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Cyberpunk


23.06.2025 |
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"Un colpo secco attraversò l’aria e le segnò la schiena..."
Una stanza spoglia al 57° piano di una torre abbandonata. Pareti d’acciaio vivo, ruggine alle giunture. Neon azzurro, pulsante. Nell’aria, l’odore di ozono e pelle surriscaldata. Un loop sonoro a bassa frequenza faceva vibrare il pavimento.
Lei era lì. Nuda. In piedi.
Le braccia alzate e bloccate sopra la testa da cinghie elettroconduttive. I polsi tremavano a ogni scossa minima. Gli occhi bendati da una maschera liquida. Il respiro corto. Il sesso, umido da troppo tempo.
Un clic. Improvviso. Una porta si aprì e lui entrò.
Non si sentì nessun passo. Il suono dei suoi innesti era più simile a un sussurro metallico.
Era alto, pelle grigia nei punti dove l’epidermide naturale era stata sostituita. Muscoli scolpiti, braccia potenziate, vene luminose sotto la cute sintetica. Due occhi neri, come schermi, riflettevano ogni movimento della sua preda.
Prese posto davanti a lei, a pochi centimetri dal suo corpo.
La voce del sistema vibrò dalle pareti:
"Sessione attivata. Livello: Dominazione. Parametri personalizzati caricati. Autenticazione biometrica completata."
Le dita meccaniche le sfiorarono la gola. Un impulso percorse la sua spina dorsale.
«Protocollo Delta-7», mormorò lui.
Le cinghie si strinsero. I suoi piedi si sollevarono da terra. Sospesa. Offerta. Pronta.
«Sei mia. Finché decido io.»
Due sonde sottili scesero dal soffitto e iniziarono ad analizzare i battiti della ragazza. Leccavano l’aria, vibravano a ogni variazione del suo respiro. Uno scanner rosso la attraversò tra i seni, fermandosi tra le cosce aperte.
Poi un suono. Un errore. Lei aveva gemuto. Forte.
Un ronzio sibilò. La voce di sistema riprese:
"Comando vocale non autorizzato. Attivazione modalità silenzio."
Dal soffitto scese un ball gag robotico, nero e lucido, che le si infilò in bocca con precisione automatica. La chiusura scattò dietro la nuca.
"Ogni rumore sarà punito."
Poi arrivò la prima frustata.
Un braccio meccanico, esteso da una parete, si caricò con un suono idraulico. Un colpo secco attraversò l’aria e le segnò la schiena. Un secondo, sul fianco. Un terzo, sulle natiche nude. Ogni colpo era calibrato al suo livello di tolleranza, modulato in tempo reale dalla lettura dei suoi battiti e del respiro.
Il suo corpo si contorceva.
Due pinze si chiusero sui capezzoli. La corrente li attraversò.
Un altro strumento si abbassò dall’alto, simulando cera digitale: una sostanza calda e vibrante che colava in gocce simulate sul ventre e sui seni, lasciando una scia pulsante di calore sintetico.
Poi un comando.
Una nuova macchina scese dal soffitto. Bracci sottili si aprirono. Un dilatatore metallico automatico le si infilò con prepotenza nell’ano.
"Espansione anale in corso. Progressione: 10%."
Lei si irrigidì.
Le pareti interne si adattavano alla nuova pressione. Un grido muto, affogato nel ball gag, le attraversò il corpo.
Il plug cominciò a farsi più largo. Lentamente. Inesorabile.
“Espansione: 20% - 35% - 50%.”
Ogni scatto era un morso. Ogni millimetro in più, un fuoco che si apriva dentro di lei. Il dolore era reale. Vivo.
Ma il piacere che le esplodeva dentro era più forte, più acuto. Un’estasi contorta.
"Espansione: 75%."
Il suo corpo tremava. I muscoli contratti, il respiro interrotto, le lacrime sotto la maschera liquida.
Il dilatatore vibrava in profondità, sincronizzato con le scariche ai capezzoli. Ogni impulso era un’onda che la travolgeva.
"Espansione massima. Livello di tolleranza: 100%."
Un ultimo scatto.
Una dilatazione completa. L’ano spalancato. Le terminazioni nervose tutte in fiamme.
Fu lì che lui la prese.
Con una sola mano, le strinse il collo. L’altra le afferrò il fianco, scavando nella carne. La penetrò il culo con uno strattone deciso, spingendo dentro tutto il proprio membro, ora completamente indurito, più freddo del metallo ma vivo come sangue.
Ogni spinta era più violenta della precedente. Ogni colpo le sbatteva il corpo contro la parete d’acciaio.
I suoi piedi penzolavano nell’aria, non toccavano terra. Le sue pupille tremavano sotto la maschera. Capillari degli occhi rotti, ragnatele rosse. Vene pulsanti sulle tempie. Saliva che colava dal ball gag.
Era dolore puro. Ma lei veniva. Senza pudore. Senza resistenza.
Ogni spinta le faceva perdere coscienza per un attimo, per poi riportarla indietro con un’altra scossa. Il controllo era assoluto.
Poi lui si ritirò di colpo. Le strappò via il ball gag con un gesto secco, la costrinse a girare il viso verso di lui.
Le prese il mento con forza. Lo alzò e con un grugnito roco, le venne in pieno viso.
Fiotti caldi e densi. Sugli zigomi. Sulla fronte. Sulla bocca aperta.
Sperma e umiliazione. Possesso.
Dietro le vetrate specchiate, invisibili a lei, un gruppo di uomini in abiti tecnici osservava la scena. Corpi immobili. Occhi carichi di eccitazione. Vecchi ricchi, tenuti in vita da sistemi avanzati. Nulla di loro si muoveva, tranne le iridi, contratte, fameliche. Solo mani meccaniche automatizzate scivolavano lente sulle aste tese, grazie a un pompaggio che le induriva con liquido fosforescente.
Una macchina raccoglieva ogni goccia che ne derivava.
E mentre lei ancora ansimava, mentre le gocce le colavano dagli angoli delle labbra, un suono sibilante annunciò l’arrivo di qualcosa. Da una parete laterale, un lungo tubo trasparente scivolò fuori. Dentro, una sostanza densa e biancastra si muoveva lentamente.
Era ciò che gli uomini dietro lo specchio avevano offerto. Senza nomi. Senza identità.
Un piccolo imbuto si poggiò sulle labbra. E il liquido scese lentamente in gola. Goccia dopo goccia. Caldo. Invasivo. Un’altra forma di possesso.
Lei lo bevve tutto. Senza sapere perché. Senza volere altro.
Vedendo quella scena, la macchina tremava: si guardò le dita, vbravano.
Un battito vero. Un sussulto nel petto. Un ricordo.
Si chinò su di lei. Non come padrone. Non più.
Le accarezzò il volto, le labbra, il mento ancora sporco.
Una lacrima scese. Vera. Calda.
La macchina era ancora accesa, ma l’uomo era tornato.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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