Gay & Bisex
Il carcere “nero”


30.05.2025 |
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"L’arresto, i neri, il pompino e quella frase… domani ecc ecc
Al mattino veniamo svegliati dalle guardie per la conta del mattino..."
Era un po’ che vivevo una vita borderline tra legalità e piccoli reati. Non avevo compiuto ancora 20 anni e vengo arrestato per un furto e alle ore 18,00 del primo giorno di primavera mi trovo rinchiuso nell’ufficio matricola di un vecchio carcere di provincia.Emozioni fortissime, senso di smarrimento, incapacità ed inesperienza di sentirmi rinchiuso e tanta, tanta paura.
Dopo le formalità di rito, mi ritrovai rinchiuso in una stanza, in attesa dell’assegnazione di una cella con un uomo sulla sessantina che a giudicare dalla confidenza con i secondini, credo, fosse un assiduo frequentatore del luogo e tre uomini di colore di mezza età (indecifrabile). Il tempo non passava mai e, non so bene per quale motivo, alle 21,00 eravamo ancora lì dentro. I tre colore parlottavano tra loro in un idioma incomprensibile, che poi ho saputo essere congolese, mantre l’altro italiano, a parte aver scambiato con me 4 parole di circostanza, giocava e scherzava con i secondini che passavano davanti al cancello che chiudeva la stanza. Li chiamava tutti per nome e loro ricambiavano con la stessa confidenza.
Verso le 21,30 vengono a prendere l’italiano per accompagnarlo alla cella a lui assegnata.
Il tempo scorreva con una lentezza infinita e, finalmente, vengono a prendere anche noi. Mentre ci portavano alle rispettive celle, il secondino mi dice che le celle degli italiani erano tutte piene e mi avevano assegnato ad una cella “mista”.
Non diedi molta importanza alla cosa, volevo solo sdraiarmi e cercare di rilassarmi e smettere di pensare.
Entro nella cella a me assegnata, terzo piano cella numero 59. Saluto e vengo ricambiato, noto che c’erano 5 persone. 4 neri di età variabile dai 35 ai 60 anni ed un cinese, molto giovane (avrà avuto la mia età). I neri erano seduti al tavolo e bevevano “tavernello” parlottando tra loro. Il cinese era sdraiato sul letto e leggeva.
Mi preparo il letto, mi sdraio e mi rendo sempre di più conto di che cazzata avevo fatto. Mi sembrava surreale essere chiuso là dentro, con degli sconosciuti. Mi veniva da piangere, ma reagivo e mi dicevo che dovevo affrontare le conseguenze delle mie azioni.
Alle 23,00 si aprì la cella, entrarono 2 secondini per fare la conta dei detenuti e battere le grate alle finestre.
Poco dopo si spensero le luci, ma nulla cambiò all’interno di quella stanza, se non che il cinese smise di leggere. Notai che a cadenza fissa come le doglie di un parto, uno dei ragazzi di colore guardava il cinese ed accennava un sorriso malizioso.
Questa dinamica distolse i miei pensieri e si volsero a questo scambio di sguardi. Dopo pochi minuti il nero si alzò, e si andò a sedere sul letto del cinese che rimase sdraiato. Iniziarono a parlare sottovoce in un italiano stentato e vidi il nero infilare la mano dentro il pigiama del cinese accarezzandogli le natiche. Incrociai lo sguardo del cinese che sembrava in imbarazzo ma non meravigliato, come chi non subiva quelle attenzioni per la prima volta. Il nero si aprì i pantaloni e tirò fuori un arnese di tutto rispetto e prendendo la testa del cinese la posizionò per agevolare un pompino. Dopo poco il nero si sdraiò e fece chinare il cinese, da fuori il letto, per continuare il pompino. Il cinese non pareva disdegnare la cosa, se non per l’imbarazzo della mia presenza. Dopo un po’ un’altro nero si alzò, toccandosi il sesso ancora non perfettamente turgido, si avvicinò al cinese e lo posizionò a 90 gradi, facendolo continuare a spompinare, gli abbasso i pantaloni del pigiama e lo penetrò. Dopo pochi gridolini di dolore, il cinese emetteva solo gemiti di piacere.
Il terzo nero si godeva lo spettacolo e, ogni tanto mi guardava e sorrideva. Ero imbarazzato da quegli sguardi, ma anche eccitato da quelle attenzioni. Il nero continuava a godersi lo spettacolo, guardarmi e cominciava a toccarsi. Avevo già risolto i miei problemi di identità sessuale adolescenziale e molte esperienze omosessuali, ma in quella situazione ero imbarazzato, non sapevo che fare, ma il pensiero del nero mi eccitava. Dopo poco lui mi guarda e mi fa cenno di andare da lui. Ho eseguito come in preda ad una forza che mi spingeva verso di lui. L’ho raggiunto e senza parlare si tira fuori l’arnese, si siede sul tavolo, mi prende la testa ed inizio a succhiarlo, leccarlo e pomparlo con una golosa arte. Diventava sempre più grande e più duro. A lui piaceva perché lo sentivo rilassato, poi comincia a spingerlo sempre più in fondo. Lo sentivo entrare fino alla gola e più spingeva e più godevo. Non sapevo chi fosse, da dove veniva e neanche il suo nome, non conoscevo la sua storia ma ero lì a farmelo spingere in gola come una cagna in calore. Sono venuto senza toccarmi e continuando a succhiare quell’arnese enorme, color dell’ebano. Dopo un po’, mentre continuava a spingerlo in gola, ho cominciato a sentire le vibrazioni che sono il preludio del momento topico del godimento. Mi prende la testa con le mani e dopo qualche colpo ben assestato ho sentito la gola riempirsi del suo caldo sperma. Un fiume in piena, scendeva nella gola e colava dai bordi della bocca, piena, colma del suo godere. Si ferma e io continuo a leccargli la cappella fino a quando è pulita e lucida. Mi fa una carezza sulla testa, si ricompone e va a sdraiarsi sulla sua branda, non prima di avermi detto che l’indomani mi avrebbe portato un suo amico a cui piacevano i tipi come me. Dopo un po’ eravamo tutti nelle rispettive brande. Pensavo che tra loro doveva esserci una specie di gerarchia, perché gli altri non si sono avvicinati a me, eppure mi guardavano mentre lo succhiavo, avrebbero potuto, ma non lo hanno fatto.
La notte ho avuto un sonno movimentato, un turbine di emozioni che avevano minato il mio già precario stato d’animo. L’arresto, i neri, il pompino e quella frase… domani ecc ecc
Al mattino veniamo svegliati dalle guardie per la conta del mattino. Il tempo di andare in bagno ed il cinese già aveva preparato il caffè. Seduti al tavolo, lo ringrazio per aver preparato il caffè, ma il nero mi ha detto che non dovevo ringraziarlo, era il suo dovere. Preparare pasti e colazione e fare letti e pulizie. Tu farai altre cose. Tutti qui hanno un ruolo. Mi sono ben guardato dal chiedere quale fosse il mio compito. Ho solo capito che ero in un posto, rinchiuso con gente che non sapevo chi fossero e, meno domande facevo e meglio era.
Alle 08,30 hanno aperto le porte per la socialità, i primi due neri erano appena usciti e, mentre mi accingevo ad uscire il nero mi ferma e mi dice di aspettare, andava a chiamare il suo amico e sarei uscito dopo.
Nel giro di 5 minuti torna con il suo amico. Nero, basso, grasso (molto) avrà avuto 55/60 anni. Mi saluta e mi guarda, come si guardano gli animali al mercato delle vacche e sorridendo guarda il nero, annuendo con un mezzo sorriso. Gli dà 4 pacchetti di sigarette e 2 confezioni di Tavernello da 250 cc. Il nero si avvicina a me e mi dice “ fai tutto ciò che ti chiede”, fa uscire il cinese e lui si mette sulla porta.
Lui si avvicina, mi toglie la maglia e comincia a baciarmi sul collo e con le mani mi accarezzava i glutei. Si toglie i pantaloni e, nonostante la pancia enorme e tutto quel grasso, aveva un cazzo dignitoso, non eccessivamente lungo, ma una circonferenza invidiabile ed una cappella enorme. Mi fa inginocchiare e mi invita a succhiarglielo. Facevo quasi fatica a farlo entrare in bocca quanto era largo, ma quella enorme cappella ripagava tutto il resto. Lo succhiavo con avidità e leccavo la sua cappella gonfia, enorme, durissima. Mi piaceva succhiarlo. Dopo un po’ mi fa alzare e mi toglie i pantaloni, mi fa sdraiare sulla branda e allargandomi i glutei comincia a leccarmi il culo, con maestria e avidità. Sentivo la sua lingua insinuarsi nel mio buco come a volermi sodomizzare. Leccava e grugniva avido e peccaminoso. Mi tira su, sentivo il buco umido, mi mette a pecorina sulla branda, si bagna le dita e le infila dentro di me. Prima una, poi due ed infine tre. Le leccava e lubrificava con la saliva e le ficcava dentro di me, allargando il mio buco già pronto e accogliente per quella enorme cappella. Sento la sua cappella umida insinuarsi dentro di me, piano piano. A piccoli colpi che guadagnavano l’ambita meta. Sentivo un dolore fortissimo, lancinante che sembrava volermi spaccare in due. Al fine con un colpo ben assestato lo infila tutto dentro e comincia un andamento lento che tramuta il dolore in piacere e più si muoveva e più lo sentivo tutto dentro di me, godendo di quell’enorme cappella che si era impadronita del mio corpo e delle mie sensazioni. Aumentava il ritmo e grugniva fino a sentire il calore del frutto del suo godimento riempirmi. Ha finito, si è rivestito e mi ha lasciato lì con il suo sperma che colava dal mio culo. Il nero che era sulla porta è entrato e mi ha detto “brava, sei stata una puttana obbediente”. Vedrai che ti divertirai, sarai la puttana della cella, ti venderò per sigarette, vino o cose da mangiare e per tutto quello per cui possiamo barattare il tuo corpo. Mentre mi lavavo, ripensavo a quelle parole, “sarai la puttana della cella”. Quindi il mio ruolo era fare la puttana da barattare con le utilità che possono circolare nel carcere.
Sono stato in quella cella per 70 giorni e non ho contato quante volte hanno comprato le mie prestazioni. Il carcere è una brutta esperienza, sentirsi chiudere la porta dietro le spalle e non poter uscire è devastante, però non posso dire che l’esperienza è stata del tutto negativa. Quando si chiudeva quella porta si apriva un mondo di sesso duro, umiliante e rude. Proprio come piace a me.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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