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Gay & Bisex

Il Novizio 2


di honeybear
27.11.2017    |    28.751    |    5 9.2
"I miei occhi indugiavano languidi su quelle parti del corpo che gli obblighi della giornata avevano contribuito a scolpire..."
Con mia grande sorpresa mi abituai abbastanza velocemente ai ritmi della vita monastica.
Le mie giornate iniziavano ancor prima dell'alba ed erano scandite dall’avvicendarsi di preghiera (duro) lavoro e meritato riposo.
L’episodio avvenuto in doccia al mio arrivo non ebbe repliche, se non quelle vissute nell'intimità della mia cella. Ci si ritirava immediatamente dopo il rito di compieta.
Non appena la porta si chiudeva alle mie spalle, i miei abiti volavano a terra e mi ritrovavo ad ammirare la mia nudità nello specchio proprio dirimpetto all’ingresso. I miei occhi indugiavano languidi su quelle parti del corpo che gli obblighi della giornata avevano contribuito a scolpire. Il resto lo facevano le mani che manovravano su zone strategiche: il petto glabro con i due capezzoli grossi e rubicondi che le dita strizzavano a dovere. Mi divertivo ad osservare la mia espressione mentre, mordendo le labbra con il respiro accelerato, le malandrine correvano a perdersi nel mio cespuglio morbido e soffice per poi finire immancabilmente con l'afferrare saldamente l'asta vellutata che, pulsando, s'irrigidiva rapidamente.
Altrettanto rapidamente la scappellavo e, piegandomi leggermente sulle ginocchia, iniziavo a segarmi, raggiungendo il piacere placidamente straiato sul letto a gambe spalancate con le dita della mano libera che spanavano il buchetto, anch’esso affamato di attenzione. Raccoglievo la maggior parte sborra che m’inondava, assaporandola come la tisana della sera e me la spalmavo attorno alle pieghe dell'ano. Il resto lo lavava via la doccia calda e rilassante che mi conciliava il sonno ristoratore.
L'episodio incriminato non lasciò dunque alcuno strascico, almeno fino a quel momento.
Il mattino successivo, quindi, fu come se nulla fosse accaduto.
Dopo la santa messa mattutina, il Priore mi convocò nel suo ufficio. Tranquillamente mi indottrinò su quelli che sarebbero stati i miei doveri di novizio e poi di consacrato: semplicemente adattarmi alla regola dell'hora et labora. Accompagnò la lectio brevis, con un giro per l'abbazia. Potei così ammirare con i miei occhi (stupefatti) ciò che quel microcosmo era riuscito a generare per garantirsi l'autonomia.
“Ecco inizierai da qui! Fratel Ettore, lui sarà il nuovo aiutante per qualche tempo: fai in modo che apprenda tutto ciò che gli potrà essere utile per seguire diligentemente le prescrizioni della nostra regola…” le parole del priore accompagnarono il vigore della stretta di mano di un uomo attempato ma decisamente affascinante. Gli occhi cinerei che mi stavano radiografando erano incorniciati dai rigidi lineamenti di un viso dalla nuca perfettamente rasata, così come curata era la barba che cominciava a tingersi di bianco e che avvolgeva due labbra morbide e carnose.
Evidentemente le attività svolte ogni giorno avevano lo stesso effetto di un duro allenamento sportivo: la ruvida tela del saio si tendeva sulla tonica muscolatura che rivestiva.
“Bene! È un piacere averti tra noi! - mi sorrise bonariamente – Per oggi darai una mano all’altro novizio, Giacomo col bucato settimanale!” e mi indicò un ragazzo alto e snello che s’affaccendava con ceste di plastica colorata. Si fermò un istante per accennarmi un saluto e riprese a lavorare.
Mi avvicinai per conoscere quali sarebbero state le mie mansioni.
A fine giornata credo di aver lavato almeno un quintale fra tonache e biancheria varia che stesi, diligentemente, nello stanzone che, in caso di maltempo, fungeva da asciugatoio:
“Uff… Meno male che abbiamo finito non avrei retto un altro ciclo di centrifuga!” si lamentò ridendo Giacomo.
“I cesti dove vanno sistemati?”
“Teoricamente lì!” e indicò la porta alla mia sinistra.
“È chiusa… No aspetta… - scostai leggermente l’uscio che, cigolando, proiettò i nostri sguardi in un buio vuoto da cui proveniva un insolito, gradevole profumo.
“Sarà l’ammorbidente che usiamo per il bucato – fu l’ironico commento di Giacomo – Dai, adesso lascia quelle ceste da qualche parte o faremo tardi per i vespri! Penserà fratel Ettore a sistemare!”
Allungai una mano per cercare l’interruttore. Una luce rossa, calda e avvolgente, rischiarò appena le pareti rivestite di velluto damascato. Al centro di una di esse, stava un tavolo con dei flaconi appoggiati su un vassoio lucente; accanto una candela che emanava la fragranza che impregnava l’aria. Alle estremità di due eleganti sedie foderate dello stesso tessuto delle pareti, un telo scuro avvolgeva uno strana forma parallelepipeda.
“Sembrano due troni…” ci guardammo stupefatti e increduli per la strana scoperta.
“Mmm… E quella cosa in mezzo!?”
“Forse è la stanza dove Fratel Ettore si dedica alla lettura e alla meditazione dopo le orazioni. E là sotto ci saranno dei libri e altre candele…” accennai timidamente.
“Vediamo…”la curiosità spinse il mio compagno ad avvicinarsi all’involto.
Provai a fermarlo: “Andiamo…” e, afferrando con decisione il polso per trascinarlo via, con la testa accennai alla direzione da cui proveniva il suono della campana che c’invitava alla santa adunata.
Fu tale la veemenza del mio gesto che, inciampando nella stoffa, facemmo scivolare via il lenzuolo nero…
Ci guardammo stupiti. Sotto alla stoffa c’erano due panche di legno scuro allineate. Su ognuna erano montati cinque oggetti di forma vagamente fallica. Ognuno era leggermente più grosso del precedente. L’ultimo li batteva tutti: sembrava un seme di picche bombato.
“Da non credere… - Giacomo si avvicinò ad uno di quegli affari e cominciò ad accarezzarli - Hai capito che maiale il fraticello!?”
“Dai, vieni via…” ma sembrava non ascoltarmi. Le sue dita lisciavano il lattice scuro del bulbo più piccolo, quasi a volerlo masturbare.
“Vai un po’ a prendere uno di quei flaconi! – mi ordinò mentre si sbottonava il camice da lavoro – Se tanto mi da tanto, là dentro ci dovrebbe essere del lubrificante…” e mi cacciò in faccia due occhi furbi e maliziosi.
“Che intendi fare… I vespri…” non mi ascoltava. Usava le sue mani per accarezzarsi i pettorali, prigionieri dell’attillata maglietta da lavoro che si levò in un lampo. Il torace, completamente glabro, incorniciava le due grosse ciliegie dei capezzoli. Se li strizzò mordendosi le labbra e ansimando mentre mi guardava dritto negli occhi. Velocemente si spogliò di tutto il resto. Dal cespuglio biondo del pube sballonzolava il grosso bastone che guardavo ipnotizzato.
“Dai spogliati anche tu! Cosa aspetti… - come un automa iniziai a togliermi i vestiti – Stiamo per divertirci come mai in vita nostra! Altro che vespri!”
Si avvicinò tanto da fare in modo che il mio petto sfiorasse il suo.
In un attimo ci protendemmo l’uno verso l’altro cominciando a limonarci. Sentivo il calore della sua pelle e il sapore delle sue labbra mentre la sua lingua s’infilava nella mia gola. Sempre più giù… Così come le nostre mani birichine iniziarono ad ispezionare le rispettive parti intime.
Dall’erogatore versò una generosa quantità di olio con cui iniziò a massaggiarmi: le sue mani forti accarezzarono ogni centimetro della mia pelle per poi insinuarsi, una volta fattomi girare, nel solco del mio culetto.
“Mmm… Che bei cocchi sodi… - mi sussurrò massaggiandomi i glutei lanuginosi. Reclinai il capo lasciandomi baciare nell’incavo del collo mentre una mano risvegliava definitivamente il mio uccello - …E che buchetto stretto…” l’indice dell’altra mano lambiva le pieghe del mio ano, dapprima girandoci intorno per poi conficcarsi deciso al suo interno.
Sospirai sollevando un braccio sopra la testa per cercare i suoi capelli che strinsi tra le dita mentre appoggiava il suo randello al mio didietro strusciandolo tra le chiappe.
“Ora tocca a te… - e dolcemente m’invitò a riservargli lo stesso trattamento - …Mmm… Ed ora, insieme, lubrifichiamo questi gingilli…”
“E poi!?”
“E poi vediamo chi è più bravo a prenderli nel culo…” rispose divertito.
Preparammo con attenzione e cura le sei manopole scure, slinguandoci per bene ad ogni tappa.
Ripose il flacone dove l’avevo preso e, sorridendo, mi guidò a sedere.
Lo guardai.
“Farà…”
“Male!? All’inizio temo di sì… Ma sono sicuro che poi sarà bellissimo! Dai… Iniziamo dal più piccolo!” mi incoraggiò appoggiandomi le sue mani forti sulle spalle, invitandomi a sedermi per poi prendere posto sulla sua panca.
Feci un respiro profondo e cominciai a piegarmi sulle ginocchia fino a che incontrai la sommità della cappella di gomma. Mi fermai e deglutii. Scesi ancora un poco: percepii l’insolito oggetto aprire le pareti strette del mio sfintere per farsi strada verso l’interno. Lasciai che le riempisse delicatamente finché il mio culetto non toccò il tavolo di legno scuro.
Non potei fare a meno di toccarmi cazzo che era più duro della superficie su cui sedevo. Mi sembrava incredibile l’effetto che quella specie di ogiva produceva all’interno della tana calda in cui l’avevo sparata. A rendere più eccitante la situazione, il fatto che la stessi condividendo praticamente con uno sconosciuto che sembrava a suo agio più di me in quell’incredibile avanzata.
Gentilmente mi afferrò per il mento voltandomi verso di lui. Le lingue s’incrociarono e s’intrecciarono ancora una volta mentre smanettavamo sulle aste lucide.
Si staccò dalle mie labbra e si alzò.
Avanzò di qualche passo e si preparò a lasciarsi impalare dal secondo fallo.
Lo seguii.
Era leggermente più grande del primo e la cosa mi rese vagamente ansioso. Tuttavia, l’idea e il desiderio di arrivare in fondo a quel viaggio così eroticamente seducente, mi diedero il coraggio di lasciarmi scivolare dentro anche il nuovo picchetto con una certa disinvoltura.
Al terzo piolo percepii le prime avvisaglie della resistenza che la mia rosellina opponeva alla penetrazione: l'oggetto oscuro scivolò a fatica nelle mie viscere. Il mio corpo iniziò a tremare mentre cercavo di lasciarmi invadere dalla nuova ondata di piacere che la sollecitazione della prostata provocava.
Deglutimmo e sbuffammo all’unisono: evidentemente non era così facile nemmeno per Giacomo abituarsi alla presenza dentro di sé dei vari corpi estranei… Eppure anche lui, un po’ come me, ambiva ad arrivare alla meta.
Chiudemmo gli occhi e lasciammo che riprendesse a giocare con l’asta dell’altro. Percorsi lentamente la sua fino in cima, lasciando che il liquido prespermatico, che il meato generosamente elargiva, si mischiasse all’olio di cui ci eravamo cosparsi.
“Mmmm…” i sospiri divenivano sempre più affannosi e concitati.
“Proseguite…” la voce che imperiosamente e improvvisamente ci ordinava di continuare costrinse me e Giacomo ad aprire gli occhi.
Trasalimmo per lo stupore…
Fratel Ettore ci stava aspettando alla fine del percorso.
La visione di ciò che stava pochi metri avanti, mi confermò le sensazioni suscitatemi dalla rapida occhiata con cui l’avevo osservato la mattina: la ragnatela di pelo scuro rivestiva un fisico scolpito e curato in ogni sua parte.
“Venite a me… - c’incitò - …C’è un premio che vi attende! Sta a voi meritarlo…” e il premio se lo stava stringendo in mano scappellandolo: dalla patta aperta dei pantaloni il suo cazzo faceva bella mostra di sé. La base larga saliva nodosa incurvandosi verso l’enorme glande viola che brillava nella penombra.
Se lo lisciava con la mano dopo averci fatto sbrodolare sopra una generosa quantità di saliva, mentre con l’altra tormentava i grossi capezzoli sporgenti.
Anche il penultimo palo non fu impresa facile. Per nessuno dei due. Le labbra logore del mio fiorellino, si opponevano nuovamente alla penetrazione di un uncino troppo grande per loro. Percependo la mia difficoltà nel lasciarmi sfondare dal cilindro di lattice, Giacomo portò la sua mano lubrificata, sul mio cazzo, accarezzandolo lentamente, muovendosi su e giù per il membro duro come l’acciaio.
Gemetti e respirai profondamente mentre Fratel Ettore ci sorrideva sussurrandoci di non desistere nella monta.
"Bene così: su e giù fino in fondo... Bravi ragazzi!"
Quelle ultime parole furono sufficienti ad eccitarmi definitivamente e ad alleviare ogni mia tensione e dubbio sulla riuscita dell’impresa. Del resto ciò che io e il mio compagno volevamo era ormai ad un passo da noi, vicinissimo.
Ci alzammo sempre tenendo in mano ognuno il cazzo dell’altro.
Eravamo sopra l’ultimo fallo. Il più grosso.
Il frate anziano ci versò nel palmo una massiccia dose di lubrificante con la quale ungemmo prima il buco ormai slabbrato e poi il fungo che stavamo per conficcarci dentro.
“Bravi… Così… Lentamente… Lentamente…”
La cima stretta insieme alla prima meta del dildo entrarono senza troppe difficoltà. Mi fermai a respirare e a concentrarmi. Sentivo le fragili pieghe dell’ano tendersi man mano che mi abbassavo. Il dolore mi picchiava in testa. Forte. Intenso. L’uccello agognato svettava davanti a me, ipnotico eppure irraggiungibile.
“Non ce la faccio… - stavo cedendo – Fa troppo male! Troppo…” una lacrima mi solcò il viso. O forse era solo sudore. Non capivo più nulla. Mi ero completamente dimenticato di Gabriele accanto a me. Sentivo solo la cappella pulsare al pari della mia testa e le viscere spaccarsi. Strinsi le labbra per impedire loro di tremare. Chiusi gli occhi intrisi di lacrime…
“Respira… Così, bravo… Non perdere la calma! – mi piantò il suo cazzo davanti al naso. Ne percepii l’odore acre. Riaprii le palpebre. Feci per leccarlo ma si ritrasse – Non è ancora il momento… Manca poco però! Scendi dolcemente… Lentamente… Così… Bravo ragazzo… Bravo…”
“AAAAHHHH…” nell'istante in cui quelle poche parole d’incoraggiamento giungevano alle mie orecchie, percepii il mio culo sfondato in un modo che mai avrei immaginato: i petali tesi del mio fiorellino si sfaldarono fin quasi a strapparsi cedendo all’importante diametro di quello strumento di tortura e piacere al contempo. Finalmente lo avvolgevano come un fodero.
Mi mancava il fiato. Credetti di morire…
Guardai il mio uccello. Me lo afferrai: era duro da farmi male quanto il culo. Avvicinai la mano alla cappella, ma la mano rude di Fratel Ettore se ne era già impossessata. La massaggiava insieme a quella di Giacomo.
“Rilassatevi… Così, da bravi… Siete giunti alla meta, infine! Godetevi la pienezza del momento, il piacere di ciò che vi sta riempiendo così profondamente... - e quel dolore che mi batteva in testa scomparve, travolto dall’ondata di eccitazione che mi pervase. Sul suo viso si disegnò un’espressione beffarda – Ed ora slacciatemi i pantaloni… E preparatevi a succhiare questa minchia che avete così tanto desiderato! Vediamo quanto sarete bravi a soddisfarmi!”
In un attimo lo sbottonammo e fu completamente nudo accanto a noi.
Attaccammo la sua bestia da ambo i lati. Ai possibili osservatori, saremmo potuti tranquillamente sembrare due cani affamati che si stavano contendendo un succulento osso!
“Ooohhh… Ohh… Sì… - le sue mani si posarono bonariamente sulle nostre nuche accarezzandole - Così… Bravi… Braviiihhh…” grugniva e sbuffava come un porco in calore. Una volta abituati all’ingombrante presenza dell’ospite interno, anche noi iniziammo a dimenarci: dapprima cautamente e poi via via più disinvolti e veloci.
Leccammo le due bisacce pelose, per risalire lungo l’asta liscia fino alla cappella dove ci slinguammo prima di riprendere il percorso inverso. Il lavoro di bocca proseguì per un tempo che mi parve infinito. Fu il frate a mettere (purtroppo) fine al gioco: “Sborro… Sborroooohhhh…” il fiume caldo inondò il viso di entrambi. E noi, avidi di quel nettare aspro e denso, gli ripulimmo il glande a suon di lappate.
“E adesso tocca a voi! Forza, alzatevi! Voglio che mi veniate qui!” e indicò il torace villoso e lucido di olio…
Fu come cavare un turacciolo da una bottiglia: provai non poco dolore nello sfilarmi il largo diametro della base dal buchetto che le si era ormai rinchiuso attorno.
“AAAHHH…” un momento di puro, lucido dolore.
Mi voltai ad osservare il gingillo che mi aveva cullato la prostata fino a quel momento. Ma Fratel Ettore mi distolse da qualunque tipo di considerazione: stava ciucciando il mio bigolo insieme a quello di Giacomo con una voracità che non mi lasciò tempo per pensare.
“Aaahhh… Vengooohhh… Vengooohhh…” mi sentii gridare e gli schizzi partirono alla velocità della luce, seguiti da quelli del mio compagno.
Ci inginocchiammo accanto al frate, dapprima ammirando il ricamo opalescente che contrastava con il folto intrico scuro dei pettorali, poi pulendolo a dovere e goderci infine i teneri baci che appassionatamente ci scambiammo.
Stremati ci accasciammo al suolo, avviluppati al corpo caldo del nostro maestro.
La campana suonò di nuovo… Il rito di compieta ci stava chiamando.
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