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Le vacanze di René - 14


di July64
31.05.2017    |    18.481    |    13 9.7
"Chiamai mia madre e le dissi di passare dietro di me, perché non volevo che affrontasse lei per prima un pericolo..."
Le vacanze di René - parte quattordicesima



Erano circa le due del pomeriggio e di papà e zio Marcel non si avevano ancora notizie. Una certa inquietudine cominciò a insinuarsi in me, ma cercai di dissimulare il disagio raccontando battute a tutti, come se stessimo appunto nel giardino della nostra villa di Parigi. Per fortuna non dovemmo attendere ancora molto: le sagome dei nostri due esploratori si affacciarono in lontananza. A mano a mano che si avvicinavano potevamo scorgere sempre più chiaramente l'espressione dei loro volti, non preoccupata, ma nemmeno completamente distesa. Mi chiesi cosa avessero trovato.

Ci volle ancora un quarto d'ora prima che si ricongiungessero al gruppo: eravamo tutti intorno a loro, con gli sguardi evidentemente interrogativi. Mio padre disse che l'isola si estendeva per diversi chilometri, apparentemente era di forma ovale ed era circondata, più o meno come tutti gli atolli, da una laguna, separata dal mare aperto dalla barriera corallina. Come era accaduto a noi, avevano rilevato la presenza di innumerevoli palme da cocco e di qualche piccolo animale, presumibilmente lepri.

Avevano anche – e questa era la notizia – rilevato delle orme di piedi nudi in una zona di spiaggia che né io, né loro avevamo mai calpestato, perché si trovava alla parte opposta dell'isola. Erano orme molto vecchie, quasi del tutto cancellate dal vento e dal mare, ma indice inequivocabile che quell'isola era stata oggetto di visita da parte di altre persone.

Questa notizia aprì il nostro cuore ad una speranza: forse i visitatori si sarebbero fatti nuovamente vivi. A meno che non fossero dei malintenzionati, dei pirati. Il Borneo, infatti, non era molto lontano da quelle terre…

Affrontammo quindi la "fatica" di consumare un ottimo pranzo preparatoci dalle instancabili Edith e Annette. Decisi di assaggiare poco di quanto mi venne offerto, manifestando la mia intenzione di recarmi nella laguna per cercare di esplorare i fondali. Avevo ancora con me l'attrezzatura da sub che avevo utilizzato per la pesca delle ostriche con Loanai. Chiesi chi fosse disposto ad accompagnarmi. Mio padre e zio Marcel cortesemente rifiutarono, stanchi della lunga esplorazione del mattino. Mamma e zia Jeneviève accettarono senza esitazioni, mentre le mie sorelle, Virginie e Jacqueline erano indecise.

"Su, ragazze, un buon bagno di mare può farvi soltanto bene" le incitava mia madre. "Non so, mamma," rispose Virginie, "io penso di aver mangiato troppo e forse temo che un bagno possa farmi male." Jacqueline, la più timida, non si esprimeva, ma alla fine decise di rimanere con il gruppo.

Così, io avvolsi in un telo da bagno l'armamentario (pinne, maschera, boccaglio, retino e pugnale), poi, come folgorato da una illuminazione, entrai nella grotta, aprii il sacchetto dove erano contenuti i frutti del "riali", ne raccolsi due ricche manciate e le infilai nel retino da pesca; poi, con mamma e zia Jen ci dirigemmo verso la laguna dove era arenata la nostra barca. Conoscevamo ormai il tragitto a memoria. Mamma e zia Jen discorrevano a voce bassa. Zia chiedeva a mamma come avremmo fatto a ritornare nel mondo civile.

Io, invece, mi stavo chiedendo se zia Jeneviève avesse partecipato allo "svezzamento" di zio Marcel, insieme a zia Jul, ma non ebbi il coraggio di domandarglielo, perché zia aveva sempre un atteggiamento molto più serio e compassato, rispetto sua sorella Juliette e quindi temevo una reazione negativa ad una mia interrogazione su quell'argomento. Mi venne, però, spontaneo domandarle: "Zia, ma perché ci tieni tanto a tornare nel mondo civile? Qui si sta benissimo. Almeno io sono in compagnia delle persone che amo di più al mondo" e guardai negli occhi mia madre, che mi sorrise "e non rinuncerei per nessuna cosa al mondo a stare qui con voi."

"René, tesoro," mi rispose affettuosamente zia Jen "questo è un paradiso, senza dubbio, ma noi siamo animali civilizzati, nel senso che siamo stati viziati dall'agiatezza. Comprendo che sia possibile un adattamento a questo tipo di vita così differente dal nostro, ma penso che dopo i primi momenti di euforia saremo inevitabilmente preda dell'angoscia di ritornare alle nostre occupazioni, alla nostra vita parigina, al nostro mondo, che certamente non è questo."

"Senza dubbio i tuoi argomenti sono incontestabili" risposi, "ma il senso di libertà infinita che sto provando ora, la possibilità di esprimermi senza condizionamenti, per me non ha prezzo."

"Sono contenta per te" mi rispose zia Jen "e mi auguro che tra un mese, se saremo costretti a rimanere ancora qui, tu non mi faccia il discorso opposto, chiedendoti come fare per ritornare in Francia."

"Zia" le risposi ancora una volta guardano negli occhi mia madre "per quel che mi riguarda tutta la mia vita è qui, tutta la mia vita siete voi, non ho bisogno di altro!"

Mia madre si avvicinò, mi cinse la spalla con un braccio e camminò al mio fianco stretta a me, sotto lo sguardo benevolo della sorella, alla quale l'abbraccio doveva evidentemente apparire come la più normale delle manifestazioni affettuose di una mamma nei confronti del proprio figlio.

La laguna era limpida ed immobile. Come dei bagnanti su una spiaggia esclusiva, dove si viene ammessi per numero chiuso (solo noi, infatti), ci liberammo degli abiti, rimanendo in costume da bagno. Deposi sulla sabbia candida il telo da bagno, sul quale appoggiai il retino con i frutti, presi per mano mamma e zia ed insieme ci tuffammo nell'acqua piacevolmente tiepida. Il sole alto nel cielo accendeva il mare di riflessi smeraldo. Mi tuffai sollevando uno spruzzo di schiuma che inzuppò mamma e zia: sguazzavo come un bambino al suo primo bagnetto, tra le loro risate.

Ritornai a riva, calzai pinne e maschera, mi legai il pugnale da sub alla coscia e ritornai in acqua. Dovetti nuotare per parecchi metri prima di potermi immergere in acque più profonde. Anche lì, come nell'isola di Loanai, il fondale era un acquario dai mille colori; anche lì i pesci, non abituati ad essere uccisi dall'uomo, mi guizzavano intorno incuriositi. Che paradiso!

Iperventilai, per avere più autonomia, e mi immersi nuovamente. Nella laguna ero quasi sicuro di non incontrare pesci pericolosi, ma volevo rendermi conto anche di quali specie potessero essere commestibili. Raggiunsi un folto tappeto di alghe ed iniziai a scostare quella massa verde, come se fossi un piccolo pettine nella chioma di un gigante e… toh! un'ostrica, poi un'altra, un'altra ancora. Ero felice come un adolescente che aveva scovato la marmellata nell'armadio della nonna. E questa volta avevo fatto tutto da solo, senza l'aiuto dei polinesiani! Cominciai a strappare dal fondo delle ostriche che avevano valve più grandi della mia mano. Ero euforico. Con le mani piene di ostriche riemersi, sia perché mi mancava il fiato, sia perché non sapevo dove mettere il raccolto.

Mamma e zia nuotavano nelle vicinanze: mi avvicinai, tenendo nascoste sotto il pelo dell'acqua le ostriche e quando fui accanto a loro sollevai il bottino: mamma e zia mi guardarono con gli occhi sgranati: "René, le ostriche, anche qui!" disse zia Jen, con espressione entusiasta, mentre mia madre, forse ancora sazia per la precedente scorpacciata, non si mostrò eccessivamente contenta: Comunque passai loro le ostriche e tornai a prenderne altre. In breve tempo riuscii a metterne insieme un numero considerevole: il fatto che l'isola fosse deserta era una circostanza del tutto favorevole per noi, nessuno le pescava. Mamma e zia facevano la spola tra me e la spiaggia, dove depositavano quelle che passavo loro.

"Mi pare che basti, ora" disse mia madre, indicandomi il mucchietto che avevamo formato sul bagnasciuga, "abbiamo da sfamare tutta la comitiva."

Mi avvicinai a loro, che continuavano a sguazzare nell'acqua limpidissima; i loro corpi sembravano scintillare nel mare trasparente, che non nascondeva nulla delle loro curve: più morbide ed abbondanti quelle di mamma Mireille, più statuarie quelle di zia Jen, che sfoggiava comunque un seno di tutto rispetto. Due splendide quarantenni, dissi fra me, che nonostante avessero entrambe molti più anni dei miei sprigionavano una carica erotica sorprendente. Mi chiesi come mai zia Jen, nonostante il suo innegabile fascino, non avesse ancora un compagno.

Avvicinandomi a loro mi immersi, nella vana speranza di passare inosservato in quel cristallo liquido, e giunsi proprio sotto di loro: il movimento a bicicletta ed il guizzare dei muscoli rendevano le loro gambe ancora più affusolate. Mi aggrappai ad un masso sommerso e sollevai la testa per godermi lo spettacolo dei loro sederi rotondi che si contraevano con i movimenti del nuoto: fantastico. Ma non avevo le bombole e dovetti riemergere, proprio in mezzo a loro. Con una sfacciataggine della quale non avrei saputo giustificare la provenienza, mentre risalivo strisciai con le mani lungo le loro cosce e poi, una volta fuori dell'acqua, le strinsi a me entrambe.

"Ehi, signorino!" mi apostrofò zia Jen, "cosa ti salta in mente di prenderti questi passaggi? E non solo sulla tua vecchia zia, ma soprattutto su tua madre. Ma l'aria tropicale ti sta inebriando a tal punto?"
"O zia, scusami" risposi un tantino imbarazzato, rendendomi conto che forse avevo esagerato "comunque ritienilo un gesto di ammirazione per due ragazze stupende! E non ti permetto di qualificarti vecchia zia. Dopo mia madre, naturalmente, sei una delle donne più belle che io conosca," cercai di giustificarmi con un po' di galanteria.

"E bravo il nostro René!" disse sorridendo zia Jen, rivolta a mia madre, "è così giovane e conosce già le tecniche della seduzione; tu sì che sai come parlare ad una donna!"

"Allora non sei arrabbiata" le chiesi timidamente.

"Beh, per dovere di zia anziana dovrei esserlo" rispose zia Jen con una espressione sorniona che in realtà non avevo mai visto sul suo volto, "ma ti confesso che mi sento davvero onorata di essere stata oggetto delle attenzioni di un giovanotto come te, alla mia età non mi capita spesso!"

"Rassegnati, zia" le risposi con l'aria dell'uomo vissuto, "gli uomini sono davvero degli imbecilli, magari cercano la bellezza ed il fascino da tutt'altra parte."

"Sono d'accordo con te, nipotino mio. Per fortuna non tutti sono come tu li qualifichi: ogni tanto ce n'è uno che sa riconoscere le cose belle…" rispose zia Jen facendo l'occhiolino a mia madre.

Mi chiesi se per caso si erano confessate qualcosa. Scoprivo in me una curiosità quasi morbosa.

Le presi per i fianchi – ed il contatto mi dette un brivido – e le sospinsi verso la riva. Docilmente, mamma e zia si facevano condurre: anche per loro il bagno era finito, almeno a giudicare dalle grinze che tutti quanti mostravano sui polpastrelli delle dita.

Tornammo a riva e ci distendemmo sulla sabbia candida e calda. I corpi di mamma e zia erano imperlati di gocce che brillavano come diamanti al sole. Mi lasciai riscaldare ed asciugare dal sole, una palla enorme che si sarebbe presto rituffata nel mare.

Mi risollevai, presi il coltello da sub, raccolsi un'ostrica dal mucchietto che avevamo sistemato sulla riva e cominciai ad aprirla. Non ero bravo come l'anziana polinesiana che ne sgusciava una al secondo, ma ben presto ebbi la meglio sulla forza che teneva chiuse le valve. Il frutto riempiva tutto il guscio: lo staccai con il coltello e, gettata via una valva, porsi l'altra, piena, a zia Jen, la quale, con gli occhi che brillavano, ne risucchiò il frutto, facendolo scomparire nella sua bocca.

"Wow!" fu l'unica mia espressione. Stavo infatti guardando zia Jen con gli occhi sgranati. Non avrei mai creduto che la compassata manager dell'atélier più prestigioso di Parigi usasse quel metodo, strano ed eccitante, per mangiare le ostriche.

Ne aprii un'altra per mia madre, curioso di vedere che altra sorpresa avrebbe potuto riservarmi il suo modo di mangiarla. Ma, molto più semplicemente, mia madre si limitò a staccare il frutto dal guscio e a portarlo alla bocca con le dita. Comunque io riuscii a trovare sensuale persino quel suo modo semplice di mangiare…

Continuai ad aprire ostriche fino a quando mamma e zia mi dissero che erano sazie, quindi ne mangiai anch'io qualcuna.
Poi il diavoletto che in me non era mai sopito mi suggerì un'idea.
"Ma voi non avete sete?" domandai con l'aria di chi ne avesse tanta.

"In realtà sì" rispose mia madre, ma nessuno di noi ha pensato di portare dell'acqua e a me non va di ritornare fino al campo. Preferisco aver sete, ma godermi ancora il tramonto.

"Io, invece, non resisto" disse zia Jen. Le ostriche erano deliziose, ma il sale marino mi ha messo una gran sete. Io propongo di ritornare al nostro accampamento.

Quella era l'unica soluzione da escludere assolutamente: il mio piano di seduzione della zia sarebbe miseramente fallito.
"Ho io il rimedio per la vostra sete!" annunciai con aria trionfante, avvicinandomi al retino che conteneva i frutti del "riali". "Dopo lo spuntino, il dessert…!"
Presi due frutti e li porsi uno a mamma ed uno alla zia Jen.

"Ma cosa sono?" mi chiesero entrambe. "Dove li hai trovati? In quest'isola?"

"No" dissi la verità. "Li ho portati con me dall'isola delle ostriche, me li ha dati Loanai, quella ragazza molto bella, la figlia del capo, con la quale abbiamo raccolto le ostriche. E' un frutto tipico di quell'isola, molto dissetante e molto nutriente. Soprattutto buonissimo! Mangiatelo senza sbucciarlo."

Mamma e zia fecero come avevo detto. "Mmmmhhh, buonissimo!" disse subito zia Jen, che non poteva non gradirne il sapore, davvero esotico, pieno di profumi tropicali.
"Davvero, molto buono!" ripeté mia madre, che in breve lasciò il nocciolo privo della polpa. "Sa di cocco e fragole, ma molto più buono. Me ne dai un altro, per favore?"

"Certamente" risposi io, che non aspettavo altro, e porsi un frutto a ciascuno di loro, poi ne presi uno anch'io: non mi sarei perso l'effetto per nessuna ragione al mondo…

"Sono fantastici!" ripeteva zia Jen, che ormai ne mangiava uno dietro l'altro. "René, sei una persona dalle mille risorse, davvero straordinario. Mi è passata la sete."

"A me, invece" aggiunse mia madre, che si era fatta fuori almeno una dozzina di "riali", "nonostante il sole stia calando mi è venuto un gran caldo… uff!"

"Sarà l'effetto del sole sulla pelle" replicò zia Jen. "E' stato tutto il pomeriggio ad accarezzarti il corpo, è ovvio che ti abbia riscaldata."

"Ragazze", dissi io, rendendomi conto che il "riali" stava già producendo i suoi effetti, "devo confessarvi una cosa…"
Raccolsi l'attenzione di entrambe e poi mi avvicinai a loro: "Quello che avvertite è l'effetto dei frutti che avete mangiato. Lasciatevi andare e vedrete che proverete delle sensazioni meravigliose."

"Io sto già provando delle sensazioni meravigliose" rispose mia madre. "Sono qui con te, che sei la persona che amo di più al mondo, sono con mia sorella, che pure amo tantissimo, ed ho tanta, tanta voglia di abbracciarvi entrambi!"

"Io no, invece" replicò zia Jeneviève, la quale manifestava un evidente disagio. "C'è qualcosa che mi turba moltissimo, ma non riesco a capire che cosa sia e non credo affatto che siano i frutti che abbiamo mangiato, uff…!" Zia Jen aveva il volto imperlato di goccioline di sudore ed il suo viso era ormai paonazzo. Ma evidentemente lei resisteva all'eccitazione che il riali aveva fatto esplodere nel suo corpo.

Improvvisamente si alzò, facendo sobbalzare il suo seno decisamente fuori misura. Quello spettacolo, che da solo mi avrebbe già eccitato moltissimo, dopo il riali mi produsse un'erezione immediata, con il pisello che pulsava all'impazzata e che ormai era visibilissimo attraverso la stoffa leggera dei bermuda da bagno.

Ma zia Jen non ebbe modo di accorgersene, perché chiese scusa con aria frettolosa e si allontanò dal bagnasciuga dove eravamo distesi, dirigendosi all'interno,verso il palmeto, che distava da noi non più di una decina di metri. La vedemmo scomparire tra il fogliame. Il mio sguardo incrociò quello di mamma: evidentemente avevamo entrambi un'espressione di sorpresa. "Forse aveva un bisogno impellente" esclamò mia madre, con aria comprensiva. Ma io immaginavo quale fosse il "bisogno"di zia Jen. Gli effetti del "riali" non erano noti né a lei, né a mia madre, ma io sapevo che zia non si sarebbe liberata tanto presto dell'eccitazione che l'aveva pervasa ed ero convinto che non volesse mostrare a noi il suo stato. In effetti era sempre stata una persona molto riservata e comprendevo che una simile reazione doveva averla molto sorpresa, ma, per quanto mi riguardava, dopo gli ultimi avvenimenti non avevo più alcuna inibizione.

Non me lo ero proposto esplicitamente, ma in cuor mio avevo il desidero di far l'amore con tutte le donne della mia famiglia. E la situazione in cui eravamo venuti a trovarci non faceva che rafforzare i miei propositi. E poi, tranne mia madre, le altre donne erano tutte libere e… disponibili. Ne avevo avuto la prova certa da Annette, da Edith e da mia sorella Virginie. Mi chiesi per un attimo dove mi avrebbe condotto la mia perversione, ma non ebbi il tempo di darmi la risposta, perché le labbra di mamma si avvicinarono alle mie. Erano leggermente dischiuse, rosse e lucide per l'effetto del "riali" e si incollarono alle mie come due ventose. La lingua di mamma, dolce e dal sapore di fragole e cocco iniziò a girare nella mia bocca per avvinghiare la mia. Fu un bacio dolcissimo e struggente, un bacio d'amore.

Quando mia madre si allontanò per prendere fiato sollevai un braccio, come per fermarla: "Aspetta" le dissi "andiamo a vedere cosa sta facendo zia Jen."

"Non ancora" rispose mia madre "ho voglia di te, vieni su di me, voglio essere ancora tua!"

Le sue parole mi colpirono come un maglio, sobbalzai e la baciai ancora, poi mi feci forza e le dissi:"Anch'io non sto più nella pelle, ti amo e voglio essere tuo, ma devi avere un po' di pazienza, vieni con me." Le tesi la mano e la costrinsi a sollevarsi. Sul suo viso si stampò un'espressione di contrarietà mista a curiosità: decise di fidarsi, mi tese la mano e si lasciò sollevare da me.

Le misi un braccio intorno alla vita ed insieme ci incamminammo verso il folto del palmeto, dove pensavo di trovare zia Jen. La luce del sole veniva smorzata dall'ombra prodotta dalle chiome delle palme. La differenza di luminosità ci costrinse a chiudere gli occhi per un attimo. Cominciammo a guardarci intorno, ma di zia nessuna traccia. Accennammo qualche passo all'interno del palmeto, ma i folti cespugli non apparivano smossi dal passaggio di persone. L'unica via disponibile si apriva parallelamente alla spiaggia, ma in entrambe le direzioni ed io non sapevo quale prendere.

Ad un tratto mia madre alzò un braccio, come per farmi tacere. Era tesa ad ascoltare i rumori provenienti dal bosco di palme. Io non riuscivo a distinguere altri rumori che quello, distante, della risacca, attutito dal suono dei versi degli uccelli che nidificavano tra le palme.

Mia madre fece ancora segno di tacere, portando il dito indice della mano destra alle labbra e si diresse lentamente verso destra, imboccando un specie di sentiero naturale tra gli alberi. Non avevo idea di cosa avesse sentito, ma mi fidavo di lei e la seguii quasi incollato al suo corpo. Percorremmo un cinquantina di metri lungo il sentiero che curvava verso la spiaggia. Mentre avanzavamo iniziai a sentire un rumore del quale non riuscivo a capire l'origine, era come un flebile verso di animale ferito. Iniziai ad essere guardingo e soprattutto preoccupato. Chiamai mia madre e le dissi di passare dietro di me, perché non volevo che affrontasse lei per prima un pericolo. Lei mi guardò con aria comprensiva, ma non lasciò la sua posizione di avanguardia, anzi una espressione divertita le si stampò sul viso.

Continuò ad avanzare per alcuni metri, poi improvvisamente si fermò: ero dietro di lei e lo stretto passaggio tra due alberi non mi permise di vedere al di là delle sue spalle. Il rumore che avevamo avvertito, mia madre prima di me, si faceva sempre più forte. Mamma si volse verso di me, che ero rimasto un po' indietro e con aria ancora più misteriosa mi fece cenno con la mano di venire avanti. Mi affacciai alla sua spalla destra e, finalmente, ebbi dinanzi a me la soluzione del mistero…

Zia Jen era semisdraiata sul tronco di una palma che il vento aveva piegato in posizione quasi parallela al suolo, con le gambe spalancate senza slip, ma ancora con il reggiseno del costume da bagno e le mani sul ventre, una mano che si muoveva su e giù sulla sua fica ed una mano dietro. Aveva gli occhi semichiusi, quindi non ci aveva ancora visti. I suoi gemiti ora erano molto distinti. Era completamente infoiata, e compresi che prima, sulla spiaggia, aveva tentato di conservare l'ultimo barlume di coscienza che il "riali" le aveva lasciato per allontanarsi da noi e, da sola, cercare di spegnere l'eccitazione che la stava sconvolgendo.

Ci avvicinammo a lei: notai che la mano sinistra, che aveva dietro, era quasi scomparsa tra le sue natiche: aveva due dita profondamente introdotte nel suo buchino posteriore, mentre la destra entrava e usciva dalla sua fica a ritmo frenetico, fermandosi solo per permettere al dito indice di girare intorno al clitoride, che aveva scappellato completamente e che si protendeva ben visibile verso di noi.

Non avevamo bisogno di altro per far esplodere la nostra eccitazione, insieme alla sua: Mi avvicinai piano dietro di lei e le slacciai il fermaglio del reggiseno. Zia Jen, che non ci aveva né visti né sentiti arrivare, sussultò: "Ma… ma… che…?" riuscì appena a pronunciare quelle parole che io e mia madre le fummo addosso per riempirla di carezze.

"Mireille, René… ma cosa… cosa…? Che fate…?" domandò con aria smarrita. Non ebbe la possibilità di continuare, perché le chiusi la bocca con un bacio, che fece crollare le sue ultime difese, mentre mia madre le accarezzava il seno prosperoso, che sfoggiava due capezzoli prominenti e durissimi.

In realtà anche mia madre cominciava a rendersi conto che l'eccitazione la induceva a fare cose che per lei sarebbero state impensabili, prima del "riali". Infatti la sentivo sussurrare: "Ma cosa sto facendo? Mamma mia, cosa sto facendo, accarezzo una donna e mia sorella per giunta…!" Ma non smetteva di accarezzarla. Le tette di zia Jen erano talmente grandi che una mano di mamma non riusciva a contenerne una.

Zia Jen era completamente partita, scossa da fremiti di eccitazione e mi baciava avidamente, succhiandomi la lingua come se volesse staccarmela, mentre non smetteva di toccarsi freneticamente.
Tra un bacio e l'altro sussurrava anche lei, come mia madre: "Cosa mi sta accadendo, non mi ero mai eccitata tanto in vita mia. Sì René, piccolo mio, baciami, prendimi, siiii!"

Per baciarmi più comodamente, zia Jen si era completamente abbandonata lungo tronco inclinato dell'albero, sul quale aveva appoggiato la testa, mentre entrambe le sue mani erano impegnate…

Mia madre, mugolando di piacere, aveva cominciato a succhiare i capezzoli di zia Jen, con tale impegno da farla sobbalzare. Questi preliminari si protrassero per diversi minuti, durante i quali il corpo di zia Jen continuava a tremare per l'eccitazione, mentre lei non aveva ancora raggiunto l'orgasmo: tutta colpa (o merito?) del "riali".

Approfittai di un momento di tregua dei baci di zia Jen per spostarmi dal suo fianco. Mi inginocchiai tra le sue gambe e le scostai delicatamente la mano, infilandomi con la testa tra le sue gambe. Istintivamente, al tocco dei miei capelli all'interno delle cosce, zia Jen allargò le gambe, allontanò la mano e mi lasciò campo libero…

La sua fica era fradicia di umori dolci che si erano sparsi sulla sua peluria castana, illuminata dai raggi del sole che filtravano attraverso il fogliame. La mia lingua cominciò a girare intorno alle sue piccole labbra, gonfie e rosse, che si protendevano all'esterno. Il bacino di zia Jen iniziò un eccitantissimo movimento di va e vieni, come per una danza del ventre. Giocai in quel modo per diverso tempo, poi mi avventai sul suo clitoride e lo succhiai voracemente. La mollichina sul suo monte di Venere divenne ben presto un minuscolo dito duro e gonfio che succhiai con golosità, provocando in zia Jen brividi di eccitazione. Il movimento dei fianchi divenne ancora più ampio.

Allora lasciai la lingua fuori, ferma, mentre zia Jen muoveva il bacino in modo da far incontrare il clitoride con la mia lingua. In questo modo la sua eccitazione arrivava al parossismo: nel momento in cui calava, lei avvicinava il clitoride alla lingua e la foia raggiungeva il picco. Sembrava che il suo bacino fosse all'inseguimento della mia lingua…

Ma a giudicare dai sussulti che scuotevano il corpo di zia Jen mi resi conto che l'orgasmo non era lontano. Questo era anche merito di mamma, che non smetteva di accarezzarla e di succhiarle le tette.
Mi rituffai tra le sue cosce e ricominciai a leccarle il clitoride facendo andare su e giù la lingua a velocità supersonica. Poche decine di colpi e zia Jen mi prese il capo tra le mani tenendolo fermo tra le sue gambe, scosse da un tremito convulso.

"Sìììììììì, vengo, vengo, ohhh, come sto venendo, ahhhh, è troppo bello, tesoro mio, René, mi fai morireeee, ahhhhh!!!"

Zia Jen si abbandonò languidamente, mente il suo corpo veniva scosso ancora da tremiti. Aveva una voce calda e roca: "René, Mireille, ma cosa mi avete fatto? Non ho mai goduto tanto in tutta la mia vita!"

"E non hai ancora visto nulla!" le rispose mia madre, con un sorriso complice, "il nostro piccolo René è bravissimo, vedrai…!"

Non avevo mai visto mia madre lasciarsi andare in quella maniera. Era sempre stata riservata, prima di allora, ed anche quando avevamo fatto l'amore era stato come se l'avessi rubato, mentre stavolta sembrava che fosse lei a chiedermi di farlo.

Ebbi un'idea: visto che non aveva avuto ritegno ad accarezzare zia Jen e addirittura a leccarle le tette (cosa impossibile se non ci fosse stato il "riali"), le abbassai le spalline del costume e lo sfilai verso il basso. Il corpo di mamma riusciva sempre a farmi perdere qualche pulsazione, tanto era bello. Poi la presi per mano e la feci distendere, completamente nuda, sul corpo di zia Jen: il tronco della palma era così largo che si prestava egregiamente a sorreggerle.

"Ma cosa vuoi fare?" Mi chiese mamma, con aria sorpresa, ma non contrariata. "Lasciami fare" le risposi. "Vedrai che sarà bellissimo."
Zia Jen era distesa supina sul tronco della palma enorme, che la sorreggeva come un'amaca, mentre mamma era su di lei, prona: io avevo la visione paradisiaca delle loro fiche, una sull'altra, ma in posizione opposta, rivolte verso di me.

Mi rituffai tra le loro gambe e ricominciai a divertirmi. La fica di mamma era bagnata, anche se non fradicia come quella di zia Jen e l'eccitazione di poterla leccare mi fece raggiungere il settimo cielo. La mia lingua era una saetta tra le loro fiche. Ovviamente privilegiai la mamma, che non aveva ancora raggiunto un orgasmo, ma non tralasciai certamente zia Jen. Non mi resi conto, però, che la posizione che avevo fatto assumere alle mie due "ragazze", il contatto tra le loro tette, con il tocco della mia lingua, ma soprattutto il "riali", le avevano portate ad un'altro picco di eccitazione.

Zia Jen, infatti, cominciò a baciare la mamma, infilandole la lingua in bocca e mamma ricambiava. Zia Jen le accarezzava i fianchi, le spalle, il sedere…e mamma ricambiava! Da impazzire. Nonostante facessi uno sforzo enorme per rimanere lucido, questi spettacoli mi facevano perdere completamente la tramontana.

Mi sollevai ed il mio pisello si trovò all'altezza delle fiche di mamma e di zia. Non esitai ulteriormente: appoggiai le mani alle natiche di mia madre e spinsi delicatamente la punta all'ingresso della sua vagina. Mamma ebbe un sussulto: "Dai René, figlio mio, mettimelo, non resisto più, ti voglio, voglio sentirti dentro di me, avanti!"

Non avevo mai ubbidito ad un suo ordine tanto volentieri. Senza esitare spinsi con il bacino ed il mio pisello scomparve tutto dentro di lei: "Ahhhhh, sì, sì, bello, ora muoviti dentro di me" mi diceva mamma, ormai senza freni, tra un bacio e l'altro scambiato con sua sorella, mentre si aggrappava ai fianchi di zia Jen.

Cominciai a muovermi, questa volta la frenesia nei movimenti era tutta la mia. Le mie mani scorrevano dai glutei alla spalla di mia madre senza sosta, mentre mi godevo ogni centimetro della sua pelle di velluto. Andavo dentro e fuori di lei poi affondavo il colpo e rimanevo dentro di lei, profondamente. Questo pareva che le piacesse tantissimo, a giudicare dai suoi mugolii di piacere.

Ad un tratto uscii fuori da lei, piegai leggermente le ginocchia e così raggiunsi la fica di zia Jen. Non ebbi bisogno di chiedere nulla. Appena zia Jen avvertì il contatto del mio pisello sulla sua vagina mi incitò come aveva fatto mamma: "Anch'io ti voglio, bambino mio! Sì, prendimi, prendi anche me, sììììì!"

Affondai dentro di lei e ricominciai la mia danza polinesiana. Allo "shak, shak" del mio bacino contro di lei si aggiungeva quello prodotto dal mio stomaco contro il sedere di mamma, che era pochi centimetri al di sopra. Un godimento pazzesco!

Dieci minuti di questa danza avevano riportato zia Jen in paradiso. Gridava così tanto che temevo che prima o poi qualcuno ci avrebbe sentiti. Quando compresi che stava riavvicinandosi all'orgasmo, uscii fuori anche da lei, mi risollevai un pochino e rientrai in mamma.
"Sì, grazie, bimbo mio. Ti aspettavo, fammi godere, fammi godere tanto, ti prego" Le sue parole erano inframmezzate da mugolii senza senso. L'eccitazione era tanto forte che pensai di avere esagerato con il "riali".

Mentre andavo su e giù dentro mia madre mi sentivo scoppiare il pisello, ma, come era accaduto sull'isola di Loanai, la mia resistenza si era centuplicata, non avvertivo nessun segno premonitore di orgasmo. Quindi continuai ad andare avanti e indietro, mentre la fica di mamma, sempre più rorida di umori, lasciava cadere gocce di lubrificante su quella della zia.

Centinaia e centinaia di colpi portarono mia madre vicinissima ad un orgasmo che si preannunciava esplosivo, mamma muoveva il bacino ormai scompostamente. Decisi che era arrivato il momento di interrompere anche stavolta, quindi passai un'altra volta a soddisfare zia Jen. Desideravo che tutti e tre potessimo godere contemporaneamente. Annette mi aveva insegnato che un uomo davvero generoso lascia sempre venire la sua compagna, prima di eiaculare.

Così rimisi il mio pisello nella fica di zia e la penetrai per una ventina di volte, poi lo estrassi e lo rimisi nella fica di mamma. E così, alternativamente, tante, tante volte. Le reazioni di entrambe non si fecero attendere. Le loro voci si confondevano: "Dai, piccolo, spingi, forte, sì, forte, ancora più forte!" diceva mamma. "Così, così, più in fondo, sì, sìììì!" gridava zia Jen.

Le mie mani non smettevano di muoversi sui loro corpi, le accarezzavo come potevo e dove potevo, cioè fin dove riuscivo a raggiungerle. Ma ben presto mi resi conto che l'orgasmo si avvicinava anche per me. La solita eruzione vulcanica si preannunciava con il consueto rimescolamento del basso ventre.

Cercai di farmi forza e di riacquistare la calma che la visione dei corpi di mamma e zia sovrapposti, di quelle due fiche rosse, aperte e completamente fradice di umori dolcissimi, mi avevano fatto perdere.

Le grida di godimento di zia Jen coprivano i mugolii di mamma, mentre io continuavo ad entrare ed uscire da loro alternativamente, ormai senza un disegno o un calcolo preciso. Avevo perso, come loro del resto, ogni cognizione temporale. La luce era più morbida e rossa e i raggi del sole al tramonto si riflettevano sulla schiena nuda di mia madre, come se anch'essi volessero accarezzarla.

Mi accorsi di spingere come un ossesso; ad ogni colpo facevo sobbalzare i corpi di mamma e zia. Capivo solo che era giunto il momento di godere, non ce la facevo più. Il pisello era così gonfio che lo sentivo pulsare all'interno, come se volesse scoppiare.

Ad un tratto mi giunse, come da lontano, un invito di mia madre: "Ora, René, dai, ti prego, spingi, sono vicina, sto godendo, sì, sììììì, vengo, oh, vengoooo, ancora, sto venendo mille volte, sììììììììì, ahhhh!"; e mamma si abbandonò esausta sul corpo di zia Jen, la sorprendente, insaziabile zia Jen.

Rimasi ancora, non so per quanto tempo, dentro mia madre, fino a quando non avvertii che le pulsazioni della sua vagina erano cessate, poi estrassi il pisello da lei e lo rimisi nella fica di zia Jen, la quale mi accolse con un "ahhhhh" di godimento.

Con la frenesia che derivava dall'assunzione del "riali" ed il vigore che ormai era il mio punto di forza, ricominciai a spingere. Zia Jen era al culmine della foia, urlava parole sconnesse e teneva le unghie piantate nella schiena di mia madre. Ad un tratto i miei movimenti divennero parossistici. Zia Jen urlò: "Mi fai morireeeee! Sei fantastico, dai, dai, vienimi dentro, ti voglio, arghhhh!"

"Sì, bambino mio" era la voce di mia madre questa volta "riempi di sperma la zia, come hai fatto con me sulla barca, dai, falle sentire il tuo mare caldo dentro di lei, avanti!"

Furono queste parole a farmi perdere completamente gli ultimi barlumi di coscienza che avevo, con grande fatica, tentato di conservare, per cercare di non arrivare prima di loro. Con un ultima spinta affondai il mio pisello in quella caverna bollente che era la fica di zia Jen e mi lasciai andare a quell'orgasmo mastodontico che era un'altra delle proprietà del"riali": un vero e proprio mare di "sbora".

"Oh, sì, sì, ti sento, oh, com'è bello, mi stai riempiendo" diceva zia Jen "vengo, vengo anch'io, ohhhhhhh!". L'eiaculazione era appena iniziata. Come nella precedente esperienza, avvertii quasi con un senso di smarrimento che gli zampilli eruttati dal mio pisello non erano i soliti cinque o sei, ma dieci, undici, dodici, o ancora di più, come se all'interno del pisello vi fosse una pompa che spingesse fuori litri di "sbora", o meglio, come se all'interno della fica di zia Jen vi fosse un aspirapolvere che me lo succhiasse. Incredibile! E ad ogni fiotto avvertivo quella sensazione stupenda dell'orgasmo, un orgasmo infinito…

"Ma quanto ne hai?" Avvertivo l'espressione sorpresa di zia Jen, perché non riuscivo a vedere il suo viso, coperto dal corpo di mamma. Ma non avevo la forza di tirarmi via da lei. La sua fica bollente era la tana ideale per il mio "rapace", visto l'uso che ormai ne facevo…

Finalmente riuscii a raccogliere le forze per tirarmi via da lei. Mamma pian piano rimise i piedi a terra, mentre zia Jen rimaneva languidamente a gambe spalancate distesa sul tronco di palma inclinato, mentre un rivolo biancastro cominciava a venir fuori dalla sua fica e bagnava il tronco. Eravamo completamente sconvolti.

Il sole era basso all'orizzonte. Guardai i volti paonazzi di mamma e zia, che non dovevano essere diversi dal mio e dissi loro che non potevamo ritornare al campo in quelle condizioni. Proposi allora di andare in mare ancora una volta, quanto meno per rinfrescarci.

Il mio suggerimento fu accolto con entusiasmo. Mamma fece per rimettersi il costume, ma io la fermai: "Vi voglio vedere ancora nude, siete bellissime, facciamo il bagno così".

"Hai visto il piccolino!" proruppe zia Jen "non lo avrei mai creduto!"

"Piccolino?" replicò mia madre "guardalo un po'…!"

In effetti il mio pisello, nonostante l'orgasmo devastante, non aveva perso quasi nulla del suo vigore e svettava ancora orgoglioso in direzione ed in onore delle mie donne.

"Ma non ti stanchi mai tu?" mi chiese zia Jen sempre più sorpresa.
"Se non sei stanca tu io sarei pronto a ricominciare anche subito" le risposi con fare molto disponibile.

"Oddio, penso che non ce la farei proprio. Il mio cuore ha corso come una locomotiva impazzita e la mia micetta tra un po' fuma, ma ti assicuro che mi piacerebbe, tanto. Mi hai fatto godere da uscir di senno."

Poi, dopo una pausa riprese: "Ma perché, è forse finita qui la nostra avventura?"

"Io penso invece che sia l'inizio" disse mia madre con aria più seria e con la consueta, dolcissima tranquillità. "Ritengo che abbiamo aperto il vaso di Pandora: siamo entrati in un tunnel meraviglioso e pericoloso dal quale nessuno di noi penso vorrà più uscire e quest'isola favorirà senz'altro il ripetersi di questi incontri."
E anche lei, dopo una piccola pausa, riprese: "Io non ci rinuncio…!"

Le andai vicino e la baciai dolcemente. Mamma ricambiò il bacio e mi sussurrò in un orecchio: "Ti amo, René, come mamma, come amante, in ogni senso."

"Anch'io ti amo, mamma, tantissimo, e sarò sempre tuo, sempre con te," risposi io, a voce più alta.

"Ora non esageriamo!" intervenne zia Jen, rialzandosi a fatica, mentre dalla sua fica un rivolo di sperma scendeva a bagnarle l'interno delle cosce, fino ai piedi, "ti vogliamo bene tutti, qui, ma ora qualcosa è cambiato, nei nostri sentimenti e in quello che ciascuno vuole dagli altri. Io, per esempio, ti voglio un mare di bene e voglio che tu mi scopi ogni volta che ti va, e spero ogni volta che vada a me…!"

"Ma bene!" insorse mia madre, "E queste sono proposte che si fanno dinanzi alla mamma di questo bimbo! Ma non ti vergogni?"

"Beh, sorellina" replicò zia Jen, ricambiando il sorriso di mamma, "se non ti vergogni tu…"

Mamma, fingendosi adirata, si avvicinò a zia e le diede una sonora pacca sul sedere nudo. Non lo avevo notato, ma il culo di zia Jeneviève era davvero notevole, tondo, alto, grande, meraviglioso. Avevo già la mente proiettata al futuro…

Fine Capitolo 14
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