Lui & Lei
Un incontro fugace al supermarket

07.07.2025 |
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"Lei si lasciò andare, con un respiro profondo, le labbra socchiuse, lo sguardo che non si staccava dal mio..."
Era una mattina di luglio di quelle che sei sempre di corsa, al supermercato ero lì, tranquillo, quando la notai. Una donna bionda, sulla cinquantina avanzata, con un vestito prendisole leggero e una scollatura generosa che lasciava poco spazio all’immaginazione. Selezionava la frutta con cura, piegandosi ogni tanto, e a ogni movimento il tessuto cedeva appena, lasciando intravedere curve piene e morbide. Ne fui catturato all’istante.
Mi avvicinai con un sorriso e, cogliendo il momento, le chiesi: Serve una mano con le borse?» con un sorriso spontaneo, avvicinandomi al suo carrello ormai pieno. Lei mi guardò con occhi chiari, un po’ sorpresa, ma divertita.
«Oh, grazie… se non disturbo.»
«Ma ci mancherebbe. È un piacere.»
Mentre sistemavo le buste nel bagagliaio, chiacchierammo del più e del meno. Lei si chiamava Laura, viveva non lontano, e si era concessa una spesa un po’ più ricca del solito perché nel pomeriggio voleva sistemare il terrazzo. «Ho preso una piantina nuova da mettere in vaso» disse, accennando a un sorriso malizioso.
«Giardinaggio? Allora siamo in sintonia» dissi, pulendomi le mani. «Sono giardiniere.»
Lei mi fissò con un’ombra di stupore divertita. «Ma guarda… oggi dovevo proprio piantare qualcosa, ma non sono molto brava con la terra. Magari potresti darmi qualche consiglio.»
Ci fu un attimo di silenzio, carico di possibilità. Il caldo del pomeriggio sembrava farsi più denso, come se il tempo rallentasse attorno a quel piccolo scambio di sguardi. Laura si morse il labbro, poi aprì il baule e mi porse una delle borse leggere.
«Se hai ancora un po’ di tempo… potresti venire a vedere il terrazzo. Magari mi dici se sto facendo un disastro.»
Salimmo in ascensore senza dire molto, ma l'aria tra noi era elettrica. Laura aprì la porta del suo appartamento con un sorriso appena accennato e mi invitò a entrare. L’interno era accogliente, curato nei dettagli, come chi ha buon gusto e ama la bellezza senza ostentarla.
«Il terrazzo è da questa parte» disse, guidandomi verso una grande porta a vetri che si apriva su uno spazio pieno di vasi, fiori e luce. Il sole del pomeriggio accarezzava ogni cosa, e lei… era perfettamente in sintonia con quell’ambiente.
Il prendisole, leggero e svolazzante, lasciava poco spazio all’immaginazione. Ogni suo movimento metteva in risalto curve generose e vive, con naturalezza disarmante. Quando si chinò a mostrare il vaso in cui voleva sistemare la nuova piantina, il vestito scivolò un po’, svelando un profilo laterale del seno che mi fece deglutire.
«Allora, secondo te... qui andrebbe bene?» chiese, senza girarsi, come se non si accorgesse di nulla.
Mi avvicinai piano. «Dipende... vuoi che cresca forte e rigogliosa? Perché allora serve attenzione. Cura. Mani esperte.»
Lei si voltò appena, lo sguardo più intenso, giocoso. «E tu… sei esperto, vero?»
Il momento si tese come una corda pronta a spezzarsi. Il giardinaggio, ormai, era solo una scusa.
«Guarda qua che disastro ho combinato» disse, indicandomi un vaso rovesciato e terra sparsa su una stuoia chiara. Si piegò in avanti per raccogliere il sacchetto del terriccio, con un gesto spontaneo e disinvolto.
Ma il prendisole, già sottile e scivolato su una sola spalla, cedette di un soffio. Un seno, pieno e morbido, scivolò appena fuori, nudo, chiaro nella luce del pomeriggio. Rimasi pietrificato, il cuore in gola, gli occhi incantati da quella visione improvvisa e proibita.
Lei si accorse del mio sguardo prima ancora che potessi distoglierlo. Si fermò un istante, poi si voltò lentamente, rialzandosi con grazia. Non si coprì subito.
Mi guardò con un’espressione mista tra complicità e sfida. «Oh...» mormorò, fingendo una finta sorpresa, «ti ho distratto?»
Feci un mezzo sorriso, cercando di recuperare un tono leggero. «Direi… che la vista è più che piacevole. E sì, ammetto di essere molto distratto.»
Lei rise piano, una risata calda, bassa, quasi un sussurro. «Forse… dovrei offrirti qualcosa da bere. Magari dentro, all’ombra.»
«Magari sì…» risposi, seguendola con lo sguardo mentre rientrava, con il vestito che ondeggiava morbido sulle sue anche.
Entrammo in soggiorno, e lei si diresse con passo sicuro verso la cucina aperta. «Magari un po’ di prosecco… così ti rilassi» disse, voltandosi appena con un sorriso accennato, mentre apriva il frigorifero. Il prendisole era tornato al suo posto solo in parte: una spallina ancora calata, e quel lembo di stoffa che sembrava reggersi solo per magia.
Tirò fuori una bottiglia fresca, due calici sottili. Le sue mani si muovevano lente, eleganti, come se ogni gesto fosse calcolato, eppure naturale. Versò il vino frizzante, il tintinnio del vetro riempì la stanza di una nota leggera, quasi musicale.
Mi porse il bicchiere e i nostri sguardi si incrociarono, stavolta senza più esitazioni.
«Alla piantina…» dissi, alzando il calice.
«E al giardiniere» rispose lei, con un sorriso malizioso, prima di bagnarsi le labbra nel prosecco.
Si sedette sul divano, le gambe accavallate lentamente. Il vestito scivolò ancora, e di nuovo quel seno morbido riapparve appena, senza che lei sembrasse curarsene.
«Sai…» disse, giocherellando col bordo del calice, «non capita spesso che qualcuno mi dia una mano con la terra… e con tutto il resto.»
Mi sedetti accanto a lei, vicino, avvertendo il profumo leggero della sua pelle, un misto di crema solare e qualcosa di fiorito.
«Be’, oggi sono libero tutto il pomeriggio» risposi, a voce bassa.
Lei si avvicinò ancora un poco, inclinando il volto verso il mio. «Davvero? Allora… forse posso approfittarne.»
Lo sai…» disse, passandosi lentamente un dito sulle labbra, «sei davvero un bel ragazzo.» Poi, con un sorriso che mischiava ammirazione e desiderio, appoggiò una mano leggera sul mio braccio. «E che bicipiti… si vede che lavori con le mani.»
Sentii il calore del suo tocco sulla pelle, la punta delle dita che sfioravano appena il muscolo, come a voler testare la consistenza. Non c’era più distanza tra noi, solo il fruscio del vestito che si muoveva mentre lei si avvicinava ancora.
«Immagino che tu sia bravo anche… con le cose delicate» disse sottovoce, avvicinando il viso al mio, gli occhi puntati sulle mie labbra.
«Solo se meritano attenzione» risposi, il cuore che batteva forte, lo sguardo fisso nel suo.
Lei sorrise. Un sorriso lento, caldo, e si sporse appena per sfiorarmi la bocca con le sue labbra. Un bacio leggero, ma carico di significato. Le sue dita scivolarono sulla mia spalla, poi giù lungo il petto, con sicurezza crescente.
Il bicchiere di prosecco fu appoggiato sul tavolino, dimenticato. Laura si avvicinò ancora, le ginocchia ora piegate accanto alle mie, il corpo che premeva dolcemente contro il mio.
«Ti va…» sussurrò, con un tono appena percettibile, «se lasciamo che siano le mani a parlare?»
si avvicinò di più, le sue mani ora ferme sui miei fianchi. Con un gesto lento, deciso ma delicato, sollevò la mia maglietta, lasciando che le dita sfiorassero la pelle del mio addome, poi risalissero lungo i pettorali.
«Mmm…» sussurrò, mentre le sue mani calde mi esploravano con curiosità attenta. «Proprio come immaginavo… forti, ma morbidi al tatto. Mi piacciono così.»
I suoi polpastrelli disegnavano linee lente, accarezzavano le curve dei muscoli, indugiando vicino al cuore, come se volesse ascoltarne il battito. Il suo viso era vicino, così vicino che sentivo il calore del suo respiro contro il mio collo.
Poi alzò lo sguardo. C’era qualcosa nei suoi occhi: desiderio, sì, ma anche gioco, malizia, e una dolce sicurezza che stava prendendo il comando della situazione.
«Sai…» disse piano, avvicinando ancora di più il suo corpo al mio, «è da un po’ che non mi prendo un pomeriggio così… tutto per me.»
Le sue labbra sfiorarono il mio petto, lasciando un bacio lento, caldo. Poi un altro, più in basso.
Il suo vestito, ormai, stava per scivolare da solo.
Le sue mani si spostarono lentamente sulle spalle, e con un gesto fluido fece scivolare entrambe le spalline del prendisole. Il tessuto leggero cedette subito, scivolando lungo il suo corpo come acqua sulla pelle, rivelando ogni curva, ogni dettaglio maturo e irresistibile della sua femminilità.
Rimase lì, davanti a me, completamente nuda, ma senza alcuna fretta, senza imbarazzo. Solo consapevole della sua bellezza, della sua presenza. Il sole che filtrava dalle tende accarezzava il suo corpo come un riflettore caldo e dorato.
«Così va meglio» disse, con voce bassa, quasi un sospiro, lasciando che le sue mani scivolassero di nuovo su di me.
Mi alzai lentamente, portandole le mani sui fianchi, seguendo le sue linee morbide, il respiro che diventava più profondo, più caldo.
Lei chiuse gli occhi mentre le accarezzavo la schiena, poi li riaprì e mi attirò a sé, decisa, affamata di contatto, di pelle, di attimi rubati al mondo esterno.
E fu in quel momento che smettemmo di parlare.
Solo le mie mani parlavano. Scivolavano lente, sicure, lungo ogni curva del suo corpo caldo, morbido, vivo. Le accarezzai le spalle, il collo, poi giù lungo la schiena, fino a posarmi delicatamente sui suoi fianchi.
Lei chiuse gli occhi, lasciandosi andare al mio tocco, come se fosse esattamente ciò che desiderava da tempo. Il suo respiro rallentava e si faceva profondo, seguendo il ritmo delle mie dita che esploravano ogni centimetro, senza fretta, con rispetto e desiderio insieme.
Sfiorai le sue braccia, le cosce, il ventre. La pelle le tremava appena sotto le mie carezze, e lei si abbandonava piano, come un fiore che si apre al sole, fidandosi completamente.
Le mie mani tornarono a salire, posandosi sul seno con dolcezza. Lei emise un lieve sospiro, avvicinandosi di più, premendo il suo corpo contro il mio, cercando il calore, il contatto, la continuità del gesto.
La stanza era immersa in una luce dorata e silenziosa, il tempo sembrava essersi fermato lì con noi.
A quel punto non potevo più trattenermi. La desideravo con ogni fibra del mio corpo.
La presi per i fianchi con decisione, ma con delicatezza, leggendo nei suoi occhi il consenso silenzioso, anzi... l’attesa. Con un gesto sicuro la guidai indietro, fino a stenderla sul divano, dove la luce del pomeriggio danzava ancora tra le tende, accarezzando la sua pelle nuda.
Lei si lasciò andare, con un respiro profondo, le labbra socchiuse, lo sguardo che non si staccava dal mio. Si sistemò con lentezza, come per offrirsi completamente, in un gesto pieno di fiducia e desiderio.
Le sue mani mi cercavano, mi attiravano a sé, e le nostre bocche si trovarono in un bacio profondo, caldo, pieno. Le lingue si intrecciarono lente, mentre i nostri corpi si avvicinavano sempre di più, senza più barriere.
Il tempo, fuori, poteva anche fermarsi.
A quel punto non potevo più trattenermi. La desideravo con ogni fibra del mio corpo.
La presi per i fianchi con decisione, ma con delicatezza, leggendo nei suoi occhi il consenso silenzioso, anzi... l’attesa. Con un gesto sicuro la guidai indietro, fino a stenderla sul divano, dove la luce del pomeriggio danzava ancora tra le tende, accarezzando la sua pelle nuda.
Lei si lasciò andare, con un respiro profondo, le labbra socchiuse, lo sguardo che non si staccava dal mio. Si sistemò con lentezza, come per offrirsi completamente, in un gesto pieno di fiducia e desiderio.
Mi chinai su di lei, le mani che tornavano a percorrerla, più intense, più affamate. Le accarezzai le gambe, risalii lungo le cosce, il ventre, il seno. Ogni tocco la faceva fremere, ogni carezza era una scintilla.
Le sue mani mi cercavano, mi attiravano a sé, e le nostre bocche si trovarono in un bacio profondo, caldo, pieno. Le lingue si intrecciarono lente, mentre i nostri corpi si avvicinavano sempre di più, senza più barriere.
Il tempo, fuori, poteva anche fermarsi.
sentì il mio tocco diventare più dolce, lento, quasi un sussurro sulle sue curve. Le mani scivolavano con delicatezza, esplorando ogni centimetro della sua pelle morbida, accarezzandola come se volessi imprimere ogni sensazione nel ricordo.
Le labbra sfiorarono il suo collo, lasciando baci leggeri, mentre il mio respiro si faceva più profondo e calmo, sincronizzato con il suo. I nostri corpi si muovevano con naturalezza, senza fretta, come in una danza intima fatta solo di emozioni e desiderio.
Ogni carezza era un invito, un gioco di sguardi e sospiri, un lento avvicinarsi all’essenza di quel momento unico.
Lei mi guardò con un sorriso malizioso, quegli occhi brillavano di complicità e desiderio.
«Per i tuoi 45 anni sei virile come un toro» disse, la voce bassa e roca, carica di fascino.
Quel complimento mi fece sorridere, ma dentro di me sentivo il calore crescere, la voglia di dimostrarle che quelle parole erano più che azzeccate.
Le sue mani si posarono sul mio petto, mentre i nostri corpi continuavano a sfiorarsi in quel gioco lento e intenso, senza fretta, assaporando ogni attimo.
«Sai…» mormorò vicino al mio orecchio, «mi piaci proprio così.»
Andammo avanti tutto il pomeriggio, persi l’uno nell’altra, lasciandoci trasportare da quel legame improvviso ma intenso. Ogni sguardo, ogni tocco, ogni sorriso raccontava una storia fatta di desiderio e dolcezza.
Il tempo sembrava dilatarsi, e il mondo esterno svaniva, lasciando spazio solo a noi due, a quel momento di intimità e complicità che nessuno dei due avrebbe voluto dimenticare.
Quando finalmente il sole iniziò a calare, ci ritrovammo abbracciati sul divano, stanchi ma felici, con la promessa silenziosa di rivederci presto.
Ho cercato di renderla felice in ogni modo, ascoltando i suoi desideri e rispondendo con attenzione a ogni suo sguardo e gesto. Ogni momento insieme era un gioco di intesa e passione, un viaggio condiviso in cui il piacere di entrambi diventava l’unico obiettivo
Dopo avermi donato l’ennesimo bacio, dolce e intenso, lei si staccò lentamente, un sorriso sereno che illuminava il suo volto.
«Grazie…» disse con voce morbida, «è stato davvero bello.»
Mi lasciò andare con delicatezza, lasciando nel cuore quella sensazione di complicità profonda, di qualcosa che andava oltre le parole.
Rimasi a guardarla mentre si sistemava il vestito, consapevole che quell’incontro sarebbe rimasto impresso dentro di me per molto tempo.
Non l’ho più vista fare la spesa, e un po’ mi dispiace. Quel pomeriggio era stato un’oasi di piacere e complicità in mezzo alla routine, un attimo di magia che forse non si sarebbe più ripetuto.
A volte, però, sono proprio questi incontri fugaci a lasciare il segno più profondo, e quel ricordo resta con me, dolce e indelebile, come un segreto prezioso.
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