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Le vacanze di René - 16


di July64
17.06.2017    |    19.278    |    13 9.8
""Oh René, fratellino mio" mi disse fra i singhiozzi "ho tanta paura..."
Le vacanze di René – sedicesima parte


Ancora sconvolti dagli orgasmi, cercammo di ricomporci. Mamma mi guardava con un'espressione tra l'attonito ed il sorpreso. Zia Jen, invece, sfoggiava un sorriso soddisfatto che la diceva lunga su quanto fosse stata gratificata dal nostro incontro amoroso.

Ripensandoci, il frenetico succedersi degli eventi aveva lasciato spazio solo alle riflessioni del momento, quelle più strettamente legate al piacere tanto intenso che avevamo provato. In realtà mi ero posto tante volte il problema del futuro nella nostra isola, ma sia la reazione di mia sorella, che aveva dato in escandescenze credendo di dover essere coinvolta nel vortice di follia sessuale che ci aveva colti, sia, al contrario, la serena riflessione di mia madre, mi avevano fatto accantonare il problema in un recesso della mente, al quale forse avevo timore di attingere.

"Quanto a lungo potremo tenerlo nascosto il nostro rapporto?" domandai rivolto a mamma e zia. Ricevetti una muta, ma perplessa risposta, fatta di sguardi altrettanto interrogativi. Mamma e zia si tuffarono in acqua per risciacquarsi degli umori comuni sparsi dovunque, fuori e dentro di loro. Le vedevo scherzare tra loro come due bambine, due sorelline tornate indietro nel tempo. Si schizzavano e si spingevano in acqua a vicenda. Quanto sembrava lontano il periodo degli affanni dell'atélier!

Vennero fuori dal mare come due veneri meravigliose: Botticelli sarebbe impazzito ad averle come modelle. Mille goccioline di'acqua brillavano come diamanti sui loro corpi rotondi e meravigliosi. Non ebbero bisogno di asciugarsi. Mamma scuoteva i capelli grondanti di acqua con movenze così fluide che mi sembravano prese da una languida danza dal ventre. Il riali non aveva esaurito i suoi effetti…

Zia Jen si passava le mani sul corpo per togliersi le ultime gocce d'acqua in eccesso, ma mi sembrava che continuasse ad accarezzarsi come quando mi vedeva far l'amore con mia madre.

La risposta di mamma giunse improvvisa: "Piuttosto dobbiamo considerare che non saremo i soli ad intrattenere rapporti di questo tipo. Pensate anche agli altri. Non so se abbiano ancora assaggiato quel miracoloso frutto di René, ma anche senza di quello penso che le pulsioni sessuali siano parecchio attive anche in loro. Come pensate che debbano fare?" In realtà la riflessione di mamma poneva un ulteriore quesito, piuttosto che la soluzione al problema. Ed in effetti la risposta era ovviamente scontata: se era bastata una semplice vacanza per far scoppiare quell'uragano ormonale in noi, cosa avrebbe potuto produrre una convivenza prolungata?

"Io non metterei la questione su questo piano" intervenne zia Jen, "infatti se per noi è stato così naturale finire col fare l'amore – e che amore! – lo sarà anche per gli altri. Non sono una pervertita, ma penso che ci sarà da divertirsi…!"

"Siamo già una famiglia di pervertiti, in quel senso" replicò mia madre, "a meno che non estrapoliamo dal concetto di perversione il nostro caso, giustificandolo con il fatto che noi ci amiamo davvero."

Mamma, come per suggellare l'affermazione di quel grande sentimento, mi si avvicinò per baciarmi. Fu un bacio lungo, languido, umido. Le nostre lingue si intrecciarono frementi, come se fosse uno dei primi baci di due innamorati che da tanto tempo aspettano quel momento. Compresi che era quella la mia strada, che lei sarebbe stata la mia fidanzata, mia moglie, il mio futuro, il mio sempre, da ora in poi.

"Ascoltatemi," continuò zia Jen, "perversione per perversione, ormai non abbiamo più convenzioni da rispettare. Confesso che questa situazione mi intriga da morire, che fare l'amore con René è stata la cosa più bella che mi sia capitata finora nella vita e spero solo" disse rivolta a mamma "che tu non sia così gelosa da impedirmi di far l'amore con mio nipote ancora tante altre volte…"

"Ma se lo abbiamo già reciprocamente promesso!" rammentò mia madre. "Non ritengo di aver mai manifestato forme di gelosia, né materna, né tanto meno – ora – possessiva in senso sentimentale. Anzi, poiché ritengo che a René questo farà molto piacere, ti assicuro che lo solleciterò io ad avere sempre particolari attenzioni nei tuoi confronti e nei confronti di chi lui vorrà."

Incassata la soddisfazione di zia Jen (ed ovviamente anche la mia), ci rivestimmo, raccogliemmo i teli da mare sui quali ci eravamo distesi per il nostro picnic a base di ostriche e "riali" e, alla luce tenue del sole ormai basso all'orizzonte, facemmo lentamente ritorno al nostro campo-base.

Ci tenevamo per mano, ci accarezzavamo ed ogni tanto scambiavamo un bacio, un bacio d'amore, diceva zia Jen. Presto giungemmo al nostro accampamento. I cinguettii di gioia di Annette erano secondi solo ai sorrisi di mia sorella Vir, che mi lanciava sguardi carichi di complicità, mentre scuoteva leggermente la testa in segno di scherzoso rimprovero. Era evidente che immaginava cosa fosse successo fra noi.

Mi chiedevo cosa sarebbe accaduto se lo avesse scoperto mio padre e mi augurai che la cosa potesse rimanere celata quanto più a lungo. Mentre noi eravamo stati via (mi resi conto per parecchio tempo), l'organizzazione del nostro campo aveva avuto una svolta. Tutti i bagagli recuperati dalla barca erano stati collocati in buon ordine nella caverna, in un anfratto che fungeva egregiamente da armadio a muro. Nella parte più fresca erano stati conservati gli alimenti.

Mio padre e mio zio, che si erano occupati dell'esplorazione, riferirono che gli alberi di cocco, presenti in numero esagerato, non ci avrebbero mai fatto mancare cibo, mentre canne da pesca e fucili subacquei ci sarebbero serviti per procurarci pesce fresco tutti i giorni. Per quanto riguardava l'acqua potabile la sorgente che alimentava il laghetto ne forniva in gran quantità e non dava segni di esaurimento. Potevamo quindi affrontare con maggiore serenità le incognite della vita futura sull'isola senza nome.

"Io propongo di chiamarla 'Il Paradiso di René'. Che ne pensate?" disse Virginie, molto allusivamente, guardandomi con un sorriso sornione.

"Approvato all'unanimità." Rispose mio padre per tutti, che ovviamente mostrarono di essere d'accordo con lui.

Restava da attribuire, come suggeriva mio padre, i rispettivi compiti di lavoro, di sorveglianza, di procacciamento e di mantenimento delle scorte di cibo. Io mi resi disponibile per qualsiasi compito la famiglia avesse inteso attribuirmi. Con zio Marcel assumemmo l'impegno di procurare il cibo per tutti. In effetti eravamo una tribù e l'impegno di sfamare quotidianamente undici persone non era certamente agevole.

In realtà i compiti assegnati a ciascuno non differivano molto da quelli già svolti in Francia. Per mamma e zia Jen, invece, la trasformazione era stata radicale, perché non avevano più l'atélier da gestire. Parimenti per zia Juliette, privata del suo studio medico e per mio padre, che non aveva più ponti da progettare. Insomma, una bella trasformazione di vita. Per quel che mi riguardava, un periodo sabbatico sottratto agli studi non mi sembrava una grossa perdita, soprattutto in considerazione di quello che avevo guadagnato nel frattempo…!

Mentre le ombre della sera si facevano sempre più lunghe accendemmo dei fuochi tutto intorno alla zona di prato erboso destinato a tavola per la cena. Le ragazze, come al solito, avevano fatto del loro meglio per preparare la cena, utilizzando ancora parte delle provviste recuperate dalla barca. Ci accoccolammo tutti per terra e, chiacchierando amabilmente, gustammo le delizie della cena.

Continuammo a chiacchierare ancora a lungo, alla luce della luna che si era intanto levata come un lampione a rischiarare la nostra notte e nella tiepida brezza polinesiana, che accarezzava i nostri corpi come una mano languida che stimolasse i nostri sensi. La serenità mostrata da tutti, ad onta di quello che ci stava accadendo e dell'esilio forzato che stavamo subendo, peraltro graditissimo, le parole pronunciate a voce bassa dalla nonna, da mia madre, in un intreccio fitto, ma delicato, di amabili conversazioni, contribuirono a farmi cadere in un sonno profondo, ma ristoratore.

Mi sembrò di aver dormito un attimo, ma in realtà fui svegliato dalla luce del sole, alto e splendente nel cielo azzurrissimo dei tropici. Avevo immaginato un'altra notte di amore sfrenato con le mie "compagne di giochi", mia sorella Vir, Annette ed Edith, ma evidentemente la fatica di tener testa a mia madre e a zia Jen era riuscita a vincere ogni mia resistenza al sonno.

Mi svegliai provando una piacevole sensazione di vigore: ero pronto ad affrontare una giornata di duro lavoro. Forse era un altro dei positivi e miracolosi effetti del riali. Raggiunsi zio Marcel, che stava preparando gli attrezzi da pesca e gli chiesi cosa intendesse fare. Lui mi rispose che per quel giorno non aveva ancora intenzione di utilizzarli, perché dopo aver fatto una ricognizione degli alimenti deteriorabili, con Annette aveva stabilito di dare la precedenza al consumo di tali cibi e di passare alla pesca solo quando fossero esauriti.

Quindi avrei avuto la mattinata libera. Senza pensarci su decisi di attrezzarmi per piantare i semi del "riali". Mi procurai la paletta pieghevole ed un secchio recuperati in barca, entrai nella caverna e presi il sacchetto dei semi. Verificai che i frutti donatimi da Loanai fossero ancora integri, anche grazie all'atmosfera fresca e asciutta della grotta e mi diressi verso il laghetto, alla ricerca di uno spazio dove istituire la mia piantagione personale.

Dopo aver percorso quasi tutto il perimetro del laghetto, scelsi una zona piuttosto isolata, che nelle ore più calde del giorno godeva dell'ombra degli alti palmizi che sembravano piantati a corona intorno allo spazio erboso. Fui fortunato perché anche grazie alla vicinanza della sorgente, il terreno non era arido e comunque sarebbe stato più facile innaffiare le piantine, prelevando acqua dolce dal laghetto.

Estirpai tutta l'erba cresciuta sulla superficie, praticai con la paletta tanti buchi a distanza di circa mezzo metro l'uno dall'altro e in ciascuno collocai un seme di riali. Ovviamente non esaurii tutta la scorta, perché immaginai che se la semina non avesse avuto successo almeno avrei potuto ritentare in un'altra zona o con una tecnica diversa.

Comunque rammentai che Loanai mi aveva assicurato che la crescita delle piante, almeno a quelle latitudini, avveniva in tempi brevissimi, che i frutti venivano prodotti per tutto l'anno e che le piante erano talmente resistenti che avrei potuto metterle a dimora persino nel nostro giardino di Parigi.

Dopo aver interrato un centinaio di semi (mi resi conto che il sacchetto ne conteneva addirittura alcune migliaia) riportai sacco e pala nella grotta, presi il secchio e prelevai dal laghetto acqua sufficiente ad irrigare tutta l'area oggetto della mia semina. Poi, per evitare che la superficie fosse calpestata, piantai ai margini del mio fondicello quattro paletti e distesi tra loro della sagola di nylon. Sarebbe servita quando meno ad indicare che lì erano piantati i miei semi e che i miei cari non dovevano entrarvi, almeno fino a quando le piante non fossero germogliate.

La piantagione era vicinissima al campo, quindi non mi sarebbe stato difficile controllare quotidianamente il frutto del mio lavoro. Era ovvio che ci tenevo tantissimo…

Sentivo le voci dei miei cari che scherzavano tra loro, le risate argentine di Vir e di Annette, la voce fragorosa del nonno che fingeva di arrabbiarsi. Li amavo tutti profondamente! La stessa loro presenza mi riempiva il cuore di gioia.

Sentii ad un tratto dei passi che si avvicinavano. Girai il capo e scorsi mia sorella Jacqueline che mi stava raggiungendo. Giunta vicino a me sorrise e mi chiese cosa stessi facendo. Fui davvero contento di poter riprendere a parlare con lei: la sua reazione alla rivelazione della relazione tra zio Marcel e le sue sorelle era stata sconvolgente. Pensai che non si sarebbe più ripresa e che anche tra noi l'affetto non sarebbe stato più lo stesso.

Invece Jac aveva un'aria completamente serena: "Cosa fai?" mi chiese con aria sorridente e curiosa.

"Sto piantando il "riali", ho interrato i semi che mi ha donato Loanai, quella ragazza molto bella della quale siamo stati ospiti."
"La ricordo bene," mi rispose Jacqueline "anzi la ricordo con una certa nostalgia. Nel suo villaggio ci siamo trovati molto bene. E poi quella visita appartiene ad un periodo bellissimo: eravamo tutti spensierati."

"Perché," domandai "ora non lo siamo più?"

"Non voglio dire questo" replicò Jacqueline "è solo che sono assalita da mille preoccupazioni. La nostra casa, la nostra vita completamente stravolta, il nostro futuro qui, la nostra stessa sopravvivenza!"

"Sorellina mia" replicai, avvicinandomi a lei "ci siamo salvati, siamo qui tutti insieme, la nostra famiglia unita come penso poche altre al mondo, ci vogliamo tutti un bene dell'anima… Penso che dovresti essere tranquilla. Io lo sono. Sono accanto alle persone che amo di più al mondo, sono sereno, mi trovo bene qui e questo posto mi piace tantissimo."

Le accarezzai dolcemente il viso e le asciugai una lacrima che le scendeva sulla guancia.

"Oh René, fratellino mio" mi disse fra i singhiozzi "ho tanta paura. Sono sconvolta dal nostro futuro e mi sento a disagio per tutte le cose che ho sentito l'altro giorno da zia Jul!"

"Non ci pensare, ora" la tranquillizzai "sono cose passate e comunque non devono affatto turbare la tua serenità. Ti prego di ricordare solo una cosa fondamentale: io ti voglio bene davvero e accorrerò in tuo aiuto sempre, ogni volta che me lo chiederai e per difenderti da tutto, dai pericoli, dalle tue angosce, da chiunque possa farti del male."

"Grazie" mi rispose dolcemente Jac "mi sento un po' meglio. So che sei sincero, ma penso che dovremo affrontare delle prove molto dure in futuro. Sono contenta di averti vicino."

Continuai a tranquillizzarla dandole piccole pacche sulla schiena e ben presto i singhiozzi lasciarono posto al suo sorriso solare e aperto. Jacqueline era proprio una bella ragazza. Il suo viso dolcissimo assomigliava a quello di una delle madonne russe raffigurate nelle icone incorniciate d'argento.

"Ora ti dico perché sono venuta" continuò Jac "sto prendendo gelosamente appunti sul calendario perché voglio sapere sempre che giorno è. Già mi sento sperduta nel mondo, non vorrei esserlo anche nel tempo. E quindi ho verificato che sabato prossimo sarà il compleanno della nonna Sophie: compie 63 anni e sai che a Parigi avremmo organizzato per lei una meravigliosa festa a sorpresa. Quindi volevo chiedere a te per primo – e lo chiederò anche a Vir e agli altri – di preparare una festa per lei. Nonna dice di non tenerci affatto, ma sappiamo che è tanto felice quando la festeggiamo."

"Ma è un'idea meravigliosa!" replicai "Jac, sei un genio! Faremo la più bella festa che si sia mai vista ai tropici.
Mi darò subito da fare. Tu e Annette penserete al buffet, io ad addobbare la radura vicina al campo come la più bella delle sale da ricevimento: è abbastanza vicina, ma non tanto da consentire a nonna di accorgersi della sorpresa. Sei un amore!" Le schioccai un bacio sulla guancia e continuai ad annaffiare il mio campicello.

"Cosa fai?" mi chiese Jac, incuriosita.

"Ho creato una piantagione," risposi, "dobbiamo pensare al futuro e questi frutti saranno molto preziosi!"

"Immagino che dovremo preoccuparci della nostra sopravvivenza e pensare all'alimentazione." ammise Jac, un po' preoccupata.

"La piantagione servirà per quella e per tante altre cose!" replicai, "questi frutti sono terapeutici!"

La spiegazione sembrò convincere Jacqueline, che non mi rivolse altre domande e si soffermò a guardare il mio lavoro.
Scambiammo alcune battute sul menù che aveva in mente di preparare per la festa a sorpresa poi udimmo la voce di Annette che chiamava tutti a raccolta per il pranzo.

La riunione familiare per il pranzo e la cena costituiva un momento di particolare sacralità. Era anche l'occasione per riferire a tutti sulle novità della giornata, sulle cose strane che avessero colpito ciascuno di noi, sui progetti per il futuro. Era anche il momento per confrontare le esperienze di ciascuno di noi ed arricchire le proprie conoscenze con lo scambio di impressioni, di avvenimenti che ci avevano colpito particolarmente, di soluzioni eventualmente trovate ai problemi che avevamo incontrato nel corso della giornata: dei veri e propri briefing.

Durante il pranzo i discorsi si incrociavano, le voci si accavallavano, il chiacchiericcio si diffondeva per tutta la radura che ci ospitava: era come un concerto di strumenti familiari, una musica dolcissima che accarezzava l'anima. Era la consapevolezza che qualsiasi cosa fosse accaduta, almeno eravamo tutti insieme.

Dopo pranzo radunai tutta la mia attrezzatura da pesca e mi diressi verso la spiaggia, per cercare di raccogliere altre ostriche, da offrire ai miei per la cena, oppure, se avessi avuto occasione di prenderne, dei pesci saporiti, da cucinare sulla brace.

Nessuno si offrì di accompagnarmi e, in un certo senso, sia pure a malincuore, decisi che era meglio così, perché le "distrazioni" mi avrebbero distolto dal compito che mi ero prefisso.

La spiaggia era splendida, illuminata dal sole, che creava riflessi di smeraldo nel mare trasparente. Indossai pinne e maschera, mi legai il fodero del pugnale al polpaccio e mi tuffai nell'acqua tiepida. La sensazione era quella di trovarmi in una piscina e non in mare. Venni subito attorniato da pesci variopinti che non mostravano alcun timore nei miei confronti e nuotavano intorno a me come incuriositi da quella strana creatura che aveva invaso il loro mondo tranquillo.

Raggiunsi il limitare della barriera corallina, ed iniziai ad immergermi. Il fondale era pieno di anemoni coloratissime, di "pomodori di mare" rosso fuoco e, naturalmente, di ostriche. Cominciai a raccoglierne fino a quando la mancanza di aria non mi costrinse a riemergere. Effettuai ancora diverse immersioni, fino a riempire di ostriche oltre metà del retino. Poi ripresi fiato e mi immersi ancora in quell'acquario stupendo. Sul fondo roccioso, a circa tre metri di profondità, scorsi una strana creatura, un polpo di dimensioni ragguardevoli, per nulla intimidito dalla mia presenza, che era come appollaiato su di una roccia, cibandosi di alcuni molluschi. Mi avvicinai lentamente, il polpo iniziò a muovere i tentacoli, come per rendersi conto dello strano pesce che si stava avvicinando a lui, ma non ebbe il tempo di fuggire. Lo presi per la testa con entrambe le mani e lo cacciai di corsa nel retino che conteneva le ostriche. Forse perché non abituato alla presenza umana o forse perché distratto dalla presenza delle ostriche, delle quali probabilmente doveva essere ghiotto, il polpo non oppose alcuna resistenza ed io, resomi conto che ero in debito di ossigeno, risalii prontamente a galla.

Mentre risalivo in superficie, scorsi un paio di gambe lunghe e agili che si muovevano per nuotare, alzai ancora il capo e ... vidi una bella e folta massa di peli pubici castani: la nuotatrice era nuda! Spinto dalla curiosità e anche dalla fame di ossigeno risalii a galla e... "Sorpresa!!!" la voce argentina di mia sorella Virginie penetrò piacevolmente nei miei canali auricolari. "Ciao, Vir" le dissi sorridendo "è davvero una sorpresa vederti qui, anzi una doppia sorpresa...!" alludendo al fatto che fosse completamente nuda.

"Oh, da ora in poi dovrete abituarvi", disse mia sorella, "con queste temperature e questo sole qualsiasi indumento produce un calore insopportabile e poi... poi così cono sempre pronta!"
Detto questo si avvicinò al mio costume da bagno e con un solo movimento me lo sfilò completamente dalle gambe. Poi mentre prendeva fiato mi disse: "sai bene che sono una nuotatrice provetta e campionessa di apnea. E ora te lo dimostrerò."
SI immerse per circa mezzo metro e raggiunse proprio... il mio pisello. Sentii un calore innaturale che mi avvolgeva come una coperta. Guardai in basso e vidi che Virginie lo aveva preso in bocca infilandoselo tutto dentro. Lo aveva detto che avrebbe imitato Annette, la regina della gola profonda! Per quasi un minuto continuò a far entrare ed uscire il mio cazzo dalla sua bocca. Poi, evidentemente in debito di ossigeno, risalì a galla, respirando forte. "Uh, è fantastico farlo sott'acqua! Non avevo mai provato prima. Ti piace?"

"Se mi piace!" risposi io. "Vir, è fantastico! Sei bravissima, stai superando Annette."
"Vero" continuò Vir, ieri mi sono fatta dare lezioni molto intensive. Pensa che la cavia era zio Marcel. Ha un cazzo di dimensioni ragguardevoli, ma tu non sei da meno. E poi la tua sbora ha una sapore più dolce, mi piace di più." Senza dire altro, riprese fiato e si rituffò sott'acqua, raggiunse nuovamente il mio pisello, che svettava nell'acqua, ormai duro come una roccia e riprese a succhiarlo con ardore. Ormai vantavo tempi lunghissimi prima di arrivare all'orgasmo, quindi mi godetti il pompino di Vir in maniera completa e prolungata. Mentre mi succhiava mi cingeva le gambe con le sue, dandomi la possibilità di entrare con le mie dita nella sua vagina e nel suo culetto, mentre giravo con il pollice intorno al suo clitoride, Vir aveva una resistenza invidiabile e restava immersa per un tempo tanto lungo che mi sembrava respirasse con le bombole. Però alla fine, dopo altre riemersioni e successive immersioni di Vir, alla quale, mentre lavorava su di me giravo e rigiravo i capezzoli tra le mie dita non resistetti più e le svuotai in bocca una mare di sperma bollente, pompandolo nella sua gola con numerosissimi schizzi. Quando tutto finì, Vir riemerse, aprì la bocca piena della mia sbora e ... mi dette un bacio, passandomi tutto il succo nella mia bocca. Poi lo risucchiò completamente nella sua e... lo ingoiò.
"Mmmm, che buono il tuo sperma, mi piace da morire e poi ha proprio il gusto di quel riali che mi fa tanto impazzire....Ti amo fratellino mio, e ti amerò sempre"
Anch'io ti amo, Vir", le dissi accarezzandola "lo sai bene e amerò sempre te, la mamma, Jacqueline. Staremo sempre insieme... e continueremo a far sempre l'amore così."
"Certo fratellino" rispose Virginie "e chi ti molla! So che per te prima di ogni altra persona al mondo viene la mamma, ma sono d'accordo con te. Lei è una persona davvero speciale e merita tutto il tuo ed il nostro amore."
Ci abbracciammo teneramente e ritornammo lentamente a riva.

Ormai il mio cesto era pieno, di ostriche e del polpo, quindi decidemmo che era ora di tornare "a casa", anche per mostrare orgogliosamente le mie prede, che avrebbero costituito il piatto forte della cena di quella sera. A riva ci asciugammo e ci incamminammo, abbracciati, verso l'accampamento. Il sole cominciava a declinare, ma la temperatura dell'aria era ancora dolcissima. I cinguettii degli uccelli nascosti tra le palme ci facevano compagnia.

A circa metà strada fra la spiaggia e il nostro rifugio il canto degli uccelli venne sostituito da altri rumori, che ci insospettirono. Con Vir ci acquattammo tra le foglie, ma non riuscivamo a comprendere l'origine di quel tramestio. Facemmo ancora qualche passo, verso il punto che ritenevamo fosse l'origine di quei rumori, sinceramente allarmati, perché immaginavamo presenze estranee sull'isola, che forse avrebbero potuto creare pericoli per noi. Dopo alcune decine di metri, in mezzo al fogliame, scorgemmo alcune sagome che non riuscivamo a distinguere, Ci avvicinammo ancora di qualche passo e finalmente i suoni strani e in apparenza minacciosi che avevamo percepito assunsero dei connotati ben precisi: erano mugolii, evidentemente di piacere…

Beh, pensai, finalmente c'è qualcuno che se la spassa oltre me, su quest'isola. Subito pensai alla mamma ed una fitta mi trafisse il cuore. Mi avvicinai ancora di più alla fonte di quei gemiti, seguito da Virginie, mentre le fronte mi si imperlava di sudore. Chiunque fosse, se la stava davvero godendo: gli ansiti, i gemiti, i mugolii, erano inequivocabilmente di più persone che si sfrenavano facendo sesso.

Cercando di rendermi invisibile, girai intorno alla fonte dei gemiti e, accoccolato, protetto dal fogliame, scoprii finalmente, i protagonisti della performance: Annette, Edith, zio Marcel e… nostro padre. Si nostro padre, il serissimo ingegnere! Proprio lui. Incredibile!

Edith e Annette stavano succhiando rispettivamente il pisello di zio Marcel e di mio padre, che, era evidente, se la godevano un mondo. Specialmente Annette, che era maestra in quell'arte, stava dando a mio padre una dimostrazione di bravura unica. Proprio come aveva fatto con me. Ingoiava il suo pisello fino a toccare con il naso i peli del suo pube, poi lo tirava fuori, girava con la lingua intorno alla punta e subito dopo lo riprendeva in bocca tutto quanto. Esattamente come aveva fatto Virginie con me pochi istanti prima.

Mio padre era appoggiato ad un albero, verosimilmente perché le gambe non lo reggevano, grazie a quel trattamento, che si protrasse davvero per molto tempo. Vir ed io ci guardavamo attori, ma con una espressione complice ed allo stesso tempo intrigante.

"Aspetta, aspetta" diceva mio padre, "non voglio venire, divertiamoci ancora un po'. Alla mia età per riprendere fiato dopo essere venuto ci vuole del tempo…"

"Continua così, dai" diceva invece zio Marcel ad Edith, che si stava massaggiando il clitoride con la mano libera, mentre con l'altra massaggiava le palle dello zio mentre gli leccava il pisello. Era evidente una differenza di maestria tra le due ragazze, ma Edith si dava ugualmente un gran da fare e a giudicare dalla espressione estasiata di zio Marcel ci riusciva anche molto bene.

Annette aveva finito di sottoporre mio padre a quel dolcissimo supplizio e si era inclinata in avanti, appoggiata al tronco di un albero. Mio padre, che esibiva un pisello di tutto rispetto, si avvicinò a lei e la impalò lentamente, facendolo scomparire tutto dentro la sua fica. Poi cominciò a muoversi dentro di lei, prima piano, poi dando dei colpi sempre più forti. Annette godeva da pazzi, costringendo mio padre a tapparle la bocca con la mano, evidentemente per evitare che le sue grida raggiungessero l'accampamento.

Stesso trattamento riservò zio Marcel a Edith, che appoggiata contro un albero, si fece penetrare da un altro pisello di dimensioni magnum, con movimenti che le scuotevano tutto il corpo. La cosa che mi faceva sempre eccitare di Edith era l'ondeggiamento del suo seno, completamente libero e pendulo in quella posizione, sotto i colpi dello zio.

"Ancora, ancora, ahhhh, fammi godere" gemeva Annette, attraverso la mano di mio padre che le impediva di gridare la sua eccitazione.

Anche questa "giostra" durò per parecchio tempo ed io mi sorpresi a pensare che nonostante non avessero preso il "riali" sia mio padre che zio Marcel avevano una bella resistenza…

Ad un certo punto Annette si staccò da mio padre, che aveva rallentato i suo movimenti dentro di lei, evidentemente per prolungare ancora il godimento e si diresse verso Edith e zio Marcel. Prese quest'ultimo per un braccio e delicatamente lo separò da Edith.

"Ora voglio sentirvi tutti due" disse con il fuoco negli occhi. Come se avesse ubbidito ad un ordine, Edith si inginocchiò dietro Annette, le allargò i glutei con entrambe le mani e cominciò a leccarla. Annette allargò le gambe e si chinò leggermente, per favorire quell'intervento di Edith, che sotto di lei, le passava la lingua dovunque, facendola poi scomparire nel solco delle natiche.

Poi Annette fece sdraiare zio Marcel sull'erba, con il pisello duro che svettava verso il cielo, e si avvicinò a lui. Con delicatezza si sistemò come se volesse sedersi su di lui e, appoggiandosi con le mani sul bacino di zio Marcel, si fece penetrare dietro. Vidi distintamente che il pisello di zio Marcel lentamente scompariva nel culo di Annette, fino a quando lei si sistemò completamente seduta su di lui: lo aveva completamente dentro e dalla sua espressione se la stava godendo un mondo. La sua lingua usciva ed entrava dalla bocca per leccarsi le labbra, mentre Edith le girava i capezzoli, come se volesse svitarglieli dalle tette.

Quando ebbe zio Marcel completamente dentro di sé, Annette si distese su di lui e spalancò le cosce: "Ora, vi voglio ora, tutti due, dentro di me!"

Mio padre si avvicinò a loro e lentamente si inginocchiò vicino ad Annette. Puntò il pisello verso l'apertura della sua fica e lentamente la penetrò, completamente.
L'urlo di godimento di Annette salì al cielo come il grido di un gabbiano. Era impossibile che non l'avessero udito dall'accampamento, pensai. Virginie osservava la scena a bocca spalancata.

Annette si trovava ora fra zio Marcel e mio padre, che cercavano di trovare un ritmo coordinato per rimanere entrambi dentro di lei. Annette sembrava come impazzita, scuoteva la testa da un lato all'altro, mentre Edith la accarezzava come poteva, le strizzava le tette e quando mio padre si rialzava da lei, le succhiava i capezzoli.

Mi ritrovai con il pisello duro almeno quanto quelli di mio padre e di zio Marcel, Virginie se ne accorse e siccome era sempre nuda non dovette far altro che passarmi davanti, indietreggiare ed infilarsi dentro il mio pisello, dal quale scendeva già un filo di lubrificante. La penetrai dolcemente e cominciai ad andare avanti e indietro nella sua fica, senza fare alcun rumore. Però mi godetti ugualmente lo spettacolo, unico, del godimento di Annette.

Dopo circa venti minuti, presumo, di quel doppio andirivieni nella sua fica e nel culo, Annette gridò: "Sto venendo, vengo, vengo, siete bravissimi, vi amo tanto, voglio che mi prendiate sempre così, ahhhhh, vengoooooooo!" Annette era scossa da convulsioni erotiche incontenibili, come se una corrente ad alto voltaggio avesse attraversato improvvisamente il suo corpo.

Ed evidentemente la sua eccitazione aveva contagiato anche i miei parenti, che, subito dopo, urlavano il loro piacere, riempiendo del loro seme Annette, contemporaneamente, nel culo e nella fica. Ed anche Virginie non fu risparmiata dalla tempesta sessuale, perché i suoi fremiti si fecero sempre più intensi e, finalmente, godette, in silenzio, stringendomi forte le mani.

Dopo la tempesta, una quiete carica di energia ristagnava nella radura che era stata teatro di quella prestazione altamente erotica. Né mio padre, né zio Marcel si staccavano da Annette, che sfinita, aveva ancora il respiro affannoso ed era madida di sudore, mentre Edith aveva avuto modo di trovare il suo godimento strofinandosi il clitoride fino a godere insieme a quel trio che si era divertito così tanto.

Ero ancora con il pisello duro piantato a fondo nella fica di mia sorella e, visto che il gruppo non ci aveva scorto, continuai, anche dopo il suo silenzioso orgasmo, ad andare e venire nella sua fica, fino a quando, accompagnato da forti tremiti, non arrivò il secondo orgasmo di Vir, e, subito dopo il mio, che riempì la fica di mia sorella con la solita valanga di sbora, che, quando finalmente lo estrassi da lei, scolò fino alle sue caviglie.

Non ritornammo subito al campo, ma compimmo una lunga deviazione, dirigendoci finalmente verso l'accampamento, ove trovammo tutti quanti, papà e zio compresi, che ci accolsero con grandissimi sorrisi e fecero festa alle mie prede, come se nulla fosse accaduto. Era quasi ora di cena. Annette e Edith, ancora con espressione sognante, si dettero da fare per far festa al polpo ed alle ostriche.

Che giornata!

Fine Capitolo 16
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