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Lui & Lei

Un uomo volgare


di Eriaku
10.06.2025    |    371    |    1 9.2
"Lui parlava sempre di sesso, ne era ossessionato..."
Lui parlava sempre di sesso, ne era ossessionato. Discuteva di lunghezze del pene, profondità della vagina, sostenendo che esistevano tre categorie di dimensioni, con il suo che apparteneva alla categoria "esagerata": "Ventisei centimetri in erezione", ripeteva. Non gli avevo mai dato credito finché una sera non se lo tirò fuori. Dio, era vero. Era grosso e lungo, una mostruosità pulsante che sembrava sfidare la fisica. Il glande era spesso quanto un uovo di gallina, lucido e teso, con vene rigonfie che sporgevano come cavi sotto la pelle. Il resto del cazzo era un tronco di carne dura, spesso come un polso robusto, con una circonferenza che faceva sembrare ridicoli i preservativi normali. Quando lo vidi, il mio cuore perse un battito. Era una cosa viva, minacciosa, che sembrava respirare.

Quella sera, nonostante il terrore all’idea di farmelo infilare dentro, lo toccai. Glielo masturbai mentre lui, disteso al mio fianco, mi leccava il seno, le mani che scivolavano sul ventre fino a fermarsi lì, all’ingresso della mia fica. Lo bloccai, spaventata: "Non sono pronta. Non l’ho mai fatto". Lui non insistette, ma i suoi occhi tradivano una fame animale. Venne con un grugnito, lo sperma che schizzò a fiotti, colandomi sulla mano e sull’avambraccio, caldo e appiccicoso. Quella notte tornammo a casa senza che il suo cazzo avesse toccato la mia vagina. Ma era un ragazzo volgare, molto sconcio, tutti mi avevano messa in guardia, mi avevano detto che era un pazzo, un violento, e lo scoprii senza freni; parlava di sesso come se non avesse altri pensieri per la testa, ne parlava con naturalezza come se fosse un argomento qualunque e da parlare con chiunque, ne parlava sempre e se provavi a interromperlo alzava la voce e continuava a dire zozzerie. Così decisi di non frequentarlo più.

Anni dopo, finita una storia fallimentare, lo rividi. Forse per solitudine, forse per curiosità, tornai a frequentarlo. Una sera, ubriaca e confusa, ci ritrovammo in un parcheggio buio. Lui non aspettò inviti. Si gettò su di me, la lingua che mi leccava ovunque, anche attraverso i vestiti, i denti che graffiavano la stoffa. Cercavo di divincolarmi, ma il mio corpo traditore si inumidì, una sensazione calda e umida che mi invase tra le cosce. I suoi occhi, fissi nei miei, erano quelli di un predatore: freddi, calcolatori, eccitati. "Portami in un posto più buio", implorai, temendo che qualcuno ci vedesse. Lui sorrise, accondiscendente.

Nel silenzio della campagna, mi spogliò con urgenza. Le sue mani mi sollevarono la maglietta, i capezzoli induriti sotto la stoffa. Li succhiò con forza, le labbra che si chiudevano intorno a uno come a un ciuccio, i denti che mordicchiavano fino al dolore. La lingua passava da un capezzolo all’altro, umida e ruvida, mentre le sue dita si insinuavano sotto la gonna, premendo sul clitoride. "Devo fare pipì", protestai, ma lui non si fermò. Continuò a leccarmi, a stringermi, a guardarmi come se fossi sua proprietà. Quando finalmente mi lasciò andare, mi precipitai fuori, le gambe tremanti. Mentre urinavo, sentivo la fica pulsare, bagnata e aperta, tanto che usai tre fazzolettini per asciugarmi.

Rientrata in macchina, lo vidi nudo. Il cazzo, già eretto, sporgeva dal corpo come un’arma. Lo stesso glande grosso, le vene spesse come corde, la pelle tesa e lucida. "Forse non avrei dovuto asciugarmi così bene", pensai, mentre lui mi sdraiava sul sedile e mi apriva le gambe. La sua testa si abbassò tra le mie cosce, la lingua che scivolò direttamente sul clitoride. Era come se conoscesse ogni punto sensibile, ogni piega nascosta. Succhiò con forza, le labbra che si muovevano in cerchi concentrici, mentre due dita si infilavano dentro di me, pompando con ritmo crudele.

– "Ah ah ah ah!" – Non riuscivo a trattenere i gemiti, la voce rotta. Lui si fermò, sollevando lo sguardo. "È duro come il ferro. Te lo devo infilare adesso", grugnì, spingendo il cazzo verso la mia fica. Entrò solo per metà, il glande che si bloccava all’ingresso. Il dolore si mescolò al piacere, un bruciore che non riuscivo a descrivere.

– "Piano, ti prego…!" – supplicai, ma lui non rallentò. Le spinte erano profonde, disperate, il cazzo che si apriva un varco tra le mie pieghe gonfie. Il suo viso, contratto in una smorfia di soddisfazione, fissava il punto in cui la mia vagina lo avvolgeva. "Oh oh oh!" – I miei versi diventavano più forti, più irregolari, mentre lui aumentava il ritmo. Mi afferrò le cosce, le sollevò sulle sue spalle, e spinse di nuovo. Stavolta entrò più a fondo, il glande che oltrepassava l’anello stretto, il resto che lo seguiva con un suono viscido.

– "Ti piace come ti scopo?" – urlò, imitando i miei gemiti. Il suo cazzo pompava senza pietà, le palle che sbattevano contro il mio culo, lo sperma che premeva nelle palle gonfie. Mi chiamò "figona", mi disse che voleva che le palle entrassero dentro, e io non potevo rispondere, non potevo pensare. Il mio orgasmo esplose improvviso, una scossa che mi scosse fino alle ossa, i muscoli vaginali che si contraevano intorno al suo cazzo. Lui venne subito dopo, il cazzo che si svuotò dentro il preservativo, lo sperma che lo riempì fino a farlo sembrare una vena pulsante.

Ma non si fermò. Si pulì, infilò un altro preservativo, e ricominciò. Ogni spinta era più profonda, ogni gemito più forte. La macchina scricchiolava sotto le sue spinte, e nell’abitacolo risuonava lo sciocco del suo bacino, un suono liquido per via dei miei umori.

Tornai a casa dopo quasi due ore di rapporto sessuale quasi ininterrotto. Mi aveva scopata in ogni posizione: missionaria, con le gambe piegate fino a toccarmi il viso, di fianco, a pecora. Avevo perso il conto dei miei orgasmi, ma alla fine lo fermai, avevo la passerina in fiamme: "Basta. Non ce la faccio più". Lui non mollò. Mi fissò, il cazzo ancora mezzo duro. "Almeno una sega, no?" sussurrò, con un sorriso arrogante. Le mie mani, stanche ma traditrici, lo circondarono e gli tolsi il preservativo. La pelle era tesa, le vene sporgevano come corde. Lui gemette, spingendo i fianchi: "Stringi… più forte." Le mie dita obbedirono, il suono viscido del cazzo che scivolava tra le mie mani si mischiò ai nostri respiri. Un attimo dopo, il suo cazzo pulsò. Lo sperma schizzò fuori, caldo e denso, ricoprendo il mio monte di Venere in lunghi filamenti. Lui rise, ansimando: "Adesso puoi andare".

Una volta a casa, mi guardai allo specchio. Ero paonazza in viso, gli occhi terribilmente lucidi, come se avessi pianto ma non avevo versato una lacrima. Mi spogliai, andai sul bidet e mentre mi lavavo, sentii il mio buco così dilatato che la mano poteva entrarci dentro senza troppi sforzi. Mi misi con le gambe aperte davanti allo specchio della mia camera e la visione della mia passera completamente aperta e arrossata mi intrigò così tanto che mi venne voglia di richiamarlo e fargli ricominciare ciò che non avevo voluto che lui continuasse a fare. Non lo feci, ma nel mio letto, pensando al suo uccellone, mi toccai e giunsi a un altro orgasmo potente, le dita che cercavano di imitare il cazzo che mi aveva scopata fino a farmi gridare.
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