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Un pomeriggio a Chiavari


di Membro VIP di Annunci69.it Efabilandia
04.06.2025    |    787    |    4 9.6
"Non erano troppo vicini, ma nemmeno troppo lontani..."
Quel giorno d’estate a Chiavari sembrava uno di quei pomeriggi perfetti, con il sole che scaldava la pelle e il mare che scintillava come un invito. Io, Ele e Franco avevamo deciso di passare la giornata in una spiaggia naturista, una di quelle non ufficiali, nascosta tra gli scogli e i cespugli, dove la libertà regna sovrana e i tabù si lasciano a casa. Ele, mia moglie, era uno spettacolo: 36 anni, un corpo asciutto e tonico, una terza di seno perfetta, un culo sodo che sembrava scolpito e quei piedini delicati che mi facevano impazzire. Il tatuaggio sulla schiena, un intricato disegno tribale, sembrava danzare ogni volta che si muoveva. La sua fica, sempre curata e completamente depilata, era un’opera d’arte, e lei lo sapeva. Non aveva paura di mostrarla, e quella spiaggia era il posto perfetto per farlo.
Franco, il nostro amico, era con noi. Quarantenne, atletico, con un cazzo di 20 centimetri che non passava inosservato, soprattutto in un posto come quello. Era un habitué delle spiagge libertine, come noi, e la sua energia rilassata ma carica di testosterone si mescolava bene con l’atmosfera del momento. Arrivati sulla spiaggia, avevamo steso i nostri teli sulla sabbia, con Ele al centro, come una regina sul suo trono. Lei si era spogliata subito, senza esitazione, lasciando cadere il prendisole e mostrando il suo corpo nudo al sole e agli sguardi di chiunque passasse. Io e Franco ci eravamo guardati, sorridendo: sapevamo che sarebbe stata una giornata interessante.
Dopo un po’ di chiacchiere e bagni, io e Franco decidemmo di fare un giro verso la scogliera, curiosi di esplorare cosa ci fosse più in là. Ele, sdraiata sul telo, ci fece un cenno con la mano, dicendo che sarebbe rimasta lì a prendere il sole. “Non fate i cretini,” ci disse con un sorrisetto malizioso, mentre si spalmava la crema solare sulla pelle, lasciando che le sue mani indugiassero un po’ troppo sulla fica, come se sapesse che qualcuno la stava guardando.
Il giro fu breve, una mezz’ora al massimo, ma quando tornammo, la scena che ci trovammo davanti ci fece fermare di colpo. Ele era ancora sul telo, nuda, con le gambe leggermente aperte e il sole che le accendeva la pelle. Intorno a lei, a pochi metri, c’erano cinque o sei tizi, tutti nudi, che si segavano guardandola. I loro cazzi, di ogni forma e dimensione, erano duri come il marmo, e i loro occhi erano incollati su di lei. Ele non sembrava per niente a disagio: ci vide tornare e ci fece un sorriso, come a dire che aveva tutto sotto controllo. “Tutto bene, amore?” le chiesi, cercando di nascondere l’eccitazione che mi stava salendo. “Benissimo,” rispose, con quella voce bassa e provocante che usava quando era già partita per la tangente.
Il resto della giornata passò in modo relativamente tranquillo, se si può chiamare tranquillo un pomeriggio in cui tua moglie è il centro dell’attenzione di una spiaggia piena di guardoni. Facemmo altri bagni, prendemmo il sole, chiacchierammo. Ma nell’aria c’era una tensione, un’elettricità che cresceva man mano che il sole calava. Ogni tanto, vedevo Ele lanciare sguardi ai tizi intorno, e loro non si tiravano indietro. Era come se stessero tutti aspettando che accadesse qualcosa, e noi lo sapevamo.
Quando il sole cominciò a tramontare, decidemmo di raccogliere le nostre cose e incamminarci verso la strada asfaltata. Il sentiero che portava via dalla spiaggia era stretto, fiancheggiato da cespugli e dal mare che rombava a pochi metri. Ele si era rimessa il prendisole, un pezzo di stoffa leggero che le copriva a malapena il culo, e camminava tra me e Franco, con quel suo passo sicuro e provocante. Ogni tanto si girava, come per controllare qualcosa, e fu allora che notammo che non eravamo soli.
A una ventina di metri dietro di noi, un gruppo di uomini ci seguiva. Non erano troppo vicini, ma nemmeno troppo lontani. Quando acceleravamo, acceleravano. Quando rallentavamo, rallentavano. “Ci stanno seguendo,” sussurrai a Franco, che annuì con un ghigno. “Vogliono vedere se ci stiamo,” disse, e poi guardò Ele. Lei non disse nulla, ma i suoi occhi brillavano di una luce che conoscevo bene: era eccitata, e non solo un po’.
Ci fermammo in mezzo al sentiero, quasi per gioco, per vedere cosa avrebbero fatto. Anche loro si fermarono, sparpagliati tra i cespugli, come lupi che studiano la preda. L’aria era densa, il cielo si stava tingendo di viola, e il silenzio era rotto solo dal rumore delle onde. Franco, senza dire una parola, prese Ele per un braccio e la spinse delicatamente verso uno spiazzo tra i cespugli, un po’ nascosto ma non troppo. Io li seguii, il cuore che mi batteva forte nel petto, un misto di adrenalina ed eccitazione che mi faceva quasi tremare.
Lo spiazzo era piccolo, circondato da cespugli bassi che non nascondevano del tutto la vista del sentiero. Ele era al centro, illuminata dalla luce fioca del crepuscolo, e io e Franco eravamo accanto a lei. In pochi secondi, come se avessero ricevuto un segnale, gli uomini che ci seguivano si avvicinarono. Non erano pochi: contai almeno una dozzina di figure che si disposero in cerchio intorno a noi, poi seppi che erano diciotto. Diciotto cazzi, tutti diversi, tutti duri, tutti puntati su Ele.
Franco non perse tempo. Con un gesto deciso, girò Ele di spalle, le alzò il prendisole fino alla vita e le infilò il suo cazzo da 20 centimetri nella fica. Lei gemette forte, un suono che era puro piacere, e si aggrappò alle sue spalle mentre lui la scopava con spinte profonde e ritmiche. La sua fica, bagnata e pronta, lo accolse senza resistenza, e il rumore umido dei loro corpi che si scontravano riempiva l’aria. Gli uomini intorno si avvicinavano sempre di più, i loro cazzi in mano, alcuni grossi e venosi, altri più sottili, altri ancora curvi o tozzi, ma tutti duri come acciaio.
Ele si girò verso di me, il viso arrossato, gli occhi pieni di desiderio. “Vuoi che lo faccia?” mi chiese, la voce rotta dal piacere mentre Franco continuava a pomparla. “Fai quello che vuoi, troia,” le risposi, e quella parola la fece sorridere, come se fosse un complimento. Franco uscì da lei con un ultimo affondo, e un fiotto di sborra le colò lungo le cosce mentre lui le veniva dentro. Ele si inginocchiò, completamente nuda ora, il prendisole buttato da parte, il corpo lucido di sudore e sborra.
I diciotto uomini si strinsero intorno a lei, formando un cerchio perfetto. I loro cazzi erano uno spettacolo: uno era lungo e sottile, con una cappella rossa e gonfia; un altro era corto ma spesso, con vene che pulsavano; un altro ancora aveva una curva che lo faceva sembrare quasi minaccioso. Ele li guardava tutti, uno per uno, con una fame negli occhi che non avevo mai visto prima. “Venite qui,” disse, la voce bassa e carica di desiderio, e allungò una mano per afferrare il primo cazzo che le capitò a tiro. Era grosso, scuro, con una cappella che sembrava pronta a esplodere. Lo prese in bocca senza esitazione, succhiandolo con una foga che mi fece quasi tremare. La sua lingua si muoveva rapida, le labbra strette intorno all’asta, mentre con l’altra mano ne afferrava un altro, strofinandolo con decisione.
Uno dopo l’altro, i cazzi si alternavano nella sua bocca. Ele li succhiava con una dedizione totale, come se ogni cazzo fosse il centro del suo universo in quel momento. Alcuni erano così grossi che le sue labbra si tendevano al massimo, lasciando fili di saliva che le colavano sul mento. Altri erano più piccoli, ma lei li trattava con la stessa attenzione, leccando le cappelle, succhiando le palle, lasciando che ogni uomo sentisse il calore della sua bocca. Con una mano si toccava la fica, le dita che scivolavano dentro e fuori, bagnate fradice, mentre il suo corpo tremava per gli orgasmi che si susseguivano senza sosta.
Poi iniziarono gli schizzi. Il primo partì da un tizio sulla sinistra, un getto caldo e denso che le colpì il seno, scivolando lentamente verso il capezzolo. Ele gemette, aprendo la bocca per accogliere il secondo schizzo, che le finì dritto sulla lingua. Ingoiò senza battere ciglio, e quel gesto fece scattare qualcosa negli altri. Come un plotone di esecuzione, i cazzi esplosero uno dopo l’altro. Sborra calda le schizzava sul viso, le colava nei capelli, le bagnava le tette. Un tizio mirò alla sua fica, e un fiotto bianco le colpì il clitoride, facendola urlare di piacere mentre si strofinava ancora più forte. Un altro le venne in bocca, e lei ingoiò di nuovo, lasciando che un po’ di sborra le colasse lungo il mento.
Ogni cazzo era diverso, ogni schizzo unico. Uno aveva una sborra densa e bianca che le si appiccicava alla pelle; un altro era più liquido, quasi trasparente, e le scivolava lungo il collo. Alcuni miravano alle tette, altri al viso, altri ancora alla fica, come se volessero marchiarla tutta. Ele non si tirava indietro: apriva la bocca, tirava fuori la lingua, accoglieva ogni schizzo con un gemito, come se ogni goccia fosse un regalo. Il suo corpo era un quadro, coperto di sborra, lucido e bagnato, e lei continuava a toccarsi, a venire, a succhiare i cazzi che le si avvicinavano.
Io e Franco guardavamo, ipnotizzati. A un certo punto, un getto mi colpì di striscio sulla spalla, e Franco rise, dicendo: “Fuoco amico!” Ma anche noi eravamo in tiro, e quando Ele mi guardò, con la bocca piena di sborra e gli occhi che imploravano ancora, mi avvicinai e le scaricai tutto in bocca. Lei ingoiò anche la mia, con un sorriso soddisfatto, mentre Franco si segava accanto a lei, pronto per un secondo round. Alcuni dei tizi, già venuti, erano tornati in tiro e iniziarono a sborrare di nuovo, mirando al viso che già colava di sborra, come se volessero coprirla completamente.
La scena sembrava non finire mai. Ele era al centro di tutto, una troia magnifica, il corpo che brillava di sborra, la fica che pulsava sotto le sue stesse dita, gli orgasmi che la scuotevano senza sosta. Ogni cazzo che le si avvicinava veniva accolto con entusiasmo, succhiato, leccato, fatto venire. Lei voleva tutto, e lo prendeva tutto, senza lasciare indietro nessuno.
Alla fine, il cerchio si diradò. Uno a uno, gli uomini si allontanarono, sparendo tra i cespugli come ombre. Restammo io, Ele e Franco, ancora storditi da quello che era appena successo. Ele era lì, nuda, coperta di sborra, con un sorriso che non avevo mai visto prima. Si passava le mani sul corpo, spalmando la sborra sulle tette, sulla fica, come se volesse assorbirla tutta. “Cazzo, che troia che sono,” disse ridendo, e la sua voce era piena di soddisfazione.
Si rimise il prendisole, senza nemmeno pulirsi, e tornammo verso la macchina. La sborra le colava ancora lungo le cosce, e lei camminava con una sicurezza che mi faceva impazzire. Arrivati a casa, non era finita. Io e Franco la portammo in camera, e fu un’altra notte di fuoco, con Ele che ci cavalcava come se non ne avesse mai abbastanza.
Quella giornata a Chiavari è diventata una leggenda. Nei privé e nelle spiagge libertine del Levante, ancora oggi si parla del bukkake a 18, di Ele, la troia che ha fatto venire un esercito di cazzi e ne è uscita più soddisfatta che mai.
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