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Giovane proibita parte finale

07.07.2025 |
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"La feci masturbare nel bagno di un fast food, la presi in auto mentre guidavo, le chiesi di baciare un estraneo sotto i portici del centro..."
Il lunedì successivo cominciò con un messaggio. Alice mi scrisse: ‘Non riesco più a pensare ad altro. Ho bisogno che tu mi prenda. Subito.’ Erano le otto del mattino. Sapevo che avrebbe dovuto essere in facoltà, ma era evidente che i suoi pensieri ormai abitavano altrove. Le risposi solo: ‘Alle 13 apri la porta. Non dire nulla.’Quando entrai, lei era inginocchiata sul pavimento del soggiorno, vestita solo con una camicia sbottonata e il solito collare. Le mani in grembo, gli occhi bassi. Senza parlare, la presi per i capelli, le infilai due dita in bocca e gliele feci succhiare. Non servivano parole. La spinsi sul divano e iniziai a toccarla. Era fradicia. Le legai le mani ai braccioli con le mie cravatte, le aprii le gambe e la presi con forza, fino a sentirla gridare il mio nome. Venni dentro di lei, e poi le feci leccare tutto ciò che colava.
Martedì fu più lento. Le dissi che avrei voluto che scrivesse su un quaderno tutto ciò che aveva provato la settimana precedente. Lo fece. Lo lessi mentre lei, nuda, mi si accoccolava addosso sul letto. Le sue parole erano piene di vergogna e insieme di orgoglio. Scriveva di come si sentiva viva, libera, desiderata. Di come, per la prima volta, aveva avuto la sensazione di non dover reprimere nulla. Le accarezzai i capelli, e le dissi: ‘Ora sei ciò che sei. E questo ti rende più forte di chiunque.’
Mercoledì le portai una nuova sorpresa. Un giocattolo a distanza: un vibratore che controllavo dal telefono. Glielo inserii nel corpo, poi la accompagnai a cena fuori. Durante l’antipasto le inviai la prima vibrazione. Si morse le labbra. Quando arrivarono i secondi, la feci godere, con lentezza. Gemette appena, tremando. Nessuno attorno a noi se ne accorse. Ma io la guardavo mentre veniva, stretta nelle sue calze nere. Quando tornammo a casa, la presi all’ingresso, senza neppure toglierle il cappotto. Lei gemeva, e io sentivo che era più affamata di prima.
Giovedì decisi di spingerla ancora. Le dissi di portare con sé un cambio d’abito e di fidarsi. La portai in un hotel per coppie scambiste, in periferia. La stanza era rossa, con specchi ovunque. Le dissi di aspettare nuda sul letto. Bussarono in due: una coppia. Lui, alto e tatuato. Lei, una donna formosa e sicura. Cominciammo piano: Alice veniva baciata, toccata, leccata. Poi fu presa in due: lui dietro, io davanti. La donna le mordicchiava i capezzoli mentre venivamo su di lei, coprendole il ventre, le cosce, i seni. Alice non si fermava, ansimava e cercava ancora mani, ancora bocche. Quando rimanemmo soli, la guardai: tremava, sudata, distrutta. Ma felice. Gli occhi colmi di luce, non di vergogna.
Venerdì le dissi di essere mia puttana per ventiquattr’ore. Nuda sotto il trench, collare al collo, la portai ovunque. La feci masturbare nel bagno di un fast food, la presi in auto mentre guidavo, le chiesi di baciare un estraneo sotto i portici del centro. E lei lo fece. Ogni gesto era un atto d’amore verso ciò che era diventata. Non era più gioco. Era una devozione carnale e mentale.
Sabato sera, mentre eravamo a letto, le dissi: ‘Tu potresti fermarti. Tornare alla tua vita normale. Vuoi?’ E lei, senza esitare: ‘No. Io non voglio più uscire da questo. Non posso. Non riesco. Questo sono io. E voglio andare oltre. Voglio essere tutto ciò che non pensavo di poter essere.’
**Ed è lì che capii. Alice non era più una ragazza in cerca di conferme. Era diventata una donna consapevole. Una troia, sì — ma per scelta. Per potere. Per desiderio. E ogni giorno di più, chiedeva altro. Non poteva più tornare indietro. Non voleva. E io, che l’avevo guidata fino lì, ero pronto ad accompagnarla oltre ogni limite.**
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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