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Lui & Lei

Il favore alla cugina


di Eriaku
08.06.2025    |    854    |    0 7.0
"Sua cugina si sistemò sopra di lui, il sesso che scivolò lungo l’asta lucida..."
Dove il Potere Sessuale Diventa un Labirinto Senza Uscita

Tony parcheggiò la sua vecchia Honda Civic sul vialetto ghiaioso, lo sguardo incollato alla porta d’ingresso della casa di sua cugina. Il caldo era insopportabile, l’aria immobile e carica di umidità. Indossava una maglietta a maniche corte che gli aderiva alla schiena sudata, i jeans strappati e le scarpe da ginnastica logore. Non aveva idea di cosa l’aspettasse, ma il ricordo di quella notte di sei mesi prima gli faceva fremere il cazzo nei pantaloni. Era successo tutto in modo confuso, come un sogno annebbiato: l’ultima volta che l’aveva vista, sua cugina era in piedi nel parcheggio del bar, i capelli biondi mossi dal vento, mentre gli sorrideva con un bicchiere di plastica in mano. Rideva, con gli occhi leggermente lucidi a causa dell'alcol, e gli diceva: "Sei proprio un bel ragazzo, sai?".

La mattina dopo, la luce che filtrava dalle persiane lo spingeva ad aprire gli occhi. Sua cugina era nuda accanto a lui, con un sorriso soddisfatto. Gli aveva accarezzato il viso e lui si era addormentato di nuovo. Quando si era svegliato, ore dopo, solo e con un mal di testa martellante, un’occhiata gli aveva fatto capire di essere nel suo appartamento. Ma non c’era traccia di lei. Non l’aveva più vista o sentita per oltre quattro mesi. Poi un pomeriggio, un messaggio vocale sul telefono, registrato con una voce calma, quasi dolce: “Tony, aspetto un bambino. Tre, per la precisione. Sei stato così… generoso. Comunque, ti chiamo perché avrei bisogno di aiuto per traslocare in un appartamento più grande, puoi venire da me domani?” La risata che seguiva era un coltello affondato nel petto. Non aveva capito, allora. Non aveva voluto capire. Finché non le aveva risposto, finché non aveva accettato di andare da lei per il trasloco. Perché una parte di lui, oscura e pulsante, sapeva che sarebbe tornato. Che lei lo avrebbe costretto a tornare.

La porta si aprì con un cigolio. Lei apparve, esile ma con le curve modificate dalla gravidanza. I capelli biondo tinta le ricadevano sulle spalle in onde disordinate, e il vestitino nero le aderiva al corpo come una seconda pelle. Era scalza, le unghie dei piedi dipinte di rosso acceso. Sorrideva, ma non c’era dolcezza nel suo sguardo. Solo un’espressione calcolatrice, come se lo stesse valutando.

"Sei in ritardo," disse, appoggiandosi allo stipite. La stoffa del vestito si tese sulle sue cosce, rivelando il bordo delle mutandine. Tony sentì la gola secca.

“Scusa. Il traffico era un casino”.

“Eppure, abiti a cinque chilometri da qui. Ma non importa. Entra. Ho un sacco di scatoloni da spostare.”

La seguì all’interno, gli occhi incollati al suo fondoschiena formoso, il naso pieno dell’odore di vernice fresca e disinfettante. La casa era vuota, a eccezione di un divano sfondato al centro del soggiorno e di una pila di cartoni. Lei si voltò, appoggiandosi alla parete. La pancia prominente spiccava sotto il vestito, tesa come un tamburo.

“Hai già visto un’ecografia?” chiese Tony, cercando di non fissare il rigonfiamento.

“No. E non la farò. Non mi interessa sapere altro su di loro. So già che sono femmine. Lo sento.” Si sfiorò l’addome con la punta delle dita, gli occhi fissi su di lui. “Sono tue, lo sai. Quella notte… non è stato difficile. Un paio di bicchieri, un po’ di scherzi, e poi… sei crollato. Ti ho spogliato e ti ho fatto inginocchiare. Non ricordi?”

Tony scosse la testa, ma una parte di lui riconosceva la verità. Ricordava frammenti: la sua voce che gli ordinava di guardare un cristallo che ruotava, la sensazione di essere sospeso in un vuoto senza tempo, il calore improvviso del sesso.

Il ricordo esplose come un film distorto
Era la festa di compleanno di suo cugino David, le luci colorate che danzavano sul soffitto. Tony aveva bevuto troppo, le tempie pulsanti per l’alcol e il rumore. Lei lo aveva trascinato in una stanza buia, il braccio che gli cingeva la vita. “Guarda, guarda che bel colore,” gli sussurrò all’orecchio, facendo roteare uno strano quarzo appeso a un filo di cuoio. La pietra brillava, riflettendo i bagliori delle luci stroboscopiche. “Sei sempre stato così dolce… ma hai un problema, vero? Non sai dire di no.”

Lui rise, incerto, ma il corpo già fremeva. Le mani di lei lo spingevano in ginocchio, il pavimento freddo che gli scorticava le ginocchia. “Leccami, Tony. Fammi vedere se sai soddisfarmi,” ordinò, premendogli le unghie sul collo. “Fammi sentire quanto sei bravo a obbedire.”
E lui lo fece, succhiando, leccando, mordendo e soffiando. Fino a ritrovarsi il viso ricoperto di umori.
“Bravo Tony, sei proprio bravo…” disse accarezzandogli la testa. Poi il cristallo ruotò di nuovo, i riflessi che gli danzavano negli occhi. “Guarda bene,” disse lei, il sorriso bianco e tagliente come un coltello. “Segui la luce. Sai che sei già mio, vero? Hai detto sì a tutto, stasera. Ricordi?”

Lui non ricordava. Ma il corpo rispondeva prima del cervello, l’uccello che si induriva contro la zip dei jeans. Lei rise, una risata bassa, trionfante. “Sei così facile. Così tenero.” Lo fece alzare, le mani gli slacciarono i pantaloni. La schiena di Tony colpì il pavimento, le sue dita che gli aprivano la bocca a forza. “Succhiale. Fammelo sentire.”
Lui esitò. “Non so se…”
Un ceffone lo interruppe, la guancia che bruciava. “Hai detto sì, Tony. Hai detto che volevi che ti usassi. Che volevi diventare mio schiavo.” Le unghie si conficcarono nella sua spalla. “Non mentire. Tu vuoi compiacermi.”
E ricordò. Altri frammenti distorti: lei che gli ordinava di leccare il pavimento, lui che beveva il suo piscio, lei lo segava mentre gli mordeva e graffiava il petto a sangue. Ricordò di aver pianto, di averla implorata di fermarsi, e lei che rispondeva: “Mai. Sei mio per sempre.”

Quella notte, il culmine era arrivato in modo brutale. Raggiunsero il letto, i vestiti che sparivano pezzo dopo pezzo finché non furono pelle contro pelle. Il cristallo cadde a terra con un lieve tonfo, dimenticato. “Montami,” ordinò, e lui lo fece, la fronte che toccava i suoi seni. “Possiedimi. Fino a che non ti supplico di fermarti.”

Quando la penetrò, fu rapido, brutale. Lei gridò, le unghie che gli graffiavano la schiena. “Più forte! Voglio sentirlo in fondo alla cervice!” La stanza si riempì di suoni osceni: pelle che sbatteva, gemiti strozzati, il rumore umido dei loro corpi che si scontravano, i talloni di lei sulle reni ad incitarlo.
Poi l’orgasmo. Il cazzo di Tony pulsò, esplose, il seme che schizzò dentro di lei con una forza dolorosa. Lei si irrigidì, la schiena inarcata, gli occhi spalancati. “Sì! Spezzati, bastardo! Spezzati per la tua padrona!” Il respiro di Tony si frantumò in singhiozzi, il corpo esausto che si afflosciava su di lei. Ma non ebbe tregua. Lei gli afferrò i polsi, rigirandosi e inchiodandoli al cuscino, e iniziò a muoversi veloce. La fica ancora pulsante lo strinse come una morsa, succhiando ogni goccia di seme rimasta.
“Non hai finito,” sussurrò, la voce un filo di seta bagnata. “Non puoi fermarti. Non puoi mai fermarti.” Le mani scivolarono lungo il suo petto, graffiandolo fino a disegnare solchi rossi. Continuò a cavalcarlo fino a godere ancora. Non gli diede tempo di riposare Alzati. Voglio vederti in ginocchio. Voglio sentire il tuo cazzo dentro di me mentre mi scopi da dietro.”

Lui obbedì, le gambe tremanti che lo reggevano a stento. Il cazzo, ancora mezzo duro, pulsava di un dolore sordo, ma non si ammosciava. Lei lo spinse verso il letto, piegandolo in avanti fino a fargli toccare il pavimento con le mani. Il suo corpo nudo, sodo e sudato, premeva contro la schiena di Tony, la fica umida che gli bagnava le natiche.
“Scopami” ordinò inginocchiandosi di fronte a lui, agitando il sedere sodo come un invito suadente.
Tony si allungo sulla sua schiena e spinse il cazzo dentro di lei, un colpo secco che la fece gridare. Il sesso era stretto, gonfio, reso più caldo dall’orgasmo precedente. Le cosce di lei tremarono, ma non si fermò. “Più forte! Voglio urlare!” La voce era un ringhio, il viso contratto in una smorfia di piacere e rabbia.

Tony obbedì nuovamente, i fianchi che sbattevano contro le sue natiche con un ritmo bestiale. Il sudore colava lungo la schiena, mescolandosi all’odore muschiato della fica. “Sì! Ancora! Fino a che non mi spacchi in due!”
Il cazzo di Tony pulsò di nuovo, un’erezione rigida nonostante il dolore delle palle tese allo spasimo. Lei rise, un suono cupo e trionfante, e si girò artigliandogli i capelli e strappandogli un gemito di protesta. “Mettiti seduto. Voglio sentirti mentre ti cavalco ancora.”
Lui obbedì tirandolo fuori, viscido e congestionato. Sua cugina si sistemò sopra di lui, il sesso che scivolò lungo l’asta lucida. I seni pallidi, con capezzoli scuri come more, sbattevano contro il suo petto. Le mani gli afferrarono la testa, costringendolo a guardarla negli occhi. “Guardami. Guarda chi ti ha ridotto così. Guarda chi ti possiede.”
Iniziò a muoversi, lenta, crudele. Il bacino ruotava come un mulino a vento impazzito, la carne liscia del ventre che si schiacciava contro il suo stomaco. Il cazzo di Tony continuava a pulsare, il dolore che si mescolava al desiderio irrefrenabile. Non poteva fermarsi. Lei non voleva, forse nemmeno lui.

“Sto per venire di nuovo! Fammelo sentire, Tony! Fammi sentire quanto sei inutile senza di me!” La voce si trasformò in un urlo strozzato, il corpo che si irrigidì come un cavo d’acciaio, la fica che pompava scaglie di nettare caldo sul cazzo di Tony.
Lui non resistette. Il seme esplose di nuovo, schizzando dentro di lei con una violenza che lo lasciò senza fiato. Crollò all’indietro, il respiro spezzato, ma lei non lo lasciò andare. Gli affondò le unghie nei capelli, tirandolo verso la sua bocca. “Baciami,” ordinò, la lingua che si insinuò tra le labbra come un serpente. “Baciami e accettalo. Accetta che sei mio. Che lo sarai sempre.” Eseguì, il sapore del suo sesso ancora sulle labbra. Il cazzo, esausto, fremette un’ultima volta dentro di lei. Non sapeva cosa lo spaventava di più: il fatto che non avesse la forza di alzarsi, o che non lo volesse davvero.
Quando si svegliò la mattina dopo, lei lo fissava, gli occhi lucidi di una luce malata. “Aspetto un bambino, Tony. Tre, per la precisione.”

Le parole di lei lo riportano al presente, dove al rimette a fuoco.
“Adesso lo sai. Mi hai scopato per ore. Non ti sei fermato finché non ti sei addormentato dentro di me. E adesso…” Lei fece un passo avanti, premendo la pancia contro il suo bacino. Tony sentì il cazzo pulsare, l’erezione che premeva contro la cerniera. “Adesso ho bisogno che tu mi scopi di nuovo. Ma prima, devo farti ricordare.”

“Cosa?”

Lei sorrise, allungando una mano verso la sua cintura. “Ti ho detto che non è stato difficile. L’ipnosi funziona meglio quando sei già eccitato. Quella notte, ti ho ridotto a un animale. Eri completamente sotto il mio controllo. Vuoi sapere com’è successo?”

Tony non rispose. La sua mano si muoveva veloce, abbassando la zip, liberando il cazzo rigido.

“Hai detto di sì. Hai detto di sì a ogni cosa. ‘Fallo, piccola. Fammi fare qualsiasi cosa vuoi.’ E io ho voluto tutto. Ti ho fatto leccare la mia fica sporca, ti ho costretto a bere il mio piscio.”

“Menti,” mormorò Tony, ma il suo corpo tradiva ogni parola. Il cazzo era duro come il marmo nei jeans, la cappella già gonfia.

“Davvero?” Lei rise, una risata bassa e sensuale. “Allora dimmi, perché sei così eccitato? Perché non ti sei tirato indietro quando ti ho toccato? Perché non scappi?”

Fece un altro passo indietro, allargando le braccia. “Vai a prendere le scatole in garage. Ti aspetto qui. Ma sappi una cosa: se non fai quello che voglio, non uscirai da questa casa.”

Tony si voltò, le gambe tremanti. Il garage era un caos di scatoloni, attrezzi e vecchi mobili. Prese il primo che trovò, ma le parole di lei ronzavano nella sua testa. “Ti ho ridotto a un animale.” Era possibile? Eppure, ogni volta che la guardava, ogni volta che sentiva la sua voce, qualcosa dentro di lui si svegliava. Qualcosa di primitivo, di violento.

Quando tornò in soggiorno con le ultime scatole, lei era sdraiata sul divano, le gambe aperte, il vestito sollevato fino alla vita. Le mutandine erano sparite, il pelo pubico rasato completamente. La pancia spiccava, pallida e tesa.

“Metti giù le scatole e vieni qui,” ordinò.

Tony obbedì, incapace di resistere. Si inginocchiò tra le sue gambe, il cazzo che pulsava.

“Toccami,” disse lei. “Ma non il clitoride. Voglio dolore. Premi le dita sulle mie cosce, graffiami. Fai male.”

Le sue mani si mossero da sole. Le unghie affondarono nella pelle, lasciando segni rossi. Lei gemette, inarcando la schiena.

“Sì. Così. Sei tornato, Tony. Sei tornato a essere mio.”

La baciò con violenza, le labbra che si scontravano, i denti che si urtavano. Lei gli afferrò i capelli, tirandoli indietro fino a fargli male.

“Prendi la mia fica. Prendila con la bocca. Leccala. Sputa. Voglio sentire il tuo fiato caldo.”

Lui obbedì, la lingua che scivolava tra le labbra gonfie, il sapore che lo investiva come un’ondata tossica: muschiato, dolce ma con un retrogusto amaro che gli faceva contrarre la gola. Succhiò con forza, il palato premuto contro il clitoride pulsante, mentre i denti raschiavano la carne sensibile. Lei gridò, un urlo roco che sembrava strappato dalle viscere, e gli affondò le unghie nelle spalle, disegnando solchi rossi e brucianti.
Il corpo le si inarcò, la schiena che si sollevò dal divano come un arco teso. Le cosce tremarono, serrandosi intorno alla sua testa, ma lui non si fermò. Spinse la lingua più in profondità, mimando il ritmo di un cazzo che scopava, la saliva che colava lungo le pieghe della fica bagnata. Il sesso di lei pompava scaglie di nettare caldo, un mix di umori e sudore che gli inondavano la bocca.

“Sto venendo, servo! Sto venendo!” Il grido si ruppe in un urlo strozzato, il viso contorto in una smorfia di piacere e dolore. Gli occhi le si rovesciarono all’indietro, la bocca spalancata in un silenzioso spasimo. Le mani si aggrapparono ai cuscini, le dita che si piegavano come artigli. Lui non smise, continuò a leccare, a succhiare, a mordere finché non sentì il sapore del sangue mescolarsi al suo orgasmo. Solo allora lei lo spinse via, ansimando, il petto che si alzava a scaglie rapide. Le labbra della fica erano rosse e tumefatte, il clitoride ancora rigido come un chiodo.

“Alzati,” ordinò, la voce roca come una lama arrugginita. “Voglio vederti in faccia quando mi scopi.”
Si alzò, il cazzo che fremeva. Lei gli slacciò i pantaloni, abbassandoli fino alle ginocchia e liberandolo. Poi si sdraiò di nuovo, guidandolo con una mano affinché la coprisse.
“Spingi. Forza. Non farmi aspettare.”
Il cazzo entrò con facilità, lubrificato dalla sua eccitazione. Tony gemette, la sensazione di calore che lo avvolgeva completamente. Iniziò a muoversi, lentamente, ma lei lo fermò.
“Più forte. Sei un animale, ricordi? Non sono tua cugina. Sono la tua padrona.”
Accelerò il ritmo, i fianchi che sbattevano contro le sue natiche con forza brutale. Lei urlava, le unghie che gli graffiavano la schiena attraverso la maglia. La pancia si muoveva a ogni spinta, le vene che si gonfiavano sulla superficie.

“Più forte! Fallo sentire alle bambine. Fai loro capire chi è il loro cazzo di padre!”
Tony non pensava più. Era solo istinto, solo desiderio. La scopò come un animale, il sudore che colava sui loro corpi. Quando venne, il seme schizzò dentro di lei con una forza dolorosa.
Lei rise, un suono cupo e soddisfatto. “Sei tornato. E adesso, Tony… adesso inizia il lavoro vero. Alleverai le bambine con me, soddisfacendomi in ogni modo.”

Lui si accasciò su di lei, il respiro affannoso, come la prima volta. Non sapeva cosa significassero quelle parole, ma sapeva una cosa: non sarebbe uscito da quella casa senza aver fatto tutto ciò che voleva.
E non gli importava. Perché ogni volta che la guardava, ogni volta che sentiva la sua voce, una parte di lui pregava di non uscirne mai.
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