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Gay & Bisex

Valentin: non c'è 2... Senza 3!!!!


di honeybear
18.11.2014    |    7.560    |    1 9.6
"Me la ripulì per benino, così come la cappella..."
“Oh… Sta bruciando…”
Era la mia collega a parlare. Ovvero colei che aveva il pessimo vizio di entrare in studio ed accendere le luci, anche se fuori il sole splendeva alto ed illuminava sufficientemente l’angusto spazio che quotidianamente eravamo costretti a condividere, inondandolo con il suo calore.
“Che fastidio…” continuò.
Il riferimento in questo caso era, non tanto un’autoaccusa, rivolta a quel concentrato di super-ego freudiano corrispondente alla sua persona, quanto all’effetto psichedelico che una luce al neon in fase di esaurimento poteva produrre a livello visivo ed umorale. Per dirla in gergo: una tortura cinese.
Una volta tanto non mi sentii di darle torto e, con il telefono interno, informai il capo della cosa. La risposta, datami sulla soglia d’uscita, fu:
“Dirò a Valentin di passare appena possibile” fu la risposta.
Valentin…
Non mi era più capitato di pensare a lui, dopo quel pomeriggio di settembre. In effetti non era più passato da studio. Alla notizia andai in fibrillazione: la mia mente corse fulminea ai due incontri che avemmo e sentii smuoversi qualcosa nei miei Paesi Bassi.
Imbarazzato per gli effetti della mia prominente erezione, m’infilai in bagno. Mi appoggiai al lavandino e, guardandomi allo specchio, abbassai pantaloni estraendo il mio uccello, oltremodo duro, iniziando a masturbarmi. Dolcemente mi scappellai mentre, sollevata la maglietta con la mano libera, iniziai a tormentarmi i capezzoli.
Venni dopo pochi colpi, soffocando i gemiti: le pareti del bagno sono di carta velina e, come recita l’adagio ‘hanno le orecchie’ (la mia collega tra l’altro, è maestra nell’ascoltare ciò che non deve…). Aprii gli occhi, osservando nello specchio la mia espressione leggermente stravolta ma beatamente soddisfatta; rivolsi lo sguardo al palmo della mano dov’ero riuscito a trattenere tutta la sborra sgorgata dal piccolo orifizio in cima alla cappella. Un caldo tepore si irradiava da quella pozza giallognola.
L’avvicinai al viso per annusarla: l’aroma era acre, quasi salato…
La mia lingua sgusciò infine dalle labbra e la lappò completamente. Avrei voluto che una bocca mi ripulisse anche l’uccello… Ma Valentin non c’era!
Il campanello suonò in quell’istante… La mia collega che chiede se sono ancora vivo: “Cinque minuti e devo andare – gridò prima di senitirle pronunciare – Oh! Ciao Valentin… Io sto uscendo!”
Mi sistemai alla velocità della luce: l’oggetto del mio desiderio aveva appena messo piede in ufficio (ringraziai in silenzio il mio capo per la sua solerzia… Una volta tanto!!).
Era magnifico: il caldo torrido del pomeriggio l’aveva costretto a mettersi in canotta e shorts. Che, uniti agli scarponi ed alla cintura da lavoro stretta (ma non troppo) in vita, gli conferivano inequivocabilmente l’aspetto di uno dei migliori boys disegnati dal caro Tom (Of Finland). O, più prosaicamente, di uno dei Village People!!
Le spalle nude e forti si prolungavano nei bicipiti marmorei leggermente abbronzati dal sole. Il folto intrico dei peli sul petto, si affacciava dallo scollo della canotta che delineava perfettamente la forma dei pettorali (ancora più gonfi, mi parve…) nonché la prominenza dei capezzoli. L’indumento infine, leggermente sollevato sopra la cintola, complice anche il pantaloncino (volutamente??) abbassato, lasciava financo intravedere un principio di pelo pubico.
Deglutii…
I massicci quadricipiti pelosi, faticosamente trattenuti dalle frange degli striminziti shorts, terminavano invece in caviglie strette, passando attraverso polpacci muscolosi e ben torniti.
‘Mmmm… - mi sorpresi a pensare mentre il mio sguardo lo seguì verso il sottoscala – se invece del cranio rasato (che comunque va benissimo!!), avessi in testa un berretto, saresti il non plus ultra!!’
Fu la vista di quel culo così tondo che colmò la misura: il mio cazzo tornò ufficialmente in tiro… Di nuovo… E ansioso di (auspicati) imprevedibili sviluppi!!
“Devo appoggiare scala…” la voce calda mi riportò immediatamente alla realtà: era un sorriso ammiccante o di scherno quello che si era acceso sulle labbra incorniciate dall’ispida barba rasata effetto ‘uomo vissuto’?
“Oh sì, scusami! – spostai le sedie delle scrivanie affinché la sistemasse ed iniziasse a montarci sopra – Vado nell’altro ufficio: il capo non c’è e se squilla il telefono…” la mia voce tremava come quella di un bambino: non pensavo che il maschione potesse avere su di me un effetto a tal punto dirompente!
“No, resta! Ho bisogno che tieni scala… Per sicurezza!”
Ubbidii. Ed il mio premio fu la possibilità di poter ammirare la scultura dal basso. Mi avvicinai appena con il naso per annusare il suo sapore di maschio, mentre lo sentivo armeggiare sopra di me, intento a smontare il faro al neon.
Alzai allora lo sguardo per contemplare i muscoli al lavoro, soffermandomi sui peli ascellari: avrei voluto infilare il naso anche lì, per aspirarne l’afrore. Scese un paio di gradini e si chinò per porgermi quanto aveva appena levato. Sorrise divertito, mentre risalendo, avvicinava i suoi pettorali ad un millimetro delle mie narici, piegandosi sulle gambe, fingendo (!!!!) di cercare qualcosa nella cintura. Salì ancora un gradino e fu l’apoteosi: la sua patta era davanti a me.
Non persi un secondo: slacciai i pantaloni, abbassai la zip e cominciai lentamente a smanettargli il bigolo!
Sospirò ridendo!!
“Ti sei divertito abbastanza a tormentarmi – lo rimproverai mentre leccavo la pelle vellutata del salsicciotto che rapidamente cresceva in lunghezza e diametro – Ora lascia che mi diverta io… Chomp… Chomp…” così dicendo, m’infilai l’asta in bocca: le dimensioni m’imposero di cambiare strategia d’attacco o sarei riuscito a combinarci ben poco con quel ben di dio.
Me la sfilai ed iniziai a picchiettarmela sulle labbra facendo seguire analogo trattamento alla mano posta alla base dell’inguine. Mi passai la cappella rossa e fradicia sulle labbra a mo’ di rossetto, spiando furtivamente l’effetto sortito.
Cominciò ad agitarsi.
Sputai sulla cappella slinguandola per tutta la superficie, ponendo particolare attenzione al filetto del frenulo e all’orifizio su in cima. Mi cadde sulla lingua un filo del liquido prespermatico prodotto in quantità notevoli. Lo unii alla miscela liquida continuando ad emulsionare e godendomi l’aroma dolce-amaro...
Cominciò a sbuffare.
A quel punto me lo infilai completamente in gola, cercando, una volta ingoiatolo, di continuare ad insalivarlo al massimo consentitomi. Mi sembrò che il lavoretto stesse dando i suoi frutti, visto che il toro mi afferrò saldamente per la testa, scegliendo il ritmo con cui scoparmi la bocca:
“Aaahhh… Aaahhh… Bravo… - mormorò soddisfatto - Ciuccia… Ciuccialo tutto!! Così… Sì, cosìììì…”
Ed in effetti ero talmente concentrato a succhiare quel meraviglioso uccello rumeno (e ad accetarmi al suono che la parola ‘ciuccia’ mi provocava), che quasi non sentii suonare il citofono!!
“Occazz…” inveii.
Mi rivestii in fretta. Valentin cercò di fare lo stesso.
Andai ad aprire. Sulla porta trovai un uomo sulla trentina vestito con una t-shirt aderente rigorosamente bianca, senza maniche ed un paio di shorts uguali a quelli del mio amico in tutto e per tutto (cintura porta-attrezzi compresa).
Fisicamente mi sembrò perfetto: il corpo scultoreo piuttosto abbronzato, era rivestito, almeno sulle gambe da una soffice lanugine scura. Tra i muscoli e le nervature del braccio destro, faceva bella mostra di sé un tatuaggio tribale disegnato attorno alla zona liscia del tricipite. Gli occhi verdi spiccavano come smeraldi nel viso punteggiato da un sottile strato di barba che, senza soluzione di continuità, si univa ai capelli cortissimi.
“C’è qui per caso Valentin?” il forte accento tradiva la sua provenienza dalle valli lombarde. E guardò dritto in corrispondenza della mia patta “Direi di sì!” si rispose superandomi per entrare. Anche la zona glutei era perfetta: un culo alto e decisamente sodo.
Ero piuttosto imbarazzato. Lo seguii completando l’opera di vestizione alla bell’e meglio.
Passando nell’ufficio, lo trovammo ancora sulla scala.
Un sorrisetto malizioso si disegnò sulla bocca dello sconosciuto (gran bella bocca carnosa, tra l’altro).
“Ho capito come aggiusti le lampadine…” il sorriso si allargò mentre si avvicinava alla scala per abbassargli i pantaloni liberando l’incontenibile erezione.
“Beh, direi che non possiamo lasciare il lavoro a metà, no?” si lisciò la faccia con una mano mentre l’altra scivolava sul suo pacco.
“Steven… - dunque questo era il suo nome – Avevi qualcosa da dirmi?”
“Può aspettare…” rispose suggendosi il dito indice. Lo estrasse di bocca, sputò in direzione del pube dell’uomo sulla scala; spalancò le labbra come, penso, abbia fatto il lupo quando s’ingoiò Cappuccetto Rosso e si avventò sul cazzo. Cominciò a succhiarglielo con una veemenza che m’impressionò. La lingua ripuliva quella canna splendente bagnandola con la saliva che, lenta, scorreva poi lungo il peloso sacchetto scrotale.
“Chissà cosa direbbe la tua ragazza vedendoti…” sospirò Valentin reclinando il capo.
“Probabilmente quello che direbbe tua moglie – poi, rivolgendosi a me – pensi di stare lì impalato per il resto della giornata!?!? C’è un lavoretto da fare qui! Ed un altro da cominciare…” e indicò con lo sguardo sia l’uccello di Valentin che il suo, ancora celato dai pantaloni.
A quel richiamo io, che li guardavo con occhi sbarrati, incredulo per quanto stava avvenendo, tornai in me. Mi ripulii il rivolo di bava che colava lungo il mento, mi avvicinai a Steven da dietro e cominciai a tastargli il culo:
“Massiccio, vero?” chiese Valentin dall’alto.
Non potei che confermare. Cominciai ad annusarglielo e a leccarglielo attraverso i jeans. Continuai poi strusciandomi su di lui, mentre a tastoni gli cercavo la patta per abbassergliela.
Bingo!
L’azione fulminea mise in evidenza un bel paio di chiappe robuste e pelose che contrastavano nettamente con la schiena completamente liscia, ma altrettanto tonica, che mi si presentò quando, sollevandosi per un istante, mi permise di sfilargli anche la maglietta. Scivolai con le mani sotto le sue braccia per valutare la zona dei pettorali e dell’addome. Ancora una volta le mie impressioni si rivelarono corrette: pettorali sviluppati e segnati da un leggero strato di peluria che, attraverso la linea degli addominali, confluiva nel morbido triangolo pubico.
Afferrandomi la mano mi spinse ad aiutarlo a completare (a mano) il lavoro (di bocca) che lui aveva iniziato sulla mazza di Valentin. Si girò verso di me e, cominciando a baciarmi, ricambiò il favore di spogliarmi. Non aveva la grazia e la gentilezza del rumeno nel compiere quell’azione ma, devo dire che la sua rudezza non mi dispiacque…
Valentin osservava compiaciuto giocherellando con i peli dei suoi coglioni e dei pettorali possenti.
“Bene, bene. E adesso quale dei due lecco? – si domandò staccandosi da me - La mazza di Valentin l’ho assaggiata… Direi che posso provare la tua!”
Detto, fatto. Anche al mio uccello riservò lo stesso trattamento del precedente.
“Non basta… - aggiunse subito dopo – Non mi basta…”
Mi spinse di fianco a Valentin (che frattanto scese a terra) e, dopo essersi inginocchiato, seguitò a leccare, ora un manganello, ora l’altro mantenendoli in tiro.
“Ooohhh… - sbuffai – Ooohhh…”
E intanto non capivo se era la prima volta che si dedicava a quell’attività o se con Valentin si fosse già cimentato in quei giochetti. In effetti non me ne importava molto: una quantità inverosimile di saliva stava inondando il diametro del mio bastone, ed una lingua voluttuosa passava e ripassava tra l’orifizio ed il frenulo; e questo era quanto.
Del resto non potevo certo perdermi in considerazioni di quel genere: dovevo mantenermi concentrato per non venirgli in faccia nel giro di un secondo. Giunse in mio aiuto Valentin che, per distrarmi, cominciò a baciarmi e tormentandomi i capezzoli.
Ero letteralmente in estasi: due labbra carnose mi stavano lappando il cazzo in maniera egregia, alternandosi ad una mano sapiente e, stranamente leggera (quando la bocca si dedicava all’altro membro); ai piani alti invece, due labbra morbide si divertivano a mordicchiare le mie per poi schiudersi, consentendo ad una lingua insalivatissima di ispezionare il mio palato provando a raggiungere la gola.
Ma, come tutte le cose belle, il gioco d’un tratto s’arrestò!
A sorpresa infatti, Steven interruppe il lavoro che stava così sapientemente eseguendo. Si alzò, ci fece scostare e si arrampicò sul gradino più alto della scala. Tenendosi saldamente con le mani al piano d’appoggio, ed accosciandosi per lasciare il culo in bella mostra, prese a dimenarsi.
Saliva e scendeva, facendo leva esclusivamente con le braccia e, quando si fermava, ci mostrava le contrazioni del suo ano voltandosi per mettere bene in chiaro, con lo sguardo voglioso, quali fossero le sue intenzioni.
“Leccagli il culo!” mi ordinò Valentin.
“Sì, dai leccamelo tutto prima che il rumeno me lo sfondi… - m’incitò. Poi rivolgendosi all’uomo – Vero che lo farai? Vero?”
Non rispose; ma il suo sorriso fu eloquente quel tanto che bastava.
Mi accosciai a mia volta. Sollevai la testa. Spalancai le chiappe di Steven più che potei e vi intrufolai la mia lingua. In un attimo lo penetrai ed iniziai a farla roteare sulla soglia increspata di quel buco così invitante.
“Ooohhh sììì… - iniziò a mugolare – Che bravooohhh… Continua… Continuaaahhh!!!! – più pennellavo e più lui si agitava. Le sue chiappe erano praticamente sprofondate sulla mia faccia: credo che spuntasse solo il naso, appoggiato sul solco - Prepara per bene il campo per la nerchia di Valentiiinnn… Mmmmmm…”
Mi applicai con dovizia al fine di ottenere il miglior risultato possibile e, probabilmente ci riuscii. Il ragazzo si voltò con sguardo supplice:
“Valentin… Sfondami!!!!”
Ma la richiesta non venne accolta. Non del tutto almeno.
Valentin infatti mi fece alzare. Fece scendere Steven e mi posizionò dietro di lui.
“Inculalo!!”
Io e l’altro ci guardammo allibiti.
“Muoviti, non perdere tempo… Inculalo!!” ripeté.
Afferrai con decisione le spalle di Steven mentre mi sentii agguantare la mazza da una mano che con forza e precisione la puntò dritta contro il suo ano. Spinse con altrettanta intensità e mentre il corpo di Steven si rovesciava verso di me, il mio bacino premette contro le sue chiappe.
“Aaahhh… - iniziò ad ansimare – Magnifico… Magnifico… Ed ora – si girò verso di me – datti da fare!!”
Iniziai a muovermi lentamente. Il timore di uscire da quel culo così caldo ed accogliente m’interdiva… Steven assecondava magistralmente i miei movimenti venendomi incontro:
“Più veloce! – mi pregò - Devi andare più veloce...”
Valentin, che ancora si limitava ad osservare la scena, si avvicinò: lo piegò leggermente in avanti (verso i gradini della scala) per consentirmi di fotterlo con maggior forza.
“Ora… Ora sì che ragioniamo… Bravo, continua a sbattermi così… Così!!”
Il mio uccello tuttavia non era libero di muoversi come avrei voluto: Steven, contraendo l’ano, lo teneva prigioniero, gestendolo a suo piacimento! Io per ripicca (!!!!) afferrai la sua canna prendendo a masturbarla.
“Mmm… Bravooohhh… Bravooohhh…”
“Ooohhh – mi aggiunsi al coro di gemiti – Ooohhh… - prima di lanciare un grido di dolore - AAAAAHHHH!!!!”
Valentin mi aveva appena sfondato il culo!!
Il dolore era lancinante. Per un istante vacillai. Iniziai a sudare freddo! Le volte precedenti non fu così violento… C’era stata una preparazione, che qui mi era sfuggita…
Tuttavia se il dolore era insopportabile, ancor più forte era il desiderio di soddisfare il ragazzo davanti a me… Mentre una mazza di un certo calibro, provava a spegnere i miei bollori.
Godevo come un pazzo: nel trenino che si venne a creare, il vagone centrale era il mio!! Ed il godimento era doppio: mi dimenavo come una troia in calore per cercare di prendere quanto più cazzo possibile da dietro e d’infilarne altrettanto davanti…
Libidine!! Pura, assoluta libidine!!
E in mezzo a tutto ciò, nessuno di noi sembrava curarsi del fatto che, da un momento all’altro, qualcuno potesse suonare il citofono o, peggio ancora, rientrare in ufficio.
Sudati fradici e ansanti, mantenemmo la posizione fino a che, ancora una volta, Steven non ritenne opportuno rivendicare le sue richieste:
“Valentin… - si voltò di scatto - Voglio sentire anche te… Scopami! Scopami!”
L’uomo questa volta acconsentì; forse perché quando uscì dal mio buco, la sua cappella era talmente rossa e pulsante che, pensai, fosse arrivata a fine corsa.
Fece salire me e Steven sulla scrivania, ordinandoci di metterci carponi.
Chiunque fosse entrato nella stanza, avrebbe potuto ammirare una bella coppia di culi con, al centro di una fitta trama di pelo, altrettante roselline affamate che reclamavano attenzione.
In piedi, davanti a loro, ma di spalle rispetto all’eventuale ospite, la lancia che avrebbe posto fine al supplizio!
Trafisse prima l’uno e poi l’altro. Ripetutamente. Violentemente. Instancabilmente…
Sembrava che nessuno volesse cedere. E per cedere intendo venire. Sborrare…
Eravamo così presi dal gioco e dalle sensazioni che quella scopata ci stava regalando che, difficilmente avremmo voluto smettere.
Infine qualcuno si arrese: fummo io e Steven. Venimmo praticamente insieme dopo che Valentin, dalla posizione a pecora, ci fece passare a quella del missionario. Lui sborrò per primo. Il rumeno lo stava violentemente possedendo. Gli occhi di Steven ardevano mentre Valentin vibrava gli ultimi, decisivi colpi:
“Più forte… - lo incitava – Più veloce… Veloce… Cazzo! Ho detto più veloce…” ed anche il movimento delle sue mani divenne più frenetico. Fino a che il seme non si sparse sul suo petto, lambendo il collo e la bocca.
Provvide Valentin a ripulirlo senza lasciare tracce e/o aloni… Steven giacque ansimante ma con un sorriso di soddisfazione stampato in viso.
A me tocco sorte decisamente migliore: venivo segato dal toro dell’est mentre seguitava a stantuffarmi. Le sue mani calde e forti trattarono il mio pipino e la sua cappella, come la torre di Babele: cercarono di farli salire il più possibile verso il cielo.
Sospirai, socchiudendo gli occhi:
“Fa… Fa male… - sussurrai cercando di sottrarmi alla manipolazione. Mi guardò interdetto: non capiva che la pressione esercitata sulla cappella era un po’ troppo decisa (non che quella sul culo fosse da meno…). Sorrisi e chiusi gli occhi – No… - lo rassicurai infine - Non smettere… Non smettere…”
E non lo fece: venne dentro di me nel momento esatto in cui eiaculai. I miei intestini furono inondati da un fiotto di sborra così caldo e violento che, ebbi l’impressione, arrivò fino allo stomaco incendiandolo… Le sue mani furono invece ricoperte della mia crema opalescente che, come in precedenza con Steven, avidamente leccò prima di iniziare a baciarmi.
Sottoposto a quella nuova ‘tortura’, trattenni il ripieno a fatica.
Steven mi fu prontamente sotto: “Rilascia piano… Non voglio perderne nemmeno una goccia”. Così feci.
Mentre la lingua di Valentin trapanava la mia bocca, sentivo quella del ragazzo passare e ripassare lungo il solco delle mie chiappe ed abbeverasi alla mia fonte.
Me la ripulì per benino, così come la cappella.
Lo spettacolo stava volgendo al termine: indugiammo ancora in qualche bacio prima che l’occhio mi cadesse sulla famigerata luce rossa lampeggiante (ma guarda un po’!!) che indicava l’apertura del cancello dei box.
Quando il capo entrò nell’ufficio, non ebbe niente di meglio da commentare che: “…Mi ricordate quelli della barzelletta sui carabinieri che svitano la lampadina: uno la tiene in mano, mentre gli altri due fanno ruotare lo sgabello…”
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