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Il mio salumiere in una mattina di un gelido inverno


di passivocaserta
02.06.2019    |    25.223    |    17 9.3
"Ero agitata, mi dovevo travestire al meglio, come sapevo fare con passione, gusto ed eleganza..."
Mi ero svegliato ancora assonnato dopo aver dormito poco e male. Faceva molto freddo ed era un peccato mortale abbandonare il caldo letto per ritornare nel mondo, tuttavia dovevo, avevo parecchio lavoro arretrato da recuperare.
Poiché era sabato e la scorta settimanale delle provviste alimentari era agli sgoccioli, decisi di fare un salto veloce in salumeria prima di mettermi a lavorare.
Mi vestii pesantemente e tutto infagottato andai a sbrigare la noiosa faccenda della spesa: si doveva pur mangiare.
Appena arrivato al negozio scorsi dietro al bancone un viso nuovo, un giovane ragazzo moro e barbuto con due occhi profondi ed espressivi.
Non occorreva prendere il numero di prenotazione, nelle salumerie dei piccoli paesi gli avventori si contano sempre sulle dita di una mano.
Ero cliente di questa salumeria da più di dieci anni e avevo visto, giorno dopo giorno, invecchiare il titolare, sempre garbato e disponibile. Pensai che evidentemente non ce la faceva più a portare avanti il negozio da solo e avesse avuto bisogno di assumere un garzone, e che garzone !
Dopo aver fatto finta di dare uno sguardo agli scaffali in cerca di qualcosa che dovessi acquistare, sebbene in quel momento nella mia testa si fosse creato un vuoto cosmico, mi diressi timidamente al bancone dei salumi e sommessamente salutai il nuovo garzone. Mi rispose altrettanto sommessamente ma subito si mise a disposizione per soddisfare le mie richieste di acquisti.
Guardarlo muoversi dietro al bancone mentre tagliava i salumi era un piacere per gli occhi e per la mente, studiavo ogni centimetro del suo corpo, andando a fantasticare su cosa potesse contenere quella collinetta non tanto piccola che da sotto il grembiule da lavoro si formava all’altezza della patta. Ogni tanto notavo che lui si girava di scatto per lanciarmi uno sguardo di sbieco.
In quella giornata di un gelido inverno all’improvviso mi ero accaldato senza la presenza di impianto di riscaldamento.
Quando ebbe finito di prepararmi quanto gli avessi chiesto, me lo consegnò e lo salutai augurandogli buon lavoro.
Continuai a fare la mia spesa, girovagando tra gli scaffali col solo intento di lanciare da lontano sguardi assatanati verso quella bomba di sensualità che intanto serviva salumi ad altre signore.
Arrivato alla cassa, come mio solito, chiesi la cortesia al titolare di farmi recapitare la spesa a casa causa ernia al disco che mi impediva di trasportare carichi pesanti.
In genere il titolare mi aveva sempre fatto recapitare la spesa a casa tramite sua figlia, una gentile ragazza incolore poco più che ventenne.
Uscendo dal negozio fui colpito da folate di vento freddo che tuttavia non riuscirono ad abbassare la mia temperatura, alzatasi per ben altre ragioni rispetto a quelle atmosferiche.
Tornato a casa, decisi di fare una doccia e ritemprarmi per affrontare il lavoro che giaceva sparso sul tavolo.
Quando suonò il campanello, ero da poco uscito dalla doccia e stavo girovagando per l’appartamento in accappatoio.
Andai ad aprire la porta pensando di trovarmi davanti, come al solito, l’incolore figlia del titolare e invece… e invece a recapitarmi la spesa trovai quella bomba sexy del garzone.
Lo invitai ad entrare e gli offrii un caffè. Contrariamente a quanto pensassi, accettò e si accomodò sedendosi al tavolo della cucina. Mi disse che era uno studente ventiduenne universitario fuori sede e che per sopperire ai costi della sua condizione di fuori sede aveva accettato questo lavoro part time, per un breve periodo di tempo, che avrebbe svolto solo la mattina perché nella restante parte del tempo avrebbe dovuto studiare.
Notavo che ogni tanto si guardava attorno nel mio appartamento con aria curiosa e a volte scorgevo dai suoi occhioni un sorriso malizioso.
Dopo la breve chiacchierata, che aveva fatto cadere quel velo di freddezza tra noi, gli dissi che per qualsiasi esigenza o problema avrebbe potuto fare riferimento a me. Gli lasciai il mio numero di cellulare e ci salutammo.
Dopo quello scossone emotivo era giunto il momento di iniziare finalmente a lavorare in una giornata cominciata alla chetichella ma che dopo appena due ore mi aveva già mandato in tilt ogni ormone del mio corpo.
Per alcuni giorni non tornai più alla salumeria, né tantomeno lui si fece sentire. Per pudore e per non metterlo in imbarazzo non gli avevo chiesto il suo numero, solo lui conosceva il mio. In sostanza ero schiavo della sua volontà di contattarmi o lasciare che la cosa morisse così, nel nulla.
Una sera che ero tornato stanco morto dal lavoro, mentre stavo rassettando la cucina dopo aver cenato, sentii bussare alla porta.
Dallo spioncino, con grande sorpresa vidi che era lui. Aprii la porta e nel fingere sorpresa nel rivederlo lo accolsi in casa.
Mi disse che siccome non aveva programmato nessuna uscita per quella sera e non aveva più voglia per quella giornata di studiare, aveva deciso di fare un salto da me per bere qualcosa assieme.
Lo feci accomodare sul divano del salone e mentre la televisione passava le immagini di un film degli anni ’80, andai in cucina per preparare qualche stuzzichino e qualcosa da bere.
Quando arrivai in salone, lo trovai rilassato che guardava la tv. Mi accomodai di fronte a lui e mentre parlavamo, notai che ogni tanto appoggiava la mano sulla sua patta. Fosse successo una volta o due, potevano chiamarsi coincidenze, ma la mia esperienza da persona navigata mi fece capire innanzitutto che aveva capito di me, e vabbene ma per questo non occorreva la zingara, e poi soprattutto che se avessi saputo prenderlo per il verso giusto, lui ci sarebbe stato e, laddove in quel momento sostava la sua mano, avrebbe potuto tranquillamente sostare la mia bocca. Ma quale era il verso giusto per “prenderlo”?
Cominciammo a bere, e tra una chiacchiera e l’altra, la bottiglia di vodka che era piena per i suoi tre quarti, si era quasi svuotata.
Mi chiese a bruciapelo se fossi gay ed io senza voler mentire, ma senza nemmeno spiattellare la mia identità al primo sconosciuto o conosciuto da poco, gli risposi che non amavo definirmi, né darmi etichette. Insomma utilizzai la classica frase da criptocheccha, frase che non significa un cazzo se non che si sta trascorrendo l’intera vita nascondendosi da quello che si è realmente.
Ed io, avendo risposto alla sua domanda, gli chiesi a mia volta se lui avesse mai avuto un rapporto omosex.
Mi rispose che il maschio in sé non lo aveva mai attirato ma che da tempo aveva preso un posto fisso nella sua mente il desiderio di scopare un travestito.
A queste parole, quasi mi andò di traverso il bicchierino di vodka che stavo bevendo.
Facendo finta di nulla, dissi che avevo un amico che amava travestirsi e che se voleva potevo presentarglielo. Figurarsi se avrei mai lasciato quel manzo in altre mani.
Volle sapere di questo mio amico, come era fisicamente, cosa amava indossare da travestito, quello che gli piaceva fare sessualmente.
Mentre gli parlavo di questo mio amico immaginario, intravidi in lui lo stesso sorrisetto ironico che avevo scorso al nostro primo incontro.
Senza peli sulla lingua e freddandomi, mi disse che aveva capito che l’amico di cui parlavo altri non era che la mia persona e che non dovevo avere alcun timore di lui perché il nostro rapporto doveva essere basato sulla fiducia.
Avvampando come un tizzone su un fuoco ardente, gli confessai che aveva ragione e che ero io quello che, di nascosto, amava travestirsi.
Mi disse che quella sera aveva voglia di divertirsi un po’ e che quindi aveva voglia di vedermi in una mise con la quale mai sarei andato a fare la spesa in salumeria.
Prima di andare a rinchiudere me, Andrea, nella mia stanza da letto dalla quale sarebbe uscita Desideria, andai in cucina a prendere dal frigo un’altra bottiglia di liquore che gli servii in salotto.
Ero agitata, mi dovevo travestire al meglio, come sapevo fare con passione, gusto ed eleganza.
Misi sottosopra il mio armadio, tirando fuori la mia lingerie in pizzo nero, i miei tacchi a spillo, la mia parrucca nera liscia. In mezzora ero vestita e truccata.
Tornai in salotto dove andai a risedermi di fronte a lui. Lui mi guardava con stupore, con una luce negli occhi che non gli avevo scorto prima.
Mi chiese di accomodarmi accanto a lui. Senza alcuna reticenza, appena mi fui accomodata, mi passò le sue dita sulle labbra.
Ero tutta un fremito, mi prese la mano e la strinse nella sua, iniziò a carezzarmi le gambe mentre la mia mano gli carezzava il viso e la sua barba araba.
Vedevo che la sua patta era diventata enorme e morivo dalla voglia di sentire tra le mani la forma del suo cazzo. Volevo avere conferma delle dimensioni e della forma che avevo immaginato.Lui si sfilò i pantaloni rimase in slip.
Mi girò la faccia verso di lui e iniziò a baciarmi mentre la mia mano perlustrava in tutta la sua lunghezza il suo cazzo.
Con una voracità che solo i salumieri sanno riconoscere nel servire le clienti di corporatura opulenta, mi inginocchiai ai suoi piedi e iniziai a mordicchiare il cazzo da sopra gli slip, iniziai a slinguargli l’addome per poi salire con la lingua ai suoi capezzoli.
Il mio viaggio linguale mi riportò giù, dove tirandogli fuori la cappella, di lato dagli slip, iniziai a slinguarla e ad assaporarla.
In lui tutto sapeva di buono, quel suo fascino medio-orientale mi stordiva.
Dopo lunghi preliminari, avendo visto crescere oltre modo il suo pesce, gli sfilai gli slip e iniziai a succhiarlo avidamente. Pensavo che da quel giorno avrei voluto sempre e solo quel tipo di salame, il salame massiccio e durissimo del mio salumiere.
Mentre lo succhiavo lo sentivo gemere di piacere, volevo prolungare il suo piacere ma al contempo non vedevo l’ora di assaporare il miele del quale il suo salame era pregno.
Cominciai a succhiare sempre più forte, sempre più a fondo, iniziai a slinguargli e mordicchiargli le palle, scendere con la lingua più giù, per poi risalire alla punta della cappella.
All’improvviso la mia bocca si riempì di un fiotto caldo, denso e corposo di sborra mentre lui emettevo un ululato di piacere. Assaporai ogni goccia del suo dolce sperma fino a lasciarlo pulito.
Ci concedemmo una pausa di riposo perché il nostro discorso era ancora aperto. Non potevo farlo andar via senza che prima non avesse perlustrato i miei anfratti anali.
Dopo una sigaretta e un altro bicchierino ci spostammo nella mia camera da letto.
Mi inginocchiai sul letto a pecorino e lui iniziò a fottermi il culo da dietro.
Per ogni botta che mi dava emettevo un gridolino di dolore. Più gridavo e più mi fotteva forte. Sentivo le mie palle e il mio cazzo che sbattevano sotto i suoi colpi.
Mentre mi fotteva il culo mi girava la testa a lui e mi baciava, slinguandomi.
Mmm che toro, mi spaccò in due fino a sborrare di nuovo.
Il mio salumiere sapeva come riscaldare le mie gelide giornate invernali.
Da quel giorno iniziammo a vederci ogni volta che avevamo voglia.
Quando andavo al negozio per me era solo il garzone di salumeria, ma non mancavo mai di chiedergli, dinanzi a cliente distratte e ignare, quel particolare salame che solo loro vendevano con gocce di miele dentro.Chissà alludendo a cosa !




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