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Gay & Bisex

La palestra e Marco. Atto secondo


di Japu75
12.09.2023    |    8.797    |    10 9.8
"Quanta voglia - mi disse dopo - aveva di me quella sera..."
La seconda settimana di palestra è iniziata senza vedere Marco nemmeno per un minuto. Al suo posto si alternavano altri ragazzi, al punto che pensai stesse male. Al biondino di turno del mercoledì, rispondente al nome di Daniele, chiesi notizie ma non mi sapeva dire nulla, liquidandomi alla mia insistenza con un fanculo velato.
La non-presenza di Marco non mi dava accesso allo spogliatoio “privato” e così a fine turno le alternative erano: farsi la doccia comune con altri oppure andare a casa. Ho sempre optato per la seconda, dato che ho sempre provato vergogna a stare nudo in luoghi dove altri uomini nudi stavano più o meno a loro agio.
La sera del giovedì, uscendo dalla palestra, pioveva. Non una pioggia torrenziale, ma una pioggerella fredda e fastidiosa. Dato che stavo a tre isolati da lì, non ho mai nemmeno pensato di prendere la macchina e mi spostavo a piedi. Ovviamente senza alcun ombrello! Il cappuccio della felpa difendeva un po’ di testa sudata e provai ad allungare il passo, quando un Jeep si fermò di botto a fianco al marciapiede e suonò un paio di volte il clacson. Dal vetro oscurato che si abbassò uscì fuori la voce di Marco.
“Ehi!”, mi disse. “Dove stai andando?”.
Provai un piccolo balzo al cuore di felicità. Eccolo. Era qui ed era vivo! Come se chissà nella mia mente quale film mentale mi ero fatto su una sua probabile scomparsa prematura. Risposi: “Ehi Marco, ciao! Stavo tornando a casa. Ho finito per oggi. E tu?”.
“Io faccio la mattina per ora. Sali che ci facciamo un giro. Ti accompagno io”.
Salii su quella bella macchina, mentre Marco, mettendomi la sua mano sulla coscia, mi diceva: “Ehi, ciao!”
Gli sorrisi. Era sempre con indosso una tuta, stavolta aveva una tuta Adidas nera con le tre strisce bianche lungo braccia e gambe. Ai piedi delle belle scarpe Nike TN. Non si capisce che adoro l'abbigliamento sportivo e quello tecnico?
“Come va? Non ci siamo visti più”, mi disse.
“Ma dovrei dirlo io che non ci siamo visti più!”, replicai.
“Che vuoi… i turni sono questi. Ti va se ci facciamo un giro?”.
Il mio cervello cominciò ad analizzare velocemente il mio grado di sporcizia, di sudore e di puzza che potevo emettere. Ma il suo, molto più rapido del mio, mi anticipò la risposta: “Tranquillo, non puzzi affatto. Ti conosco: sarai sudato per bene e, come tua abitudine, niente doccia comune!” e sorrise, per poi riprendere: “La colpa è mia, hai ragione… Se non ci sono, non puoi avere accesso allo spogliatoio dipendenti”.
“Ma che dici, Marco! Non lo dire! Non mi costa niente tornare a casa e lavarmi. Sto qui vicino, in cinque minuti arrivo”.
Il Jeep nero, grande e spazioso, scivolava coi suoi cavalli sulla tangenziale. In sottofondo una compilation di musica italiana e straniera, alcuni pezzi non li conoscevo nemmeno. I sedili in pelle nera, avvolgenti e riscaldati mi stavano cullando. Adoravo girare in macchina, specie in giornate di pioggia come queste.
Marco era attento alla guida dietro gli occhiali a specchio che portava, nonostante fosse già buio.
“Ti offro una cioccolata calda all’Autogrill. Ti va?”, mi disse dopo un po’.
“Ok”, gli risposi sorridendo. Si girò per un istante e mi sorrise. Il suo sorriso era splendido. Era come se apparisse improvvisamente il sole davanti a me. Dite quello che volete, ma ero leggermente cotto di questo ragazzo, che rispondeva al mio idealtipus d'uomo.
Arrivati, la pioggia sembrava averci concesso una pausa. Entrammo, Marco ordinò e, dopo poco, arrivarono due belle tazze fumanti. Ancora una volta i nostri sguardi si incrociavano e i sorrisi abbondavano.
Dopo un po’, col baffo fatto di cioccolata, mi disse senza voce “Mi piaci”, scandendo bene il labiale. Gli risposi “Anche tu”, e giù a sorriderci come due deficienti.
Rimessi in macchina, Marco non accese il motore, ma stava a guardarmi e sorridermi, e così anche io.
“Mi fai venire voglia… sai?”, mi disse, guardando per un attimo il suo pacco molto sveglio. Guardai attorno a me, non c’era anima viva in quel piazzale. Mi accostai al suo volto e gli diedi un gran bacio. Marco non aspettava altro, ricambiando con entusiasmo. La mia mano lentamente scivolò lungo la sua tuta fino a fermarsi sul suo membro, che potevo carezzare e in parte impugnare. Un bacio, un altro, le lingue che si incrociavano e danzavano tra le bocche dell’uno e dell’altro. Lui mi cinse la nuca con il suo braccio muscoloso e poi fece scivolare lentamente la mano verso il mio culo, entrando dalla tuta e dall’intimo, toccandone un gluteo, poi l’altro, poi il solco in mezzo, fino a trovare il buchetto voglioso e caldo, stuzzicato con il dito medio.
Non so quanti minuti passarono in quella posizione, ma quando ci concedemmo un attimo di fiato, gli dissi: “Andiamo a casa mia?”. Marco annuì. Ci ricomponemmo un attimo e accese il motore per rimetterci sulla tangenziale ed uscire al primo svincolo, ritornando indietro a velocità sostenuta. Quanta voglia - mi disse dopo - aveva di me quella sera...
In venti minuti eravamo sotto casa mia. Salimmo in ascensore già avvinghiati. A stento riuscii ad aprire la porta ed accendere le luci. Guidai Marco verso la camera da letto mentre l’uno spogliava l’altro, fino al lettone, sul quale ci tuffammo già praticamente nudi. Gli presi subito il cazzo in bocca. Non era fresco di doccia, aveva un forte sapore speziato e quell’odore di maschio Alfa che mi faceva tanto eccitare. Lui si appoggiò alla testata del letto e si godeva la pompa, accompagnandola con un leggero movimento di bacino.
“Girati sopra di me”, mi disse. Eseguii il suo ordine, offrendogli il mio culo, sul quale sputò ed iniziò a lubrificare con grande cautela e maestria. Io continuavo ad onorare quel palo di carne che mi si offriva alla vista e al gusto. Lo leccavo, ne mettevo la cappella in bocca, leccavo di gusto quel funghetto rosa, per poi scendere più in giù, cercando di gustarlo tutto nella bocca, ma era poco probabile che vi riuscissi, date le dimensioni.
Quando Marco volle, si sfilò da me, mi fece distendere, puntò il suo cazzo verso il mio culo e lentamente entrò. Poca resistenza degli sfinteri, vista la preparazione. Il suo grosso membro scivolò dentro fino alla base, facendomi gemere di piacere. Le sue braccia mi cinsero petto e collo, mentre iniziò a dettare il ritmo della scopata, dapprima lento, poi più veloce. Marco si puntellò con le braccia, sospeso sulla mia schiena, che potei inarcare, offrendogli il mio amore.
“Mi piaci!”, mi ripeteva, con la voce rotta dalla fatica e dal godimento. E me lo ripeteva soprattutto guardandomi negli occhi, dopo avermi fatto girare di schiena e messo un cuscino sotto i miei lombi, come rialzo. Mi guardava fisso negli occhi, mi sorrideva e mi scopava in profondità.
Il suo volto stava sempre a pochissimi centimetri dal mio. Le nostre bocche ogni tanto si sfioravano, fino a che si posarono l’una sull’altra. Il suo ritmo allora improvvisamente accelerò. “Vengo!”, disse, per poi irrigidirsi tutto e sospirare.
Vederlo godere in questo modo fece venire anche me, senza che nemmeno mi fossi toccato! Contai tre o quattro grossi fiotti di sborra dentro di me. Schizzi potenti e decisi che inondavano letteralmente le mie viscere. Lentamente Marco riaprì gli occhi. Le nostre lingue si cercarono ancora, mentre lui restava dentro di me, duro, bello, bagnato, sudato e felice.
“Mi piaci!”, mi ridisse per la millesima volta. Io azzardai un “Ti amo!”. “Anche io. Sei mio!”, mi rispose.
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