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Le vacanze di René - 9


di July64
04.05.2017    |    17.197    |    7 9.7
"Potei quindi dedicarmi alle altre due ragazze che erano addirittura ancor più infoiate di Loanai..."
Le vacanze di René - parte nona


In effetti il calore che emanava dal mio ventre si era diffuso dappertutto, trasformandosi in una eccitazione irrefrenabile. Il mio pisello, già tormentato per tutto il pomeriggio dalla visione paradisiaca del corpo di Loanai, era divenuto un randello rovente e duro come il ferro, che tendeva il tessuto elastico degli slip da bagno come se volesse schizzarne fuori. Ma, evidentemente, la sensazione che stavo provando era la stessa, al maschile, di quella delle mie accompagnatrici, le quali mostravano visi paonazzi, occhi luccicanti, labbra tumide, capezzoli completamente estroflessi che sembravano voler bucare il tessuto leggerissimo dei loro indumenti, e si accarezzavano leggermente. Io pensai che un’occasione come quella non si sarebbe mai più ripresentata nella mia vita: le ragazze avevano mangiato anche loro quella bomba afrodisiaca e quindi non mi avrebbero respinto, forse.

Mi avvicinai a Loanai e la baciai, dolcemente. Lei non mi dette nemmeno il tempo di respirare, mi infilò la lingua tra i denti, si impadronì della mia e me la succhiò come se stesse bevendo il latte da un biberon. Ebbi timore che volesse mangiarla… per fortuna non erano cannibali.

Ma ricambiai subito il bacio appassionato ed entrambi iniziammo una frenetica esplorazione dei nostri corpi con le mani. Realizzammo all’improvviso di essere ancora coperti dei piccoli quadratini di stoffa dei nostri costumi da bagno e ce li strappammo letteralmente di dosso; io aiutavo anche le altre ragazze, godendomi lo spettacolo unico dei loro corpi progressivamente nudi.

Erano stupende, muscolose e piene di curve, con i seni di dimensioni generose ma così sodi da sfidare (e vincere) la legge di gravità. Le areole brune si notavano appena sull’epidermide dorata abituata all’abbronzatura integrale. Mi gettai a capofitto sui capezzoli di una di loro, Guanìa, presumo, e cominciai a succhiarli, alternativamente, penso con lo stesso impegno che Loanai ci aveva messo con la mia lingua e strappai a Guanìa gemiti di piacere: “Ancora, succhiami, mi piace…. mmmmmhhh… aaaahhh!”

Vedevo che Loanai e Neali mi guardavano come stranite e subito mi dedicai a loro, riservando lo stesso trattamento di Guanìa. Non mi sentivo affatto imbarazzato per la presenza contemporanea delle tre ragazze, anzi, mi sentivo certamente all’altezza di tenere testa a tutte: dopo aver collaudato gli assalti di Annette e Edith non penso ci fossero ancora molte cose delle quali meravigliarmi.

I corpi delle tre ragazze erano imperlati di sudore, la loro eccitazione (come la mia del resto) era divenuta un fenomeno palpabile, l’aria nella piccola capanna era divenuta arroventata e piena del profumo dei nostri corpi. Non ci preoccupavamo ormai di nulla, ma eravamo presi da un’unica ossessione; fare l’amore. Eravamo tutti infoiati, le nostre lingue ormai si incontravano nell’aria, disordinatamente, le mani vagavano sui corpi accarezzandoli. Ad un tratto Neali si buttò avidamente sul mio pisello come se fosse l’ultimo boccone di cibo sulla terra per un affamato, lo scappellò completamente e cominciò a giocarci con la lingua, come se stesse ubbidendo ad un rituale di danza tribale. Guizzi velocissimi accarezzavano la punta, poi la lingua scendeva sempre più giù. fino a raggiungere le palle, che Neali introduceva in bocca alternativamente, procurandomi un godimento estremo.

Io e Guanìa, intanto, ci dedicavamo a leccare Loanai dappertutto. La ragazza era scossa da un tremito che la rendeva ancora più bella ed eccitante. Le baciai la fica, come ero abituato a fare con Annette, esplorando dappertutto quel fiore dorato e profumato di mare: le aprii le grandi labbra e introdussi la lingua in un anfratto caldissimo e grondante di umori. Non avevo mai visto una donna così bagnata. Loanai gemeva di piacere: io le leccavo la fica, mentre Guanìa aveva infilato la lingua nel suo buchino posteriore. Mi ritrovai a pensare con disappunto che forse il merito della eccitazione parossistica di Loanai non era né mio, né di Guanìa, ma piuttosto del frutto afrodisiaco. Comunque, quando le solleticai il clitoride con la punta della lingua Loanai schizzò quasi fino al soffitto della capanna, mi prese la testa fra le mani e me la spinse contro la sua fica. Continuai con grandissimo piacere la mia opera ed il fremito che attraversava il corpo di Loanai si fece incontrollabile. Era come priva di volontà, divaricava le gambe e chiedeva lamentosamente: “Oh….. sì….. sì, leccami, leccami dentro, ti prego, mi fai impazzire… aaaahhhhh !”.

Un ultimo brivido annunciò il primo orgasmo di Loanai, che strinse forte le gambe intorno alla mia testa, costringendomi, si fa per dire, a sospendere momentaneamente il mio lavoro di lingua sulla sua fica. Poi cadde esausta sul pavimento ricoperto di foglie della capanna.

Potei quindi dedicarmi alle altre due ragazze che erano addirittura ancor più infoiate di Loanai. Neali era inginocchiata davanti a Guanìa e china su di lei la stava leccando. Mi inginocchiai anch’io dietro Neali e in un solo colpo le infilai il pisello nella fica che era completamente aperta davanti ai miei occhi e lucida di umori che le scendevano lungo le cosce. Nonostante Neali avesse una fica strettissima, il mio cazzo scivolò dentro senza alcuna difficoltà e venne immediatamente risucchiato dalle pareti della sua vagina, che lo stringevano come in una morsa. Era la prima volta che provavo una sensazione simile.

Cominciai a muovermi su e giù nella fica di Neali, prima con movimenti lenti e lunghi, mentre accarezzavo il corpo della ragazza, le spalle, le natiche, poi passavo una mano davanti e stringevo le sue tette a coppa tra le mani. Le prendevo i capezzoli e li rigiravo tra le dita. Neali muoveva il bacino come se stesse danzando uno di quei rituali di sesso che avevo visto nel villaggio che avevamo visitato appena il giorno prima. Non ero io che la stavo scopando, ma il suo bacino che scopava il mio cazzo. Incredibile: dovevo venire in Polinesia per imparare queste cose!

Però nemmeno io riuscivo a conservare la lucidità. L’eccitazione mi aveva fatto perdere ogni freno inibitore, ma con uno degli ultimi barlumi di coscienza realizzai che oltre alla foia esagerata i frutti afrodisiaci producevano uno strano effetto: ritardavano l’orgasmo, almeno per me: mi sentivo eccitato da impazzire, ma ero consapevole che sarei durato tanto a lungo.

Così iniziai a dare colpi all’impazzata nella fica di Neali. Mi eccitava ancor di più il “ciac, ciac” prodotto dall’urto del mio bacino contro le sue natiche, un rumore reso umido dagli umori abbondanti che uscivano dalla fica di Neali e che lubrificavano sempre più il movimento del mio cazzo dentro la sua vagina. Più spingevo e più sentivo la punta del pisello toccare qualcosa dentro di lei, in fondo alla sua vagina. Un effetto straordinario, non credevo che far l’amore potesse essere così diverso ed eccitante. I miei movimenti facevano impazzire ancora di più Neali, che urlava: “Ahhhh….. sì….. io……arghhh….. sì….. sì”, accompagnate poi da altri suoni incomprensibili. Erano parole sconnesse, gutturali, primitive. Un atto sessuale di aborigeni, selvaggio, senza freni.

Neali ebbe un orgasmo, lungo, squassante. Me ne ero accorto sia dalle sue grida, sia perché il mio pisello venne strizzato con movimenti alternati dalle fortissime pareti della sua vagina, che, a ondate, si contraeva e si rilassava ritmicamente. Non avevo mai assistito ad un orgasmo simile. La fica di Neali avrebbe potuto stritolare un serpente, se si fosse infilato lì dentro…

Dopo l’ultima contrazione usci da lei per dedicarmi ora a Guanìa, la meno bella del terzetto, ma con l’eccitazione tremenda provocata dal frutto dell’amore non era il caso di fare lo schizzinoso. Guanìa aveva già le gambe divaricate per l’intervento di lingua praticatole da Neali e così era rimasta. Mi avvicinai a lei che, con occhi sbarrati, sembrava attratta dal mio pisello come da una visione paradisiaca e mi distesi sul suo corpo. Anche in questo caso non vi fu alcuna difficoltà a penetrarla: il suo liquido gelatinoso rendeva il suo canale liscio come la seta e caldo come il pane appena sfornato. Guanìa profumava appunto di pane, di erbe aromatiche, di buono. Sentivo sotto il mio corpo la rotondità del suo ventre, il seno appuntito. La baciai sul collo e, come per Neali, iniziai un lentissimo movimento di va e vieni nella sua fica: ultimamente ero allenatissimo…

Anche stavolta l’iniziativa non dovette partire solo da me: il bacino di Guanìa sembrava essere dotato di vita propria: come in una danza del ventre, si muoveva attorno al mio cazzo come se lo volesse costringere in posizioni persino innaturali. Le sensazioni che mi provocava erano indescrivibili. A proposito di pane mi sembrava di aver immerso il mio pisello in un forno, tanto calda era la fica di Guanìa, ma non asciutta come un forno, bensì allagata di umori dell’eccitazione. Lo sciacquio del pisello dentro la fica riempiva con il suo rumore il silenzio della capanna, rotto ora anche dai gemiti di Guanìa, che si godeva la scopata con degli “ah.. ah.. ahh”, emessi ogni volta che il mio pisello si infilava in fondo alla sua fica. Era come se i suoi gemiti mi imponessero il ritmo, che si faceva progressivamente sempre più veloce e le spinte verso di lei sempre più forti. Guanìa pronunciava parole che credevo fossero frasi sconnesse, ma poi compresi che erano espressioni nella sua lingua, inframmezzate da parole in francese: “Guanìa tscilei, Guanìa ramei tu col; dai, fai forte, più forte, fai godere la piccola Guanìa”. Guanìa se la stava davvero godendo, il suo bacino si alzava per incontrare il mio pisello e consentire che le spinte lo facessero arrivare sempre più in fondo, le sue mani mi cingevano il sedere per governare i colpi; quando mi avvicinavo a lei mi tirava per imprimere maggiore forza e sentirmi più profondamente in lei. Probabilmente aveva raggiunto orgasmi multipli ed era come impazzita di godimento.

Mamma mia che sballo! In quel momento non pensavo nemmeno alla mia mamma ed ai momenti meravigliosi e sconvolgenti trascorsi con lei. Avevo solo uno scopo: far godere al massimo la piccola Guanìa. Dovetti spingere ancora una decina di volte, poi le gambe di Guanìa mi abbrancarono il bacino, imprigionandolo contro di lei, che fu scossa da un ultimo orgasmo travolgente: “Uhhhh…. arghhhhh…. sì…..sì…..così mi piace….riempimi del succo dell’amore…..sì..”

Ma io non avevo alcuna intenzione, o meglio, il mio pisello non aveva alcuna intenzione di finirla, quindi attesi paziente dentro di lei la fine dell’orgasmo di Guanìa. La ragazza fu scossa da un tremito più forte degli altri, mi abbracciò e mi dette un lungo bacio appassionato. “Grazie, è stato bellissimo”.

Non ebbi la presenza di spirito di ringraziarla io per le sensazioni meravigliose che mi aveva fatto provare, ma soprattutto perché fui distratto da Loanai, che, terminato l’effetto del primo orgasmo, evidentemente pretendeva di partecipare nuovamente alla festa. Si avvicinò alle compagne, distese languidamente a godersi i postumi degli orgasmi che le avevano sfiancate e disse loro qualcosa in polinesiano, che io, ovviamente, non raccolsi.

Poi si distese sul fianco sinistro, volgendomi le spalle, tirò a sé le ginocchia e mi aderì contro. Dapprima non capii bene quali fossero le sue intenzioni, poi sentii la sua mano che si impadroniva del mio pisello e se lo avvicinava alla fica. La sua posizione quasi rannicchiata favoriva tantissimo la penetrazione e, una volta che le fui dentro, subito avvertii che la punta toccava un punto in fondo a lei provocando, in lei e in me, contemporaneamente, una specie di scossa elettrica. Loanai modificò la posizione delle gambe, tirando le ginocchia ancor più verso il suo torace, come se fosse piegata in due, praticamente in posizione fetale, mentre il mio pisello ricominciava a muoversi come un pistone nel cilindro di un motore ben lubrificato.

I mugolii di piacere di Loanai ben presto si diffusero nella capanna. La sua mano destra accarezzava la mia coscia. Ricominciai il mio lavoro di va e vieni, ma le sensazioni erano ancora diverse da tutte le altre che avevo provato in quel pomeriggio d’incanto. Era proprio il “riali”, ovviamente con la complicità di Loanai, Neali e Guanìa, ad aver creato un’estasi unica.

Il respiro di Loanai si faceva sempre più affannoso; aveva un modo languido di gemere sotto i miei colpi che non faceva che aumentare l’eccitazione di quel momento. Neali e Guanìa, stremate dall’intensità del rapporto appena terminato, si avvicinarono lentamente a Loanai, che aveva gli occhi chiusi per il godimento e cominciarono ad accarezzarla: si vedeva che per loro Loanai era una donna di rango più elevato, destinataria quindi del loro rispetto e con quelle carezze timide, ma precise, le tributavano la loro deferenza. Neali, si infilò pian piano tra le ginocchia ed il seno di Loanai e cominciò a succhiarle i capezzoli, uno alla volta. Loanai scuoteva la testa come un’invasata, mentre io affondavo inesorabilmente dentro di lei il mio pisello bollente e duro come una spranga di acciaio. Ognuno dei miei colpi faceva spostare il corpo di Loanai sul pavimento della capanna e Neali si muoveva con lei per non perdere il contatto con i suoi capezzoli.

Ad un tratto, quasi all’improvviso, Loanai lanciò un urlo di piacere: “Oui, oui, mon petit garçon, je vien, je vieeeeeen !”. Il suo corpo fu scosso da tremiti irrefrenabili, così forti che la costrinsero ad abbracciare Neali che continuava a masturbarle le tette. Nello stesso tempo la sua fica cominciò a pulsare, come se il suo canale d’amore fosse scosso da brividi, o meglio da strane vibrazioni: che sensazione! Mi chiedevo, con l’ultimo barlume di lucidità che mi era rimasto, se fosse una sua capacità particolare o era stato il “riali” a dare alla sua fica quella particolare caratteristica. Certo è che quel tremolio mi contagiò, scatenando dentro di me un rimescolio bollente che avvertivo salire sempre più in superficie.

Sfilai il mio pisello dalla fica di Loanai, che dava gli ultimi spasmi di godimento ed in quel momento, con lento languore, le tre ragazze se ne impadronirono, avvicinandosi con le bocche alla punta che era divenuta di un rosso violaceo e lucida degli umori di Loanai. Uno schizzo di sperma colpì Neali in pieno viso e lei, sorpresa, lanciò un “Ohhhh” di gioia e passò subito il testimone a Guanìa, che si beccò nella bocca aperta il secondo ed il terzo fiotto di liquido, che era più cremoso e lattiginoso di quanto non fosse mai stato. Loanai, con lo stesso sorriso che mi aveva mostrato sott’acqua, quando raccoglievamo le ostriche, si offrì ad essere colpita dai successivi getti di sbora. Ma il fenomeno che mi fece sbalordire è che pareva che l’eiaculazione non dovesse avere mai fine. Gli schizzi di sbora si susseguivano e le ragazze continuavano a passarsi il mio pisello per gustarsene tutta la quantità enorme che ne usciva. Sei, sette, otto, dieci! E tutti cremosi, abbondanti come il primo. Non pensavo che le mie sacche ne potessero contenerne tanto: era una fontana impazzita e ogni getto mi faceva godere da pazzi. Non avevo mai avuto un orgasmo così lungo e così abbondante in tutta la mia vita e non credevo fosse possibile che un uomo, sia pure un ragazzo come me, dotato di risorse quasi illimitate, potesse avere tanto sperma dentro di sé.

Alla fine, stremati, ci lasciammo cadere sulle stuoie che costituivano il pavimento della capanna, abbracciati e sorridenti, le ragazze con i visi, i capelli, le bocche piene di sbora. Annette non sarebbe stata nella pelle a vedere una cosa simile: ne avrebbe bevuta a litri.

Dopo diversi minuti cominciammo a muoverci e la prima cosa che domandai a Loanai fu come mai avessimo avuto degli orgasmi tanto intensi, se cioè era stato tutto merito del “riali”. “Bè, non proprio tutto merito suo. Ci sai fare anche tu, sei stato bravissimo a farci godere così. Soltanto l’eccitazione e l’abbondanza del tuo seme sono state determinate dal riali, che stimola la produzione di liquido seminale come nessun altro farmaco al mondo. Per questo lo chiamiamo il frutto della fecondità: dopo che un uomo lo ha mangiato è difficile che la sua donna non rimanga incinta”.

Quelle parole dovettero provocare un mutamento della mia espressione, che manifestò preoccupazione. “Non ci sono problemi, René, noi prendiamo un altro frutto, che ha proprietà anticoncezionali, fino a quando non decidiamo che è arrivato il momento di mettere al mondo tanti bei figli e per noi questo momento non è ancora giunto”.

Mi rilassai: non era giunto nemmeno per me il momento di avere delle responsabilità così gravi.

Ci rialzammo a fatica, raccogliemmo i nostri vestiti e ci avviammo sorridendo e scherzando, come si conviene a ragazzi della nostra età, verso il villaggio. Mentre camminavamo chiesi a Loanai come credeva fosse andata a finire tra zia Juliette e quel giovane fusto che le era accanto e, soprattutto, a zio Marcel, che notoriamente non si faceva sfuggire un’occasione.

“E tu come credi che sia andata?” domandò con un sorriso sornione Loanai. “Credi che non abbiano assaggiato anche loro il riali…?”




Fine Capitolo 9
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