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Lui & Lei

Zoely: Una Notte di Musei a Villa Borghese


di Membro VIP di Annunci69.it Efabilandia
07.06.2025    |    1.494    |    0 8.7
"Eravamo intrecciati, i nostri corpi ancora caldi, l’odore della sua pelle che si mescolava con il mio, un ricordo che non si sarebbe mai svanito..."
Una Notte di Musei a Villa Borghese
La notte dei musei a Roma era un incantesimo tessuto di luci tremule, voci sussurrate e il profumo di gelsomino che si insinuava tra i viali di Villa Borghese. La città pulsava di vita, un mosaico di risate, clacson lontani e il fruscio delle foglie mosse dal vento tiepido di giugno. La Galleria Borghese, con i suoi marmi antichi e i soffitti affrescati, era un tempio di bellezza, e tra la folla che si muoveva tra le sale, Zoely brillava come una stella cadente. A 51 anni, era una donna che incarnava la sensualità senza sforzo: non alta ma molto sensuale, con curve che il tempo aveva reso solo più invitanti, i capelli biondi lisci che le accarezzavano le spalle come seta, e occhi con sfumature verdi che sembravano custodire un segreto antico. Indossava un abito nero aderente, che scivolava sul suo corpo come una seconda pelle, e i suoi tacchi ticchettavano sul pavimento di marmo, un ritmo che sembrava chiamare il desiderio.
Io, un uomo qualunque con un’innata fame di bellezza, l’avevo notata subito. Non era solo il suo aspetto a catturarmi, ma il modo in cui occupava lo spazio: ogni gesto era una promessa, ogni sguardo un invito. Mi avvicinai a lei davanti al “Ratto di Proserpina” di Gian Lorenzo Bernini, la scultura che catturava il momento in cui Plutone afferra Proserpina, i loro corpi intrecciati in un’eterna danza di forza e abbandono. Zoely osservava il marmo con un’intensità che mi fece quasi tremare, le sue labbra socchiuse, come se stesse assaporando un pensiero proibito.
“Non è straordinario come Bernini riesca a rendere la carne così viva nel marmo?” dissi, rompendo il silenzio, la voce appena incrinata dall’emozione.
Lei si voltò, i suoi occhi che mi scrutavano con una curiosità felina. “È più che vivo,” rispose, la voce calda, con una nota di malizia. “Sembra che Proserpina stia per cedere, ma non del tutto. È il momento in cui il desiderio vince, ma la lotta non è ancora finita.” Il suo sorriso era un’arma, e io ero già disarmato.
“Posso offrirle un bicchiere di vino? C’è un piccolo stand nel giardino,” proposi, sentendo il cuore battere contro le costole.
Zoely inclinò la testa, studiandomi come se stesse decidendo se valessi il suo tempo. “Solo se mi prometti una conversazione che tenga il passo con questa notte,” disse, e il suo sorriso si allargò, un invito a perdermi in lei.
Ci sedemmo su una panchina di pietra sotto un cielo trapunto di stelle, il profumo di pino e terra umida che si mescolava al sentore fruttato del vino rosso nei nostri bicchieri. Roma cantava intorno a noi: il suono di una fontana lontana, le risate di un gruppo di amici che si allontanava, il ronzio di un motorino che sfrecciava in via Pinciana. Parlammo di arte, di sogni, delle piccole follie che rendono la vita degna di essere vissuta. Zoely aveva un modo di parlare che era come una danza: ogni parola un passo verso di me, ogni risata un tocco che mi sfiorava l’anima. Quando appoggiò una mano sul mio braccio, il suo calore mi attraversò come una scarica elettrica.
“Credi nel destino?” chiese, i suoi occhi che brillavano sotto la luce della luna.
“Credo che ci siano momenti che ci cambiano per sempre,” risposi, e lei rise, una risata bassa, sensuale, che mi fece desiderare di scoprire ogni centimetro di lei.
La serata scivolò via come un sogno. Passeggiammo tra i viali di Villa Borghese, le sue dita che ogni tanto sfioravano le mie, un contatto che bruciava come brace. Ci fermammo vicino al laghetto, dove le luci della città si riflettevano sull’acqua come frammenti di stelle. Zoely si appoggiò alla balaustra, il vento che le scompigliava i capelli, portando con sé il suo profumo, un misto di vaniglia e muschio che mi inebriava. “C’è qualcosa di magico in una notte come questa,” disse, la voce un sussurro che sembrava destinato solo a me. “Ti fa venir voglia di dimenticare chi sei e lasciarti andare.”
Non so chi si mosse per primo, ma all’improvviso le sue labbra erano a un soffio dalle mie. Il suo respiro era caldo, il suo sguardo un fuoco che mi consumava. Non ci baciammo, non ancora. Lei si ritrasse, un sorriso malizioso sulle labbra. “Non qui,” mormorò. “Vieni con me.”
Mi prese per mano, la sua stretta decisa ma morbida, e mi guidò attraverso le strade di Roma, dove il caos della città si trasformava in una sinfonia di possibilità. Arrivammo a un piccolo appartamento nascosto in una via acciottolata, un nido di luci soffuse e tende di seta. La porta si chiuse alle nostre spalle, e il mondo esterno svanì. L’aria odorava di cera di candele e del suo profumo, che ormai era diventato parte di me. Zoely si voltò, i suoi occhi che brillavano come smeraldi. “Sei sicuro di voler giocare con il fuoco?” chiese, la voce un invito e una sfida.
Non risposi con parole. Mi avvicinai, e questa volta non ci fu esitazione. Il suo bacio fu un’esplosione, un misto di dolcezza e urgenza che mi travolse. Le sue labbra erano morbide, ma il loro sapore era selvaggio, come un vino invecchiato che ti stordisce al primo sorso. Le sue mani scivolarono sul mio petto, lente, esplorative, mentre le mie trovavano la curva dei suoi fianchi, il tessuto del suo vestito che sembrava sciogliersi sotto le mie dita. Ogni tocco era una scoperta, ogni respiro un passo verso l’abisso.
Ci spostammo verso la camera da letto, i nostri corpi già intrecciati in una danza che non aveva bisogno di musica. La luce delle candele tremolava sulle pareti, dipingendo ombre che danzavano con noi. Zoely si liberò del vestito con una grazia che mi tolse il fiato, il suo corpo una scultura viva, ogni curva un invito a perdermi. Mi avvicinai, le mie mani che tracciavano il contorno della sua pelle, morbida come seta, calda come il sole di Roma. Lei mi attirò a sé, i suoi occhi che non lasciavano i miei, un fuoco che bruciava senza consumarsi.
Quando i nostri corpi si unirono, fu come se il tempo si fermasse. Il mio membro trovò la sua vulva, calda e accogliente, un santuario di piacere che mi accolse con un fremito. Zoely emise un gemito basso, le sue mani che si aggrappavano alle mie spalle, le unghie che lasciavano piccoli segni sulla mia pelle. Ogni movimento era una sinfonia, un ritmo antico che ci guidava. La sentivo intorno a me, il suo calore che mi avvolgeva, il suo respiro che si mescolava al mio. Il piacere cresceva, un’onda che ci travolgeva, e quando raggiunsi l’apice, il mio caldo seme la invase, un’esplosione di vita che la fece tremare. Il suo orgasmo fu un canto, un grido soffocato che si perse tra le lenzuola, il suo corpo che si inarcava contro il mio, un’onda di estasi che ci unì oltre i confini della carne.
Ma non ci fermammo. Zoely era insaziabile, una tempesta di desiderio che non conosceva tregua. Ogni tocco era una nuova scoperta, ogni bacio un viaggio più profondo. Ci perdemmo in una serie di momenti rubati: i suoi gemiti che riempivano l’aria, il suono della sua pelle contro la mia, il profumo del suo desiderio che si mescolava con il mio. Era lussuria e grazia, fuoco e dolcezza, una donna che mi consumava e mi completava. Le sue mani guidavano le mie, esploravano, accendevano, mentre i suoi occhi si perdevano nei miei, un dialogo silenzioso che parlava di tutto ciò che eravamo in quel momento.
Le ore scivolarono via, ma il nostro ardore non si spense. La luce delle candele si affievolì, ma la nostra passione era incandescente. Quando finalmente ci abbandonammo, esausti, il primo chiarore dell’alba filtrava attraverso le tende, dipingendo la stanza di sfumature dorate. Eravamo intrecciati, i nostri corpi ancora caldi, l’odore della sua pelle che si mescolava con il mio, un ricordo che non si sarebbe mai svanito. Zoely mi guardò, un sorriso sazio e complice sulle sue labbra. “Non male per una notte di musei” mormorò, la voce roca di piacere, e io risi, stringendola a me.
Ci addormentammo così, avvolti l’uno nell’altra, con Roma che continuava a vivere fuori, ignara del nostro piccolo universo. La sua testa riposava sul mio petto, il suo respiro lento e regolare, un ritmo che mi cullava. Sentivo il suo profumo su di vaniglia e muschio, un marchio sulla mia pelle che sarebbe rimasto per sempre. E mentre scivolavo nel sonno, un pensiero mi attraversò la mente: Zoely non era stata solo una donna, ma una rivelazione, una tempesta di passione che aveva cambiato il mio modo di vedere il mondo.
La notte aveva mantenuto le sue promesse, e Zoely, con la sua bellezza e la sua seduzione, aveva trasformato un sogno in una realtà. Il suo sapore era ancora sulle mie labbra, il suo calore ancora dentro di me, un’eco di desiderio che avrebbe continuato a bruciare, come Roma, eterna e infinita.

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