Gay & Bisex
Usato sicuro 2010 3

10.06.2025 |
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"E io…»
«E tu gli hai detto di no..."
Era martedì sera. Bologna sembrava più umida del solito, e Giò camminava verso casa con la spesa in mano, il pensiero ancora addosso alla notte precedente con Ivano. L’uomo era diventato silenziosamente importante. Dormivano insieme. Si cercavano. Si rispettavano. Forse si amavano, anche se nessuno dei due lo aveva detto.Davanti al portone, appoggiato al muro come un’ombra, Luca lo aspettava.
Felpa nera, jeans stretti, una sigaretta tra le dita. E lo stesso sguardo di quando era un ragazzino che voleva troppo, troppo in fretta.
«Stai bene con lui?» chiese senza salutare.
Giò lo fissò. «Cosa vuoi, Luca?»
Il ragazzo si avvicinò. Profumava di menta e tabacco. «Voglio capire. Se mi hai detto di no perché ero troppo giovane… oppure se semplicemente non ti piacevo abbastanza.»
Giò deglutì. Il cuore gli batteva strano. Quell’intimità malata lo agitava.
«Luca, quella storia è finita prima di cominciare. Hai ventitrè anni, sei bellissimo, ma io sto con tuo padre. Non capisci quanto sia sbagliato?
Luca sorrise. E fu un sorriso velenoso. «Se è così sbagliato… perché sei nervoso?»
Si avvicinò ancora. Gli mise una mano sulla giacca, lentamente, sfiorandogli il petto.
«Ti ricordavi di me. Il mio odore. I messaggi che non hai mai risposto. Ora guarda come mi guardi… come se fossi ancora curioso.»
Giò lo fermò, afferrandogli il polso. Ma la pelle era calda. E il gesto, per un istante, sembrò più una carezza che un rifiuto.
«Sei tu che non hai superato il no che ti ho detto. Sei venuto a vendicarti. Ma con me non attacca.»
Luca lo guardò negli occhi, e cambiò tono. «Lo ami? O ti piace perché ti fa sentire al sicuro?»
Giò lo spinse via. «Tu non sai niente. E stai giocando con fuoco vero.»
Luca lo fissò. Poi si girò e se ne andò, senza una parola. Ma la guerra era iniziata.
La notte, a casa di Ivano, Giò non riusciva a dormire. Sentiva il fiato dell’uomo accanto a sé, regolare, caldo. Ma il cuore gli faceva male.
La scena del portone non gli usciva di testa. Il corpo di Luca così vicino. La provocazione. La rabbia. Il desiderio trattenuto a forza.
All’alba, si alzò. Fece il caffè. Poi tornò a letto e svegliò Ivano.
«Dobbiamo parlare.»
Ivano si sollevò a fatica. «Che succede, Giò? Hai una faccia...»
Giò respirò a fondo. Lo guardò negli occhi. E disse tutto.
Gli raccontò di Luca, di due anni prima. Della cotta non ricambiata. Delle avances. Del rifiuto. E di come adesso Luca stesse cercando di riaprire quella ferita con cattiveria. Con desiderio. Con qualcosa che assomigliava troppo a una vendetta.
Ivano non disse nulla per un tempo lungo e spaventoso.
Poi si alzò. Andò in cucina e Giò lo seguì. Si versò un bicchiere d’acqua e restò fermo in piedi, lo sguardo nel vuoto, come se una crepa invisibile si fosse aperta tra le piastrelle della cucina.
«Mio figlio...» ripeté, piano. «Mio figlio... con te.»
Giò gli si avvicinò, ma non osò toccarlo. Sentiva che ogni gesto sarebbe sembrato un'aggressione in quel momento.
«È stato due anni fa. Niente di fisico. Solo sguardi, messaggi. Io l’ho bloccato. Aveva poco più di vent'anni. E io…»
«E tu gli hai detto di no. E adesso è tornato. E ti provoca.»
Ivano si voltò verso di lui, gli occhi lucidi non di rabbia, ma di qualcosa di più profondo: smarrimento.
«Io non l’ho mai saputo, Giò. Non ne ho mai avuto il sospetto. Con me Luca è sempre stato tutto moto, calcio e donne. Ma forse…»
Si interruppe.
Poi si sedette pesantemente sulla sedia della cucina, il bicchiere d’acqua ancora in mano, tremante.
«Ho sempre pensato che, dopo il divorzio, i miei figli mi guardassero come un uomo a metà. Un padre dimezzato. E invece... uno di loro, quello con cui ho sempre parlato meno, con cui ho sempre faticato di più… ha vissuto tutto questo da solo. Senza dirmi niente.»
Giò si avvicinò, cauto. «Ivano, io non lo sapevo. Non immaginavo…»
Ivano lo interruppe con un gesto. «No. Non è colpa tua. È solo che… Non riesco a smettere di pensare a tutte le volte in cui ho detto cose stupide, inconsapevoli. Battute. Silenzi. E se si è nascosto per paura mia?»
Lo sguardo che rivolse a Giò fu quello di un uomo che si scopre colpevole senza processo.
«E ora tu. Tu che stai con me. Tu che…»
Si fermò di nuovo.
«Cazzo, Giò, questa storia è una ferita aperta. Una doppia.»
Giò si inginocchiò davanti a lui. Gli prese la mano. «Io ti voglio bene. Non so che nome dare a quello che provo. Ma so che sei importante. Non voglio perderti.»
Ivano lo fissò a lungo. Poi disse, con voce secca:
«Se Luca dovesse tornare, se ti cercasse ancora… lo devi fermare. Ma soprattutto devi lasciarlo parlare. Non per te. Per lui. E per me.»
Giò annuì. E in quell’attimo capì che l’amore, quello vero, passa anche da strade strette, ferite, infangate.
Quella sera stessa, Luca gli scrisse.
"Sei stato con lui stanotte? Ti sei rifugiato nel suo abbraccio come se fosse meglio del mio?"
Giò lesse il messaggio con calma. Poi, invece di rispondere, lo chiamò.
La voce di Luca era tesa, eccitata, quasi feroce. «Volevi sentirmi? Hai voglia di giocare anche tu?»
Giò parlò piano. «Luca. Basta. Tuo padre sa tutto.»
Silenzio.
Poi solo un sussurro: «Tutto tutto?»
«Sì. Anche che sei gay. E che forse non volevi solo me… ma volevi che lui ti vedesse. Ti capisse.»
Luca non rispose subito. Poi disse solo: «Tu non sai cosa vuol dire crescere con un padre che ama solo la versione di te che gli fa comodo.»
E chiuse la chiamata.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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