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Il Bull, la Troia ed il maggiordomo


di Antani1984
03.01.2018    |    7.982    |    3 6.0
"Terminati i nostri comodi, rivelai loro il piano: io e lei, avremmo trascorso l’interno week-end nel letto assentandoci da quel luogo solo per bisogni..."
Non era la prima volta che incontravo i coniugi.

Lui mentiva continuamente a se stesso, asserendo che la colpa fosse della moglie, non abbastanza porca, non interessata al sesso e che soprattutto non sapeva fare i pompini.

Lei invece era una leonessa in gabbia, una bomba inesplosa, una troia poco più che vergine, ed ovviamente le colpe ricadevano sul marito.

Quella volta, decisi di aprire definitivamente la gabbia della leonessa, di far brillare la bomba, di far diventare in un batter d’occhio veterana la troia. Lui doveva saperlo, doveva scoprirlo… a sue spese.

Dissi alla coppia che mi sarei presentato a casa loro il sabato di mattino presto (non dissi l’ora), e che sarei rimasto fino alla domenica sera dopo cena.

Suonai il campanello alle 6.45, i coniugi ancora dormivano.

Entrato in casa, mi accolsero con un sorriso assonnato e lei mi disse: “Tesoro, non ti aspettavamo così presto: vado a prepararti la colazione”.

La fermai subito. Doveva prepararla lui.

Non sapeva nemmeno fare il caffè, tornò dopo venti minuti e ci trovò nel letto: lei senza fiato e con occhi sbarrati mentre le stavo penetrando la gola.

Terminati i nostri comodi, rivelai loro il piano: io e lei, avremmo trascorso l’interno week-end nel letto assentandoci da quel luogo solo per bisogni fisiologici. Lui sarebbe stato il nostro maggiordomo: avrebbe dovuto preparare i pasti e servirceli a letto, pulire e riordinare la casa, fare la spesa ed esaudire qualunque nostra richiesta.

Si lui, proprio lui che non sapeva fare nulla di tutto questo, che non sapeva la differenza tra una casseruola ed una griglia, che non aveva mai fatto un bucato ne lavato i piatti, lui che non era mai entrato solo in un supermercato.

Avrebbe dovuto indossare sempre scarpe classiche perfettamente lustre, pantaloni classici neri, camicia bianca e papillon.

Dopo il suo terzo orgasmo raggiunto, con lui indaffarato a servirci bevande e stuzzichini, mi disse con evidente imbarazzo: “tesoro, mi scappa la cacca…posso?”

“Certo”, risposi.

Ancora non sapevano che, in realtà, stavo attendendo solo questo momento.

Qualche minuto dopo.

“Nooooooo”, esclamò lei.

“Che succede?”, rispose lui.

“E’ finita la carta igienica” ribatté lei sconfortata.

Lui mi guardò e mi chiese: “devo andare a comprarla, vero?”

Era troppo ingenuo per capire che avevo nascosto tutti i rotoli, e che tutto questo faceva parte del mio diabolico piano.

“Sarà la tua lingua la sua carta igienica”, risposi.

Mi guardò terrorizzato, implorandomi di non esporlo ad una ulteriore umiliazione; rimasi in silenzio fissandolo negli occhi, fino a che si mise a gattoni e raggiunse la moglie in bagno.

Leccò con cura e dedizione le feci residue motivato dal mio frustino e dai calci che lo colpivano quando esitava.

Lei si lavò e tornò a farmi compagnia nel letto, e dopo averla preparata adeguatamente, le donai un rapporto anale, tirandola per i capelli e schiaffeggiando il suo culetto sodo: fu interessante raggiungere entrambi l’orgasmo allietati dalla melodia prodotta dai conati di vomito del maggiordomo.

Il pomeriggio trascorse serenamente dandoci vicendevolmente piacere, ordinando cocktail e pietanze varie, a farci rifare ciò che non era di nostro gradimento ed a fargli pulire ciò che noi, volutamente, sporcavamo.

La sera, volli una cena a lume di candela con lei, un tavolo apparecchiato in modo romantico a fianco al letto.

Dopo esserci fatti insieme la doccia ci sedemmo al tavolo: io in giacca e cravatta, lei abito da sera e tacco 12, lui sempre vestito uguale, sudato e puzzolente. Dapprima entrò con il carrello porta vivande (fatto acquistare appositamente), poi legato al guinzaglio alla gamba del tavolo e costretto a mangiare come un cane i nostri scarti che gettavamo a terra e che poi avrebbe dovuto pulire.

Per la notte, dopo aver fatto cambiare l’ennesimo set di lenzuola, ci addormentammo abbracciati esausti dopo l’ennesima dose di coccole e sesso. Lui legato al guinzaglio alla gamba del letto. In silenzio.

L’indomani, oltre alle faccende domestiche ed ad una adeguata spesa al supermercato, il maggiordomo dovette organizzare un piacevole pomeriggio, invitando amici (che conoscevano la situazione) a casa, mentre io trascorsi tutta la mattinata a far comprendere nel migliore dei modi a lei l’arte del sesso orale.

Una timida perplessità la attanagliò dopo pranzo: “Vuoi scoparmi davanti a tutti oggi vero? Non vorrai mica…”

Capii che sarebbe stato il caso di legarla al letto, quando i quattro amici del marito avrebbero abusato di lei in ogni orifizio per tutto il pomeriggio.

Gemeva, tremava, urlava, godeva e piangeva. Ognuno di loro la scopò selvaggiamente più volte, la ricoprirono di sborra, la usarono per i loro desideri più reconditi.

Dopo un pomeriggio intenso ed appagante per tutti (tranne che per lo sfigato maggiordomo), lei era supina sul letto. Stremata. Esausta.

Le comunicai che ora sarebbe giunto il mio momento.

“No, ti prego! Non è per te, ma davvero non ce la faccio! Mi brucia tutto e non ho più forze! Ti prego, lasciami riposare!”

Questo rifiuto meritava una punizione.

Le dissi che per una cosa così grave, non meritava nemmeno che aprissi la mia “borsa BDSM” così ben fornita.

Infilai le sue amate “palline” tra le sue gambe, ed un vibratore anale nel suo bel culetto sodo. la costrinsi a mettersi a terra a pecorina, e presi la cintura.

“100 colpi, e devi contare ad alta voce”,dissi,“se fai cadere le palline o il vibratore, si ricomincia da 0”.

Fece cadere il vibratore quattro volte, e quando finalmente giunse a contare il numero cento, la penetrai con violenza analmente, facendole sputare il pochissimo fiato che le era rimasto.

La cena fu come la precedente, con la differenza che la stanchezza condizionò il nostro pasto.

Alle 22 circa uscii da una deliziosa doccia rigenerante, lei si era addormentata sul letto, lui, con lo sguardo basso, mi salutò e mi accompagnò alla porta.

Prima di uscire le accarezzai le gote, la baciai sulle labbra mentre dormiva, presi un suo rossetto, e le scrissi sul petto: “Sei una troia adorabile”.
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