tutto il corpo; sento che lei mi afferra il viso e mi porta a baciarla sul seno, a succhiarle un capezzolo; mi accorgo che si scuote dal piacere e che i suoi gemiti sono di estrema goduria; è lei adesso che si sta sfilando i pantaloni e il perizoma infinitesimale per mettere a nudo la sua intimità, mi sposta da parte per scoprirsi tutta ed offrirsi aperta, oscena, spudorata, ai miei occhi, al mio sesso.
Ho quasi timore ad accarezzare le labbra turgide, gonfie di piacere; poi le dita scivolano autonomamente lungo la fessura delle grandi labbra e vanno a cercare la nicchia del piacere, le piccole labbra, il clitoride, sento che si bagna, la sento quasi implorare di darle l’amore, di entrare dentro di lei; non mi oppongo più, apro la zip, libero la bestia e la appoggio alla vulva, tra le cosce; usa le mani per guidarmi e sento la cappella che si bagna quando varca l’ingresso alla vagina.
Un solo grido d’amore, contemporaneo, e il mio sesso entra in lei, percorre il canale vaginale assaporandolo, piega per piega, millimetro per millimetro, non si ferma finché la punta non urta la cervice; ‘ti amo’ mi sta sussurrando lei; ‘amore mio’ sto urlando nel silenzio della voce mentre mi sento sciogliere nel suo corpo, tutto; mi blocco così, immerso in lei, accarezzandole il viso, baciandole la bocca meravigliosa, amandola come l’essere più prezioso al mondo, cercando di non turbare quell’infinito profondo senso di fine di tutto che ci ha preso.
Non sentiamo più nessun rumore esterno, solo il nostro ansimo leggero come se avessimo corso a lungo; sento che Bea, standosene perfettamente immobile, sta amando il mio sesso, lo sta prendendo dentro di se, quasi risucchiandolo per semplice pressione muscolare.
“Cosa fai, Bea, cosa cerchi di ottenere?”
“Ti voglio dentro; voglio che mi dai nel ventre tutto l’amore che sai dare; vieni dentro di me!”
“Non è pericoloso?”
“Non lo è; se anche lo fosse, ti vorrei lo stesso, anche se poi dovessi avere un figlio tuo; ma non c’è pericolo.”
Mi lascio andare ad un orgasmo lungo, ricco, denso, una eiaculazione di cui non ricordo la simile nella mia vita.
“Ragazza mia, cosa mi fai fare?”
“Ti chiedo di darmi l’amore come lo sai dare tu; e non ti azzardare a negarmelo. Lo voglio.”
Non ho mai discusso con una donna innamorata;non lo faccio stasera anche se trovo assurdo tutto quello che avviene; ripulendoci alla meno peggio con fazzolettini di carta, cerchiamo di ripristinare una certa normalità ai nostri abiti molto strapazzati; Bea mi chiede di passare da un bar per rinfrescarsi e per prendere un caffè; abbandoniamo la postazione subito sostituiti da un’altra macchina in cerca di parcheggio e in pochi minuti arriviamo ad uno di quei locali con i tavolini e i tendoni fuori sul marciapiede; lei va in bagno per rassettarsi meglio ed io ordino i due caffè; quando torna al tavolo, Bea mi chiede.
“Vieni a dormire da me o andiamo da te, stasera?”
“Niente di tutto questo, Bea, abbiamo già precipitato troppo le cose; dobbiamo frenare e riflettere almeno un poco; se vengo da te o se tu vieni da me, abbiamo già cominciato una storia ed una relazione; tu sei troppo giovane per imbarcarti in un’avventura seria con un vecchio come me; per favore, prenditi un po’ di tempo per rifletterci, fuori dall’entusiasmo per quello che ti ho raccontato; se e quando sarai sicura di voler scegliere la vita insieme, io ci sarò; ma ho bisogno di sapere che ci avrai pensato bene, prima di decidere.”
“Sei proprio un ragioniere senza testicoli, lì a fare i calcoli delle opportunità senza nessuna concessione al sogno; e non capisci che è solo il sogno che ci fa vivere, che mi fa stare bene. Io ti concedo anche tutto il tempo che ti serve perché è a te che serve, perché sei tu che devi capire cosa vuoi; ma tu mi racconterai ancora dei tuoi amori, delle tue passioni; e mi farai fare tanto amore quanto sei stato capace di farne fare a tutte le altre tue donne; hai detto che sono state molte; ed io voglio sapere tutto, di tutte. Chiaro, caro il mio vecchietto? Adesso accompagnami a casa, dammi il bacio della buonanotte, non mi rimboccare le coperte e vattene al diavolo.”
Sembra avere un diavolo per capello; ma mi abbraccia e mi bacia con profondo amore; non riuscirò mai a capirla, questa meravigliosa donna.
***
Non mi da tregua, Bea; ed io certo non ne voglio; lei cerca ogni occasione per avermi vicino ed io mi invento la qualsiasi per stare con lei ogni volta che è possibile; è decisamente ridicolo questo nostro rincorrerci, affermando pubblicamente che non stiamo insieme e che non vogliamo dare vita ad una storia; e cercandoci, invece, ogni minuto, dovunque e con chiunque ci troviamo, sicché, alla fine, la nostra manfrina diventa oggetto di scherno per tutti gli amici.
Nella logica impeccabile della nostra formale ‘educazione’ ci vediamo per fare l’amore a casa sua o a casa mia, indifferentemente; ed abbiamo lasciato anche spazzolino e qualche ricambio a casa dell’altro/a per non doverci trovare in difficoltà se dovessimo trattenerci per tutta la notte; ma continuiamo a dire a tutti che la nostra è solo una passione provvisoria, forse passeggera.
“Meno male che in Italia niente è più stabile della provvisorietà; se vi comportate come lo Stato per certe accise sulla benzina, la vostra provvisorietà la racconteranno i nipoti ai pronipoti!”
La battuta è facile, ma fotografa la reale situazione di due persone che sanno di cercarsi, di volersi e di stare bene insieme ma che hanno anche una paura fottuta delle differenze attuali e delle storie vissute; in particolare, Bea sembra quasi invidiosa dei miei amori precedenti e si informa continuamente, quasi che sapere della mia ex moglie, dei grandi amori che hanno stravolto la mia vita possa aiutarla a capire il momento e a farla vivere meglio.
É inutile ricordarle continuamente che piccole differenze alla radice portano a enormi differenze nell’evoluzione dei fatti; per lei, il racconto delle mie passate esperienze è una sorta di balsamo che forse lenisce suoi crucci antichi di cui neppure mi fa cenno.
Per un insignificante episodio, mi trovo a commentare una bella giornata con un verso da ‘Tempo perso’ di Prevert ‘Su dimmi compagno Sole / forse non trovi/ che è piuttosto una coglionata / offrire una simile giornata /a un padrone?’; Bea mi guarda incuriosita e devo spiegarle chi è il poeta che sto citando, che lei conosce per altre cose, e che me lo fece scoprire Olga, la prima donna con la quale, dopo il matrimonio, ebbi una storia davvero importante; nemmeno a doverlo dire, scatta immediatamente la vena curiosa, e un po’ gelosa, di Bea che pretende di sapere tutto su questa vicenda che, onestamente, mi ha segnato molto; e, nel raccontare, mi accorgo di essere ancora particolarmente sensibile a quelle atmosfere.
Ero decisamente molto giovane, poco più di venticinque anni, erano gli anni ‘caldi’ della contestazione ed io ero uomo di fiducia di investitori che ci tenevano a controllare capillarmente le aziende che dipendevano dal loro trust; sicché mi capitava facilmente di essere sbalzato per un certo tempo in una città, di darmi da fare, con tatto equilibrio e moderazione, per riassestare situazioni di tensione in fabbrica e di passare ad altro impegno.
Quella volta mi trovai ad avere a che fare con un dirigente, alla soglia della pensione, troppo fiscale, legato alla burocrazia e capace di rendere lunghe e difficili pratiche che sarebbe stato possibile risolvere con un gesto; per una storia banale di piccoli acquisti per gli uffici, entrò in rotta di collisione con una dipendente amministrativa che incontravo per la prima volta, Olga appunto, la donna del mio destino, quella volta.
Era una donna non bellissima e neppure appariscente, ma elegantissima, raffinata, tanto da passare inosservata proprio perché era praticamente impeccabile; il corpo minuto, da ‘Venere tascabile’ come si definivano allora le donne come lei; con seno piccolo ma armonioso; coi fianchi elegantissimi e contenuti, quasi mascherati dall’abbigliamento elegante e sobrio, ma di cui risaltava comunque evidente la compattezza soda ed eccitante; viso da madonna rinascimentale, perfettamente truccato ed acconciato con una capigliatura molto curata.
Una volta tanto, dimenticai la mia caratteristica di ‘paciere’ e non cercai di rabbonire il dirigente ottuso, ma presi immediatamente le parti della sconosciuta che mi ringraziò con un sorriso che illuminò la mia giornata; il dirigente ottuso, con intento punitivo, ci obbligò a sfogliare insieme tutti i cataloghi dei prodotti contestati, per decidere la commessa opportuna, ed ebbi la fortuna, per una intera giornata lavorativa, di stare vicino a lei, respirare il suo profumo, l’intimità che inevitabilmente emanava dalla camicetta aperta sul seno, la sua cultura, la sua eleganza.
Parlammo di tutto e mi fece scoprire, tra le altre cose, ‘L’immoralista’ di Gide, perché mi somigliava, scherzò allusivamente, e soprattutto Prevert, ma non solo ‘Quest’amore’ che conoscevo quasi per obbligo sociale; per l’appunto, riferendosi alla bella giornata che trascorrevamo tra cartacce, mi lesse ‘Tempo perso’ ed io persi la testa.
Da quel momento cominciò per noi un’avventura dello spirito che credo sia capitato a pochi di vivere; impiegammo non so quanto, prima di riuscire a scambiarci un bacio vero, dopo migliaia di tentennamenti, di occasioni lasciate passare per non turbare gli equilibri di due famiglie, di paure irrefrenabili di fare un passo da cui non si sarebbe potuti tornare; insomma, il primo bacio fu una tempesta di ormoni che si scatenò su tutti e due e ci sconvolse, anche se eravamo tutt’altro che ragazzini, ambedue con famiglia e con figli; da lì, però, cominciò un crescendo di eccitazione, di voglia, di sensualità che ci fece fare cose inenarrabili.
La più ‘semplice’ era utilizzare l’ora di intervallo del pasto per andare a fare l’amore; venti minuti per raggiungere la costa; venti minuti fermi al parcheggio dello ‘stadio del mare’, persistenza delle Olimpiadi del Sessanta che avevano visto la fase remiera proprio lì, e per fare l’amore come ricci o come ragazzini che praticano per la prima volta il sesso e vi scaricano tutta la voglia maturata in anni di adolescenza repressa; venti minuti di percorrenza per tornare al lavoro più o meno in ordine, felici come una pasqua e di non aver regalato quell’ora al padrone, ma alla gioia dell’amore.
Vivemmo, in quei viaggi alla morte, tutti gli entusiasmi, tutte le eccitazioni, tutte le emozioni che possono vivere due persone affamate di amore, di desiderio, di voglia irrefrenabile di possedere il / la partner come qualcosa di connaturato alla propria esistenza; mentre guidavo la sua macchina lungo una strada alberata, in direzione del mare, ricordo che ci perdemmo nel languore soporifero di un amore infinito, che ci faceva toccare un nostro privato paradiso; una foglia che cadde all’improvviso sul tergicristallo ci risvegliò da quel torpore amoroso e solo assai dopo presi coscienza che un qualsiasi errore di guida avrebbe distrutto non solo il castello di sabbia che stavamo costruendo, ma le nostre stesse esistenze sociali ed umane.
“Ma davvero facevate corse così pazze per dieci minuti di sesso, diciamolo chiaramente!”
“Sei un’imbecille! Solo una povera imbecille può etichettare sotto la voce ‘sesso’ una storia così composita, così intensa, così ricca, così bella, se proprio vuoi. Io non so quanti ti abbiano amato così; ma ti assicuro che io l’ho amata davvero, Olga!”
“Scusami, è stata solo una frase sbagliata.”
“Dettata dall’invidia?”
“Forse; o forse anche dalla gelosia … “
“Gelosia!?!? Ma, Bea, son cose vecchie di 50 anni, non eri neppure nata, a quel tempo!”
“Si, ma le hai vissute tu, che adesso sei qua e che io vorrei fossi mio; gelosia per chi ha colto questi attimi con te e tu non ne hai più per me!”
“Ma lo sai come facevamo quello che tu definisci ‘sesso’, quella volta? In una cinquecento, neanche quelle attuali, ma proprio il modello originale, le piccole scatole di latta con un motore e quattro ruote che solo la nostra fantasia, il nostro entusiasmo potevano rendere alcova e luogo d’amore … “
“E allora? Riuscivi ad entrare in lei, riuscivate a godere, raggiungevate il nirvana degli innamorati? E allora che cavolo vuoi di più; di quello sono gelosa, quello lo vorrei vivere, sulla pelle, tra le cosce, nella vagina, dappertutto; quello mi interessa, non la copula in un letto comodo con lubrificanti e preservativi.
Voglio amarti, voglio essere amata; voglio sentire che dentro mi infili amore non un salsicciotto insignificante, inanimato, inutile; ti ci vuole tanto a capire che voglio amore da te, come lo hai vissuto con lei quando io non ero nata; ora sono qua e ti voglio, innamorati esattamente come ‘I ragazzi che si amano’ del tuo Prevert … o credi di essere l’unico ad avere il diritto di amarlo e di apprezzarlo per certe pagine di incanto?”
Non è il caso di altre parole; la spingo in macchina, parto a scatto e mi precipito all’impazzata verso la spiaggia deserta; scendiamo allacciati; abbracciati, percorriamo la battigia; ci fermiamo ogni tanto e ci baciamo, con amore, con voglia, quasi con rabbia; vorrei prenderla lì, sulla sabbia, a costo di riempircene fino ai capelli; è lei stessa che mi riporta verso il parcheggio, entra in macchina, sul sedile posteriore, e mi tira a sé, la spoglio con frenesia, senza curarmi della possibile presenza di guardoni o, peggio ancora, di vigilanti, forse della forestale per la tutela dell’habitat;
Veramente ho la sensazione di una follia che mi sta prendendo irrimediabilmente; Bea non è da meno, mi ha già sfilato i pantaloni con gli slip e si sta impalando su di me, in una posizione acrobatica che forse nemmeno in un circo è possibile; alzo gli occhi sbarrati in alto e intravedo, dal finestrino dell’auto, le cime degli alberi ed uno sprazzo di cielo; mi torna in mente l’emozione di quella volta, in macchina verso il mare; il sesso mi si gonfia in un empito d’amore e forse le faccio male, perché geme.
“Che ti succede, amore? Stai bene?... Beh, il paradiso è un po’ troppo, ma io sto veramente in cielo. Quanti anni ho? Credo che vado verso i venti; e tu? … Sei sicura di averli compiuti? Non rischio di avere un rapporto con una minorenne? Ok, ti credo; ti amo, non sai quanto!”
E’ strano questo gioco nuovo che si è inventata; fingersi ragazzina per vivere da neofita le vecchie realtà; e non è neppure solo una finzione; Bea sembra proprio sentirsi ragazzina, dentro, mentre fa l’amore; i pudori, le incertezze, i tremori, il desiderio, la lussuria delle ragazze sono tutti dentro i suoi gesti, quando mi accarezza il viso, soffermandosi sugli occhi, quasi per imprimersi in mente i miei tratti e mi guida le mani a fare altrettanto con lei.
É vero, tra le cose che da ragazzi cercavamo di più era la carezza casta sul viso di lei, per comunicare l’amore e non coinvolgere il sesso, che temevamo fosse troppo ardito; e poi i baci piccoli, frequenti che mi distribuisce su tutte le parti a cui può accedere standomi sotto, mentre la prendo quasi con violenza da maschio dominatore, oppure quando mi scavalca con gesti da acrobata e mi monta sopra per dominarmi; la maledetta riesce veramente a farmi sentire ragazzo e ‘vergine’, nuovo anche per certe esperienze a cui sono rotto da sempre.
“Cosa hai fatto ancora di meraviglioso con la tua Olga?”
“Di meraviglioso, dici? Beh, sicuramente ha significato molto il fatto che sia stata la prima donna a succhiarmi l’uccello.”
“Scusa, cosa ha di meraviglioso una fellatio?”
“Innanzitutto, il tempo e il luogo. In una città di estrema provincia, in quegli anni Sessanta, un’opinione molto diffusa affidava le pratiche ‘altre’ del sesso solo alle prostitute; la fellatio era troppo antigienica, troppo volgare, troppo ‘bassa’ per essere praticata da donne timorate da dio ed anche i maschietti ritenevano che a succhiarlo fossero solo le prostitute, che ovviamente non andavano assolutamente baciate perché prendevano il pene in bocca.
Non fare quella faccia; era così e non potevi cambiare la realtà. Considera che tra me e Olga c’era anche questa distanza; quello che per lei era normale pratica amorosa, per me era impensabile, inapplicabile, tabù; per accettare di farmelo succhiare, dovetti fare quasi violenza a me stesso; quando mi fece toccare il paradiso, la baciai con passione con la bocca ancora piena del mio sperma; gliene avevo versato una quantità industriale, per l’emozione della prima volta.
A questo devi anche aggiungere il particolare momento; io avevo sentito parlare di teatro, avevo letto testi famosi di autori importanti; andare a teatro, però, era un’avventura dello spirito troppo alta per un ragazzotto di provincia assolutamente impreparato a queste cose; quando Olga mi propose di andare a teatro, caddi dalle nuvole e dovetti fare salti mortali addirittura per decidere come vestirmi; quando mi trovai di fronte a lei, con un abito straordinario, con un’acconciatura monumentale che forse le era costata un occhio della testa, rimasi come un adoratore thug di fronte alla dea Kali, è l’unico riferimento possibile per rendere l’idea di lei e me di fronte.
Mi vergognavo anche a farle sacrificare quella mise nella mia povera cinquecento, ma la classe di Olga le consentiva una disinvoltura che mi stordiva sempre; dopo lo spettacolo, ce ne andammo sulla costa per fare l’amore, ma tentare di fare le solite acrobazie avrebbe significato troppo per vestito e acconciatura; Olga, forse più di me, sentiva la pressione della libidine e mi chiese se poteva baciarmelo; rimasi interdetto, per i motivi che ho detto, poi la lasciai fare e scoprii che mi nascondevano il paradiso per non farmelo apprezzare.
Mi risvegliai dall’orgasmo e non sapevo dove fossi; la baciai con infinito amore e mi resi conto che davvero stavamo impazzendo, tutti e due, per questo amore folle e improponibile. L’ultima cosa che riuscimmo a dirci, prima di perdere completamene la testa, fu che non potevamo e non dovevamo offendere più di tanto i nostri coniugi e che i figli, il suo e i miei, non dovevano pagare le nostre intemperanza.”
“Come finì una storia così intensa?”
“Male, naturalmente. Per quasi un anno riuscimmo a vederci e a fare l’amore, sempre in condizioni precarie come quelle di una cinquecento, in ambienti straordinari, come le rive di un lago, il faro su una punta a strapiombo sul mare, lo stadio del mare dove avevamo iniziato o comunque in parchi per coppiette in macchina; facemmo le cose più assurde; facemmo sesso in tutti i modi, ci amammo fino allo sfinimento, sfiorammo spesso la vera e propria tragedia con percorsi impraticabili per la nostra auto; rischiammo incidenti ingiustificabili in posti impossibili dove mai avremmo dovuto essere.
Ma la cosa peggiore fu che lei si trovò ad essere incinta perché io non avevo molta dimestichezza col preservativo e più volte me lo feci rompere addosso; particolare surreale, anche mia moglie si accorse di essere incinta nello stesso periodo e, in piena guerra per la mia confessione dell’adulterio, nacque la mia terza figlia. Olga, invece, inizialmente riuscì a convincere suo marito di essere il padre del nascituro, anzi, dei nascituri, perché, come seppi dopo, sarebbe stato un parto gemellare se non avesse avuto un aborto spontaneo.
Per sciogliere un nodo che si intrecciava troppo, Olga decise di parlare apertamente con suo marito; conseguentemente, anche io feci chiarezza con mia moglie, che sul momento perdonò e non diede peso alla confessione; ma la ferita lasciò un segno e, qualche anno dopo, saremmo arrivati alla rottura. L’ultimo atto della vicenda fu l’incontro che il marito di lei chiese di avere con me; mi spiegò che avevano chiarito la loro situazione e deciso di continuare a vivere insieme dimenticando l’accaduto, mi parlò dell’aborto mi chiese di sparire dalla vita di lei.
L’avrei rivista per caso, anni dopo, incrociandola in biblioteca; mi evitò come un appestato e andò via.”
“Brutta conclusione per una storia meravigliosa; non ho proprio niente di cui essere gelosa; l’unica cosa bella è l’emozione profonda di un uomo come te di fronte ad una donna che si offre di succhiargli l’uccello; dovevi essere un bell’imbranato, insomma! Adesso mi viene voglia di succhiarti io come si deve, di vederti sconvolto come allora e di farti toccare le stesse vette paradisiache. Credi che sia possibile?”
“Per un rispetto a me stesso e al mio orgoglio di maschio, dovrei dirti che niente oggi mi può sconvolgere come successe allora, quando non sapevo neppure l’abc del sesso; ma poiché ho imparato a conoscerti ed ho già sperimentato che hai tante frecce al tuo arco e che ti piacciono soprattutto queste situazioni ‘vintage’ dove sguazzi come un pesce rosso in acquario, allora non azzardo nessuna risposta.
Sei un’artista, nella fellatio; e non è da escludere che qualcosa tu possa fare per lasciarmi ancora di sasso … e ne sarei anche felicissimo … “
Bea si sta facendo coinvolgere in questo gioco tanto da fare cose al limite; il suo narcisismo è così evidente che non è necessario neppure accennarvi; ma si accompagna a una cura quasi maniacale del corpo, per cui è sempre bellissima, sempre in tiro, sempre preoccupata di ogni piccola sbavatura, di ogni grammo che possa deturpare la sua perfezione; per fortuna, sembra dimenticarsene quando fa l’amore appassionatamente; forse, quando copula per determinata volontà di rompere la monotonia, riesce comunque a controllarsi; quando, invece, viene presa dalla lussuria, riesce a ragionare solo fino ad un certo punto.
In questa corsa a ritrovare me nel passato e tirarmi fuori ad ogni costo le emozioni che la esaltano, è più che spontanea, diventa davvero una ‘mangiatrice di uomini’, una tigre spontanea e in calore, desiderosa di sesso e pronta a uccidere per avere quello che cerca; è convinta che io sia un grande amante, vuole prendere da me il meglio di quello che ho potuto e saputo dare; e, adesso che ha scoperto come ero disarmato e spaventato di fronte alla bocca della prima donna che mi ha succhiato l’uccello, adesso vuole esibirsi al meglio, per il narcisismo istintivo; vuole provare emozioni fortissime, perché sono quelle che le danno il senso di essere viva, di non vegetare come un lichene; vuole mettermi al tappeto perché ha ingaggiato con me una lotta che nessuno vuole, che nessuno vede, neppure lei, ma che la tiene sempre all’erta contro me, il ‘maschio’ da sconfiggere comunque.
Il problema è che non sa, ed io ne so assai meno di lei, come può ricreare, dopo mezzo secolo, la situazione di candore che era il presupposto per quello stato d’animo; intanto, mi trascina in un pub che conosce, dove sa che ogni tanto fanno piano bar, normalmente si possono bere birre buone e particolari e vi si ‘imboscano’ normalmente studenti che hanno bisogno di spazi riservati per le loro ricerche o anche coppiette che vogliono un po’ di tranquillità o di privacy; qualcuno riesce anche a concludere saporiti amplessi nei bagni, ma solo in alcuni momenti e a particolari condizioni.
Sceglie un tavolo d’angolo, probabilmente per sei o otto persone, appoggiato ad una panca che corre lungo la parete; in questo modo, si siede nell’angolo chiuso e mi fa sedere accanto a lei, sposta le gambe in maniera da averle rivolte a me, mi attira per la spalla addosso a lei e mette la mano sulla patta, a malapena coperta dal tavolo stesso; la guardo spaventato, mi sorride e mi dà un leggero bacio sulle labbra.
“Lascia fare a me e fatti condurre al paradiso!”
Non riesco a nascondere l’apprensione anche perché non so proprio dove voglia arrivare; poi lo intuisco ed ho veramente paura; quando ne ho la certezza, il terrore mi si disegna sul volto; Bea è partita all’attacco e mi ha aperto la cintura del pantalone, fa scorrere la zip, infila la mano e tira fuori, in piena evidenza, il mio sesso già ritto come un palo della luce; si accosta col viso e mi deposita baci leggeri su tutto il volto, a cominciare dagli occhi; quando mi infila in un orecchio la punta della lingua, devo trattenere un urlo che avrebbe svegliato i morti e trasformarlo in un leggero gemito che comunque viene percepito da un avventore al tavolo di fronte al quale non può sfuggire la manovra di Bea sulla mia asta.
“Amore, fa’ attenzione che ci guardano .. “
“Embè?!?! Tu hai un arnese bellissimo, io ti sto masturbando meravigliosamente; dovrebbero solo essere felici dello spettacolo che offriamo; anzi, guarda adesso che facciamo … “
Ho paura di quello che potrebbe fare, ma sono nelle sue mani; in questo momento lei è la mia padrona e posso solo assecondarla; sposta verso il basso i suoi leggins finché il perizoma è in piena vista, mi prende la mano e se la porta sulla vulva, guidando le mie dita a masturbarla; entro in un vortice di follia sessuale e mi trovo a scatenarmi senza volerlo; la manipolo con tutta la sapienza che mi è stata sempre ammirata e riconosciuta e la porto all’orgasmo con pochi colpi del pollice e dell’indice che stringono e strofinano il clitoride, mentre il medio artiglia il punto G e la fa esplodere.
“E poi dici che sono io a dare spettacolo; adesso mi metto a urlare e dico che mi stai violentando!”
La bacio con foga e le passo la lingua in tutta la cavità della bocca; mi ricambia con passione infinita e mi fa andare in paradiso leccandomi tutto l’interno, fino al velopendulo; intanto, non smette di muovere la mano sul mio pene e sapientemente mi solletica in maniera che per l’eccitazione si alza sempre più duro, sempre più voglioso; quando sento che sto per scoppiare nell’orgasmo più ricco che io ricordi, blocca la presa e, con l’altra mano, va a stringere con forza i testicoli; ricaccio in gola un grido, stavolta di dolore, e le chiedo con lo sguardo che sta facendo; con la testa mi fa cenno di no, che non devo ancora godere; un lungo sospiro, la mazza si allenta e si riduce alquanto; lei riprende a carezzarla come se fosse un pupazzetto di lenci.
“Amore, se continui a lungo il giochetto, mi fai scoppiare i testicoli!”
“Ma che scoppiare! Ti dispiace quel che ti faccio? No?! … E allora?!? … “
“Bea, ci stanno guardando e si vede tutto … “
“Cosa si vede? Che ti sto masturbando? Beh, si facciano masturbare anche loro da chi vogliono! Sono invidiosi del tuo randello perché ce l’hanno piccolo? Peggio per loro! Io mi tengo questo che per me è il più bello del mondo!”
“In pratica, ti stai esibendo con la mia complicità involontaria … “
“Amore, quante volte lo fate voi maschietti? Quante volte fate esibire il seno, il sedere ed anche la vulva in qualche caso? Perché a voi dovrebbe essere consentito e a noi vietato? Io godo a far vedere che possiedo il maschio più bello del mondo, con la sua dotazione che è una meraviglia dedicata alla mia vulva che è dolcissima. E tu sta zitto o vesto solo sai da monaca, quando esco con te!”
“Ti ci vedo proprio!”
Ma Bea non vuole solo un’esibizione; e me ne accorgo presto; come se cominciasse all’improvviso a fare sul serio, mi prende l’asta con la destra, mentre la sinistra va a raccogliere i testicoli nel palmo; mi stimola tutto l’apparato, dalla radice alla cappella e sento che la mazza diventa ancor più dura; temo che l’afflusso di sangue alla periferia possa danneggiarmi, ma lei si ferma quasi subito; di colpo, si abbassa e prende tra le labbra la cappella mentre la destra sostiene l’asta e la sinistra i testicoli.
Sto per sobbalzare dalla sorpresa, ma mi fermo per non farmi staccare il membro dalla sua bocca o farlo strozzare dalle sue mani; sento la lingua che passa su tutta la cappella, si accanisce sul frenulo e mi provoca brividi lunghi, enormi, dolorosi quasi, lungo tutta la schiena e, soprattutto, tra i testicoli e il cervello; sono in tilt, sono come sospeso in un infinito tra terrore e piacere immenso; Bea succhia e comincia a muovere la testa copulandosi in gola; all’altro tavolo si sono aggruppati in quattro e non si perdono un movimento della fellazione che Bea mi sta praticando; le accarezzo dolcemente il viso e le sussurro.
“Amore, ti prego, mi stai facendo morire .. “
Si ferma per un attimo.
“Hai visto gli angeli? … “
“No, che angeli?”
“Imbecille, quelli dell’amore; io li ho visti, io sto riempiendoti le mani dei miei umori, perché godo; tu non sai godere, amore mio!”
“Non è vero; sto andando in paradiso, se è quello che chiedevi; e ci sto andando con te, con la tua bocca, con la tua mano, con tutto il tuo corpo lubricamente esposto allo sguardo di quei signori; ti sto odiando, tanto è l’amore che mi provochi e mi dai; è possibile che io debba essere strumento di questa tua competizione assurda col mio passato?”
“Nessuna competizione assurda; ti sto solo amando come voglio io, come ti avrei amato sempre, quando eri un ragazzino impreparato, quando ti hanno disinibito con qualche esperienza, quando ti hanno fatto godere da uomo ed anche adesso quando ti procuro le gioie del paradiso da vecchio rottame inutile come ti proclami.”
“Oh, dio; non lo dire al mio fallo; sta soffrendo dalla voglia di inondarti la gola; giuro che la mia eiaculazione ti riempirà più di uno tsunami; e non ti consentirò di perderne neppure una goccia; che guardano quei maledetti? Dio che arte, che goduria, che amore, come succhi meravigliosamente, mi stai facendo scoppiare; ti prego, Bea, non fermarti, fammi concludere nella tua bocca.
Ti amo, maledetta, ti amo sopra ogni cosa; mi fai morire; che fellatio; godo!, Godo! Goooooooodooooooo!!!! Mi hai distrutto, maledetta!”
“Sciocco, ma che dici? Le hai viste le tue mani? Chi te le ha bagnate così? Dove le tenevi, nella tazza del water? … Ah, capisco … nella mia vagina! Ma allora sei tu che mi hai dato la petit mort, non è così, sei tu che mi hai fatto avere un orgasmo infinito? Vuoi proprio farmi morire?”
“No, amore; se devi morire, aspetta che lo facciamo insieme; ma non è meglio se viviamo e ci amiamo ancora tante volte?”
“Si, viviamo e amiamoci. Chi lo ha scritto? Catullo? Già! Quello sì che se ne intendeva; son passati tanti secoli! A proposito, quale è stato più bello tra i due?”
“Bea, non ti offendere; sei straordinaria, sei il meglio che la vita possa dare ad un uomo, ma lo sai bene anche tu che la prima volta ha qualcosa in più, sempre, che forse non c’è neppure, se si analizza scientificamente; ma che noi ci aggiungiamo in ogni caso, per cui quello che si fa per la prima volta diventa mitico, come suggerisce Pavese; e tu contro il mito della serata a teatro con Olga lotteresti inutilmente; sappi che sei la più grande in assoluto; e senza il mito. Per questo ti amo e mi stai per incastrare.”
“Stai cercando di dire che vieni a vivere con me, da me?”
“Se ti dico che ci sto pensando seriamente, ti accontenti o mi pianti ancora un dibattito?”
“No, per adesso posso solo essere felice, ho il tuo sperma ancora in bocca, ti ho amato come non avevo mai fatto, ho succhiato la mia e la tua anima, con questa fellatio; e mi sono anche esibita come una vera troia offrendo a tutti lo spettacolo della mia eccelsa bravura a fare l’amore. Perché dovrei essere insoddisfatta?”
***
Da quando mi sono lasciato andare a raccontarle della mia vita passata, Bea è diventata quasi ossessiva; l’idea di scavare nella mia storia e di confrontarsi con le donne della mia esperienza sembra prenderla con un entusiasmo degno di ben altri impegni; ma lei è fatta così; fanciullescamente, si cala in tutte le situazioni che la intrigano e si sente per lungo tempo protagonista della vicenda di cui si è innamorata.
É capitato con le eroine e i personaggi della letteratura o della cinematografia, con i fumetti, con qualunque cosa la scuota dalla ‘normalità quotidiana’ e le consenta di sentirsi ad un tratto proiettata in una dimensione ‘altra’ da quella che sta vivendo.
Ascoltare i miei racconti, immedesimarsi nelle persone che ho frequentato, che ho amato, con le quali ho vissuto lunghe o brevi esperienze, le dà il senso di entrare a piedi uniti nella mia vita e di poterla dominare, cercando di riproporre le situazioni che le descrivo e di farmele rivivere con quelle atmosfere, con quella sensibilità; non credo neppure che si sia semplicemente innamorata di me; per quello, basterebbe forse decidere di frequentarci un poco di più, andare a convivere più stabilmente, fino ad esaurimento della sopportazione reciproca.
Ma in realtà lei è poco interessata a me come persona; le piace assai di più l’atmosfera che lei stessa costruisce intorno alle vicende che racconto; di mio, ci metto già una certa capacità affabulatoria e la volontà di renderla partecipe, visto che mi sono accorto che si fa coinvolgere a morte; e la cosa che più mi affascina, in fondo, è la sua volontà, alla fine di ogni racconto, di riproporre la stessa situazione in termini di attualità e di porsi al centro come protagonista della vicenda ai giorni nostri.
Per questo, non riesco a rifiutarmi quando mi invita ad andare da lei, pur sapendo perfettamente che mi stuzzicherà sui miei amori passati per arrivare a farmi confessare qualcosa che la ecciti; e quando sono a casa sua, non mi sottraggo ai tentativi di concupirmi per farmi parlare; stasera mi chiede espressamente quale sia stata l’occasione della rottura con mia moglie e se ci sia stata una donna alla radice della separazione; ‘Cherchez la femme’ non è un’invenzione letteraria e, normalmente, dietro la rottura violenta di un matrimonio, c’è un’altra donna o un altro uomo; non posso nascondere che effettivamente anche nel mio caso ci sono stati sia una donna, per me, che un uomo, per lei; ma che le ‘ostilità’ le avevo aperte io.
Dopo la vicenda con Olga e la conclusione difficile, con la mia confessione, avevo cercato di starmene calmo per un po’, ma non ero riuscito ad evitare qualche fugace ‘innamoramento’ per lo più solo platonico con ragazze che giravano nell’ambiente di lavoro e che quasi sempre erano disponibili con il collega più anziano, ma giovane e prestante, famoso per la sua capacità di equilibrare le situazioni più squilibrate, per appianare i dissensi, per diffondere serenità e amore nell’ambiente; per molte, l’amore era anche quello interpersonale e finivano davvero per perdere la testa.
Dopo alcuni anni di andazzo, nel corso dei quali avevo anche sperimentato la difficoltà di rapportarmi con mia moglie, aspirante femminista e desiderosa di essere partecipe da protagonista di attività pubbliche, mi trovai a frequentare con una certa insistenza la fidanzata di un mio amico, per di più nipote di uno dei maxi dirigenti di una delle aziende con cui lavoravo che, a sua volta, avendo perso un’amante ‘storica’ di cui tutti sapevamo, che era morta di leucemia, aveva trovato conforto nella spalla asciutta di mia moglie che, a mia totale insaputa, aveva cominciato ad avere con lui un dialogo significativo e determinante.
Ero fin troppo preso da Marina e dalle sue ansie esistenziali; aveva solo vent’anni e i suoi problemi erano soprattutto l’eleganza, lo sport e il fisico; non riuscii a rendermi conto di quel che mi succedeva intorno e in breve mi trovai faccia a faccia con la ragazza che non esitò a baciarmi e, in qualche modo, a violentarmi; lo fece una notte che ci trovammo in un vagone a cuccette in viaggio verso un convegno al nord.
Il suo fidanzato, con mamma e zio potente, erano andati con auto ufficiali di servizio di cui non potevano fruire un semplice impiegato ed un’accompagnatrice; ci trovammo così, io e Marina, nel corridoio del treno a parlare di tutto e di niente, ma soprattutto di suggestioni visive nel paesaggio notturno visto dal treno in corsa; ci volle poco per scivolare a fantasticare di letteratura e di citazioni; lei tirò fuori un quadernetto su cui appuntava pensieri e frasi romantiche, me lo diede da leggere, vi trovai poesia e miele a profusione, me ne incantai e a malapena mi accorsi che ci stavamo baciando, presi nel vortice dell’amore che leggevamo.
Forse, mi sarei fermato anche a quel punto, se avessi solo voluto o se avessi riflettuto sulle reciproche posizioni, lei fidanzata ufficialmente col mio amico, nipote di un potente padrone di quelli che è meglio non offendere, come noi invece stavano facendo concretamente; io regolarmente sposato con già tre figli a carico e con una moglie che di recente era entrata nelle grazie del potente padrone in seguito ai rapporti che io stesso per deformazione professionale avevo favorito.
Insomma, un garbuglio assai contorto che sarebbe stato bene lasciare in un angolo e che invece io e lei stuzzicammo prima con un bacio poco più che leggero, solo con la punta della lingua che lambiva le labbra dell’altro; poi con una foga maggiore, con le bocche che aspiravano con forza la lingua dell’altro e la succhiavano in un sorta di anomala fellazione; infine, fu lei a suggerire di stenderci in due su una sola cuccetta; i posti erano quattro, ma gli occupanti degli altri due russavano alla grande e noi ci stringemmo allo spasimo per poterci accoppiare nello spazio minimale di un sedile di treno.
Marina non era una silfide; sportiva accanita, praticava varie specialità, anche ad alto livello dilettantistico, ed era dotata di una struttura fisica imponente, con larghe spalle, seno non eccessivo ma decisamente muscoloso, fianchi pieni e cosce statuarie, insomma una femmina da letto di grande richiamo; mi fece montare sopra di lei e quasi mi sentivo perso con la mia figura magra, da ‘reduce da Mauthausen’; ma lei non mi sentiva affatto perso, quando allungò la mano tra di noi e si impossessò dell’asta che mi si era indurita sotto il suo ventre; avendone avvertito la consistenza, mi aprì immediatamente e rapidamente i pantaloni, abbassò lo slip e afferrò la mazza con mano sapiente.
Da quel momento, tutto lo splendore dell’amore romantico celebrato nelle poesie che avevamo letto con enfasi nella prima ora di viaggio si trasferì, per me, nella voluttà di un sesso eccitato fino a dolermi e, per lei, in un voluttuoso desiderio di orgasmo che sollecitò guidando la mia mano, che avevo stretto sulla sua vulva da sopra il vestito leggero, in maniera che le stimolassi il clitoride decisamente indurito dalla voglia e la portassi il più rapidamente possibile ad un orgasmo soddisfacente.
Quando esplose, dovette soffocare l’urlo di piacere che le sgorgava dal petto e lo risolse in un lungo mugolio, in un gemito quasi di sofferenza che mi risultò assai più eccitante di qualsiasi urlo; al colmo della lussuria, mi sussurrò.
“Mettimelo dentro, ti prego; ti voglio dentro adesso.”
Sollevai la gonna fin sopra al seno, staccandomi leggermente da lei, infilai la mano sulla vulva, spostando di lato il leggero slip di trina, e accompagnai la cappella all’imbocco della vagina; un solo colpo di reni e affondai nel piacere puro della vagina assai più morbida, ampia e accogliente di quella di mia moglie che, dopo tre figli, sembrava ancora stretta quasi verginalmente.
“Non hai un preservativo?”
Mi chiese; ma non ne avevo e non ero abituato a farne uso; forse anche questo spiegava i tre figli; le sussurrai che ero in grado di frenarmi e godere fuori.
“Però non mi sporcare molto.”
Si raccomandò; preparai dei fazzolettini a portata di mano; non dovetti copulare a lungo; dopo pochi colpi, mi prese la vertigine dell’amore e sentii che stavo per esplodere; la avvertii che non avrei retto molto; infilò una mano tra di noi e si martellò rapidamente il clitoride; esplose in un nuovo orgasmo, soffocando ancora il suo urlo; io mi ritrassi velocemente, appoggiai sulla cappella un fazzolettino e lasciai scatenare la mia eiaculazione.
La feci ruotare su un fianco e riuscimmo a stare faccia a faccia sul breve spazio del sedile, mentre le carezzavo lussuriosamente le natiche e i seni perdendomi completamente nel godimento; a gesti, mi fece inginocchiare all’altezza del suo viso e prese in bocca l’uccello; due colpi furono sufficienti a fargli riprendere vigore e dimensione.
Cominciò allora la fellazione più saporita, lunga e densa che abbia mai ricevuto nella mia vita; Marina si rivelò maestra nel genere e mi fece toccare tutti i vertici del paradiso con l’abilità della sua lingua che accompagnava alla masturbazione in parte sull’asta ma soprattutto sui testicoli che accarezzava, torturava, leccava e prendeva in bocca con una capacità straordinaria e con una lussuriosa partecipazione chiaramente evidente nei gemiti che lanciava, nell’impegno con cui manipolava il clitoride, nell’enfasi con cui si faceva penetrare fino nel profondo della gola.
L’orgasmo simultaneo ci sorprese piacevolmente e tutti e due dovemmo soffocare l’urlo di piacere e trasformarlo in gemito di dolore; poi Marina mi leccò tutta l’asta pulendola a fondo; subito dopo, mi invitò a spostarmi sulla mia cuccetta e dormimmo fino all’arrivo.
Con quel viaggio surreale cominciò una storia altrettanto incredibile, perché capitò assai spesso che ci trovassimo a cena io, Marina, il suo fidanzato e sua madre; naturalmente, i discorsi assumevano sempre significati paradossali ed io e lei ci scambiavamo opinioni e commenti con riferimento alla nostra clandestinità, in presenza dei due che vivevano la dimensione ‘normale’ della coppia con suocera annessa.
Quando poi eravamo in attesa di incontrarci segretamente perché avevamo concordato una copula straordinaria, evidentemente i paradossi si sprecavano; la stessa cosa, naturalmente, avveniva quando ci si incrociava subito dopo che avevamo avuto un momento di sesso particolarmente felice.
A Marina piaceva molto fare quelle cose che spiazzassero tutti, che nessuno potesse prevedere neppure con la massima lungimiranza o con la sfera di cristallo; e la cosa che la stravolgeva di più era la mia capacità di starle dietro, di tenerle bordone, di esserle complice in qualsiasi follia le girasse per la testa; una mattina che stavo andando al lavoro, la trovai che mi aspettava sulla strada che percorrevo necessariamente, quasi avesse premeditato di incrociarmi; mi chiese se accettavo di marinare il lavoro e di portarla da qualche parte a godersi la giornata.
L’idea, anche stavolta, di non regalare una bella giornata al padrone mi solleticò e non esitai un attimo; telefonai in segreteria per accusare un improbabile malessere, andai a prendere la macchina, feci salire Marina e la portai verso il mare; cominciò la più folle e più straordinaria giornata della mia vita, quella in cui il mio spirito di scugnizzo emerse in tutta la sua potenza e mi spinse a fare cose che mai avrei ritenuto potessi neanche pensare, alla mia veneranda età sposato e con tre figli a carico; un trentenne, a quel tempo, era per definizione un ‘matusa’, un matusalemme,.
La prima cosa che mi chiese, quando fummo al lido vuoto e semi-abbandonato, fu naturalmente di toglierci scarpe e calze, di correre a piedi nudi sulla sabbia e lungo la battigia ed infine di entrare in acqua fino almeno alle caviglie, evitando di bagnarmi il pantalone, visto che lei aveva una gonna ampia a pieghe; io ci misi poco a sfilarmi scarpe e calzini; lei invece dovette sollevare la gonna fin sopra l’inguine per sganciare le calze dal reggicalze, sfilarsele, sistemarle nelle scarpe e avventurarsi sulla sabbia, prima e nell’acqua fin quasi al ginocchio, poi.
Quelle corse libere, i giochi spontanei con la sabbia e con l’acqua erano solo l’esplosione violenta del nostro fanciullismo, di quello spirito di scugnizzi che in fondo ci accomunava; anche le urla scomposte e i baci approssimativi che ci scambiammo erano l’esplosione di gioia di vita, di libertà, esatto contrario dei condizioname
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