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Storia 2 - Una bella giornata di marzo

12.06.2025 |
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"Atticus si aggiustò, spinse con l'altra mano sul petto di Decio sollevandosi un poco ed entrò anche la mia mentula..."
È una mattinata luminosa, col sole innaturalmente caldo. Mi appoggio, stirando la schiena, ad una colonna intiepidita dal sole. Sono un po' agitato e tento di rilassarmi. Sono molto in anticipo qui sotto il portico del Senato. La cosa che mi turba di più non è questo freddo pugnale nascosto sotto la toga o l'ansia dell'imprevisto che potrebbe sventare i piani lungamente predisposti oppure il timore di una spiata o ancora l'incertezza per il dopo; è il vedere che è una bella giornata marzolina, un giorno di festa con la gente che va a spasso, le famiglie in campagna, i giovani alle corse dei carri.
Siamo in pochi con la toga, la maggior parte dei giovani che passano indossano solo la tunica che alcuni riempiono di interessanti rotondità. Qualcuno mi getta uno sguardo penetrante ma continua per la sua strada. I rapporti fra maschi sono riprovati se riguardano la plebe, ma tra noi patrizi sono molto tollerati purché non li si ostenti e non se ne faccia oggetto di pettegolezzi. Non siamo nella Grecia che fu, in cui erano quasi la normalità; qui a Roma si fa ma non si dice.
Mi stiracchio e resto allungato ad occhi chiusi, forse sorrido pure impercettibilmente perché una voce mi riscuote:
- Salve Quinto Ligario, a cosa pensi di così piacevole?
- Appio Claudio, salve a te. Assolutamente a nulla, mi godo questo bel sole.
- Non pensi che ci siano luoghi migliori della Curia di Pompeo per godersi il sole?
"Già - vorrei rispondergli - anche per godere del tuo culo..."
Sorrido e lo ascolto superficialmente come se parlasse in lontananza; gli rispondo saltuariamente e intanto mi rivedo sette anni prima alla Rhetoris Schola: eravamo ragazzi di 17 anni, e il maestro di eloquenza insegnava, a noi che dovevamo intraprendere la carriera politica o giuridica, la difficile arte del parlare con linguaggio colto e l’esprimersi con convincimento. Claudio era una frana in tutte le discipline tranne in quelle sportive dove eccelleva. Aveva un corpo armoniosamente fantastico che non potevo non notare come non posso non farlo anche adesso che sta parlando con me di sciocchezze. Il mio pene freme due volte mentre gli osservo la curva delle natiche che ben si notano sebbene la sua tunica non sia attillata. E il mio pensiero va ai tempi della scuola quando venne malmenato da tre colleghi a cui doveva dei soldi. Rifiutò la mia offerta di saldargli il debito e qualche giorno dopo fu di nuovo pestato, molto più duramente. Onorai i suoi debiti e gli dissi che, almeno, ora anziché tre creditori ne aveva uno solo. Nei giorni successivi mi rivolgeva sguardi sfuggenti ed era palese che non avrebbe mai avuto i soldi che mi doveva. Un giorno me lo confessò con vergognoso imbarazzo ed io gli dissi che poteva saldare il debito in altro modo. Fu quasi felice della cosa e non mi chiese neppure in quale modo potesse sdebitarsi. Venne da me la notte stessa, silenzioso come un ladro, mentre tutti dormivano profondamente. Indossava una tunica stretta senza il licium di lino sotto a sostenere le pudenda. Mi svegliò impugnandomi la verga che, per qualche mio sogno, era già dura e mi si stese a fianco sulle pelli di pecora che mitigavano la durezza del mio materasso foderato di sostanze vegetali. Non mi sottrassi al bacio che tuttavia non mi aspettavo. Ci sapeva fare, perfino troppo. Mi morse a lungo le labbra, le orecchie e i capezzoli prima di prodigarsi in una sublime fellatio.
- Non venire - mi disse mentre il mio membro fremeva; sospese la suzione e si inginocchiò carponi ponendosi a leccarmi i piedi. Mi faceva il solletico ma resistetti perché era troppo piacevole quel pediluvio atipico. Lentamente colla lingua risalì gambe e cosce fino all'inguine e di nuovo inghiottì tutta la mia asta spingendosi col bacino verso il mio viso. Col suo più che dignitoso membro a pochi centimetri dalla mia faccia, fu inevitabile per me ricambiare la fellatio. Per me era la prima volta, ma per lui no di certo. Di colpo mi scavalcò con un ginocchio e mi sedette sul petto; fece perno sulle ginocchia e avvicinò la sua mentula alla mia bocca. L'aprii e lui operò dolcemente una monta del mio cavo orale. Era eccitante sentirsi la bocca piena di carne calda pulsante e mi misi a smanettare il mio pistone. Claudio mi fermò la mano e la sostituì con la sua poi, arretrando col bacino, si posizionò col suo ano sul mio bastone che, sotto al suo peso, accennò a flettersi. Si staccò mettendosi di fianco, me lo succhiò ancora per breve tempo poi, lasciandolo pieno di saliva, si sputò più volte su due dita che si sfregò sul buco, si riposizionò sul mio membro e si impalò soavemente. Fu una sensazione paradisiaca: un morbidume caldo attorno alle mie parti intime che in breve mi indussero una copiosa eiaculazione. Claudio iniziò a smanettare la sua mentula, poi, senza interrompersi, si sollevò facendo uscire il mio pene ancora duro dal suo retto, si avvicinò col bacino alla mia bocca e si scaricò ansimando. Prese poi a baciarmi leccando via tutto il suo seme che scambiava con me nel bacio successivo.
- E' stato bellissimo - sussurrai - sei bravissimo a far godere gli uomini. Ci sai proprio fare...
- Sai com'è - bisbigliò con malizia - faccio molti debiti che devo ripagare. Una certa esperienza la si fa per forza...
Immerso in questi ricordi, non mi sono accorto che Appio Claudio non sta più parlando e mi accorgo che mi guarda divertito.
- La tua toga è ampia ma non abbastanza per non farmi notare che probabilmente i tuoi pensieri erano ritornati ai tempi della Rethoris Schola - dice ammiccando al mio basso ventre portatore di una vistosa erezione.
- Abiti sempre in quel quartieraccio? - chiesi sistemandomi un po'.
- Certo, la Suburra non è il massimo ma, con alcuni traffici che ho intrapreso, sono diventato ricco e sono rispettato; faccio quello che voglio e nessuno ci fa caso. Tu invece immagino che al Palatino sarai solo uno tra i tanti patrizi...
- È un periodo in cui sono alquanto impegnato, ma nei prossimi giorni, se ti va, posso farti visita...
- Con piacere, ma per favore non venire in toga. Un mese fa è venuto a comprare uno dei miei migliori servi un certo Decio Meridio che conoscerai senz'altro perché sta al Palatino pure lui. Non solo è venuto in toga ma pure in carretto con due servitori. Per passare inosservato mancava solo una fanfara di trombe...
Sorrido e lo saluto mentre se ne va. Ora siamo molti di più qui tra le colonne dei portici del Senato e ci scambiamo occhiate e ammiccamenti, non veri e propri saluti. È comunque ancora presto e mi stacco dalla colonna per guardare l'andirivieni della gente che se ne infischia della repubblica, dei poteri di Cesare e pure di noialtri che, anche se fischiettiamo e facciamo i disinvolti, abbiamo un'aria più che mai sospetta. D'altra parte chiunque passa pensa solo che è una bella giornata e tutto è tranquillo.
Ma non riesco a non chiedermi se riusciremo ad essere rapidi e secchi quando ci butteremo, sguainati i pugnali, sull'usurpatore delle libertà repubblicane. Già, perché tutto da tempo è rallentato: c'è sempre un rinvio, un'altra speranza o un'altra minaccia. È una specie di fanghiglia che ci invischia... perché abbiamo aspettato le Idi? Non si poteva mettere in pratica il piano alle Calende di marzo? E perché non aspettare allora le Calende d'aprile? Il timore che mi prende è che, puntati i pugnali contro il petto di Cesare, anche noi cominciamo a rimandare, a vagliare il pro e il contro, ad aspettare di sentire lui cosa dice, a fare controproposte... Ma perché finisce per apparire strano anche a noi giovani educati nelle virtù repubblicane il trovarci qui a fare ciò che da tempo si era deciso si dovesse fare contro chi volesse usurpare i poteri del Senato e dei consoli? Forse perché anche gli stessi senatori e i tribuni si mettono a fare dei distinguo, a dire che sì, Cesare è arrogante e prepotente, ma ha un glorioso passato, sa trattare i barbari e solo lui può risolvere la crisi della repubblica. Insomma forse è il male minore e per di più alla gente Cesare sta benissimo o comunque se ne infischia.
E intanto è già l'ora quinta, tutto si prolunga oltre il dovuto e anche Cesare tarda ad arrivare. Metello Cimbro con la supplica che gli deve porgere non è più al suo posto e Casca che deve dare il primo colpo dietro di lui lo cerca affannosamente, Bruto sotto la statua di Pompeo ostenta freddezza e appare assorto. La gente, poco lontano carica sui carri le ceste delle provviste, nelle strade c'è il chiasso delle ruote che battono sul selciato e stridono alle curve, il cielo è appena venato di nuvole leggere e le prime rondini sfrecciano tra i pini.
Vedo Appio Claudio in lontananza che guarda verso me e mi saluta col braccio teso. I miei pensieri vanno di nuovo a lui, ai suoi traffici di persone e a Decio Meridio che conosco benissimo dato che siamo saltuari amanti da un anno. E ho pure conosciuto intimamente il suo servo tracio Atticus che Meridio sfoggiò a noi amici un pomeriggio dopo un pranzo luculliano. Introdotto da un altro servo, teneva lo sguardo basso sotto una folta chioma di capelli castani appena un po' ricci. Indossava un manto marrone che, l'altro servo sciolse e portò via con sè lasciando il tracio nudo con solo un licium tessuto a rete che lasciava vedere un grosso membro ripiegato su se stesso sopra uno scroto notevole. Sotto questo, due belle cosce piene e muscolose e sopra un corpo che pareva scolpito da Fidia. Ma i veri gioielli erano le natiche: tonde, piene, sollevate, muscolose... davvero un'opera d'arte.
Un po' brilli, ridevamo e facevamo battute. E Decio disse:
- Atticus, versa a tutti un altro po' di vino così i miei amici possono toccar con mano e giudicare se i 600 denari che mi sei costato sono stati spesi bene. E voi, amici miei, palpategli pure braccia e cosce, e anche le natiche se volete, ma non la verga: niente erezioni in questa casa - e sghignazzò.
Aurelio Taffio lo prese in parola e iniziò a stringere al tracio le natiche che lui contraeva ad ogni strizzata e intanto che qualcuno gridava: - Cinedio... bardassa... - lui borbottava: - Come il marmo... come il marmo...
Qualcuno, rivolto al padrone di casa, disse:
- Fai attenzione Decio Meridio che Taffio te lo ingravida...
- Ah ah, conoscendolo, sarà il mio tracio a ingravidare lui...
Dopo altri lazzi da taverna il servo si ritirò e ad uno ad uno tutti noi salutammo l'ospite e ce ne andammo. Ma sulla soglia Decio mi disse di tornare la sera tardi per conoscere meglio il suo nuovo servo, di entrare dall'orto sul retro e di raggiungerlo direttamente in camera da letto.
Quando arrivai, molto silenziosamente, Decio ed Atticus stavano già dandosi da fare. Decio era a terra su delle pelli di capra in posizione canina ed Atticus lo penetrava stando in piedi con le gambe molto divaricate e le mani strette attorno ai suoi fianchi. La mia erezione fu pressoché istantanea ed il mio sguardo era calamitato dalla potente schiena del tracio che, al debole chiarore di un braciere, contraeva ritmicamente le natiche mentre affondava la sua verga nel culo di Decio Meridio.
Mi spogliai e mi posizionai davanti alla bocca di questi e, mentre Meridio mi suggeva, io non riuscivo a distogliere lo sguardo dal bel viso del tracio, reso più spigoloso e duro dalla luce rossastra delle braci.
Anche lui mi fissava mentre spingeva a fondo il suo bastone dentro il mio amico, finché si fermò un istante, lasciò la presa sui suoi fianchi, mi afferrò la testa dietro la nuca, mi attrasse a sè e mi baciò profondamente mentre si scaricava in lui.
Rimanemmo immobili qualche attimo; Decio Meridio aveva interrotto la fellatio per concentrarsi sul piacere che gli procuravano i fiotti con cui Atticus lo farciva del suo seme. Io e lui continuavamo a guardarci intensamente negli occhi e ci baciammo di nuovo.
- Sdraiamoci - disse Meridio.
Aveva un letto lussuoso con un copriletto damascato e lenzuola di lino su un invidiabile materasso morbido. Decio gettò a terra il copriletto e disse, rivolto a me ed indicando un'estremità del letto:
- Allungati con la testa là, e lascia cadere all'esterno una gamba...
Si posizionò dalla parte opposta con una gamba sovrapposta alla mia, l'altra col piede che toccava terra ed il suo fallo, ancora semieretto, vicino al mio. Impugnò assieme i due membri iniziando un lento movimento masturbatorio. Poi, rivolto al servo:
- Vieni, lavorali assieme...
Atticus si abbassò, li afferrò ed iniziò ad insalivarli partendo dagli scroti e risalendo le aste fino ai nostri due balani che svettavano lucidi uno accanto all'altro, li lavorò alternativamente riuscendo poi a prenderli in bocca entrambi. Con una sapiente alternanza di mani e bocca portò al massimo la consistenza dei nostri bastoni mentre pure il suo era di nuovo bello rigido. Era un pene superbo, più lungo e forse più grosso dei nostri con una folta cornice di ricci peli pubici. Meridio gli diede un colpetto su una spalla ed Atticus, pose i suoi piedi sul letto di fianco ai nostri bacini e si dispose coll'ano sui nostri due mazzuoli che stringeva forte alla base con una mano mentre con l'altra afferrò forte la mia spalla. Si adoperava per fare entrare le nostre due mazze nel suo buco e benché palesemente soffrisse molto, non si lamentò mai. Meridio assestò un colpo dal basso verso l'alto e la sua mentula entrò. Atticus si aggiustò, spinse con l'altra mano sul petto di Decio sollevandosi un poco ed entrò anche la mia mentula. Il corpo di Atticus era un notevole insieme di muscoli che, alla fioca luce rossastra, apparivano ancor meglio delineati. Rollava il bacino e lo faceva beccheggiare avanti e indietro mentre perfezionava l'impalamento e presto iniziò un lento saliscendi accompagnato da un lievissimo ansimare. Non provava più dolore perché aveva gli occhi chiusi ed un'espressione vagamente estatica. Io ero immobile ma Decio si muoveva un po' avanti e indietro ed io sentivo la sua verga sfregare piacevolmente sulla mia. La mia mano sinistra accarezzava la coscia di Atticus la cui mentula semieretta ondeggiava morbidamente. Con la mano destra gliela afferrai ed iniziai a masturbarlo mentre Decio colle mani sotto le natiche del servo lo sollevava un poco aiutandolo nel movimento.
Di colpo Atticus si sedette di peso sui nostri sessi, fece scivolare i piedi a terra ed uscì da noi. Anche Decio si alzò e fece dei gesti con le mani che Atticus capì al volo. Voltato verso me, pose il piede sinistro sul letto oltre il mio corpo e afferrandomi il pene ci si sedette di nuovo sopra. Il balano del suo membro duro si appiattiva sulla mia pancia mentre lui si avvicinava col viso al mio volto. Mi baciò mentre io lo abbracciavo traendolo a me, poi pose il suo capo sulla mia spalla sinistra e Decio Meridio, che nel frattempo aveva posto un ginocchio di fianco alla mia gamba tesa mentre l'altra sua gamba era dritta a terra, appoggiò il suo balano all'ano di Atticus sulla mia verga ed entrò con un colpo secco e iniziò a fare affondi impetuosi ad ognuno dei quali Atticus emetteva un ansimo aspirato. Era bello sentire la mentula di Decio che scorreva sulla mia nel culo del tracio e nel contempo abbracciare Atticus sentendo la sua verga dura sulla mia pancia. Decio che stringeva forte il suo servo per i fianchi dopo poco emise un rantolo ed io sentii il suo seme caldo che riempiva ogni spazio nella cavità di Atticus il quale mi baciava con trasporto ogni parte del volto: bocca, occhi, orecchi... Iniziò a muoversi mentre lentamente Decio uscì da lui, ma io a quel punto volevo nel mio culo l'asta di Atticus.
- Non vorresti fottermi come faresti con una femmina? - dissi.
Sembrò sorpreso dalla richiesta, torse la testa indietro cercando Decio il quale annuì. Allora mi sollevò le gambe divaricandole e stringendomi forte una caviglia con una mano mentre con l'altra guidò il suo randello nel mio ano senza porre indugio. Fece molto male ma resistetti stoicamente e quando Cupido e Priapo vollero, il dolore cominciò a scemare. Atticus dava colpi potenti e profondi e pareva mi volesse squarciare. Decio venne sulla mia faccia colle sue natiche dicendomi di leccargli l'ano. Nel contempo si masturbava forsennatamente e lo stesso facevo io e quando Atticus eruttò il suo sperma dentro di me, anche noi due concludemmo sul mio petto.
Sono di nuovo appoggiato alla colonna che mi godo il sole mentre questi recenti ricordi passano velocemente nella mia mente e mi scopro ad invidiare la ricchezza di Decio Meridio che gli ha permesso, tra l'altro, di poter acquistare un servo così bello ed abile in tutto.
Distratto da questi pensieri, non mi sono accorto che Cesare è arrivato, che Cimbro gli tira la toga, che Casca già trae a sè il pugnale rosso di sangue, che Bruto si è buttato avanti con ferocia, che Cesare è caduto giù per i gradini, che la calca mi sospinge lì addosso e che anch'io levo il pugnale e colpisco, e sotto vedo aprirsi Roma coi suoi muri rossi nel sole di marzo, gli alberi, i carri indifferenti che passano veloci, una voce di donna che canta a una finestra e, ritirando il pugnale, mi prende come un senso di vuoto, una vertigine in cui io, Cassio, Tribonio, Decio e gli altri siamo soli, non oggi qui in Roma, ma nei secoli che verranno, la paura che non saremo capiti, che non riusciranno a rifarlo, che resteranno lontani e indifferenti come questa bella giornata di marzo.
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