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Amiche troiette punite dal giardiniere


di pamyzi1
20.02.2020    |    22.498    |    13 9.8
"Lei lo prese e si apprestò a fare ciò che le veniva richiesto: fece colare della saliva filamentosa sulla cappella, poi con la lingua la spalmò con cura su..."


Il signor Lorenzo era il giardiniere del collegio, sempre affaccendato e concentrato in ciò che stava facendo, con un'aria perennemente burbera sul viso.

Il collegio aveva un grande parco, ricco di alberi secolari e grandi viali, ampie radure curate col prato all'inglese, siepi di cipresso di Leyland alte più di un uomo e grandi cespugli fioriti nella bella stagione.

Tutto questo ben di Dio vegetale, veniva tenuto in un ordine perfetto dell'instancabile signor Lorenzo, dipendente interno al collegio: come alloggio godeva di una dependance, situata accanto alle scuderie.

Oltre alla cura del parco si occupava anche della logistica della scuderie, mentre per accudire i cavalli veniva ogni giorno uno stalliere dall'esterno.

Lorenzo era un uomo corpulento e massiccio di una cinquantina d'anni, dotato di un viso quadrato adornato da una folta barba rossa, i capelli li teneva praticamente rasati a zero.

Era una sorta di factotum, se sorgeva un problema di ordine pratico all'interno della struttura, veniva chiamato lui a occuparsene.

Spaziava dall'idraulica all'impiantistica elettrica, abile a interventi di manutenzione edile o decorazione, sovente lo vedevi girare in tuta con una cassetta d'attrezzi a tracolla.

Quando l'erogatore della doccia, nel bagno della camera che dividevo con Marika, la mia compagna, iniziò a sputare l'acqua a singhiozzo inondando il pavimento, intervenne lui per sistemarlo.

Era anche un gran ficcanaso il nerboruto signor Lorenzo: in quella occasione non si era limitato alla riparazione idraulica, ma approfittando del fatto che fossimo impegnate a lezione, si mise a curiosare tra le nostre cose.

Quella mattina saltammo l'ultima ora di insegnamento per via di una indisposizione della docente di Storia, quindi ci fu permesso di rientrare nelle nostre stanze con un'ora di anticipo.

Marika e io, giungendo alla camera, ci accorgemmo subito della sua presenza per la cassetta degli attrezzi che giaceva, aperta, accanto alla porta socchiusa del bagno.

Era evidente che il signor Lorenzo fosse li, intento al suo lavoro, stranamente però non si udiva alcun tramestio che segnasse una qualche attività in opera.

Per la verità il silenzio era totale e dallo stanzino non proveniva neppure un respiro.

Anche noi entrando dovevamo essere state assai silenziose, perché lui non dava segno di essersi accorto della nostra presenza.

Poi percepimmo un lieve, quanto misterioso gorgoglio, un rumore del tutto simile a quello dei neonati durante la poppata.

A quel punto ci guardammo con aria interrogativa, e Marika sicuramente più sveglia di me intuì al volo l'anomalia della situazione: mi fece cenno. con un dito sulle labbra, di tacere e non fare rumore.

Insieme, in punta di piedi, scivolammo silenziose sulla moquette della stanza e ci apprestammo allo spiraglio della porta del bagno.

Ciò che apparve ai nostri occhi fu stupefacente: il signor Lorenzo stava seduto sul coperchio chiuso della tazza del water e teneva in una mano Big Tom, il nostro dildo di lattice nero.

Lo annusava intensamente passandoci sopra la lingua, poi se lo cacciava in bocca e iniziava a surgerlo con grande soddisfazione, mentre, dalla patta aperta, si ergeva il sesso eretto che stava lentamente carezzando.

Era piuttosto dotato il nostro giardiniere: non tanto in lunghezza, benché fosse di una misura di tutto rispetto, ma piuttosto nel diametro, considerato che possedeva mani grandi e robuste, quell'arnese, non riusciva racchiuderlo col pugno.

Sconcertate, a bocca aperta. restammo a osservare quel lento lavorio della mano su quel sesso asinino.

Mai avremmo supposto tanta lascivia in quell'uomo dall'aspetto così serio e misurato, deducemmo che avesse frugato tra le nostre cose e negli armadietti del bagno, perché Tom lo tenevamo ben occultato in un sacchetto di velluto rosso, al fondo del cassettino degli assorbenti igienici.

Lo annusava ad occhi chiusi, inalando il profumo residuo lasciato dai liquidi delle nostre fighette, quando ci riempivamo il sesso pompandocelo dentro, poi lo leccava golosamente, per gustarne il sapore stuzzicante.

Che porco! Si segava pensando che quel cazzo di gomma ci aveva slabbrato le fighette ed il buchetto del culo, come certamente avrebbe voluto fare lui potendo averci alla mercé delle sue voglie.

Nell'atto autoerotico faceva scivolare la pelle su e giù lungo il membro, il glande, grosso come il pomo d'ottone di un letto, era paonazzo e traslucido, a tratti faceva colare un filo denso di saliva nel palmo della mano per lubrificare quel suo piacere solitario.

Data la posizione discosta del water, lui non sedeva frontalmente alla porta, pertanto potevamo osservarlo non viste.

Dio quanto era porco, e quanto era maschio!

Purtroppo eravamo molto giovani e con gli ormoni in effervescenza, non capitava sovente di assistere a una masturbazione maschile, né di osservare un sesso di quelle proporzioni teso e turgido un quel modo, nostro malgrado quella visione tanto sconcia iniziò a turbarci.

Marika rossa in viso e accaldata, respirava come dopo una lunga corsa: per quel che la conoscevo, stava già inzuppando le mutandine di succo.

Io non ero da meno, sentivo una vampata di calore all'interno delle cosce e un siero liquido iniziava a rendermi appiccicose le labbra della vagina.

Eravamo in uno stato di trance, allibite e incerte sul che fare: nel restare a guardare c'era il pericolo che volgesse lo sguardo nella nostra direzione e ci scoprisse, per contro, nel tentare di lasciare la camera, c'era comunque il rischio di creare un qualche rumore e rivelare la nostra presenza.

Stavamo in bel guaio, di fatto benché avessimo scoperto quel lato, assai biasimevole, del signor Lorenzo, lui aveva scoperto l'esistenza del nostro dildo Tom, che solo per il fatto di averlo introdotto nel collegio, rappresentava una seria motivazione per generare la nostra cacciata da esso.

Nell'incapacità di muoverci, ci sentivamo combattute da sentimenti ambigui: la paura d'essere scoperte si univa all'attrazione morbosa per quanto stavamo vedendo, rendendo più pruriginosa la voglia di continuare a guardare.

Marika, esasperata dalla tensione e dallo spettacolo di quel membro nodoso che veniva carezzato in quella maniera oscena, non riuscì più a contenersi: prese fiato e senza il minimo fruscio, sollevo la corta gonnellina a disegno scozzese, infilò il pollice nell'elastico degli slippini e li fece scivolare alle ginocchia, poi sbottonò la blusa e fece emergere le tette dal bordo del reggiseno.

Iniziò a stringersi i seni con forza, plasmandoli come pasta frolla: non li aveva voluminosi come i miei, ma possedeva capezzoli grossi e scuri, ben disegnati, turgidi come fragole mature.

Mentre li strizzava tra i polpastrelli, a capo chino, ci passava la lingua insalivandoli, poi iniziò a maneggiarsi la fighetta slabbrandola con con le dita tese.

Si mordeva le labbra la troietta, le aveva vermiglie di saliva, era piena di voglia: completamente partita, le dita torturavano il clitoride ed erano già zuppe di secrezioni dense.

Vederla dilatarsi la fica e guardare il cazzo, duro allo spasimo, di quel maiale che si masturbava mi procurò una vertigine: mi sentì improvvisamente eccitata in maniera vergognosa.

La situazione era incandescente, non ce la facevo più a resistere: desideravo che quel cazzo mi sbattesse la fica fino a farmi male, lo volevo in bocca per succhiarlo e sentirne il sapore animale, desideravo sorbire le goccioline mielate che stillava alla sommità del glande, leccargli lo scroto, infilargli tutta la lingua nel culo, se me lo avesse ordinato.

Volevo che me lo affondasse in gola fino alle palle, dandomi della troia, mentre glielo riempivo di bava calda e filante.

Presa da un raptus scostai le mutandine e affondai le dita nella mia carne già frolla e vischiosa, presi a stringermi la nocciolina del clitoride, volevo farmi male, squirtare nella mano e godere.

Piegai le ginocchia, calai ai piedi le mutandine e con il sedere all'infuori, mi leccai due dita e le affondai lentamente nel buchetto dell'ano, lo sfintere si dilatò morbido a riceverle.

Le ruotai all'interno, procurandomi un lieve struggente spasimo, un labile diaframma al confine col calore del piacere: avrei voluto il cazzo del signor Lorenzo con la sua grossa cappella ad allargarmi il budello in quel momento.

Mi sentivo così lasciva e sudicia, degna di quel depravato maiale e di quel sesso che non riuscivo a smetter di guardare, accrescendo la mia voglia di godere e di dilatarmi la fica con tutta la mano.

Non so dire se il gemito sfuggì dalle mie labbra o da quelle della mia compagna, ma ruppe in maniera nitida quel silenzio umido dei respiri e dei nostri umori.

Lorenzo lo sentì, sollevò il capo, ci vide: gli occhi mandavano bagliori di un fuoco cattivo.

Scattò in piedi cercando di riporre il suo coso duro nella patta dei pantaloni.

Dopo forsennati tentativi privo di successo, paonazzo in volto, con gli occhi che mandavano scintille al pari di un Cerbero infernale, imprecando in maniera sacrilega, ebbe alla fine ragione del riluttante e rigidissimo orpello, riuscendo a riporlo nella sua custodia.

Quando ebbe ritrovato una parvenza di decenza, rivolse la sua funerea attenzione a noi che, per la rapidità con cui tutto era accaduto, non avevamo trovato modo neppure di tirarci su le mutandine.

Lui irruppe nel riquadro della porta, squadrandoci dall'alto del suo metro e novanta, con un misto di disgusto e collera dipinto in viso che non prometteva nulla di buono.

Noi sembravamo essere vittime di un maleficio che ci aveva pietrificate: gli occhi sbarrati, le facce congestionate e sconvolte, le mutandine abbandonate intorno alle caviglie, piene di timore e vergogna, prossime alle lacrime.

Tentammo di balbettare qualche squittio di scuse che lui, inesorabile, mise a tacere con una sola scudisciata d'occhi.

L'espressione arcigna del signor Lorenzo con la sua barba color fiamma, unita all'imponenza del fisico, evocava l'idea di una antica divinità barbarica, dotata di potenza e ferocia disumane.

- Piccole troiette, così vi piace guardare, oltre che slabbravi le fiche con questo cazzo di gomma...Vero? -

La voce baritonale esprimeva una rabbia trattenuta a stento.

- Puttanelle, vi godevate lo spettacolo e intanto vi allargavate i buchi con le dita. Ma bene!. -

Con un balzo raggiunse l'uscio alla stanza, diede due giri di chiave alla toppa e infilò la chiave in tasca.

- Ora che nessuno può venire a disturbarci, vi farò togliere la voglia di cazzo che vi infiamma le cosce e il vizio di spiare. Parola mia. -

Una luce di selvaggia crudeltà gli brillava negli occhi, un brivido d'angoscia ci corse lungo la schiena: eravamo terrorizzate da quello che avrebbe potuto farci, come dall'idea che potesse denunciare alla Preside di aver trovato quel fallo di lattice nel nostro bagno.

Poteva tranquillamente negare la realtà di ciò che avevamo visto ed essere creduto, per la semplice ragione che godeva di fiducia e credibilità pluridecennali, mentre l'unico fatto certo era l'esistenza del dildo Big Tom trovato nel nostro bagno.

Aveva sul viso un ghigno di rancorosa cattiveria, l'essere stato scoperto in quella sua perversione lo mandava letteralmente in bestia.

- Meritate una severa punizione e io vi infliggerò un giusto castigo per la vostra condotta di lascive troiette -

Ci prese con violenza entrambe per un braccio e ci costrinse a stenderci di traverso su uno dei nostri letti, lasciando che le ginocchia toccassero il pavimento.

Si posizionò in mezzo a noi, in piedi alle nostre spalle, ordinandoci di restare in assoluto silenzio, poi volle che portassimo le braccia conserte sotto al mento, come se ci accingessimo a dormire.

Ma non aveva certo intenzione di farci riposare, aveva ben altri progetti quel perverso maiale.

Infatti lo sentimmo armeggiare alle nostre spalle: io con la coda dell'occhio intravidi che si stava slacciando la cintura dei pantaloni, poi li calò scalcandoli più in là nel pavimento, restando nudo dalla cintola in giù.

Si chinò a strapparci dalle caviglie le mutandine, lo sentimmo inalare profondamente: beandosi del profumo, ancora fresco, delle nostre fiche, che le avevano sporcate.

Ci sollevò gonnelle sulla vita, poi prese i nostri cuscini e li sistemò sotto le nostre pance, lasciandoci col bacino sollevato e le natiche in bella vista.

Eccitato da quella visione, sempre di sottecchi, vidi nuovamente crescere quell'organo d'animale che gli pendeva fra le cosce.

- Ora vi scalderò questi bei culetti piccole bagasce. Guai a voi se sento un solo strillo. -

Detto questo, fece delle piccole palle delle nostre mutandine e ce le cacciò in bocca per ammutolirci.

Sentimmo le sue mani callose e ruvide percorrere le nostre cosce dall'incavo delle ginocchia alle fessure delle nostre topine.

Ci palpò con cura le natiche tastandone la carnosa consistenza.

- Avete bei culi sodi, molto invitanti. Sono perfetti per essere castigati, e pronti per ricevere dei grossi cazzi. Chissà quanti ne avrete già presi, sporcaccione come siete. -

Sogghignava e provava gusto nell'insultarci, intanto le sue dita, nodose come rami di noce, ispezionavano con avida ingordigia i nostri buchetti ancora bagnati e morbidi per le carezze a cui ci eravamo abbandonate.

Così, nostro malgrado, ci trovò già pronte e disponibili ad accogliere quelle lascive intrusioni: le sue dita affondavano, sguazzando in noi, con la cedevolezza del burro fuso.

Non pago di quegli smaneggi osceni, ci impose di divaricare la cosce, in tal modo risultavano impudicamente esposti il solco tra le natiche e le nostre fighe tutte aperte.

Poi iniziò il nostro castigo: Marika ricevette il primo colpo di cintura, la sentì sussultare, irrigidendosi affianco a me, ma morse le mutandine ed emise solo un lungo, sofferente, sospiro.

Il secondo colpo fu per me, ma non fu immediato, il signor Lorenzo lascio trascorrere qualche interminabile secondo, in maniera da accrescere l'ansia di riceverlo.

Lo fece con perfida, con intenzione, di certo aveva una certa esperienza di quelle punizioni e di come gestirle, non eravamo sicuramente le prime due collegiali che provavano il morso della sua cintura, ero certa che la cosa lo eccitasse molto.

La punta della cinghia mi colpì nel solco tra le natiche, un bruciore intenso mi morse la carne: addentai le mutandine per non esplodere in un urlo.

Mi sentivo come racchiusa in una bolla di paura e sensazioni confuse, nella stanza si percepivano solo gli ansimi dei nostri fiati, e il sibilo sordo del respiro di maiale in fregola, di quell'energumeno.

Era immersa in una specie di sogno o meglio di incubo, potevo solo serrare gli occhi, mordere il tessuto che avevo in bocca e attendere la prossima staffilata.

La cosa proseguì distribuendo equamente le scudisciate tra me e la mia compagna di sventura, ne contammo una decina a testa.

Non si limitava a colpirci le natiche, era molto abile, infatti, nel calibrare quei colpi: sapeva centrare con la punta della cintura ora il buchetto del culo, ora lo il solco delle grandi labbra delle nostre vulve.

Quando le colpiva si dischiudevano come un fiore dai petali sgualciti e frementi, il bruciore era intenso, ma dopo un po' avvenne una sorprendente trasformazione nella mia percezione fisica.

Non era più solo dolore, anzi la carne intorpidita ora si accendeva come per uno stimolo indecente, una carezza acuta, rude, rivelando nel profondo un crudo, insano, retrogusto di piacere malato, masochistico .

Ne fui allarmata, la natura di quella sensazione mi era incomprensibile: avrei dovuto desiderare di fuggire da quel castigo, o che avesse termine nella maniera più rapida possibile.

Ma non andava così, quasi senza rendermene conto divaricai maggiormente le cosce, affinché potesse colpirmi con più agio.

Sentivo crescere il desiderio inconfessabile che, dopo ogni colpo, il signor Lorenzo mi strizzasse il clitoride tra due dita, per accrescere quella sensazione sfinente che si tramutava in una scossa di calore ai terminali nervosi dell'ano.

La fica mi pulsava in un crescendo di contrazioni, sentivo che iniziavo a secernere liquidi come la corolla di un fiore tropicale nel calore di un sottobosco.

Allora, trasgredendo i suoi ordini che imponevano l'immobilità, portai una mano sotto il ventre e iniziai a toccarmi il sesso: ero umida come una susina matura aperta in due.

Il signor Lorenzo credette fosse un tentativo di proteggermi dai colpi e mi richiamò duramente, ma poi osservando quel movimento di affondo della dita, unito al languore dei miei sospiri, comprese con stupore, che mi stavo masturbando mentre lui mi puniva.

- Che piccola cagnetta viziosa. - Disse con un rantolo di soddisfazione.

- Ti piace essere castigata, è vero? -

- ...Signor Lorenzo, ho tanta voglia. Guardi la mia fighetta: è tutta aperta e bagnata. La prego continui, mi frusti la fica, ho tanta voglia di godere..."-

- Te la farò diventare rossa quella figa polposa, sudicia puttanella. Forza troietta: tienila aperta con le dita. -

Portai entrambe le mani sotto a spalancare il sesso, protesi il culo all'insù affinché le labbra disgiunte sporgessero all'infuori, per meglio ricevere le cinghiate.

Si produsse in una nuova serie di frustate, avevo il clitoride in fiamme e brividi intensi, se mi fossi toccata con vigore, sarei giunta all'orgasmo.

Lorenzo aveva il volto trasfigurato dalla lussuria, paonazzo e accalorato, con quella barba ramata pareva che l'intera testa stesse prendendo fuoco: grondava sudore dalla fronte, mentre il sesso era congestionato dal turgore e goccioline candide, gli brillavano sulla punta dell'uretra

Allora prese per i cappelli la mia compagna e le trascinò bruscamente la testa davanti al mio sesso.

- Leccala! - Disse secco e autoritario.

Sentì la lingua calda di Marika spalmarsi sulla figa: la punta penetrò tra le grandi labbra fendendole e affondò nella morbidezza liquida delle mucose.

Poi salì a ripetere la stessa carezza col mio ano, lo vellicò insalivandolo con foga: la porcella ci prendeva gusto, sapevo quanto le piacesse leccarmela.

Fu un lavoro impetuoso, sfrenato, di labbra e saliva che si mescolava alle mie secrezioni allagando l'interno delle cosce, il suo viso era completamente affondato nella mia carne.

Dio come ciucciava bene quella troietta, era abituata a succhiare la fica, la porca.

Inarcando il bacino, spingevo il pube verso la sua bocca: desideravo che mi mordesse, che si cibasse del mio sesso frollo e tumido: Invocai che mi penetrasse con le dita, e lei mi esaudì prontamente, usandone quatto serrate strette, alternandole frenetiche a quella lingua golosa.

In un bagliore vidi che nelle mani del signor Lorenzo era comparso il nostro dildo Tom, ora sorrideva con un ghigno bestiale e aveva gli occhi sbavanti di lascivia, parlò rivolto a Marika:

- Brava!Piccola cagna. Ora prendi questo e fammi vedere come giocate tra di voi, quando siete vogliose di cazzo. - Le mise in mano il dildo nero.

Lei lo prese e si apprestò a fare ciò che le veniva richiesto: fece colare della saliva filamentosa sulla cappella, poi con la lingua la spalmò con cura su tutta la lunghezza: aveva un'espressione dissoluta, era così divinamente puttana, l'incarnazione di una dea lussuriosa, le avrei leccato la figa fino a farmi male alla lingua.

Iniziò a strusciarmi lentamente la cappella di Tom sul mio clitoride, mi sentivo liquefare di voglia, mossi il bacino verso lei e chiusi gli occhi, in attesa che iniziasse ad infilarmelo dentro: lo sentì scivolare lentamente, era grosso, mi sentivo riempire, stavo carponi con la testa affondata nel letto e il bacino in alto, ansimavo come una cagna alla monta.

Marika sapeva maneggiare quel dildo in maniera fantastica: lo ruotava, nell'introdurlo in nella voragine rovente di desiderio del mio sesso, iniziò a spingerlo avanti e indietro con un ritmo controllato e continuo, rumori liquidi e osceni si producevano nella costanza di quel movimento.

- Più forte Marika! Più forte, fammi godere! Tesoro. – La mia voce era un'invocazione delirante.

Lei continuando si sporse in avanti e sentì la punta della sua lingua forzare la rosetta del mio ano, stavo letteralmente impazzendo .

Il vecchio porco era infoiato come un mandrillo, era chiaro che aveva voglia di affondare quel grosso cazzo nei nostri buchetti morbidi e succosi, non più pago di assistere passivamente a quella scena eccitante, decise di prendere l'iniziativa: si parò col membro in mano davanti al mio viso :

- Prendilo in bocca troietta, fammi sentire come sei brava a succhiare il cazzo vero, oltre che giocare con quell'affare di gomma. –

Mi prese la testa tra le mani e mi spinse il membro fra le labbra.

Puzzava di un afrore ripugnante, sudore e cattiva igiene da mozzare il fiato.

Vedendo che nicchiavo, restia ad aprire la bocca, mi strinse le narici con una presa delle dita, fui costretta per respirare a spalancarla: il suo grosso cazzo mi scivolò sulla lingua, la cappella toccò il fondo del palato e sfiorò l'epiglottide.

Un conato di vomito mi riempì la bocca di saliva, gli inzuppai la verga ed i testicoli, lui con fredda indifferenza, tenendomi ferma la testa con le mani, prese a scoparmi la bocca.

La sua faccia era una maschera scomposta di concupiscente, volgare, soddisfazione: mi stava usando, come la più squallida delle puttane.

Ma non sopportavo più che mi reggesse la testa come fossi una bambola di gomma, la scossi e afferrai il suo membro con la mano: tenendolo lo guidai nella bocca, feci scorrere la pelle lungo l'asta madida di saliva, mi scivolava nel pugno, tesa e innervata, come un'anguilla.

Gli frullai la lingua dal prepuzio ai testicoli, gli risucchiai il glande tutto in bocca, poi tornai in giù ad accogliere i testicoli rugosi nel cavo orale.

Il pompino dovette piacergli un sacco, mugolava come un maiale felice nel letame, mi lasciò fare, carezzandomi i capelli.

- Brava la mia puttanella, che sa succhia il cazzo così bene. –

Marika aumentava la cadenza col dildo e la lingua: avevo le scosse nervose che precedono l'orgasmo, mugolavo come una scrofa in estro.

Il grosso porco calvo, a quel punto ebbe una nuova fantasia, mi tolse il cazzo di bocca e mi ordinò di voltarmi verso la mia compagna.

- Voglio che vi guardiate negli occhi mentre sborro, piccole bagasce. –

Così dicendo tolse Tom dalle mani della mia amica, lo bagnò di saliva e me lo introdusse nel culetto: mi sfuggì un gemito, mentre lo spingeva al fondo del budello, dovetti stringere i denti, mentre quella grossa gomena nera mi dilatava lo sfintere in maniera meravigliosa, ne lasciò sporgere fuori solo due dita.

La bocca di Marika si incollò alla mia, la sua lingua mi cercò frenetica, gliela catturai con le labbra e iniziai a succhiargliela, aveva la bocca che sapeva della mia fica, era il mio gusto che stavo leccando.

Mentre limonavamo, Lorenzo passo alle sue spalle e le assestò due sberle potenti sulle chiappe: gliele scostò con le mani e lasciò scendere un filo di saliva sull'ano.

Affondò poi il grosso pollice nel buchetto, slabbrandoglielo, quindi portò il dito alla bocca per gustarne il sapore e tornò a ripetere l'operazione precedente.

Marika lanciava fievoli gridolini e profondi sospiri, quando reputò di aver dilatato a sufficienza l'anello dello sfintere, ci puntò sopra la grossa cappella e agevolandosi col solito pollice iniziò a spingerla dentro.

L' urlo della mia amica, quando quel grosso membro nodoso le sprofondò nel retto fino ai testicoli, venne smorzato dalle mie labbra incollate alla sua bocca, lui grugnendo con un brontolio sordo inizio a sodomizzarla.

La penetrava con affondi possenti, lei guaiva piano, come un cucciolo ferito: quei lamenti lo eccitavano e prese a pomparla con ancora maggior foga.

Grosse gocce del sudore che cadevano dalla fronte di lui, si spargevano sulle natiche e sulla schiena della ragazza.

- Ti sto rompendo il culo troietta, ti piace questo grosso cazzo? Lo senti come ti sta sfondando? Era da molto che ne sognavi uno così vero? –

Ansimava il maiale in un crescendo di foia animalesca.

Marika subiva quella sorta di stupro ad occhi chiusi, concentrata nelle sensazioni voluttuose e violente che le rimescolavano il ventre e l'anima.

- Ohh!!! Sììì, mi fotta il culo... Più forte la prego!... -

Non ce la facevo a stare a guardare passivamente: mi spostai portandomi col bacino davanti al suo viso e con le cosce strette alle sue guance le incollai nuovamente la fica alla bocca.

Lei iniziò immediatamente a leccarmi e succhiare il mio brodino sapido come una bestiola assetata, con la mano si assicurava che Big Tom non uscisse dal mio culetto irrorato di liquidi e saliva.

Lorenzo la stava letteralmente sfondando, mentre annegava nella mia figa, Marika invocò fremente:

- Mi piace! Continui. Non smetta Signor Lorenzo...Nooh! -

Soffocava il suo lamento affondando la bocca fra le mie cosce, era in bilico sulla corda sottile del piacere, stava per venire, e io con lei.

Vidi gli occhi del nostro carnefice dilatarsi in una tensione parossistica che esplose in un rantolo di bestia, diede dei sussulti d'affondo nel budello di Marika, il suo seme eruttò a fiotti caldi nell'intestino di lei.

Era così abbondante che rivoli candidi tracimarono del retto della mia amica, mentre lui le era ancora affondato nelle mucose, incapace a staccarsi come per il nodo di un cane in orgasmo.

Marika venne, accasciandosi nel mio grembo: gli ultimi affondi del dildo, inferti col ritmo scomposto dalla manonel profondo del mio culo, mi fecero precipitare in una fornace di piacere orgiastico.

Urlai il mio orgasmo tremando come una foglia, fu come una scossa elettrica ad alto voltaggio che mi avesse travolta, lasciandomi esanime e boccheggiante sul letto.

Un silenzio appagato scese sulla stanza, ne vedevo i contorni confusi e sfumati, l'odore del sesso consumato impregnava l'aria dell'ambiente: sudore, sperma e afrori di liquidi corporei, aleggiavano come una caligine densa su di noi.

- Dunque piccole sporcaccione, voglio essere magnanimo con voi: vi propongo una mediazione. Preferite che denunci le vostre lussuriose abitudini alla Presidenza del collegio, o decidete di accondiscendere a soddisfare le mie richieste ogni volta che ne avrò desiderio in futuro?-

La sua voce era insinuante, non era un baratto quello, era un infame ricatto.

- Se accettate avete 10 secondi da ora per rispondere. - Aggiunse con una nota di goduta cattiveria.

Non ci guardammo neppure, eravamo soggiogate: le nostre teste si mossero all'unisono in un cenno di assenso.

Che altro avremo potuto fare?........per commenti [email protected]
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