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Il suo nome è Olivier 2.


di LoScrittore91
31.10.2016    |    12.385    |    9 9.2
"- Dicevo dei ragazzi, come sono lì? - - Non li guardo, per me esisti solo tu -, gli dico sospirando di nuovo..."
Sono passate quasi ventiquattro ore e ancora non riesco ad abituarmi a quello che è successo, la situazione mi è sfuggita di mano e per la prima volta ho tradito Riccardo.
Ora, a mente lucida, ringrazio Virginia di avermi inconsapevolmente fermata.
Cosa sarebbe successo se non fosse tornata in tempo? Ci sarei andata a letto? Per quanto ero eccitata probabilmente sì, mi sento una merda soltanto a pensarci. Ricordo bene quegli istanti, eravamo completamente presi dalla foga, lo desideravo talmente tanto che il finale sembrava scontato.
Sono sdraiata sull’enorme e comodo letto matrimoniale dell’Hotel, lo sguardo assente rivolto verso il soffitto bianco, chiunque entrando potrebbe scambiarmi tranquillamente per una salma.
- Mi dispiace che ti ho interrotto, non pensavo minimamente che ti saresti spinta fino a quel punto. Ti conosco, so che sei sempre stata fedele a Riccardo. Per carità, la cosa non mi dispiace affatto, ho sempre desiderato che la mia migliore amica seguisse le mie orme -, afferma Virginia scoppiando a ridere.
Giro la testa per un istante. È in piedi, all’entrata del bagno, indossa una semplice tuta nera che non rende giustizia al suo fisico impeccabile. Accanto a lei, sulla parete bianca della stanza, campeggia un gigantesco quadro che riproduce la Torre Eiffel in bianco e nero. Più in là, in fondo all’ambiente, c’è un’ampia vetrata che permette di accedere al balcone. Le immense tende blu notte, talmente lunghe da sfiorare il pavimento, sono ammassate alle estremità della vetrata in modo da consentirci di osservare il cielo che man mano si fa sempre più scuro annunciando così l’arrivo della sera.
- Invece hai fatto bene. Stamattina al risveglio mi sono sentita una merda -, ribatto sospirando.
- Che hai fatto di male? Eravate soli, su un divano, ma soprattutto vi desideravate l’un l’altro! -, esclama alzando il tono della voce, come a volermi rimproverare riguardo ai sensi di colpa. Poggia una spalla all’angolo della porta ed incrocia le braccia.
- Tu la fai facile, non sei fidanzata -, le dico sbuffando.
- Guarda, vedendo come sei ridotta, sono proprio contenta di non esserlo -
Sorrido alla battuta. - Stasera mi ha chiesto di vederci -
- Gli hai lasciato il numero? -, mi domanda sgranando gli occhi.
- Si, fuori all’Hotel mentre tu salutavi Matteo. Tu a Riccardo no, immagino -
- Ma che scherzi, mi avrebbe tormentato. Ok, è stata una scopata fantastica, ma dopo ognuno per conto suo -
- Me l’ha chiesto, non sapevo che fare, per non fare la maleducata gliel’ho lasciato -
- Capisco… vabbè. Ci è rimasto male quando gli hai detto che non vai? -
- In realtà vado -, le rispondo sorridendo.
Virginia fa un lungo sospiro, inizia a scuotere la testa tenendo lo sguardo inchiodato su di me. - Che intenzioni hai? -, mi domanda con uno sguardo sconsolato.
- Non lo so, non sono nemmeno convinta di andare. Ho l’appuntamento fra due ore e non me la sento di disdire. Sono in confusione, aiutami! -, esclamo affondando la testa fra le mani.
- Oramai vai, fai quello che ti senti. Nessuno ti obbliga, al massimo vi prendete un drink insieme e chiacchierate -
Sbuffo ancora, rialzo la testa per guardare Virginia. - Speriamo bene. Tu che farai? -, domando.
- Rimango qui, magari rimorchio qualcuno nella hall dell’hotel -, risponde facendo una piccola risatina.
Rido anch’io, è sempre la solita. La suoneria del mio telefono ci interrompe, quest’ultimo lo scorgo su una piccola scrivania nera, posizionata accanto alla sponda del letto opposta alla mia. Virginia si schioda dalla porta del bagno e senza nemmeno chiedermi il permesso prende possesso del telefono. Appena legge il display cambia espressione, sembra delusa.
- Posso sapere almeno chi è? -, domando ironica.
- È il cornuto -, risponde con un sorriso da schiaffi. Lancia il telefono sul letto, lo vedo rimbalzare sul materasso e stanziarsi a mezzo metro da me.
- Vaffanculo -, le dico facendole una smorfia. Afferro il telefono e fisso con un’espressione angosciata la scritta “Amore”.
È da ieri sera che non sento la sua voce, mi sono limitata a rispondere ai messaggi, usando come scusa quella di dover dormire per recuperare le forze perse durante il viaggio. Sono le 7 di sera, l’ora in cui lui stacca da lavoro, l’ora in cui desidera la mia compagnia mentre torna a casa. Mi sento una stronza, gli ho sempre giurato fedeltà, vorrei tanto non averlo fatto. Non riesco a dirgli la verità, non adesso a oltre 1000 km di distanza. Quando tornerò in Italia valuterò, per adesso non mi resta che mentire.
- Ehi amore -, rispondo cercando di adottare un tono il più dolce possibile.
- Piccola, come stai? È da ieri che non ti sento -
- Tutto bene, oggi abbiamo fatto una passeggiata in centro -
- Si ho visto le foto su facebook, sei bellissima, chissà quanti ragazzi ci staranno provando con te -, mi dice con un tono scherzoso.
Mi sento gelare il sangue, per un attimo vorrei rispondergli si, uno di questi mi ha fatto anche un ditalino favoloso. Faccio un lungo respiro intanto che sistemo sbadatamente i capelli.
- Amore ci sei? -, mi domanda non sentendo la mia voce.
- Si sì, era andata via la linea. Dicevamo? -, domando con lo sguardo fisso sul materasso.
- Dicevo dei ragazzi, come sono lì? -
- Non li guardo, per me esisti solo tu -, gli dico sospirando di nuovo.
- Amore sono proprio fortunato a stare conte -, ribatte con un tono dolce.
Non riesco ad andare avanti, voglio finire questa telefonata, anche le bugie hanno un limite. - Io sono fortunata -, faccio una piccola pausa. - Ora amore devo andare a prepararmi, più tardi esco con Virginia -, lo informo.
- Ok, fai la brava. A dopo amore -
- Certo, a dopo amore -, chiudo la telefonata e lascio cadere il telefono fra le gambe.
Torno a guardare il soffitto, più confusa che mai.
Quando finalmente trovo la forza di alzarmi mi rendo conto che ho a disposizione soltanto un’ora per prepararmi all’appuntamento. Faccio la doccia, mi trucco, piastro a dovere i capelli ed infine impazzisco nel trovare cosa mettermi per la serata. Jeans o minigonna? Grazie a qualche consiglio di Virginia riesco a trovare l’outfit giusto, forse un po' troppo eccessivo ma in grado di valorizzare al massimo il mio fisico slanciato.
Mi guardo allo specchio mille volte, la camicia bianca che ho comprato la settimana scorsa mi dona. I primi bottoni sono aperti in modo da far intravedere una leggera scollatura. Il reggiseno nero che indosso è favoloso, tiene su la seconda di seno facendola sembra addirittura una terza, non posso che sorridere compiaciuta. La minigonna nera fascia la vita, è talmente striminzita da finire appena sotto il sedere, lasciando così le gambe in bella vista come mio solito. Scelgo dei stivaletti bassi, neri, con un tacco che mi permette di guadagnare qualche centimetro.
- Wow sei uno spettacolo! -, afferma Virginia.
- Grazie -, le rispondo sorridendo mentre continuo a specchiarmi nel bagno della stanza.
- Dove ti porta? -
- Non me l’ha detto, so solo che arriverà fra 10 minuti -, ribatto controllando se il trucco è in ordine.

Dieci minuti dopo, uscendo dall’Hotel, noto una meravigliosa auto bianca parcheggiata sul ciglio della strada, ad una decina di metri da me. Mi avvicino timidamente, fino a riconoscere Olivier sul sedile del guidatore, quindi gli sorrido e apro la portiera.
- Ciao -, gli dico accomodandomi, il sedile in pelle è talmente confortevole da ricordare le poltrone a gettoni che si trovano nei centri commerciali.
Intanto la radio dell’auto, il cui volume è piuttosto basso, sta mandando una canzone famosa di cui non ricordo il nome.
-Ciao. Sei uno schianto stasera -, mi dice mostrando un sorriso stupendo.
I suoi occhi, come ieri sera, mi rapiscono all’istante. Indossa una semplice t-shirt nera, a maniche corte, che mi consente di apprezzare ancora una volta i suoi eccezionali bicipiti.
- Grazie sei gentile -, rispondo prima di scambiarci un bacio sulla guancia.
Sento di nuovo il suo profumo, per un attimo mi sembra di rivivere quei magici istanti sul divano. Allaccio la cintura di sicurezza, dopodiché il rombo del motore mi avverte della partenza. Decidiamo di andare ad un locale nelle vicinanze, non conoscendo Parigi mi affido completamente a lui. Durante il tragitto chiacchieriamo come se non fosse successo niente fra noi, mi racconta di un aneddoto divertente accaduto nel pomeriggio. Sembriamo due amici, per la prima volta mi sento a mio agio con lui.
Dopo un po' parcheggiamo l’auto e proseguiamo a piedi.
- Eccoci qui -, mi avverte indicando un’insegna blu al neon, piuttosto larga, fissata sulla facciata di un palazzo. Sotto la scritta francese c’è l’entrata di un pub, la porta è aperta ma non si riesce a vedere all’interno. Di fronte, praticamente sul marciapiede, una manciata di tavolini e sedie di plastica, di colore verde, sono disposti in modo casuale. Due tavoli sono occupati da delle coppie, il resto in attesa di clienti.
Avvicinandomi comincio a sentire la musica proveniente dall’interno, chiacchere e risate si alternano creando un’atmosfera vivace. Ci sediamo fuori, uno di fronte all’altro.
Prontamente un bel ragazzo viene verso di noi, in mano ha carta e penna.
Non mi sfuggono le sue occhiate, indirizzate per lo più alle mie splendide gambe.
- Cosa vi porto? -, domanda guardando per la prima volta Olivier.
- Un Long Island -, risponde l’afroamericano poggiando una mano sul tavolo.
- Anche per me grazie -, dico al cameriere.
- Perfetto -, ribatte il bel ragazzo. Prima di voltarsi e tornare nel pub non perde occasione per sorridermi.
Veramente faccio questo effetto ai ragazzi? Basta una minigonna per farli impazzire? Con Riccardo non ci ho mai fatto caso, forse per lui la mia bellezza è scontata. Ogni tanto mi fa i complimenti ma non è la stessa cosa, rimorchiare un ragazzo a cui non ho mai rivolto parola ha tutto un altro sapore.
- Sfacciato il ragazzo -, commenta Olivier con un sorriso forzato.
- Sei geloso? -, domando sorridendo. Agguanto una ciocca bionda e la sistemo delicatamente dietro l’orecchio. Lo osservo mentre si guarda distrattamente intorno, poi torna con l’attenzione su di me.
- No, a differenza sua ho la possibilità di sedere allo stesso tavolo con te -, risponde.
- Risposta intelligente -
Olivier annuisce con un cenno della testa. - Hai saputo di Virginia e Matteo? -
- Si, Virginia mi ha detto che ci è andata a letto. Conoscendola lo immaginavo -, rispondo.
- Matteo è rimasto molto soddisfatto, soprattutto del sesso anale -, mi informa con un mezzo sorriso.
Spalanco gli occhi incredula, forse non ho sentito bene, forse ha detto orale.
- Hai detto anale o orale? -, domando con un sorriso da ebete stampato sul volto.
- Ho detto anale, anche se hanno fatto entrambi -, risponde ridacchiando.
Fa una piccola pausa prima di continuare. - Se l’è fatta a pecorina e poi le è venuto in culo - , conclude fissandomi con un sorriso divertito.
- Wow, Virginia non ha perso tempo -, rispondo sospirando.
Quelle parole che ha usato, quella frase buttata lì in modo così brutale, mi ha fatto immaginare la scena in cui i protagonisti siamo io e lui. Olivier che mi prende da dietro e mi scopa come nessuno è mai riuscito a fare, la fantasia di andare a letto con un nero che finalmente si realizza. Una vampata fra le gambe è la conferma che mi sto eccitando, sento le mutandine che velocemente si intingono di umori.
- Perché? Sei contraria al sesso anale? -, mi chiede Olivier.
- Si, lì sono ancora vergine -, rispondo girando lo sguardo verso l’entrata del locale, in modo da non vedere la sua espressione dopo questa intima confessione.
Per fortuna arriva il cameriere a salvarmi, con in mano i nostri drink. Un’occhiata alle mie gambe, un sorriso inequivocabile ed infine ci serve.
- A voi -, dice tenendo lo sguardo ancorato su di me.
- Grazie -, rispondo guardando Olivier. Dall’espressione sembra parecchio infastidito dal comportamento del cameriere. Anche senza voltarmi mi accorgo che il ragazzo se n’è appena andato. Bevo un sorso del drink, ha un sapore forte, sono abituata al vino e devo ammettere che tutto quest’alcool mi disturba.
Beve anche Olivier, poi sorride abbandonando d’un tratto l’espressione seccata di qualche attimo prima. - È ancora valida la sfida? -, domanda, spiazzandomi.
- Non sono più tanto convinta di volerlo vedere, rispondo sorridendo maliziosa.
- Mi impegnerò a convincerti -
- Sei convinto di riuscirci? -, domando.
- Si, ho ottime possibilità -, risponde prima di bere un altro po' di drink.
- Vedremo -, ribatto inarcando le sopracciglia.
- Ti è piaciuto il ditalino? -, mi domanda con un sorriso provocatorio, i suoi occhi disarmanti sono puntati su di me.
Eccolo, è tornato alla carica. Sembrava un’uscita tranquilla, almeno fino ad adesso. Mi sembrava strano, in auto non ha menzionato nulla di quanto accaduto ieri sera, nemmeno un accenno. Ora vuole che ci ripensi, vuole convincermi, vuole farmi eccitare.
Faccio un lungo sospiro, in seguito inizio a mordere nervosamente il labbro inferiore.
- Non è stato male. Se ci ripensi ti fa effetto? -, domando con il cuore in gola, le mani cominciano a sudarmi. Olivier incrocia le braccia al petto, i suoi bicipiti sembrano esplodere. - Si, molto effetto -, mi risponde sorridendo, nei suoi occhi leggo il desiderio che ha di avermi.
- Quindi sei eccitato? -, domando, le parole escono lente, strozzate.
Istante dopo istante la sua espressione sembra sempre più lussuriosa.
- Perché non controlli tu stessa? -
Ormai, le mutandine che indosso, sono del tutto zuppe dei miei stessi liquidi.
La piacevole sensazione di calore fra le gambe cresce sempre di più, ad ogni sua parola, ad ogni suo sguardo.
- Mi fido -, rispondo con un mezzo sorriso.
Olivier scioglie le braccia, afferra il drink e beve un sorso di Long Island.
Durante questi movimenti non stacca lo sguardo da me.
- Controllare è un’altra cosa, rende più l’idea -, ribatte facendomi l’occhiolino.
Sorrido, dopodiché faccio un lungo respiro, l’ennesimo della serata.
- Non voglio tradire ancora Riccardo. Prima l’ho sentito per telefono, è stata dura mentirgli. Mi sono sentita una vera stronza -, gli spiego tornando seria.
- Hai l’occasione di provare un cazzo grande dopo tanti anni in cui ti sei dovuta accontentare di quei miseri 14 cm -, afferma bevendo un altro sorso, ora il suo sguardo è fisso sul tavolo.
- Ci siamo incontrati nel momento sbagliato -, gli dico. Abbasso anche io lo sguardo, sono in confusione totale. Una parte di me si è pentita di quelle parole, l’altra invece ha preso il sopravvento. Ho voluto mettere le cose in chiaro, anche se non sono pienamente convinta. Ha ragione, mi sono accontentata per amore. Quante volte ho sognato di farmi un nero dotato? Mille, duemila, ho perso il conto. Ora ce l’ho davanti a me, pronto a soddisfare questa assurda fantasia. Sto sprecando un’occasione? E se me ne pentissi? Molte domande mi rimbalzano nella testa senza trovare risposte.
Finiamo i drink praticamente in silenzio, come se qualcosa si fosse improvvisamente rotto. Olivier gentilmente offre, nonostante i miei inutili tentativi alla cassa. L’auto non è lontana, la raggiungiamo con una breve passeggiata. È silenzioso, sembra infastidito dalla risposta che gli ho dato, cerco di sdrammatizzare facendo qualche battuta sul cameriere guardone. Nulla da fare, sto male al pensiero di aver rovinato tutto.
Sono sorpresa di me stessa, due giorni che lo conosco e mi fa questo effetto, già lo considero una persona importante. Così, la parte di me pentita delle parole dette, si sveglia inaspettatamente una volta entrati in auto.
Siamo parcheggiati in un vicolo stretto, dove i palazzi bianchi si fronteggiano, quasi a toccarsi. I balconi appaiono vuoti, le finestre chiuse e non sembra esserci anima viva. La stradina è rischiarata, soltanto in alcuni tratti, dal bagliore proveniente dai pochi lampioni che si alternano ai margini della via. Noi ci troviamo in fondo, nella parte poco illuminata, lontano dagli sguardi indiscreti. Un cane abbaia in lontananza per qualche istante, dopodiché scende un silenzio surreale. Olivier infila le chiavi, pronto a partire, la sua espressione cela irritazione, delusione.
- Fermati -, esclamo bloccandolo, la mia mano si aggrappa al suo braccio.
Per la prima volta sento i suoi bicipiti, così marmorei da farmi impazzire, la sua pelle è liscia, fresca, impeccabile.
- Perché? -, mi domanda flettendo le sopracciglia.
Non gli rispondo, non saprei cosa dirgli, accosto il mio viso al suo e senza pensarci troppo inizio a baciarlo, il suo respiro ardente è come una dolce carezza.
Il suo profumo, inconfondibile, stimola ancor di più la mia voglia di averlo.
Ritrovo le sue labbra, tenere e voluminose, che inseguono le mie sfregandosi con una passione che prospera con il passare degli attimi. Nonostante il fastidioso sapore di alcool, riesco a distinguere il suo, quello di Olivier, quello che è sognato per l’intera nottata. Nell’auto si sente soltanto il tenero rumore dei nostri baci, delle nostre lingue assetate. Chiudo gli occhi, non riesco a credere che stia succedendo di nuovo, un brivido violento viaggia spedito lungo la mia schiena, è una sensazione indescrivibile.
Ho reagito di impulso, senza pensare a Riccardo, alle conseguenze. Sta volta non ho alcun alibi, la colpa è soltanto la mia. Io l’ho cercato, io l’ho desiderato. Non ci sono Virginia e Matteo in un’altra stanza, siamo solo io e lui in un vicolo, nascosti da tutto e da tutti. Sono talmente eccitata da avere un solo pensiero fisso, il sesso.
Tra un bacio e l’altro decido di sbilanciarmi, di togliermi finalmente quella curiosità. Pacatamente la mia mano destra scende e, senza esitare troppo, si deposita sul imponente rigonfiamento spuntato fra le sue gambe. Ormai il suo pene è rigido come un pezzo di ferro, con le dita stringo, sfioro, c’è l’ha talmente lungo che non sembra finire mai. I nostri baci si fanno più intensi, lo sento ansimare, godere. Provo, nonostante lo scomodo tessuto dei jeans, ad abbrancarle la bestia, rendendomi conto che oltre alla lunghezza può vantare di essere dotato anche i termini di circonferenza.
- È vero, stai messo bene -, gli sussurro baciandolo.
- Mi fai impazzire >>, ribatte con gli occhi socchiusi e l’espressione contratta dal piacere. Intanto porto giù anche l’altra mano, cominciando così a trafficare con la sua cintura di pelle. Me l’aspettavo più difficile, nel giro di pochi infatti riesco a slacciarla ed abbassare la zip dei jeans. Ora soltanto i boxer mi dividono dalla carne.
Vederlo così eccitato mi riempie d’orgoglio, vuol dire che ci so fare sul serio. Non è il ragazzino di 18 anni che ti fa un complimento senza senso, qui si tratta di un calciatore della serie B francese a cui le ragazze non mancano di certo. La domanda ora è quanto spingersi in fondo? Sono veramente convinta di scoparmelo qui, in un vicolo di Parigi, sul sedile della sua auto, con il rischio che passi qualcuno? Non so cosa fare anche se è proprio l’idea di essere beccati che mi stuzzica.
Improvvisamente smette di baciarmi ed io arretro il viso, spaesata. Penso che vuole fermarsi ed invece tutt’altro, rimango a guardarlo mentre abbassa i jeans scoprendo le sue gambe atletiche, splendide. I boxer sono deformati dall’erezione, come una piramide la cui punta svetta prepotentemente. La sua espressione è tutto un programma, l’eccitazione che leggo sul suo volto non ha eguali. Faccio un lungo sospiro che nasconde tutta la mia ansia, la paura di fare un errore madornale.
Afferra le estremità dei boxer e, con un gesto risoluto, se li sfila, facendo svettare il suo pene nero come una molla. Lo esamino affascinata, è così smisurato, le venature sono perfette come in un disegno. Il pube è privo di peluria, i testicoli appaiono voluminosi.
Sgrano gli occhi, quello di Riccardo non è nemmeno confrontabile, è come mettere una spada titanica contro un bastoncino di legno. È di più di quello che immaginavo, forse arriva a 22 centimetri, o 23, non saprei. Non sono esperta, è il secondo che vedo.
- Non ti spogli? -, mi domanda.
- Non lo so, potrebbe arrivare qualcuno da un momento all’altro-, ribatto con la voce strozzata, assalita dal panico. Do un’occhiata al vicolo, a parte noi non c’è nessuno.
Da qui sembra un quadro, anche le foglie a terra sono immobili.
È una bugia, una scusa per prendere tempo, per pensare. L’arrivo di qualcuno è l’ultimo dei miei pensieri, tradire Riccardo invece è qualcosa che mi rende agitata.
- Tranquilla, qui non ci vede nessuno -, afferma Olivier.
- Va bene, ma facciamo in fretta -
Sfilo i stivaletti, poi apro la zip laterale della gonna, quindi me ne libero lasciandola sul tappetino dell’auto. Abbassando lo sguardo noto una chiazza scura e ampia sul tessuto nero delle mutandine, è il risultato di una serata in cui sono stata perennemente eccitata. - I preservativi sono nel cruscotto? -, domando sospirando.
- Possiamo farlo anche senza, farò attenzione -
- Ok, però avvisami, non prendo la pillola -, ribatto.
- Certo -, mi rassicura.
Tolgo anche le mutandine, ormai ci siamo, resto solamente con la camicetta bianca ancora abbottonata. Mi separo dal mio sedile, piazzandomi prontamente a cavalcioni su di lui. Il suo enorme pene è lì, a pochi centimetri dal mio inguine. Dall’ espressione di Olivier mi rendo conto che non ha voglia di aspettare nemmeno un secondo in più, mi vuole adesso. Il suo petto è ancora coperto dalla t-shirt, lascio cadere dolcemente la mano assaggiandone la consistenza, la robustezza, è come toccare un muro di pietra, qualcosa di formidabile. Flette gli angoli della bocca mostrandomi il suo solito sorriso ammaliante. Rimango sbalordita nel vedere che la mia mano ha difficoltà ad impugnare completamene l’asta del suo pene. Quindi sollevo il bacino avvicinandomi di qualche centimetro e, una volta sopra il suo enorme membro, scendo pacatamente lasciando che si insinui dentro di me. Nel giro di un secondo mi sento riempita come mai prima d’ora, è talmente tosto ed ampio che sono costretta a mordermi brutalmente le labbra per non gridare. Mentre inarco la schiena un gemito di piacere fuoriesce dalle mie labbra.
Non avendo il preservativo riesco a sentire quanto è bollente, chiudo gli occhi nel momento in cui un fremito prolungato attraversa la mia schiena.
Le sue mani vigorose finiscono sul mio sedere, lo sento che affonda le dita per farsi un’idea di quanto sia sodo ed impeccabile. Inizio una danza, sollevando ed abbassando il bacino di continuo, piazzo entrambe le mani sul suo petto di marmo per sorreggermi e mantenere quella fantastica posizione. Il sedile sotto di noi cigola ad ogni mio colpo, ogni mio affondo, l’odore dei nostri corpi sudati è sempre più denso nell’abitacolo dell’auto. Non riesco ad abituarmi, è come sedersi continuamente su un pezzo di roccia dalla forma fallica. Riapro gli occhi, Olivier ha un’espressione estasiata.
- Quanto è grosso -, affermo con un filo di voce e la bocca spalancata.
Passano gli attimi, i minuti, iniziamo a baciarci con impeto, ha il sapore di chi è veramente eccitato. Continuo a cavalcarlo senza sosta, a godere di ogni centimetro del suo enorme cazzo, dimenticandomi del tutto di Riccardo. Il profumo di Olivier, ormai ben impresso nella mia mente, non fa altro che spronarmi a continuare l’amplesso.
Senza nemmeno rendermene conto mi ritrovo senza camicia e, qualche istante dopo, senza reggiseno. Lo tengo per la testa mentre lui, dall’alto della sua esperienza, comincia a lambire con la sua calda lingua i miei turgidi capezzoli. Sento le sue mani che stringono brutalmente i glutei tenendomi bloccata a sé e, contemporaneamente, i suoi fantastici e dolci morsi sul seno. Non ho mai goduto così tanto, non riesco nemmeno a pentirmi di cosa sto facendo. Sono una troia? Forse, ma non mi interessa. Una scopata del genere è quello che ho sempre sognato, avere un cazzo del genere dentro è qualcosa di indescrivibile. Mi dispiace tantissimo per Riccardo, non saprei come dirglielo. Mi sono scopata un ragazzo nero in un vicolo di Parigi e mi è piaciuto da morire. Lo distruggerei all’istante. Non voglio pensarci, non ora che sto per avere un orgasmo epico.
Aumento il ritmo del bacino, cominciando letteralmente a salterellare sul suo massiccio pene, le sue morbide e roventi labbra nel frattempo si alternano sui miei seni succhiando con passione i miei capezzoli. Tengo la sua testa bloccata contro il mio petto, non voglio farlo smettere per nessun motivo.
- Vengo -, sussurro con la voce strozzata dai gemiti.
Il cigolio del sedile aumenta attimo dopo attimo, spinta dopo spinta, sembra quasi volersi rompere da un momento all’altro tanta è la forza con cui lo sto scopando.
Un brivido, poi un altro ancora, la testa va per conto suo, inarco la schiena spingendo il seno contro la sua bocca impazzita. L’orgasmo è come un’onda che travolge una barca in pieno mare, non riesco a parlare, ad urlare, rimango con la bocca spalancata e gli occhi socchiusi. Dopo un po' mollo la presa sulla sua testa, lo guardo e sorrido, ha un’espressione piacevolmente provata. Sento le sue mani che lentamente si staccano dal mio sedere, permettendomi così di alzare il bacino. Ansimo nel momento in cui il suo pene esce dalla mia vagina fradicia, lo osservo per qualche istante notando come sia cosparso principalmente dai miei liquidi.
- E’ stato fantastico -, mormoro sprofondando la schiena sul sedile del passeggero.
- Ce l’hai strettissima, ho goduto da morire -, mi dice mordendosi il labbro inferiore.
Gli sorrido. - Sbrighiamoci a rivestirci e andiamo, non vorrei che proprio ora arrivi qualcuno -, gli dico afferrando le mutandine dal tappetino dell’auto.
- Prima voglio il tuo culetto -, ribatte, ghiacciandomi. Mi blocca delicatamente un braccio, l’espressione è di chi non scherza.
Il culo? Ma stiamo scherzando? Non l’ho dato a Riccardo per anni, figuriamoci a lui che ha una bestia fra le gambe. Non se ne parla, ero stata chiara. La sua espressione mi preoccupa, mi spaventa, non so come uscire da questa situazione.
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