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Lui & Lei

Il ragioniere


di Eulalia
11.03.2024    |    8.728    |    18 9.6
"Invece lui, che nemmeno ha separato le grandi labbra, semplicemente sguscia il mio clitoride e mi fa impazzire legata a questo tavolo..."
Ormai lo osservo da anni.
È il ragioniere che tiene i conti della ditta di trasporti qui di fianco.
Dicono che sia un tipo strano, che parla pochissimo ma un genio nel suo lavoro.

Da cinque anni lo vedo passare puntualissimo quattro volte al giorno: alle 8.00, alle 13.00, alle 14.00 e alle 17.00.
Tutti i giorni è qui, alle 10.45 per un caffè lungo, apre lungo il bordo una bustina di zucchero di canna, ne versa metà, poi ripiega più volte su sé stesso il lembo di carta della mezza bustina avanzata e se la infila nella tasca della giacca.

L’abito è stazzonato, la camicia riposa stanca sotto alla cravatta dal nodo sempre un po’ lasco. Non parla mai, forse è proprio per questo che mi incuriosisce così tanto.
O forse per via delle mani con le unghie curate, la pelle bianchissima, liscia, senza un accenno di barba e priva di peli anche sui polsi che spuntano dai polsini lisi. Forse è anche il modo in cui tiene la cartella, deciso, con le nocche ben delineate e quelle lunghe dita da pianista. Mani che vedrei bene sul mio corpo.

Mi piace quella sua voce calda quando dice:” Un caffè lungo, per cortesia.”
Le uniche parole che ogni giorno e da anni gli ho sentito dire, eppure sembra che ogni sillaba misurata, come ogni gesto che fa, nasconda qualcosa di diverso di indefinito e misterioso ogni volta.

Sorge spontanea la domanda su come possa scopare un uomo così.
Devono essere i suoi occhi, lo sguardo tranquillo che si insinua insistente su di me e sui miei abiti come se fosse una cosa del tutto naturale, come se guardasse un quadro con una natura morta.

Ogni tanto lo vedo passare anche dopo le cinque. Va verso casa sempre un po’ dimesso, sempre con lo stesso passo, ma a volte di fianco a lui c’è una donna, mai più di due volte la stessa. Camminano affiancati in quello che sembra un silenzio condiviso, ma dal loro tacchettare tra il deciso e l’incerto traspare anche un po’ di agitazione, come se un fremito attraversasse queste donne rendendole incapaci di controllare il loro passo. Nelle mie fantasie le vedo entrare in casa insieme, aspettando con sguardo materno che lui appenda la giacca prima di lasciarsi baciare.

Lo ammetto quest’uomo mi incuriosisce, ma non ho mai avuto il coraggio di chiedere o di fare una battuta. Neppure quando dopo una visita della Finanza mi sono ritrovata un verbale con una multa di parecchie migliaia di euro senza capire perché. Lui guardava attento come smarrita leggevo il contenuto della busta verde. Invece di aprire bocca, ho semplicemente fatto sparire l’incartamento come fosse una colpa, come se mi macchiasse ai suoi occhi abituati a vedere solo ordine e cose giuste.

Lo osservo anche adesso mentre si porta la tazzina alle labbra, il gomito ad angolo che sporge disordinato dal suo corpo composto. Non riesco a staccare gli occhi dalle labbra che si contraggono per rilasciare un lieve soffio, prima di rilassarsi ed appoggiarsi al bordo della tazzina. Un colpo di polso e il caffè è consumato. Dal pugno sporgono solo indice e pollice a sorreggere la tazzina mentre si posa delicata sul piattino. Immagino il mio capezzolo strizzato lì in mezzo, deglutisco e mando giù il mio desiderio.
Mi ha fissato per tutto il tempo mentre lo osservavo e non me ne sono accorta.

“Signorina, avrei una domanda: vuole accompagnarmi a casa dopo la chiusura?”

Non me l’aspettavo proprio una domanda così precisa e diretta. Percepisco che va bene qualsiasi risposta, ma non rispondere con un’altra domanda e sarebbe pessimo temporeggiare. Il suo tono sembra implicare la richiesta di una totale fiducia e abbandono. Il suo sguardo si incatena al mio, per un attimo mi sento nuda e calda.
Mi riscuoto dal mio torpore: è pur sempre un cliente.

“Certo, se ha bisogno che l’accompagni, molto volentieri.”
“Credo ne abbia più bisogno lei. L’aspetto fuori quando ha finito.”
Rimango sola al bancone, mi rendo conto che è successo qualcosa, ma non capisco bene cosa. Sento o immagino che si tratti di sesso, percepisco di avere accettato qualcosa da uno sconosciuto che vedo tutti i giorni, qualcosa che mi inumidisce i pensieri di aspettative e dubbi, proprio come quelle donne che ho visto insieme a lui. Deve essere la famosa caramella, quella che scende dolce in gola come il peccato.

Prendo il telefono e inventandomi una scusa qualunque avviso che non rientrerò.
Stasera sarei stata io una di quelle donne.

In piedi sul marciapiede mi fa un lieve cenno con la testa e io lo seguo senza dire altro. Non abita lontano.
L’edificio non è certo nuovo, come nemmeno l’ascensore, ma dalla sua terrazza all’ultimo piano si vede tutta la città e le colline in lontananza.
“Si sente a suo agio?” è la prima frase che mi rivolge.
“Si” gli rispondo dopo aver fatto un piccolo check up delle mie sensazioni.
“Allora si spogli completamente e pieghi le sue cose su quella sedia.”
Il tono è gentile ma è un ordine. Nella mia testa si accavallano pensieri assurdi per una situazione assurda come quella che sto vivendo, le mie uniche preoccupazioni sono: depilazione, non ho nemmeno fatto una doccia, biancheria della nonna, non posso mostrarmi così.

Senza giacca, si sta arrotolando le maniche della camicia. Si ferma a metà gesto per chiedermi: “Non ha capito? Devo ripetere?”
Lascia cadere la cravatta e apre il primo bottone della camicia, piazza le mani in tasca gli occhi fissi su di me. Mi appare trasformato, sta pretendendo senza più chiedere.
Mi sfiora l’idea di essere un oggetto per il suo piacere, ma non c’è un suo gesto che possa essere dichiarato erotico o eccitante, eppure sono tesa come un arco.
Mi levo gli abiti, ma non è uno spogliarello, mi ricorda molto una visita medica.
Per ultimo appoggio le mutandine sulla pila di abiti piegati.

Sfiora il mio pube disordinato prima di prendermi per mano:” Qui bisogna fare proprio qualcosa.”
Quando sono nella doccia, apre l’acqua calda. Controlla con attenzione la temperatura e la lascia scorrere sul mio corpo. Mi insapona da capo a piedi, mi sciacqua rimanendo sempre vestito e fuori dalla doccia.
Con una noce di schiuma da barba in mano, mi ordina di aprire bene le gambe. Presa dal pudore chiudo gli occhi, appoggio la schiena alle piastrelle, divarico il più possibile le mie gambe. Lui mi rade con la delicatezza di un barbiere professionista seguendo ogni ansa e curva del mio sesso. Immagino la lama che si muove in quel biancore come se fosse neve vergine appena caduta e mi coglie un brivido.
Ancora acqua sul mio corpo e poi avvolge il mio corpo con un enorme telo di spugna tiepido.

È tutto così assurdo ma al tempo stesso normale, naturale, ma anche un momento di sospensione prima della tempesta, come se fossi preparata per un sacrificio rituale. Chissà se anche Barbablù preparava così le sue mogli prima di ucciderle e appenderle come vecchi mantelli in cantina?

Sono rilassata, morbida, liscia e profumata.
Sempre per mano mi porta in un’altra stanza.
C’è un tavolo, ci sono delle cinghie. Dovrei avere paura?
“Questo è il momento di decidere se sdraiarti, lasciarti legare oppure rivestirti e tornare a casa tua.”
Mi sdraio e sono già bagnata.
Prima vengono fissate la braccia sopra alla testa, poi una gamba per lato piegata in posizione ginecologica.
Passa la mano sul paesaggio del mio corpo senza tralasciare alcun dettaglio. È la mano piatta di quando si accarezzano i cavalli per sentire quanto è liscio il pelo e a me dà lo stesso piacere, pronta a scattare.

Studia il mio viso, insinua un dito fra le mie labbra e bagnato di saliva ne segue i contorni. Ho la sensazione che potrei stare sdraiata qui per ore. Circumnaviga i miei seni, pizzica i capezzoli, inciampa nell’ombelico. Risale tra le cosce a due mani per cadere in picchiata seguendo i polpacci e arrivare alle caviglie. Le stringe come il manico della sua cartella, deciso, per far sentire la pressione.

Prende una sedia e si accomoda davanti alle mie cosce spalancate.
Si avvicina, sputa sul mio sesso e spalma la saliva fissando le grandi labbra che immagino rilucano di umidità.
Esordisco con un: “Scusa ma…”, mi fulmina con lo sguardo e non riesco a continuare. Prende una pallina, me la mette in bocca e mi fissa le cinghie dietro alla nuca.
Adesso devo tacere.
Nel silenzio più assoluto, torna al suo posto e inizia ad accarezzarmi con una lentezza esasperante. La sua camicia non c’è più, il suo torso aderisce in qualche modo al mio sesso, quando le sue dita dopo aver percorso il busto si stringono attorno alla mia gola. La pressione è leggera, ma dice che sono sua, fragile nelle sue mani.

Sento di voler essere usata, io che non ci sto dentro, che gli uomini sono abituata a prendermeli. L’idea di essere alla mercè di un uomo, di non poter decidere, semplicemente a sua disposizione mi manda in orbita.
Invece lui, che nemmeno ha separato le grandi labbra, semplicemente sguscia il mio clitoride e mi fa impazzire legata a questo tavolo. È un orgasmo devastante che mi lascia insoddisfatta, affamata. Un tocco leggero lungo la fessura, poi sposta la pallina e assaggio il mio sapore sulle sue dita. Mi dà alla testa, non capisco come faccia a resistere senza sfoderare il suo cazzo duro. Lo vedo come preme contro i pantaloni, lo vedo e lo voglio.

In piedi di fianco a me introduce un dito nella fica, lo agita come un lombrico che si fa strada nella terra. Ma è poco, dannatamente poco.
Torce un mio capezzolo come se dovesse sintonizzare il mio piacere e tutto si amplifica. Ma non basta ancora.
Lo imploro con gli occhi, cerco di dirgli telepaticamente che non ce la faccio più, che ho bisogno di godere con tutta la mia fica. Che deve sbattermi come una troia! Che mi apra e mi sfondi!
Invece accarezza tutto il mio corpo come se fosse di velluto, lo tocca ovunque, gambe, braccia, ascelle, gomiti, viso, pancia, seno, collo e da capo. È un massaggio rilassante, in qualche modo mi placa, chiudo gli occhi. Sono rassegnata: il ragioniere ama il corpo e la pelle. Deve essere una perversione molto intellettuale, di quelle che non prevedono penetrazioni impietose e improvvise.

Non faccio in tempo a terminare questo pensiero che due dita spietate mi trapanano il sesso. Lo straziano, squarciano, divaricano, mi violano sempre più frenetiche e io vengo senza ritegno. Sento il rumore liquido dell’acqua nella scodella, ma sono io sbattuta dalle sue mani implacabili. Il mio piacere gronda su questo tavolo.
Mi slaccia le gambe, gira il mio corpo a pancia in giù e mi riallaccia alle gambe del tavolo. Adesso sono davvero bloccata, non riesco nemmeno ad alzare la testa.
Ci pensa lui prendendomi per i capelli. Davanti agli occhi ho il suo cazzo e le sue palle che spuntano dai pantaloni. Non so perché trovo questa cosa così eccitante, sbavo attorno alla pallina dalla voglia si succhiarlo, di farmelo sbattere fino in gola. Mi gira attorno toccandomi come fossi una suppellettile d’arredamento.

Sento qualcosa di freddo che entra nella mia fica, cerco di sculettare per capire cos’è.
Una carezza seguita da una sculacciata potentissima mi fa rabbrividire.
Una sequenza di colpi e mi contorco su questo tavolo.
Il sedere è rovente, un calore che si aggiunge alla mia torrida voglia di cazzo.
Apre la cinghia dietro alla mia nuca e offre il suo uccello duro alle mie labbra.
Qualcosa vibra nella mia fica.
Spalanco la bocca dalla sorpresa mentre il suo cazzo nerboruto entra fino a sbattermi con le palle sul mento, e spinge ancora mentre cambia l’intensità della vibrazione.
Sbavo il mio piacere lungo la sua asta. Lo faccio a ripetizione, questi orgasmi telecomandati mi devastano, mi piegano le ginocchia, inondano le mie cosce.

Poi silenzio all’improvviso: niente vibra, niente in bocca, niente di niente.
Solo il mio respiro spezzato.
Passi alle mie spalle.
Sono stremata e non so cosa aspettarmi.
In un angolo del mio cervello mi rendo conto di essermi completamente abbandonata, va bene tutto. Va bene la sua unghia che segue la mia spina dorsale fino alla fessura del mio culo, va bene il brivido che mi fa inarcare, va bene che desideri essere inchiodata dal suo cazzo a questo tavolo.
Come una barra rovente, il suo uccello grosso e duro mi apre il culo indifferente al mio gemito di sorpresa e affonda dentro la carne come se fosse burro: colpi lunghi, decisi, profondi. I miei capelli nella sua mano come se fossero redini: mi sta montando come un animale e io come tale rispondo.

La mia fica inizia di nuovo a vibrare.
Sono in cortocircuito totale, i piaceri si sovrappongono ai suoi grugniti di sforzo. Vengo proiettata in un'altra dimensione dell’orgasmo, un luogo dove posso liberare questo urlo atavico che nemmeno sapevo di contenere. Implodo e mi disintegro allo stesso tempo, non sono più.

Gode aderendo alla mia schiena, il fiato corto che mi accarezza la nuca, il suo cazzo ancora dentro di me. Non voglio altro che rimanere così, immobile, in questa quiete dopo la tempesta.
Allunga un braccio e slaccia i miei polsi con un gesto delicato, quasi affettuoso.
Si stacca percorrendo la mia spina dorsale di baci che arrivano direttamente alla mia anima, perché di carne non ne ho più.
Prosegue lungo le gambe slacciando le caviglie.
Mi gira e mi prende in braccio come una bambola rotta.
Le lenzuola fresche mi accolgono.
Ho la bocca secca. Non importa. Non ho parlato finora, e nemmeno adesso ho qualcosa da dire al ragioniere dal caffè lungo.

Ci rivestiamo in silenzio, quasi senza guardarci.
Poi mentre mi accompagna alla porta, proprio prima che io esca prende da un mobiletto dell’ingresso una grande busta gialla e me la mette in mano senza spiegazioni.

Arrivo in strada, mi fermo e la apro alla luce di un lampione.
Dentro una copia del verbale della Finanza e pagine e pagine di documentazioni e note scritte con una calligrafia precisa e minuziosa da presentare in ricorso.
Avrei dovuto capirlo subito che era capace di leggere anche i pensieri non ancora formulati.
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