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Foto di gruppo


di mylady06
23.02.2007    |    48.270    |    5 7.9
"Sai, anche a noi piace molto la natura..."
Sono sempre stata una appassionata di fotografia: ho cominciato fin da bambina con una vecchia reflex che, ho saputo poi, era appartenuta nientemeno che a mio nonno. Proprio con quella ho iniziato a scattare le mie prime foto in bianco e nero. Da ragazza, mentre le mie amiche già spendevano per vestiti, scarpe e trucco, io invece compravo rullini, filtri ed obiettivi. Per loro, forse non a torto, ero strana. Mi affascinava così tanto la possibilità di fissare con una macchina fotografica anche momenti irripetibili che non me ne riuscivo a distaccare: ero arrivata al punto di portarla qualche volta anche in classe a scuola.

Quello che era uno svago si è man mano trasformato in una vera e propria passione tanto da portarmi, con il tempo, a dotarmi di una attrezzatura quasi professionale. Oggi, nell’era del digitale, indiscutibilmente è tutto più facile: con un computer ed un software appropriato anche il neofito può ottenere delle foto più che dignitose, quasi perfette. Ma la tecnologia nulla può contro la creatività: la capacità di cogliere l’attimo, la composizione dell’immagine, il saper far risaltare il soggetto dal contesto, il cogliere la naturalezza di un gesto, di un sorriso. E’ facile affermare che una foto a colori è bella…. ed è altrettanto probabile che non si direbbe la stessa cosa vedendola stampata in bianco e nero, o meglio, in scala di grigi, dove il rosso non è rosso ma è un grigio scuro, dove il cielo non è azzurro ma è un grigio chiaro. Tutto allora diventa un equilibrio di forme e gradazioni del grigio, ovvero tutto ciò che è compreso tra l’assolutezza insita nel bianco e nel nero. Questo può far comprendere quanto amore possa mettere nelle mie foto e con quale attenzione, quasi maniacale, curi ogni immagine. Amo ritrarre soprattutto la natura nelle sue più svariate espressioni: non ci si può rendere conto di quali e quante diverse sensazioni può suscitare una foto del medesimo albero ritratto, però, nelle diverse stagioni, con il sole o con la pioggia, con la neve o con la nebbia.
E’ per questa ragione che spesso, oggi che ho trentanni e sono ancora libera da legami sentimentali, capita che me ne vado in giro da sola alla ricerca di nuovi scatti; chi mi accompagna, se non è anche lui appassionato, di solito lo fa per una o al massimo due volte, perché si stanca ad aspettare anche più di mezzora, per sentire un click da un centoventicinquesimo di secondo.

All’inizio della scorsa estate, decisi di prendermi un venerdì di ferie per passare il fine settimana tra le belle colline della Toscana. Là i soggetti da ritrarre non mi sarebbero certo mancati: la natura, i castelli, i casali, i campi di girasole, gli sterminati filari di viti…
Come punto di appoggio avevo trovato dimora presso un agriturismo di poche pretese: semplice, carino, accogliente e familiare. La soluzione era l’ideale anche per rivivere le antiche sensazioni di una volta in quegli ambienti caratterizzati da pavimenti in cotto e soffitti in legno. La struttura in origine doveva essere stata una grande fattoria. L’attuale proprietaria l’aveva ristrutturata con capace e saggia discrezione: le stanze per gli ospiti erano in parte situate nella casa padronale, le altre in piccole casette che sorgevano tutte intorno all’aia e che una volta forse avevano assolto alla funzione di stalle o magazzini.

Appena arrivata, una gentile signora di mezza età mi viene incontro per darmi il benvenuto e prendermi la sacca dei vestiti che avevo portato con me. Messa a tracolla la mia attrezzatura fotografica, la seguii. Sbrigate le dovute formalità mi accompagnò fin su nella mia stanza situata al primo piano. La cosa che mi colpì e piacque subito fu la finestra, adornata con bianche tendine finemente lavorate in pizzo, degna cornice del bellissimo campo di girasoli sul quale si affacciava. Sulla destra, ad angolo, si poteva vedere il resto del casolare con le finestre delle altre camere: intravidi dietro una di esse alcune persone. Se non altro non mi sarei sentita proprio sola. Stanca del viaggio, sistemai nei cassetti le poche cose che mi ero portata. Decisi di cambiarmi i vestiti: tolsi e buttai sul letto i jeans e la maglietta e, per stare più fresca, indossai una gonnellina bianca e una camicetta rosa. Detti una spazzolata ai miei lunghi capelli neri, mi guardai allo specchio, e giudicandomi sistemata carina, scesi per cenare. Era presto, ma volevo andare a dormire appena possibile perché l’indomani mattina mi sarei voluta alzare in tempo per immortalare i colori dell’alba sul campo di girasoli.

In sala da pranzo c’erano solo tre tavoli preparati. Mi sistemai all’unico con un solo posto. Gli altri erano apparecchiati per due e per quattro persone. Provai ad immaginare che il tavolo da due fosse per una coppietta e a quello da quattro per una bella famigliola con due bambini. Sarei stata curiosa di vedere se avevo indovinato ma a quell’ora non c’era ancora nessuno. Cenai con calma, gustandomi il cibo genuino preparato dalla signora e sorseggiando qualche bicchiere di buon vino rosso. Terminato di mangiare mi recai nella saletta accanto adibita al relax e alla lettura: oltre alla televisione, c’erano delle comode sedie a dondolo ed una piccola libreria in legno con le più svariate pubblicazioni e guide turistiche dei dintorni. Ne fui tentata e colsi l’occasione per sfogliarne qualcuna: magari avrei trovato qualche altra utile indicazione per le mie foto.
Poco dopo la mia attenzione fu distratta da un vociare di persone che si faceva sempre più forte: da dove mi trovavo seduta potevo appena intravederle mentre si stavano sistemando a tavola. Non era la famigliola che mi ero immaginata ma un gruppo di ragazzi: a occhio e croce potevano avere intorno ai venticinque anni. Sentivo che parlavano e ridevano in continuazione; se da un lato la cosa mi infastidiva perché mi distraeva dalla lettura, dall’altra, quell’allegro schiamazzare, mi faceva compagnia. Poggiai sulle gambe il libro che stavo leggendo per cercare almeno di carpire i loro discorsi, senza però riuscirci. La mia curiosità doveva solo attendere un poco per essere soddisfatta: dopo aver cenato me li ritrovai infatti tutti nella saletta. Fu un’irruzione e pensai che la pace e la tranquillità erano finite; per non apparire scortese avrei aspettato qualche minuto prima di alzarmi per tornare nella mia stanza.
Resisi conto di non essere da soli, mutarono subito il contegno: abbassarono il tono della voce e mi salutarono cortesemente scusandosi del baccano fatto. Non me lo sarei proprio aspettato visti i presupposti. Non gli negai, come risposta, un bel sorriso di apprezzamento.
Fu quello che doveva essere il più “anziano” di loro che tentò per primo l’approccio con me: gli altri lo seguirono subito a ruota. Si cominciò con le solite banalità: da dove venivo, se ero già stata lì altre volte, se mi piaceva il posto. Rimasero ovviamente colpiti nel venire a sapere che non ero accompagnata.
Mi sentivo un po’ imbarazzata, lì da sola, al centro della loro attenzione: scaricavo questa tensione cullandomi con la sedia a dondolo. Sempre più, però, percepivo i loro sguardi insistenti, sopratutto quello del ragazzetto biondo con gli occhi azzurri che era seduto davanti a me: non mi ero resa conto del perché, finché non realizzai l’effettiva direzione di quegli sguardi. Puntavano tutti in basso, al centro delle mie gambe. Non mi ero accorta che il continuo dondolarmi aveva fatto scivolare il corpo in avanti, mentre la gonna, già corta per proprio conto, era invece rimasta ancorata al cuscino. Praticamente era salita a pochi centimetri da ciò che solitamente dovrebbe coprire. Diventai rossa come un peperone. Anche loro si resero conto del mio imbarazzo e nell’intenzione di trarmi dall’impaccio il ragazzetto biondo disse “Non è il caso di arrossire! Hai veramente delle belle gambe e per noi tutti è un vero piacere guardarle”. Ero pietrificata: non avevo il coraggio di spostarmi di un solo millimetro per non sentirmi dire che avevo anche un bel paio di mutandine. Feci di tutto per non far trasparire il mio stato d’animo, che non era di vergogna, ma di spudorata eccitazione. Sentirsi guardata in quel modo! Mi domandavo chissà quali fossero i loro pensieri in quel momento. Conoscevo bene i miei, giustificati dal fatto che ormai da mesi che non “frequentavo” un uomo.

Con la scusa di essere stanca per il viaggio li salutai per andare a dormire. Una volta in stanza mi riguardai allo specchio e, mentendo in maniera spudorata a me stessa, considerai che non era stata una bella idea vestirsi così; vedevo inopportuna anche la camicetta che, senza nulla sotto, probabilmente aveva messo in mostra prima il seno e poi i capezzoli che, per l’eccitazione provata, erano diventati irti e duri. Meglio che mi fossi fatta una bella doccia! Mi spogliai e andai in bagno. Mentre stavo aspettando che dalla doccia scendesse l’acqua bollente come piace a me, mi avvicinai alla finestra e vidi che anche loro erano tornati in stanza. Intravidi accendersi anche una luce accanto alla loro finestra: era quella del bagno. Nuda, ma curiosa di vedere cosa facevano, feci il buio per non essere notata e appiccicai il naso al vetro della finestra. Il biondino era in bagno con intorno alla vita un asciugamano che lasciò cadere rimanendo anche lui completamente nudo! Caspita, che fisico! Che spalle! E non solo…! L'astinenza da maschio aveva subito fatto scivolare il mio sguardo verso le sue parti intime… Già così il suo attributo aveva delle dimensioni che, per le mie passate esperienze, giudicavo comunque ragguardevoli. Ora si stava insaponando insistendo soprattutto tra le gambe. Il suo arnese ciondolava pesantemente di qua e di là! Istintivamente mi strinsi le braccia intorno al corpo, fino ad arrivare con le mani a palpare e stringere il seno, a giocare con i capezzoli. Avevo una gran voglia e desiderio ma dovevo accontentarmi solo di guardare. Rimasi lì, nascosta dietro la tenda della finestra, fino a che tutti e quattro si furono docciati. Quello spettacolo rubato mi permise di apprezzare per intero i particolari maschili di ciascuno di loro: veramente degni di nota!
Quando la luce del loro bagno si spense, tornai alla realtà. L’acqua della mia doccia continuava a scrosciare e il vapore stava appannando perfino i vetri: spalancai perciò la finestra. Una considerazione si fece prepotentemente largo nella mia testa: quanto è eccitante immaginare di essere osservati di nascosto!!! Accesi tutte le luci possibili: se i ragazzi avessero notato la finestra aperta e illuminata forse questa volta sarei stata io ad essere guardata. Convinta di ciò entrai in doccia e cominciai a insaponarmi con movimenti lenti e flessuosi: giocavo con la schiuma, coprivo il seno, poi lo strofinavo mettendolo in evidenza. Con la spugna pian piano mi avvicinavo alla peluria che anticipava il sesso. Vi indugiai tantissimo: il calore, lo strofinio e l’idea di essere spiata mi facevano avvampare. Quando reputai di essermi ben mostrata presi l’asciugamano e mi avvicinai alla finestra. Vidi che nella stanza dei ragazzi c’era solo buio. Che delusione! Forse mi ero mostrata nuda e sensuale solo a qualche grillo!! Poi nell’oscurità della loro stanza vidi chiaramente il chiarore rosso inconfondibile di alcune sigarette accese. Erano dietro la finestra a guardarmi!!! Facendo l’ignara, continuai a strofinare il seno per asciugarlo: nonostante lo sballottamento, sodo come era, tornava prepotentemente nella sua posizione. Chiusi la finestra, spensi le luci e tornai in camera. Chissà cosa aveva provocato in loro la mia inaspettata esibizione!

Faceva caldo e mi coricai nuda sotto le fresche bianche lenzuola. Al pensiero di ciò che era appena accaduto la mano scivolò in mezzo alle gambe a cercare, vogliosa, il sesso. Cominciai a toccarmi prima con movimenti leggeri e rotatori, poi sempre più veloci, fino a che, soffocando a stento il piacere, esplosi in un orgasmo. Non ero ancora sazia: con ancora viva l’immagine dei ragazzi e dei loro arnesi, avevo ancora voglia di godere, ma con qualcosa che somigliasse il più possibile ad un membro. Altre volte mi ero trovata a dover soddisfare questo forte desiderio; così, stando spesso da sola, mi sono attrezzata per superare questi momenti di debolezza; porto sempre con me un insospettabile flacone di gel per capelli dalla forma che indubbiamente richiama quella fallica. Lo presi da una tasca della mia borsa e andai in bagno: riempii il lavabo di acqua bollente e lo immersi per qualche minuto fino a che reputai che avesse accumulato sufficiente calore. Mi infilai in fretta sotto le lenzuola e iniziai, come altre volte, a strofinarmelo lungo il corpo indugiando in quei punti che solo io conosco e che sono capaci di suscitarmi delle bellissime sensazioni. Ero arrivata all’interno delle cosce. Sentivo il calore emanato: allargai il più possibile le gambe e cominciai a penetrarmi. Spingevo il flacone sempre più giù; la mia testa si scuoteva da un lato all’altro del cuscino. Inarcai la schiena fino a sentirmi colma dello strumento ed ebbi un nuovo travolgente orgasmo. Finalmente soddisfatta, stanca e sfinita mi addormentai continuando a stringere tra le gambe il flacone ancora caldo e bagnato dei miei umori.

La sveglia mi avvertì che era ora di alzarmi: l’alba incombeva e dovevo fare le foto al campo di girasoli. Era un paesaggio stupendo quello che affacciandomi si mostrò davanti ai miei occhi con quella leggera brina nell’aria e il rosso dardeggiare del sole. Mi vestii in fretta e uscii in silenzio per non svegliare nessuno. Tornai per colazione, non prima di aver scattato qualche decina di foto. I ragazzi erano già al tavolo. Mi salutarono squadrandomi dalla testa ai piedi. Potevano solo immaginare quello che avevo fatto vedere la sera prima: ora indossavo i soliti jeans, una maglietta e scarpe da ginnastica. Era il mio abbigliamento preferito quando entravo nei panni della fotografa.
Stavo per sedermi al mio tavolo quando mi invitarono ad unirmi a loro. Non rifiutai. Mi fecero posto e facemmo colazione insieme. Vedendo la mia attrezzatura fotografica mi posero molte domande. Si incuriosì anche la proprietaria dell’agriturismo che, mentre continuava a portare in tavola crostate e dolciumi fatti in casa, mi spiegò come fare per arrivare con l’auto in un una zona non molto distante dove sicuramente avrei trovato ottimi spunti per i miei scatti.
Finita la colazione, andai in camera per prendere nuovi rullini per le foto e lasciare quelli che avevo utilizzato. Montai sulla mia piccola utilitaria rossa e partii alla volta del posto indicatomi dalla signora. Vi arrivai dopo una mezz’oretta. Parcheggiai in una piazzola di sosta e mi incamminai per il viottolo che mi era stato indicato. Percorsi quasi un chilometro in mezzo ad una natura lussureggiante. Qui non c’erano distese di campi ma verdi ed ombrosi alberi, arbusti e cespugli che rilasciavano intensi e inebrianti profumi di bosco. Arrivai ad una radura. Stupendo! Di fronte a me una distesa di colline.. ognuna sembrava essere di colore diverso dall’altra. C’erano intorno grossi sassi da dove si affacciavano bellissimi fiori. La terra assumeva tutte le sfumature possibili di colore. Il sole, filtrando tra i rami degli alberi, dava vita alle ombre e agli sprazzi di luce. Gli unici rumori erano il mio camminare, il muoversi delle foglie sospinte dalla leggera brezza, gli uccelli. Poggiai la borsa con la mia attrezzatura da un lato, presi il cavalletto e cominciai a fotografare. Ogni cosa mi dava una sensazione che cercavo di carpire e trasmettere con una immagine.

Il tempo era passato senza che me ne fossi resa realmente conto. Stanca, mi sedetti all’ombra di un albero addentando il panino che mi ero fatta preparare. Stavo addirittura per assopirmi quando sentii avvicinarsi delle persone. Chi poteva trovarsi in quel posto sperduto? Il cuore cominciò a battermi forte. Senza neanche avere il tempo di allontanarmi vidi sbucare da dietro un cespuglio i quattro ragazzi dell’agriturismo. “Trovata!!!” esclamò uno di loro.
“Voi che fate qui? Sapete che mi avete fatto prendere uno bello spavento!!!”. “Salve, nostra cara fotografa!!!” disse quello alto e moro. “Non volevamo metterti paura! Abbiamo sentito le indicazioni che ti aveva dato la signora e ne abbiamo approfittato. Sai, anche a noi piace molto la natura ..e in tutte le sue più svariate forme e manifestazioni!”.
Il biondino: “….ci piace tutto ciò che è bello e attraente!!!”. Il più grande: “…soprattutto quando è possibile ammirarlo da vicino e toccarlo con mano!!” Il quarto: “Ieri sera, prima di addormentarci ne abbiamo parlato tra di noi, e ci siamo domandati se era possibile che tutti e cinque potevamo condividere questo comune interesse!!”.
Il doppio senso delle loro allusioni mi apparve fin troppo chiaro. Eppure non mi erano sembrate persone poco raccomandabili, anzi; ma forse la colpa era solo mia che li avevo provocati facendogli credere chissà cosa. Feci l’indifferente e risposi: “ Si, è proprio bello stare qui a cercare il contatto con la natura!” E il biondino: “ …già, è proprio per avere il contatto con la natura che ci siamo spinti fin qui!!” Mi morsi la lingua per quella frase infelice che mi era uscita dalla bocca. Si misero seduti, quasi a contatto con me, in silenzio. Nessuno fiatava più. Vidi una mano poggiarsi sulla mia gamba, poi altre che la seguirono in ogni mia parte del corpo. Mi palpavano con garbo, discrezione e delicatezza. Sentivo quelle mani e quelle dita frugarmi dappertutto. Avevo una paura terribile, ma oppormi a quei quattro sarebbe stato inutile. Il biondino mi fissò negli occhi chiedendomi con garbo: “Ti dispiace se continuiamo? …se vuoi smettiamo, ti chiediamo scusa e andiamo via come siamo venuti ”.
Incredibile. Mi stavano chiedendo se acconsentivo alle loro attenzioni. Da troppo tempo avevo voglia di un maschio. Ora ne avevo davanti, e tutti per me, ben quattro e tutti gagliardi! Non sapevo neanche come ci si dovesse comportare in simili casi. Semplicemente mi sciolsi i capelli e mi sdraiai sull’erba. Fu il segnale del via.
Le loro mani non lasciavano inesplorata nessuna parte del mio corpo. Le sentivo sotto la maglietta, sul collo, sulle cosce, in mezzo le gambe. Ero in estasi. Mi tolsero la maglietta. Due di loro intanto, dopo averli slacciati, mi stavano già sfilando i jeans. Sentii togliermi anche le mutandine. Vidi il biondino mettersi in ginocchio davanti a me calarsi la lampo dei pantaloni e tirare fuori il suo membro eretto. Chinandosi verso di me cominciò a strofinarmi la punta del suo sesso dove ero già bagnata da un pezzo. Cominciai a gemere ed ansimare. La cosa doveva eccitarli perché liberarono all’aria i loro membri strofinandomeli sul seno, indugiando con il loro glande scoperto e rosso sui capezzoli, strusciandoli sul collo fino ad avvicinarsi alle mie labbra che dischiusi, vogliosa come ero di sentire il caldo pulsare di quella carne irrigidita allo spasmo. Accolsi in bocca il primo che mi capitò. Il biondino già mi penetrava e lo sentivo arrivare fino alle viscere. Mi contorcevo sotto i colpi forti e decisi. Girai la testa per accoglierne in bocca un’altro che, sbattendo l’asta sul mio viso, aspettava il suo turno. Ero sola e completamente in balia di quattro ragazzi… ma il piacere aveva cancellato ogni paura e inibizione. A malapena mi resi conto che ero io ad incitarli a invadermi, a spingere più forte per farmi sentire bene dentro i loro lunghi bastoni. Accolsero la richiesta tirandomi su, mettendomi carponi. Due mani mi afferrarono per il seno, altre due mi afferrarono per i fianchi, mentre altre presero a schiaffeggiare con forza i miei glutei. Invece di provare dolore, sempre di più aumentava il piacere. Sentii un vuoto e poi entrare in me qualcosa di ancor più grosso. Girai il mio sguardo e vidi che era il moro. “Coraggio stallone, fammi sentire come cavalchi questa indomita puledrina!! Bruciami il pelo!!” Cominciò così a vibrarmi dei colpi così intensi che dentro mi sentivo sconquassata. Continuavo a prendere alternativamente in bocca ogni membro che mi veniva sottoposto: ormai i loro sapori si erano mischiati e non capivo più a chi appartenessero, a me bastava sentirli spingere fino in gola, fino quasi a strozzarmi tanto da procurarmi conati di vomito
Poi quello che mi era sembrato il più calmo, ma che invece fu il più diabolico, lanciò l’idea. “Ehi, ragazzi! E se questa volta fosse la nostra fotografa il soggetto da immortalare?” Rivolgendosi a me: ”Non credi che possa essere un bel ricordo di questa vacanza?” Annui e liberando a fatica la bocca da un ingombrante e insistente fardello dissi: ”Fate quello che volete, ma state attenti solo a non rovinarmi la mia macchina fotografica. I rullini sono nella tasca anteriore della borsa!” Gli avevo così implicitamente detto che avrebbero potuto fotografarmi per quanto e come avessero voluto.
Il ragazzo che aveva fatto la proposta si allontanò tornando con il cavalletto e la sola cinghia del borsone. Un altro mi fece alzare in piedi portandomi verso un albero, me lo fece abbracciare e mi impose di chinarmi con il busto ad angolo retto; poi mi legò strette le mani bloccandomi in quella posizione. La corteccia mi graffiava la spalla. Ci misero la mia maglietta. Ero impedita di ogni movimento: mi sentivo, e lo ero veramente, dominata e incapace di reagire. Ma chi voleva reagire? Cominciarono a penetrarmi a turno. Non so quante volte avevo raggiunto già l’orgasmo; le gambe mi tremavano. Forse era già trascorsa un’ora che subivo quella libidinosa tortura. Vedevo che mi fotografano da qualsiasi posizione e in ogni possibile atteggiamento. Adesso sentivo sui miei glutei il calore del sole a picco che con quel taglio di luce ne esaltava la bella forma. Vedere quello spettacolo li eccitò maggiormente fino alla più oscena proposta.
“Lo sai che il tuo dietro è molto carino? Non vorremmo che fosse geloso del trattamento che abbiamo invece già riservato alla tua “cosina”!!” In quel momento ebbi veramente timore. Non solo probabilmente sarebbe stata la prima volta che venivo sodomizzata, ma avrei dovuto accogliere nello stretto pertugio ben quattro falli e pure di notevoli dimensioni. Esausta, con il poco fiato che ancora avevo in gola, gli dissi che non l’avevo mai fatto e che avevo paura di sentire dolore. “Se è per questo non ti preoccupare” - disse il biondino - “abbiamo pensato a tutto; ecco qua marmellata e burro presi a colazione stamattina!!” Avevano già tutto programmato.
Aprirono il barattolo di marmellata. Con un dito me ne misero in bocca un po’ per farmela assaporare, poi la spalmarono sopra i membri che mi fecero leccare e che ripulii tutti più di una volta. Il ragazzo moro mise quella che era rimasta intorno al mio buchetto ancora inviolato: a causa del caldo la sentivo scolare appiccicosa lungo le cosce. Una lingua la raccolse salendo su fino a raggiungere il forellino. Sentivo già contrarsi i muscoli dello sfintere. A turno si alternarono in quella pratica. Sotto tutti quei colpi di lingua sentivo il mio buchino sempre meno restio a subire quelle attenzioni, quasi voglioso e ansioso di provare qualcosa di nuovo. Sentii poggiarsi qualcosa di duro. Mi inarcai. “Non ti preoccupare” - qualcuno disse - E’ solo un dito; serve per abituarlo alle maggiori dimensioni, rilassati!” Così, a comando, feci. Il dito, non so di chi, si faceva strada dentro di me con maestria, stuzzicandomi, e aumentando il desiderio della nuova esperienza. Continuavo a sentire i click della macchina fotografica.
“E dopo la marmellata, ecco il burro!!”. A questa frase seguì una mano che me lo spalmò ben bene tra le natiche: questa volta sul mio buchino si era poggiato qualcosa di più grande, duro e caldo. Il biondino mi mise in bocca un fazzolettino di carta dicendomi “Stringi forte con i denti, se serve ti aiuterà a non urlare!”.
Ero terrorizzata di quello che avrei potuto provare. Sentii il mio sfintere dilatarsi lentamente e cedere sempre più; quando stavo per non farcela avvertii quel membro scivolare dentro. Una nuova sensazione si impadronì di me. Lo sentivo distintamente muoversi, piano piano per farmi abituare. Il movimento su e giù ora diventava sempre più rapido e i colpi sempre più affondati. Stavo godendo come quando facevo l’amore. Non avrei mai immaginato che si potesse raggiungere l’orgasmo mentre si era presi da dietro. Chi mi stava sodomizzando stava dando i suoi ultimi colpi. Un rantolo di piacere e per la prima volta provai la sensazione degli schizzi di sperma caldo dove non l’avevo mai sentito. Un attimo di sosta, poi lui si sfilò da me. Un altro si fece sotto. Ad ogni minuto che passava sentivo il mio sfintere dilatarsi sempre di più tanto che il nuovo membro entrava e usciva con una facilità impressionante. Ancora una volta tornai a incitarli “Forza ragazzi, fatemi la festa! Siete voi che per primi mi avete aperto il dietro, ora non mi dovete deludere. Fatemi sentire i vostri duri bastoni. Riempitemi del vostro liquido!”. Sentendomi dire quelle cose il secondo raggiunse immediatamente l’orgasmo. Venne il turno del terzo. Mi stantuffò ben bene almeno dieci minuti prima di svuotarsi anche lui dentro di me. Toccava all’ultimo, ma non mi reggevo più sulle gambe, barcollavo. Se ne rese conto e mi prese saldamente per i fianchi. Nonostante il mio sfintere non opponesse più forza lo sentii dilatarsi all’inverosimile. Questa volta cacciai un urlo! Ma lui non ebbe pietà: resistette almeno un quarto d’ora. Ero accaldata, il sudore mi grondava dalla fronte, lungo il corpo. Finalmente anche il suo caldo liquido conobbe la parte finale del mio intestino. Si staccò da me. Qualcuno mi sciolse le mani legate. Finalmente libera crollai a terra rimanendo carponi. Sentivo il liquido bianco uscire dall’ano e colare senza fermarsi all’interno delle mie cosce: mi avevano riempita. Ero ridotta uno straccio.
Mi portarono da bere e qualcosa per pulirmi. Mi aiutarono perfino a rivestirmi. Uno di loro mi fece vedere che in mano aveva sei rullini di foto! “E questi?” domandai. “Sono le foto che ti abbiamo fatto”. Mi avevano scattato non meno di duecento foto!!!! E adesso? Se non me li rendevano?
“Ehi ragazzi! Credo che vi abbia fatto divertire più di quanto voi speraste, cosa pensate di fare con quei rullini adesso?”. Il biondino li prese e me li consegnò. “Tieni sono tuoi. Non siamo dei profittatori. In fondo ci siamo divertiti tutti e cinque. Le foto sono tue; quando le avrai stampate ci ricorderai con più piacere”.
Avendo difficoltà a camminare mi accompagnarono fino alla mia automobile, poi mi salutarono. Soffrii un po’ a guidare: non potevo stare seduta a causa del bruciore che si stava facendo sempre più intenso.
Tornata all’agriturismo feci una lunga e rilassante doccia. Dopo mi buttai sul letto e dormii non so quante ore. La sera scesi a cena, ma dei ragazzi nessuna traccia. Domandai alla signora. Mi rispose che erano partiti. Ma non era stato tutto un sogno: lo testimoniavano i sei rullini ed il bruciore del mio fondoschiena.

Finita la breve vacanza e tornata a casa, passai diverse notti nella mia camera oscura a stampare e ingrandire quelle foto. Più le guardavo e più mi convincevo che mi ero comportata come una grande porca. Ma era stato così bello, piacevole e sopratutto travolgente !!
Anche adesso, comodamente seduta sul mio divano, son qui che me le riguardo tutte. Ecco la foto mentre venivo spogliata, ecco quella dove mi stavano leccando la cosina. E poi ecco quella dove mi sto gustando due grossi membri. Ecco un’altra dove si vede il mio sederino dilatato grondante di sperma. Al mio occhio in ogni modo non sfugge che sono foto scattate da dilettanti. Nonostante ciò, la più bella in assoluto, era quella fatta con il cavalletto e l’autoscatto e di cui purtroppo non avevo conservato nessun ricordo. Si vedono i quattro ragazzi e me che sono in ginocchio: due mi stanno contemporaneamente penetrando davanti e dietro, ho un membro in bocca e un altro in mano. Veramente una bella foto di gruppo!

Mylady06
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