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RICORDO DI UN AMORE... 2

21.06.2025 |
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"Dopo, si sdraiarono sul pavimento, nudi e stanchi, le mani intrecciate come un ultimo ancoraggio a quel momento..."
A Bologna pioveva senza sosta, la città si era fatta un tappeto di riflessi bagnati e silenzi rotti solo dallo scrosciare dell’acqua. Giò camminava senza meta, il respiro che si condensava nell’aria fredda, i pensieri aggrovigliati come fili di nebbia che non riusciva a sciogliere. Aveva lasciato Marco, e quel distacco pesava come un macigno sul petto.Non era stata una decisione improvvisa. Ogni giorno, negli ultimi mesi, aveva sentito crescere dentro di sé un senso di estraneità, di distanza incolmabile. Marco era rimasto un ragazzo, un eterno Peter Pan ancorato alle sue paure, ai suoi sogni infantili, incapace di prendersi la vita con la forza e la rabbia che servivano per affrontarla.
Giò invece era cambiato. Era diventato un uomo segnato dal tempo, dalla sofferenza, dal desiderio di qualcosa di vero, di profondo. Quel distacco non era solo una rottura, era un lutto, la fine di un sogno svanito, una ferita aperta che sanguinava lentamente ma senza sosta.
Varcò la porta del salone di Aldo, la luce calda e soffusa filtrava tra specchi appannati e profumi di henné e muschio. Aldo era lì, appoggiato al bancone, lo sguardo perso, il volto segnato da notti insonni e attese infinite.
«Sono uscito di casa tre giorni fa,» disse Giò senza guardarlo negli occhi, la voce un filo di ruggine e malinconia. «Ho capito che non posso più restare con uno che dentro è ancora bambino.»
Aldo lo scrutava, quel tipo di sguardo che pesa, che vuole scavare fino al fondo dell’anima, senza paura di scoprire verità dolorose.
«Non è facile crescere,» rispose piano, la voce roca e bassa. «E non è facile lasciare chi si ama.»
Giò scosse la testa, una risata amara gli sfuggì dalle labbra. «Forse non è più amore, Aldo. Forse è solo bisogno, paura, abitudine.»
Si avvicinò, le mani tremanti ma decise, sfiorando il viso di Aldo, i polpastrelli che sentivano ogni piccolo solco, ogni segno lasciato dal tempo e dalla vita. Poi lo prese con forza, un bacio feroce, incalzante, una mischia di passione e disperazione.
Le lingue si cercarono, si mordevano, come a voler inghiottire quel vuoto che li divorava da dentro. Le mani di Aldo scesero lente lungo la schiena di Giò, sfiorando, afferrando, strappando via vestiti e rimpianti.
Giò sentì il corpo ardere, un calore sporco che lo invase come un fiume in piena. Le sue mani si posarono sulle spalle di Aldo, stringendolo come se potesse imprigionarlo e non lasciarlo andare via.
«Sei tornato,» sussurrò Aldo tra un bacio e l’altro, la voce rotta dall’emozione e dalla rabbia. «Ma questa volta voglio tutto.»
Nel retro del salone, tra profumi di shampoo e vecchie sedie di pelle consumata, si spogliarono lentamente, senza fretta. Ogni capo di abbigliamento che cadeva a terra era un peso in meno, un’armatura che crollava. Nudi, si guardarono per la prima volta senza filtri, senza finzioni.
Il corpo di Aldo era segnato da qualche cicatrice, da quei piccoli difetti che lo rendevano reale, umano, bellissimo nella sua imperfezione. Giò sentiva un groppo in gola, una tenerezza disperata che lo faceva tremare.
Si toccarono con delicatezza, esplorando ogni piega, ogni curva, ogni centimetro di pelle. Ma quella delicatezza era solo un preludio a una tempesta di desideri, una danza di corpi che bramavano di annullarsi l’uno nell’altro.
Sporco, intenso, malinconico
Giò si inginocchiò davanti ad Aldo, la bocca calda che sfiorava la pelle umida di sudore. Le mani di Aldo affondavano nei capelli di Giò, tirandolo a sé, quasi a volerlo inghiottire.
Con una lentezza crudele, Giò lo leccò, lo succhiò, assaporando ogni centimetro di pelle, ogni fremito. Aldo gemeva piano, la testa all’indietro, abbandonato a quel piacere crudele e dolce insieme.
Poi Aldo lo prese per i fianchi, lo sollevò, spingendolo contro il muro freddo. Le loro bocche si cercavano di nuovo, sporche di saliva e desiderio, mentre le mani scivolavano sui corpi sudati, sulle cosce, sulle schiene, sui glutei.
Giò sentiva l’odore di Aldo, il suo calore, la sua fame che bruciava dentro. E per un momento, non c’era nulla fuori da quella stanza, da quel corpo che si donava e si prendeva senza pietà.
Si lasciarono andare, in un crescendo di gemiti e sudore, di mani strette e respiri affannosi. Giò sentì Aldo penetrarlo lentamente, con una delicatezza feroce, un mix di dolcezza e possesso che lo fece vibrare fino alle ossa.
Le pareti del salone tremavano sotto quei colpi, i loro corpi si confondevano in un’unica carne, in un’unica verità sporca e vera.
Giò urlò il nome di Aldo, e quel suono fu come un addio al passato e una promessa al futuro.
Quando vennero insieme, fu un’esplosione di luci e ombre, di dolore e piacere, un attimo che sembrava durare un’eternità.
Dopo, si sdraiarono sul pavimento, nudi e stanchi, le mani intrecciate come un ultimo ancoraggio a quel momento.
La pioggia fuori era diventata una melodia triste e incessante, che entrava dalla finestra aperta e si mescolava ai loro respiri.
Giò guardò Aldo, vedendo negli occhi quell’inquietudine antica, quella malinconia che non si poteva cancellare con un solo incontro.
«Ho lasciato Marco,» disse senza voltarsi. «Ma non sono sicuro di cosa cerco davvero.»
Aldo lo abbracciò, stretto e forte, come a voler fermare il tempo e le paure.
«Forse non cerchiamo qualcosa,» mormorò, «forse cerchiamo solo di non essere più soli.»
Rimasero così, due corpi nudi avvolti in un abbraccio fragile, in un silenzio che diceva più di mille parole.
Giò sapeva che quella notte non avrebbe cancellato tutto il dolore, che quel ritorno non era una guarigione, ma un punto di partenza, fragile e incerto.
Eppure, tra quelle ombre di desiderio e rimpianto, c’era qualcosa di vero, qualcosa di possibile.
Qualcosa che valeva la pena di tentare, anche se il futuro era un’incognita.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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