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Gay & Bisex

Giochi di Corda


di maxxx13
07.09.2016    |    2.615    |    4 9.4
"Una roba del genere potrei usarla giusto per pulirmi il culo..."
- Che cazzo è questa roba?
Melania alza gli occhi dalla tastiera e guarda il foglio che il dirigente le sta tendendo. Risponde:
- Il rendiconto del ramo sinistri del mese di gennaio, dottore, per la sezione italiana e quella del Canton Ticino.
Nell’ufficio rimaniamo tutti con il fiato sospeso, fingendo di continuare a occuparci dei nostri lavori.
- Cazzo, Monticelli, ha una vaga idea di come si fa un rendiconto? In due anni qua dentro, qualche cosa ha imparato, oltre a darsi lo smalto sulle unghie?
Melania Monticelli incassa, con una smorfia: l'insinuazione la offende, il fatto che corrisponda a verità la offende ancora di più.
- Li ho sempre fatti così, i rendiconti. E il dottor Speranza non ha mai avuto niente da ridire.
- Si vede che guardava le sue scollature, invece dei rendiconti. Una roba del genere potrei usarla giusto per pulirmi il culo. Adesso si rimette al lavoro e per le cinque mi fa un rendiconto completo, con tutti i dati mancanti. Si faccia spiegare da Colletti come si fa.
- Per le cinque, ma io... Manca solo mezz'ora.
- Peccato. Questa volta non avrà il tempo per rifarsi il trucco prima di uscire. Si muova, prima che mi ricordi che ci sono un sacco di giovani disoccupati che hanno voglia di lavorare.
Melania è mortalmente offesa, ma il discorso del dirigente è chiaro, la stoccata ha colto nel segno (gli ultimi venti minuti della giornata Melania li trascorre in bagno, da cui esce truccata alla perfezione) e il dottor Favagrossa non scherza. Melania si mette al lavoro.
Il capufficio si rivolge a me:
- Rodi, venga nel mio ufficio.
Mi alzo e lo seguo oltre la porta che separa l'ufficio del dottore da quello in cui lavoriamo.
- Chiuda la porta.
Eseguo.
Lui si siede alla scrivania e io sto per sedermi dall'altra parte, come faccio sempre quando sono nel suo ufficio, quando lui mi dice:
- No, Rodi. Prenda la sedia e si metta vicino a me.
Sono un po' stupito, ma evidentemente vuole che vediamo insieme qualche cosa. Porto la sedia accanto alla sua. Non mi è mai capitato di stare seduto così vicino a lui. Posso sentirne l'odore, un aroma di sigaro (di marca), mescolato a un leggero odore di sudore.
Apre con la chiave il primo cassetto (non credo che Speranza abbia mai tenuto un cassetto chiuso a chiave, non siamo mica i servizi segreti) e tira fuori un plico di carte. Lo appoggia sul tavolo.
- Ho rivisto i rendiconti dell'anno scorso e ci sono diverse cose che vorrei capire. Troppe cose.
Favagrossa è arrivato tre mesi fa, prendendo il posto di Speranza che è andato in pensione (beato lui: a me mancano almeno trentacinque anni). Non proviene dalla ditta per cui lavoriamo, la SAG, ma da un'azienda della concorrenza. Il suo arrivo ha segnato una rivoluzione: si è subito dimostrato competente e maledettamente esigente.
Io sono sempre a disagio quando lui è vicino. Non perché abbia paura di essere colto in fallo e rimproverato: credo di fare bene il mio lavoro e lui ha dimostrato di apprezzarmi in diverse occasioni. D'altronde se sono vicecapufficio a trent'anni, in un'azienda in cui sono entrato quattro anni fa, è perché non devo essere un disastro sul lavoro.
Il problema è un altro, che si è manifestato la prima volta che lui è entrato in ufficio: il mio capo mi piace. È esattamente il mio tipo d'uomo: sui cinquanta, massiccio, non molto alto, grosso, barba e un sacco di peli. Insomma: uno splendido esemplare d'orso, che fuma pure il sigaro e ha una voce profonda. Gli salterei addosso, se solo potessi, e mi farei infilzare (o lo infilzerei – sono versatile) senza pietà. Ma temo che mi stenderebbe con un solo pugno: deve avere una forza incredibile.
Favagrossa incomincia a mostrarmi i conti del ramo vita. Il nostro ufficio non si occupa direttamente delle assicurazioni: le polizze stipulate vengono gestite da altri uffici. Noi ci occupiamo dei conti e il bilancio dei diversi rami della compagnia di assicurazioni che operano qui nel Canton Ticino e in Italia deve essere vagliato da noi. Tra un mese ci sarà la conclusione dell’anno finanziario e Favagrossa sta controllando i materiali che il suo predecessore gli ha lasciato in eredità. Non mi stupisce che abbia trovato qualche cosa che non va: Speranza ormai pensava solo più alla pensione e alle tette di Melania, la quale ne approfittava in modo spudorato. E del ramo vita si è sempre occupata lei.
Favagrossa si è fatto molto in fretta un’idea precisa della situazione e vuole che io gli confermi i suoi sospetti. Io cerco di concentrarmi sui conti, dove, in effetti, ci sono diversi dati che non funzionano, e di non fissare troppo la sua grossa mano pelosa, con le dita un po’ tozze, che mi indica ora un dato specifico, ora un totale. Ma una parte del mio cervello immagina come sarebbe bello accarezzare quella mano, sentirla sulla pelle, magari anche sulle palle. Cazzo! Lo sapevo: sono un coglione. Mi sta diventando duro alla velocità della luce. Non credo proprio che Favagrossa se ne possa accorgere, ma la situazione è imbarazzante.
Rispondo alle domande del capo, confermo i suoi dubbi, faccio qualche ipotesi su come mai nessuno si è accorto degli errori madornali (essenzialmente: Melania, che non è stupida, ha fatto i conti pensando ad altro e Speranza, che invece era piuttosto stupido, non li ha controllati perché tanto l’anno finanziario non l’avrebbe chiuso lui). Vedo nubi nere sul capo di Melania, ma in realtà il fulmine piomba sulla mia testa.
- Rodi, mi fa il favore di occuparsi lei dei conti del ramo vita per quest’anno che si sta concludendo?
Pare una domanda, anche se in realtà è un ordine. Annaspo: il lavoro è parecchio e riprendere tutti i conti dell’anno adesso significa schiattare.
Favagrossa mi guarda e mi sorride:
- So di chiederle un impegno molto gravoso, ma non posso contare sulla Monticelli, che non rimarrà a lungo con noi.
Non riesco a concentrarmi sul fatto che Melania verrà licenziata: me lo impedisce il sorriso del capo. Ha un bel sorriso, Favagrossa. O forse il sorriso non è bello, ma questo orso sorridente mi piace. Penso che avrei voglia di baciarlo. E poi mi dico che in questo momento è l’ultima cosa a cui dovrei pensare.
- Dottore, non sono sicuro di farcela, materialmente. Non mi sono mai occupato del settore e i tempi sono ristretti.
Favagrossa continua a sorridere e il desiderio di baciarlo è fortissimo: non può sorridermi così cordialmente a una spanna dalla mia faccia.
- Me ne rendo conto. Avrà tutto il mio appoggio e là dove occorre lavoreremo insieme.
Questo è un colpo basso.
- Farò tutto il possibile, dottore.
So di aver fatto una delle peggiori cazzate della mia vita e che passerò il prossimo mese in ufficio senza alzare la testa dalla scrivania neanche nell’intervallo del pranzo. Va da sé che farò fior di straordinari. Merda!
- Grazie, Rodi. Sapevo di poter contare su di lei.
Ho il vago sospetto che il dottor Favagrossa sia un figlio di puttana e che mi abbia incastrato approfittando in modo ignobile dell’effetto che l’averlo vicino ha su di me (per inciso, il cazzo si è sgonfiato: anche lui ha capito che la situazione è tragica).
Mi ero aspettato un mese infernale, ma le mie previsioni erano infondate: è stato molto peggio. Sono stati rari i pomeriggi in cui sono uscito prima delle sette (l’orario di uscita è alle cinque), compreso il venerdì, in cui dovremmo smontare alle due, e ci sono stati anche gli ultimi due sabati. La mia vita sociale ha subito un drastico crollo e quella sessuale si è ridotta a zero: non ho una relazione fissa e quando sono finalmente a casa, la sola idea di alzarmi dal divano per mettermi alla ricerca mi provoca una crisi di rigetto. In questo mese il mio culo ha conosciuto quasi solo il suddetto divano di casa, su cui sonnecchio prima di andare a dormire a letto, a parte ovviamente la sedia alla mia scrivania e quella alla scrivania di Favagrossa (potrei citare la tazza del cesso, la sedia della cucina e il sedile dell’auto, volendo proprio essere pignolo). Il mio cazzo ha avuto il piacere di rinnovare conoscenza con la mia mano la domenica mattina e con questo ho detto tutto sulla mia vita sessuale. Non credo che sarebbe sufficiente per farne un blog.
Oggi però chiudiamo.
Siamo di nuovo nell’ufficio di Favagrossa. Sono le sei e mezzo di venerdì e da diverse ore sul piano non c’è più nessuno. Le signore delle pulizie hanno svolto il loro compito e se ne sono andate. Io sono seduto di fianco a Favagrossa e stiamo verificando per l’ultima volta i conti. Infine Favagrossa rimette il plico di fogli nel cassetto, lo chiude a chiave e dice:
- Bene, Rodi, ha fatto un lavoro eccellente. So benissimo quanta fatica ha fatto, ma adesso tutto funziona. Può essere sicuro che ne terrò conto.
C’è una vaga promessa di una gratifica, se non di una promozione, ma in questo momento l’unica cosa di cui davvero ho voglia è un bel letto. Eppure, nonostante tutto, mi spiace pensare che non avrò più molte occasioni di lavorare fianco a fianco con questo magnifico orso.
- Non le spiace se mi accendo un sigaro, vero? Per celebrare.
- No, no, faccia pure.
L’ho visto qualche volta fumare alla finestra del suo ufficio, ma non l’ha mai fatto mentre lavoravamo insieme.
- Lei non fuma, vero?
Scuoto la testa, mentre si accende il sigaro.
- No.
- Spero che non le dia fastidio il sigaro.
- No, ha un buon odore.
Lui fuma tranquillo e sorride. Tra di noi cala il silenzio e io mi sento un po’ a disagio. Siamo seduti di fianco, quasi a contatto, ma adesso che abbiamo finito il lavoro, questa vicinanza non ha più motivo di essere. Lui non mi congeda. Dovrei chiedere a lui, se io posso andare, ma non lo faccio. Mi godo questo momento, lo guardo che fuma il suo sigaro e rimango in silenzio.
Il silenzio però diventa imbarazzante, per me almeno: lui sembra tranquillissimo. Ma non so davvero che cosa potrei dire. A un certo punto mi schiarisco la gola e faccio per chiedergli se posso andare: non ha davvero senso che io rimanga qui. Ma lui mi previene.
- Ora che abbiamo finito con il lavoro, potremmo festeggiare, no? Che ne dice?
Non capisco bene che cosa intenda. Si è voltato verso di me e nel suo sorriso c’è di certo molta ironia.
- In che senso, scusi?
- Siamo soli in questo ufficio. Non passerà nessuno.
Deglutisco. Non sono sicuro di aver capito.
- Insomma, Pierluigi Rodi, io ti piaccio e tu mi piaci, qui non c’è nessuno e potremmo dedicarci a… un passatempo piacevole.
Scoppia a ridere.
Non so come abbia fatto a capire che lui mi piace, ma non mi stupisce che ci sia arrivato: ci siamo frequentati più di due innamorati nell’ultimo mese e ogni tanto mi ha sorpreso a contemplarlo nei momenti di pausa.
Io sorrido e dico:
- Non intende propormi una partita a Monopoli, vero?
- Neanche una mano a poker.
Ride di nuovo.
- Per me va bene, capo.
- Puoi chiamarmi Tobia.
- E tu Pier.
Detesto il mio nome completo, scelto da mia madre perché un cognome breve richiede un nome lungo, preferibilmente doppio (c’è sempre qualcuno che spara stronzate di questo genere, senza preoccuparsi di condannare un povero innocente, che non è neppure nato, a portarsi dietro certi obbrobri per tutta la vita).
Tobia posa il sigaro, si alza e io lo imito. Mi abbraccia e poi mi bacia sulla bocca, mentre le sue mani, senza nessun ritegno, mi palpeggiano il culo. Considerando il livello della mia vita sessuale negli ultimi trenta giorni, già questo è sconvolgente. Se poi ci aggiungiamo che mi si è appiccicato addosso, che sento una pressione particolarmente piacevole contro il ventre e che la sua lingua tra un po’ raggiunge le mie corde vocali, insomma, potremmo dire che è una resurrezione. E, in effetti, qualcuno che dormiva si è levato in piedi e fa la voce grossa, certo che sarà (infine) ascoltato e avrà modo di conoscere qualche cosa di meglio di una mano con cui condivide il corpo da una trentina d’anni.
Le mani di Tobia stanno procedendo a spogliarmi e io non mi oppongo. Mi sembrerebbe scortese non collaborare, per cui un po’ lo aiuto a togliermi gli abiti, un po’ cerco di fare lo stesso con lui. Quando gli ho aperto completamente la camicia, mi stacco e lo guardo: è come lo immaginavo, con una magnifica pelliccia sopra i muscoli. Mi piace!
Ci baciamo di nuovo, con grandi manovre delle nostre lingue, mentre le sue mani proseguono il loro lavoro e le mie cercano di non rimanere indietro. Ci ritroviamo nudi tutti e due e io gli sto mordendo i capezzoli, poi gli do una bella slinguata sui pettorali e scendo fino all’ombelico. Mi ritrovo in ginocchio, a contemplare un cazzo splendido (Favagrossa di nome e di fatto!!); Tobia ha proprio preso dall’antenato a cui avevano affibbiato questo soprannome). Non sono uno spirito contemplativo, per cui passo rapidamente all’azione e la mia bocca si apre per accogliere, con un po’ di fatica, il più bel cazzo che mi sia capitato di gustare. Bacio la cappella, do un’altra slinguata, scivolando con la lingua fino ai coglioni (che meraviglia anche quelli, grossi e pelosi!), mentre le mie mani stringono il culo di Tobia. Lecco, succhio, mordo, stringo, una mano scivola sul solco tra le natiche, si ferma sull’apertura, la stuzzica.
Lui mi alza a forza e io, per quanto sia riluttante a mollare questo magnifico cazzo, obbedisco.
- Ti va di legarmi?
- Perché no?
Un po’ di bondage mi piace, anche se non sono un esperto. Come mi piace usare la cinghia per frustare e credo che questa sera Favagrossa avrà il culo a strisce, giusta punizione per tutto quanto mi ha fatto passare nell’ultimo mese. A questo punto credo che sia disponibile più a prenderlo in culo che a mettermelo, ma mi va bene, anche se devo dire che mi sarebbe piaciuto farmi infilzare da questo bestione. In ogni caso anche il contrario è una bella prospettiva. Prendo la sua cravatta e lui mette le mani dietro la schiena. Le lego bene, fregandomene se gli stazzono la cravatta.
- Mettimi anche un bavaglio. Usa il mio fazzoletto. I preservativi sono nella tasca della giacca.
Prendo il fazzoletto, lo appallottolo e glielo ficco in bocca. Poi gli lego la mia cravatta davanti alla bocca, in modo che non possa liberarsi del fazzoletto. Ora è nelle mie mani. Lo spingo sulla scrivania, forzandolo a mettersi a pancia in giù, con i piedi poggiati a terra. Poi prendo la mia cintura e gliela faccio vedere. Capisce e annuisce.
La prima scudisciata lo fa sobbalzare. Non ci sono andato piano: non ne avevo nessuna intenzione. Proseguo, dandoci dentro con foga, ed è un piacere vedere i segni rossi che si formano sul suo bel culo peloso.
A questo punto se proseguo vengo senza neanche toccarmi, per cui decido che è ora di incularlo. Prendo un preservativo dalla sua giacca e me lo infilo. Poi mi sputo sulle dita e preparo l’apertura. Entro con una certa cautela, ma quando infine sono dentro di lui, incomincio a spingere con forza. C’è tutta l’astinenza di questo mese a darmi energia ed è bellissimo fottere questo splendido culo su cui ci sono i segni rossi delle cinghiate. Lo stringo con le mani, pizzicandolo. Lo morderei, ma in questa posizione per farlo dovrei uscire e non se ne parla proprio.
Dopo un po’ il piacere è tanto forte che non riesco più a reggere: vengo dentro di lui, con una serie di spinte frenetiche, mentre ondate di piacere mi percorrono tutto. Poi mi abbandono sul suo corpo. È stato breve – non scopavo da troppo tempo – ma splendido. Esco, carezzando questo bel culo villoso, e poi gli tolgo il bavaglio, perché possa dirmi che cosa vuole che io faccia.
Lui si alza. Ha il cazzo perfettamente in tiro ed è davvero uno spettacolo grandioso. Si gira e si stende sulla scrivania, anche se mettersi disteso con le mani legate dietro la schiena non è certo comodo.
- Impalati, dai.
Questo è davvero un invito a nozze!
Gli rimetto il bavaglio, poi salgo sulla scrivania, con i piedi ai lati del suo corpo, e poi mi siedo su di lui. Gli infilo il preservativo e poi gli metto il cazzo in verticale. Mi sollevo, mi colloco nella posizione giusta e lentamente mi impalo su questo magnifico arnese. Fa male, parecchio: un cazzo così è fuori misura. Ma è bellissimo. Il mio culo si lamenta, ma è tutta scena: è felice di questo palo che lo trafigge.
Mi muovo con lentezza, sollevandomi e poi sprofondando. Lui ogni tanto ha una smorfia di dolore: le mani legate dietro la schiena devono fargli male. Ma il suo cazzo è un pilastro di cemento armato. Anche il mio sta nuovamente gonfiandosi, benché sia venuto poco fa. Ma è troppo bello.
La sua faccia si deforma in una smorfia di piacere ed emette un grugnito soffocato dal bavaglio. Io allora mi accarezzo e vengo nuovamente, spargendo un po’ del mio seme sul suo ventre.
Guardo le gocce biancastre sui peli. Sorrido e chiudo gli occhi, esausto e soddisfatto come di rado mi è capitato in vita mia. Lui si alza. Gli libero le mani e lui si toglie il bavaglio.
Mi sorride.
- Bene, Pier, credo che avremo modo di lavorare parecchio insieme nei prossimi mesi e mi fa piacere sapere che ogni tanto possiamo anche svagarci.

(Continua...)
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