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Botti e Sigarette


di LoScrittore91
15.09.2020    |    11.382    |    4 8.8
"Alle otto e mezza, i nostri amici si materializzarono da- vanti alla porta di casa..."

BOTTI E SIGARETTE





L’idea di festeggiare la notte di San Silvestro da noi l'aveva avuta Marco. Cena da asporto, tutte coppie.
Oltre all'inizio del nuovo anno, avremmo festeggiato la nuova casa. Dopo mesi di affitto, la banca ci aveva accordato un mutuo a trent'anni.
La prossima tappa, dopo sei anni di fidanzamento, sa- rebbe stato matrimonio. Per quello, però, avevamo ancora un po di tempo.
La chiamata di Claudia, poco prima dell'inizio del ce- none, mi spiazzò. Mi chiese se poteva portare suo cugino. Senza molto entusiasmo, le dissi che non c’erano problemi. Avrei chiamato il ristorante e modificato l’ordina- azione, aggiungendo un menù.
Alle otto e mezza, i nostri amici si materializzarono da- vanti alla porta di casa. Baci, abbracci, sorrisi. C’era l’eccitazione delle grandi serate.
Claudia ci presentò suo cugino Alessandro. Una rapida stretta di mano e qualche sorriso gentile. Nemmeno a dir- lo, era un gran figo. Alto quasi due metri, spalle larghe che riempivano una camicia azzurra, riccioli d’orati, ma- scella spigolosa. La somiglianza con Claudia era inesistente.
Ci consegnarono la cena e, poco dopo, ci riunimmo in salotto. Menù di pesce e bottiglie di vino bianco. Tra un boccone e un bicchiere di troppo, Marco iniziò a raccontare dei lavori in programma per la casa, del mutuo.
In un paio di occasioni, incrociai lo sguardo di Alessandro. Imbarazzata, evitai i suoi occhi per il resto della cena.
Ero in preciclo e gli ormoni erano alle stelle. Marco aveva passato la settimana a lavorare come un pazzo nel supermercato e il tempo per soddisfare le nostre voglie era rimasto un miraggio.
Finita la cena, si contavano almeno dieci bottiglie di vino sulla tovaglia. Tutte vuote. Marco, Tommaso e Nicola avevano bevuto tantissimo mentre Alessandro e noi ragazze non eravamo andate oltre un bicchiere a testa.
I ragazzi organizzarono un torneo di Fifa, piazzandosi davanti alla tv. Le fidanzate rimasero a parlare sul divano. Alessandro uscì a fumare. Senza avvisare nessuno decisi di seguirlo.
Mi strinsi nel giubbotto di pelle cercando di resistere alla rigida temperatura notturna. Alessandro, spalle alla casa, fumava. Le grida dei ragazzi si sentivano fino a lì. Qualcuno aveva segnato.
Camminai verso di lui, fino a quando il rumore dei miei tacchi sul mattonato lo fece voltare.
Sorrisi, fermandomi ad un metro da lui. L'aria fredda insisteva sulle mie gambe scoperte per colpa di una gonna troppo corta. Un paio di calze avrebbero aiutato.
- Ti posso chiedere una sigaretta?
- Certo.
Prese il pacchetto dalla tasca dei jeans, ne estrasse una e me la porse insieme all’accendino. Accesi la sigaretta e gli restituii l’accendino. Incrociai le caviglie e mi feci il primo, lungo, tiro. Mi mancava il sapore della nicotina.
- Grazie. Devo fumare di nascosto.
Feci un cenno verso la casa. Lui capi al volo e sorrise.
Con Marco era guerra continua sul fumo. Non sopportava l’odore, il sapore dei miei baci dopo la sigaretta. Per disperazione avevo smesso. O almeno, così gli facevo credere. La sigaretta proibita, di tanto in tanto, me la fumavo. A lavoro, quando ero incazzata. Per vendetta, dopo le litigate. Le occasioni me le creavo.
- Che lavoro fai? - chiesi buttando fuori il fumo dalle labbra.
- Lavoro per conto di un’azienda farmaceutica. Il mio sogno però è sfondare nella pallacanestro. Sono qui a Roma per un colloquio. Ce l’avevo ieri, ma lo hanno rinviato a dopodomani.
- Ecco perché stai da Claudia.
- Si. Anzi scusa se mi sono imbucato così, all’ultimo.
Sorrisi, scostando una ciocca di capelli dal viso.
- Tranquillo, nessun problema.
- Tu, invece, di cosa di occupi? - chiese facendo un ultimo tiro e spegnendo la sigaretta in un vaso.
- Faccio la segretaria in uno studio legale. Un lavoro noioso, monotono.
Lo imitai, buttando la cicca di sigaretta nel vaso. Incrociai le braccia e lo guardai mentre, dall’interno della casa, arrivavano le risate dei ragazzi.
- Non ti piace giocare alla playstation?
Sorrise. Infilò le mani nei jeans. Era molto attraente.
- Mi annoia. Preferisco fare altro. Correre, leggere un libro. Tutto pur di non stare ore fermo davanti alla tv.
Mi scappò una risata.
- Sei uno dei rari ragazzi che la pensa così, purtroppo. Marco ci passa almeno due ore al giorno. È una cosa che non sopporto, ma che nemmeno posso vietargli di fare. Non è un bambino e io non sono sua madre. – dissi con una nota di irritazione nella voce.
Non c’era solo quello. Nei mesi precedenti avevo cominciato a notare delle cose che prima, per qualche strano motivo, non riuscivo a vedere. Dettagli, piccole cose, che giorno dopo giorno diventavano sempre più insopportabili. Una piccola frattura che, se non guarita, rischiava di diventare una rottura irreparabile.
Con la famiglia e le mie amiche, recitavo un copione che avevo imparato a memoria. Marco è perfetto. Marco si occupa di tutto. Marco è pronto per avere una famiglia.
La voce dentro la mia testa mi diceva tutt’altro. Marco non è più alla mia altezza. Forse, merito di meglio.
- Da quanto conosci Claudia? – chiese Alessandro.
Mi morsi le labbra e socchiusi gli occhi, tornando indietro con la memoria.
- Dal liceo. Non mi ricordo se al primo anno o al secondo.
Parlai con lui per un altro po, resistendo al freddo che, in un'altra situazione, avrei usato come scusa per troncare la conversazione e tornare dentro.
Una volta in casa, fummo accolti dal caldo abbraccio dei termosifoni. L’orologio del salotto puntava le lancette sulle undici. Da lì a un’ora esatta, infiniti fuochi d’artificio avrebbero colorato l’ultima notte del 2019.
Per ingannare l’attesa organizzammo una partita a Taboo. Maschi contro femmine. Li stracciammo alla prima e alla rivincita. Tra gli sfottò generali, e qualche risata, togliemmo il gioco e ci preparammo al brindisi.
Marco si preoccupò di prendere lo spumante in frigo mentre io cominciai a tirare fuori i calici dall’armadietto della cucina.
Quando alzai lo sguardo, mi resi conto che Alessandro mi stava fissando dal salotto. Sentii un fremito nello stomaco. Una sensazione insolita e piacevole. Entrambi colti dall’imbarazzo, ci scambiammo un timido sorriso.
La breve conversazione con lui mi aveva lasciato addosso il sapore del nuovo, dell’ignoto.
Iniziò il conto alla rovescia. Al rumore dei primi botti, si susseguirono baci, abbracci e auguri.
Indossammo i giubbotti e andammo tutti fuori, in giardino. Gli spari dei fuochi d’artificio si accavallavano senza sosta, rimbombando tra le colline. In cielo, il delirio. Seguimmo con attenzione le scie dei fuochi che, una volta in alto, esplodevano nella notte, creando coreografie di ogni genere. La visuale da casa nostra era perfetta.
Baciai Marco. Lui, dopo qualche secondo, si staccò bruscamente.
- Che c’è? – chiesi risentita.
- Non sopporto il sapore del fumo. – rispose con un tono di rimprovero.
Alzai gli occhi al cielo.
- Ho fatto solo un tiro.
- Comunque, si sente.
- Che palle, Marco. Anche tu hai l’alito che ti puzza di vino. Però non faccio la stronza. – sbottai incenerendolo con lo sguardo.
Tornai dentro, infuriata. Aveva esagerato. Entrai in cucina e iniziai a ordinare, sperando di ritrovare presto la calma.
- Tutto ok?
Alessandro era appoggiato allo stipite della porta.
- Ho discusso per la storia delle sigarette. Ovviamente.
Sospirai. In cucina, il rumore dei botti arrivava più morbido.
Alessandro fece qualche passo verso di me. Si fermò davanti al tavolo. Prese il pacchetto di sigarette dalla tasca posteriore dei jeans e ne sfilò due, mostrandomele.
- Ce ne andiamo a fumare un’altra, che dici? – chiese sorridendo. I denti bianchissimi, il taglio delle labbra impeccabile.
Sorrisi. In quel momento non poteva farmi proposta migliore.
- Grazie al cielo. C’e un uscita sul retro che porta al lato opposto del giardino.
Gli feci strada fino all’esterno. Accendemmo le sigarette e iniziammo a chiacchierare.
- Ti stai annoiando sta sera? – chiesi.
Alessandro fece un tiro, trattenne un po' il fumo, e infine lo butto fuori.
- Non conosco nessuno. E poi, vabbe, siete tutte coppie. Diciamo che non è proprio il massimo.
Annuii, sorridendo.
- Hai una ragazza?
Mi strinsi nel giubbotto di pelle e portai, lentamente, la sigaretta verso le labbra.
- Mi sto frequentano con una, su a Torino. Non è ancora una cosa seria.
Provai un’inaspettata invidia per quella ragazza. Era troppo pericoloso soffermarsi a riflettere sul motivo di quel pensiero. Così, cercai di pensare ad altro.
Per qualche secondo ci guardiamo negli occhi. Il cuore iniziò a scalpitare.
- Tu e il tuo ragazzo da quanto state insieme? – chiese facendo un altro tiro.
- Sei anni. Spesso, purtroppo, litighiamo. Ultimamente di più del solito. Forse io sono diventata meno tollerante, oppure lui è diventato più stronzo. Non lo so. – risposi stringendo le spalle.
- Hai mai pensato di lasciarlo?
Si, ci avevo pensato. Ogni litigata era un pezzo di puzzle che si staccava, per sempre. Si creava rancore da parte di entrambi. Quel rancore andava a riempire un vaso che, da un momento all’altro, sarebbe straripato.
Sospirai, buttando la sigaretta a terra. La spensi con il tacco e incrociai le braccia. Guardai un punto indefinito del giardino.
- È la prima volta che ne parlo così, diciamo, aperta- mente. Però si, ogni tanto penso di lasciarlo. Ho la sensazione che potrei avere di più. È brutto, lo so. Anche da presuntuosi.
Rientrammo in casa. Giada e Francesco, che il giorno dopo avrebbero dovuto lavorare, se ne andarono per primi. Intanto, io e Marco, evitavamo persino di guardarci. La tensione era ancora altissima.
Iniziammo una partita a Monopoli. Marco, che nel frattempo aveva bevuto un’altra birra, crollò sul divano ad- dormentandosi. La partita fu annullata.
Mi alzai dal tavolo. Claudia, aiutata da Tommaso, stava sistemando le banconote del gioco nella scatola.
- Volete un amaro o un limoncello? – chiesi.
Tutti acconsentirono. Così, mi avviai in cucina. Li cercai in frigo senza risultato. Provai nelle mensole, tra gli scaffali. Nulla.
- Serve aiuto?
Alessandro era dietro di me. Le mani nelle tasche dei jeans.
- Non trovo gli alcolici. – dissi guardandomi intorno.
Ebbi un’illuminazione. La cantina. Mi portai una mano sulla fronte.
- Cavolo sono in cantina, nell’altro frigorifero. – sbuffai.
- Se vuoi ti accompagno.
- Va bene, grazie.
Raggiungemmo la porta di ferro all’inizio del corridoio. L’aprii e accesi la luce. Una ventina di gradini in pietra conducevano ad un piccolo locale che io e Marco usavamo come ripostiglio. C’era un vecchio tavolo, un frigorifero e qualche cassa d’acqua accostata al muro scrostato.
Dato che avevo i tacchi decisi di scendere lentamente, seguita da Alessandro. Fra le mura della cantina risuonavano i passi sui gradini.
La cantina era umida e il ronzio del frigorifero era l’unico rumore che sovrastava quel silenzio.
Mi avvicinai al frigorifero. Ero tesa come la corda di un violino. Stare lì giu, da sola con lui, era una fusione tra eccitazione e imbarazzo.
- Dovrebbero stare qui. – dissi aprendo il frigorifero.
Nel primo ripiano c’era una bottiglia di limoncello, una di amaro del capo e una di averna.
Nel momento in cui afferrai una delle bottiglie, sentii il suo caldo bacio sul collo. Non dissi nulla, immobile. Le sue mani sui miei fianchi, il suo petto incollato alla mia schiena.
Potevo sentirlo, il suo profumo. Socchiusi gli occhi.
- Che fai? – sussurai.
Non rispose. La sua mano iniziò a scivolare verso il basso. La sentii farsi strada sotto la gonna, passare lungo l’interno coscia, fermarsi in mezzo alle gambe.
Sospirai. Lascia la presa sulla bottiglia che, fino ad un secondo prima, stringevo nella mano. Il frigorifero era ancora aperto.
Decisi di lasciarmi andare. Reclinai la testa all’indietro, voltandomi quando bastava per trovare la sua lingua che, a quanto pare, non aspettava altro che la mia. Il bacio che seguì fu incredibile.
Nel frattempo, le sue dita si inserirono nell’elastico del perizoma, scorrendo lentamente sopra al mio sesso bagnato. Quando iniziò a muovere la mano, gli strinsi forte il braccio.
Lanciai un lamento di piacere. Alessandro lo prese come un invito a continuare, a osare di piu. Sentii le sue dita fredde farsi strada dentro di me.
Lo lasciai fare per qualche minuto. Quando decisi che il momento di dargli piacere era finalmente arrivato, gli bloccai la mano e mi voltai verso di lui. Gli sbottonai la camicia.
Guardandolo negli occhi posai le labbra sui pettorali robusti, scesi lungo gli addominali definiti, sfiorai con la punta della lingua il suo inguine.
Alessandro mi sorrise. Aveva capito, ovviamente. Socchiuse gli occhi, in attesa.
Era impossibile non passare da troia. Lui, però, non poteva sapere che era la prima volta che mettevo le corna a Marco. Non poteva sapere che, il giorno dopo, me ne sarei pentita. Non poteva sapere che una parte di me si vergognava per quello che stava per fare.
Ricambiai il sorriso e portai le mani sulla sua cintura. Mi morsi le labbra. Ero nervosa. Inginocchiandomi sul pavimento freddo, mi ritrovai all’altezza in cui l’erezione premeva sui jeans.
- È la prima volta che vado con un altro.
Fu l’imbarazzante tentativo di dargli un opinione diversa di me. Lui, nemmeno rispose.
Sbottonai la cintura, gli abbassai i jeans fino alle caviglie. Con le mani tremanti, tirai il pene fuori dai boxer. Lo strinsi fra le dita facendo scorrere la mano lungo tutto l’asta, arrivando alla base.
Era durissimo.
Tornai su con la mano e, una volta arrivata sul glande umido, iniziai a far girare il palmo intorno ad'esso. Alessandro chiuse gli occhi e sospirò.
Quindi, lo presi in bocca avvolgendolo fino alla base. Cominciai a muovere la testa dall’alto verso il basso, tenendo le dita strette intorno al suo sesso.
I gemiti di Alessandro riempivano il silenzio della cantina. Sentivo in bocca il forte sapore del suo sesso.
Mi venne spontaneo fare il paragone con quello di Marco, che era più delicato.
Lo guardai negli occhi. Pensai che in quel momento la sua autostima doveva essere alle stelle.
- Wow, così mi fai venire subito. – disse con la voce rotta dal piacere.
Sorrise, compiaciuto.
Glielo succhiai per altri due minuti, stringendo la presa e cercando di andare più veloce. La mandibola iniziò a farmi male. Alessandro, a differenza di Marco, stava messo molto bene.
Iniziai a strofinare la lingua sulla punta del suo pene.
- Cazzo, cazzo, vengo! – urlò.
Ci guardammo negli occhi, fin quando lui non li chiuse esplodendo in un gemito rumoroso. Rimasi con il suo sesso in bocca. Sentii lo sperma scivolare sulla lingua, riempirmi le gengive.
Il sapore era nauseante. Non ero abituata a farmi venire in bocca. Portai il dorso della mano sulle labbra serrate e chiusi gli occhi. Stavo per vomitare.
Per la prima volta nella mia vita, ingoiai tutto.
Alessandro si ricompose, tirandosi su i jeans. Io mi alzai senza dire una parola. Sul pavimento, nel punto esatto dove ero ingocchiata, c’erano un paio di macchie bianche.
L’avrei tolte il giorno dopo.

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