Lui & Lei

Pretora


di rasss
17.09.2018    |    16.648    |    2 7.9
"La sua figa era bollente e la bocca oramai dolente..."
Era a pecora, nuda, e aveva gli occhi chiusi.
L'odore di piscio acre e pungente che proveniva dall'enorme stecca di carne che stava succhiando forsennatamente le pervadeva il naso. Il sapore era aspro, con un retrogusto dolciastro.
Eppure, riteneva quell’odore inebriante e quel sapore a dir poco prelibato.
Mentre leccava e ingoiava quel cazzo duro e viscido, protendeva il suo culo perfetto verso un altro duro bastone che le riempiva la rosea figa dilatata, depilata e molle di umori.
Chiese con un filo di voce a suo marito, che osservava trasognante dal divano la scena mentre si masturbava lentamente, di infilarle il cazzo nel culo già ben divaricato e di farcirglielo di sborra.
Riteneva tutto ciò osceno, ma al contempo estremamente eccitante e naturale.
Ai continui suoi orgasmi seguivano copiose fuoriuscite di liquido dalla sua figa. Lo percepiva mentre tiepido si avviluppava all’interno delle sue cosce tornite.
Con il palmo della mano lo raccoglieva e lo spalmava, massaggiando piano, sul suo ventre e sui suoi seni abbondanti e sodi, imperlati di sudore.
La sua figa era bollente e la bocca oramai dolente. Lo spazio e il tempo erano scomparsi, i suoni ovattati; gemeva languidamente, quasi in uno stato di trance.
Si sentiva in completa balia dei tre uomini che la stavano fottendo oramai da ore e non intendeva opporre loro la minima resistenza.
Anzi, agognava che altri mille uomini potessero scoparla in quello stesso istante.
Nel suo intimo era cosciente di essere una gran puttana; le piaceva pensare che forse era la più grande di tutte le troie.
Aveva così tanta voglia di cazzo da covare in segreto, sin da ragazza, il perverso desiderio di essere stuprata. Era tormentata dall’idea di non aver mai potuto provare quell'esperienza estrema, di non essere stata l’oggetto dell’irrefrenabile, incontenibile e animalesco desiderio sessuale di un maschio.
Molte volte, di notte, aveva camminato lungo i vicoletti del porto indossando esclusivamente una minigonna che lasciava intravvedere i suoi glutei alti e stupendi, una t-shirt scollata e i tacchi altissimi.
Sperava che qualcuno dei rozzi frequentatori di quel posto primitivo e pericoloso, notando che non aveva le mutandine e i chiari segnali che inviava con tutto il suo corpo, la scopasse senza chiederle il permesso, senza alcun approccio, senza dire una sola parola, grugnendo solamente come un animale.
Sperava di essere afferrata e scaraventata a terra all’improvviso, dietro una siepe o un muretto di cinta o addirittura in mezzo alla strada, e di essere posseduta con violenza.
Immaginava di essere immobilizzata a terra con le gambe divaricate, con addosso l’enorme peso di lui e tra le gambe un cazzo massiccio, oppure di essere inculata sgraziatamente, con la minigonna arrotolata alla bell’e meglio sulle chiappe, senza avere la possibilità di vedere il volto del suo benefattore.
Avrebbe finto un minimo disappunto, una lieve resistenza, giusto per incentivare la grezza violenza dello stupratore, ma sarebbe stata pronta a fare qualsiasi cosa le fosse stata ordinata, bramando solo di essere imbottita di cazzo.
Se possibile, sarebbe stato meglio che gli stupratori fossero stati più di uno, magari di colore, con cazzi grandi e ruvidi come rami d’albero. Infatti, riteneva impagabile succhiare un cazzo così grande da farla restare senza fiato, mentre un altro cazzo le scivolava ferocemente e inesorabilmente nella figa o nel culo, o meglio, in entrambi.
Al termine dell’amplesso, desiderava ritrovarsi sporca ovunque di sborra calda e vischiosa, che avrebbe accuratamente portato alla sua bocca per gustarne il sapore misto a quello del sudore e dei suoi stessi liquidi; una vera e propria pozione d’amore.
Purtroppo, pensava tra sé e sé, che non aveva mai avuto la fortuna che ciò le accadesse e allora aveva ripiegato sullo scambio di coppia o, qualche altra vota, sulle orge, convincendo il marito a prendervi parte.
Ma il desiderio di essere stuprata da muscolosi e imponenti colossi negri non era mai sopito e sperava ardentemente che prima o poi avrebbe avuto quella fortuna.
Mentre divagava, all'improvviso fu ridestata dai propri pensieri da un’enorme quantitativo di sborra calda che le invase contemporaneamente ogni orifizio, fuoriuscendone e colando lungo la sua pelle abbronzata e vellutata.
Esausta, e sudicia della tanto desiderata sborra, ma niente affatto appagata, si rivestì frettolosamente, senza neppure pulirsi, e chiese al marito di accompagnarla a casa.
Aveva ancora una grande voglia di cazzo. Ancora una volta non aveva realizzato il suo sogno.
Il consenso ad essere posseduta, seppur da più uomini, sminuiva il suo animalesco e primitivo desiderio di fottere. Voleva essere, invece, libera come un animale selvaggio. Scopare ed essere scopata senza inutili rituali di accoppiamento o freni inibitori, per il solo gusto del puro primitivo sesso.
Si addormentò, mentre si masturbava stancamente, rincorrendo i suoi pensieri lucidi e perversi sempre più sfocati, ancora sporca e odorante della sborra indistinta ricevuta poco prima dai suoi tre amanti.
Il giorno seguente, di buon mattino, varcò la soglia del Tribunale.
Indossava un elegante tailleur e la sua toga nera di seta. Era il ritratto dell’austerità. In realtà era come la brace ardente sotto la cenere.
Quel giorno – lo aveva dimenticato – avrebbe dovuto presiedere il processo contro un ragazzo di colore imputato per violenza carnale nei confronti di un’infermiera.
Questi, mentre era ricoverato in ospedale, la aveva costretta ad avere un rapporto anale sotto la minaccia di un bisturi.
L’infermiera, che si diceva ferita profondamente nell'animo dall’accaduto, riferiva di essere peraltro estremamente preoccupata per la propria salute poiché il presunto stupratore, penetrandola senza preservativo, le aveva riversato una notevole quantità di sperma nell’ano dilaniato dall’intenso e profondo rapporto anale.
La Giudice ascoltò la testimonianza della persona offesa, la quale, con dovizia di dettagli non richiesta, raccontò quanto accadutole riferendo che era stata un’esperienza orribile.
Raccontò che il membro dello stupratore, turgido ancor prima dell’atto sessuale le aveva procurato un enorme dolore atteso che la penetrazione era avvenuta con la lubrificazione dell’ano e del membro mediante la sola saliva di lui.
Stando a quanto riferito dalla donna, il membro, che aveva un odore selvatico e la cui cappella era viscida di una patina trasparente, aveva dimensioni impressionanti sia per lunghezza che per circonferenza.
Inoltre, l’uomo aveva effettuato la penetrazione cruentemente, senza esitazioni, con un unico movimento, “impalandola”, per poi penetrarla ripetutamente e vigorosamente sino a raggiungere l’amplesso e riversarle nell’ano lacerato dall’attrito con il suo enorme cazzo un gran quantitativo di sperma caldo, denso e del colore dell’avorio, che colando mentre la teneva a pecora, le aveva imbrattato i peli curati della figa, le mutandine, le chiappe e la parte posteriore delle cosce.
La Giudice, mentre ascoltava il racconto di quanto accaduto, era sempre più attanagliata da una invidia incontrollabile nei confronti della donna e si ritrovò a pensare che quest’ultima anziché denunciare avrebbe dovuto ringraziare il suo stupratore per il dono che questi le aveva fatto. Decisamente avrebbe voluto trovarsi al posto di lei per essere sodomizzata brutalmente e farcita del prezioso nettare di quell’animale moro.
Se fosse stata al posto dell’altra – pensò – ne avrebbe raccolto ogni singola goccia, ripulendogli il cazzo con la lingua e guardandolo, con gratitudine, fisso negli occhi.
Mentre formulava tali pensieri, avvertiva la figa pulsare intensamente. Le mutandine, orami zuppe di liquido, le si erano raccolte tra le labbra della vagina. Con movimenti impercettibili, iniziò a dondolarsi per far sì che la stoffa le solleticasse il clitoride oramai gonfio e sensibile.
Tuttavia, c’era qualcosa che non quadrava nel racconto della donna, che nel corso della deposizione non le era peraltro sembrata così turbata dall’accaduto. Istinto di donna.
Ad un tratto, smise di muoversi perché realizzò che era sull’orlo di avere un orgasmo e, recuperando l’autocontrollo impostole dal suo ruolo, si rivolse bruscamente all’infermiera, chiedendole se, anche intenzionalmente, avesse avuto atteggiamenti tali da provocare il paziente o da indurre il medesimo a ritenere che desiderava avere con lui un rapporto sessuale.
Questa ammise, sorprendendo tutti, che, in effetti, al fine di procedere alla medicazione di una ferita all’interno della coscia dell’uomo aveva impugnato a mani nude il suo membro, il quale era cresciuto tra le stesse senza che avesse da ridire alcunché.
Anzi, incalzata dalle domande della Giudice, l’infermiera ammise pure che aveva dapprima accarezzato incantata l’enorme “bastone” dell’uomo e poi scoperto il suo glande abbassandone il prepuzio con la scusa di dover applicare un catetere e che alla visione del fallo turgido e umettato, non era riuscita a sottrarsi al desiderio di inchinarsi per praticargli “un ricco pompino”.
Era così che il ragazzo, fomentato dal rapporto orale, aveva chiesto alla donna di poterle penetrarle l’ano. Questa si era detta favorevole solo se prima l’avesse “scopata per bene davanti”.
Ammise che aveva sempre desiderato essere scopata nel culo da un uomo con il cazzo di quelle dimensioni e di averlo denunciato per stupro solo perché si era resa conto di essere osservata da un collega di reparto che temeva potesse riferire l’accaduto e provocarne il licenziamento.
La Giudice, alla confessione dell’infermiera, fu pervasa da una profonda tristezza poiché la versione dello stupro, il cui ascolto l’aveva affascinata ed eccitata non poco, non era altro che un’ordinaria storia di sesso consensuale.
Tornando a casa, mentre con un dildo si masturbava furiosamente immaginando di essere oscenamente scopata dal ragazzo di colore ingiustamente accusato, si ripromise che nei giorni seguenti avrebbe fatto di tutto pur di essere stuprata.
Fu così che decise di mettere in atto il suo piano, ma il modo in cui lo attuò è un’altra storia …
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